«Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». (Gv 8,
1-11)
Il Vangelo del quinto lunedì di quaresima, presentandoci il caso di una donna colta in “flagrante adulterio”, ci mostrarci la Misericordia di Dio che ci rende nuove creature.
Il Vangelo del quinto lunedì di quaresima, presentandoci il caso di una donna colta in “flagrante adulterio”, ci mostrarci la Misericordia di Dio che ci rende nuove creature.
Scribi e Farisei la conducono a
Gesù la donna peccatrice perché sia lui ad emettere la sentenza. Ciò che li
muove non è, però, lo zelo per la legge. Si tratta evidentemente di una
trappola: se questo “maestro”, che mangia con i peccatori, perdona l’adultera,
potranno accusarlo di contravvenire alla legge; se, al contrario, la condanna,
si sarà allineato all’interpretazione più severa della legge, contraddicendo il
suo comportamento precedente, e perderà il consenso del popolo (di cui
scribi e farisei sono gelosi).
Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di
accusarlo. Già in questo atteggiamento di scribi e farisei trovo motivo di
riflessione. Può capitare anche a noi di puntare il dito verso un nostro
fratello o sorella che sbaglia. Magari ci appelliamo a “una questione di
principio”; forse osiamo addirittura parlare di “correzione fraterna”; ma è
veramente questo a muoverci? Siamo veramente interessati a promuovere
l’osservanza dei comandamenti? Ad aiutare il fratello o la sorella a non
sbagliare più? Magari le nostre motivazioni siano altre: gettare fango sul
peccatore perché possa splendere la nostra “giustizia”; mettere a tacere chi la
pensa diversamente da noi ecc.
«Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
Il Maestro non cade nella trappola che gli viene tesa: non nega il peccato
della donna, ma chiama gli accusatori a prendere coscienza della comune condizione
di peccato da cui, purtroppo, nessun uomo è esente. L’adulterio, inoltre, è un
peccato fortemente simbolico: spesso Israele è accusato dai profeti di
adulterio, di avere il cuore lontano dal suo Dio (Cfr. Osea 2 e Ezechiele 16).
Anche il gesto di scrivere sulla polvere ha sapore profetico: nel libro del
profeta Geremia si legge: “Sarà scritto
sulla polvere chi si allontana da te, poiché essi hanno abbandonato il Signore,
la fonte dell’acqua sprizzante” (Ger 17, 13b).
Gli accusatori di questa donna non
sono forse anch’essi colpevoli di adulterio verso il loro Signore? Implicitamente
Gesù chiede a ciascuno dei suoi ascoltatori di esaminare se hanno realmente il
diritto di accusare o se, piuttosto, devono anch’essi appellarsi alla
Misericordia di Dio.
Se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli
ultimi. Cominciando da chi ha una più lunga storia di infedeltà, gli
accusatori rinunciano all’accusa. Rimangono “la misera e la
Misericordia”(S. Agostino).
Il Signore non giustifica il peccato,
ma salva la peccatrice donandole il perdono, prima ancora che lei lo chieda,
insieme all’ingiunzione: non peccare più.
Il proposito di non peccare più (che facciamo nell’Atto di Dolore) è una
tensione importante: non possiamo rassegnarci alla nostra miseria; siamo
chiamati a rialzarci e a riprendere il cammino di sequela del Maestro. Gesù è
capace di rinnovare la nostra vita; il nostro passato, gettato nel braciere
della sua misericordia, non è più un peso. Guardando con speranza al futuro,
allora, tendiamo sempre ad una maggiore fedeltà al Dio fedele e misericordioso.
fr. Marco
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