domenica 29 marzo 2020

Va’ e d’ora in poi non peccare più



«Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». (Gv 8, 1-11)

Il Vangelo del quinto lunedì di quaresima, presentandoci il  caso di una donna colta in “flagrante adulterio”, ci mostrarci la Misericordia di Dio che ci rende nuove creature.
Scribi e Farisei la conducono a Gesù la donna peccatrice perché sia lui ad emettere la sentenza. Ciò che li muove non è, però, lo zelo per la legge. Si tratta evidentemente di una trappola: se questo “maestro”, che mangia con i peccatori, perdona l’adultera, potranno accusarlo di contravvenire alla legge; se, al contrario, la condanna, si sarà allineato all’interpretazione più severa della legge, contraddicendo il suo comportamento precedente, e perderà il consenso del popolo (di cui scribi e farisei sono gelosi).
Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Già in questo atteggiamento di scribi e farisei trovo motivo di riflessione. Può capitare anche a noi di puntare il dito verso un nostro fratello o sorella che sbaglia. Magari ci appelliamo a “una questione di principio”; forse osiamo addirittura parlare di “correzione fraterna”; ma è veramente questo a muoverci? Siamo veramente interessati a promuovere l’osservanza dei comandamenti? Ad aiutare il fratello o la sorella a non sbagliare più? Magari le nostre motivazioni siano altre: gettare fango sul peccatore perché possa splendere la nostra “giustizia”; mettere a tacere chi la pensa diversamente da noi ecc.
«Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». Il Maestro non cade nella trappola che gli viene tesa: non nega il peccato della donna, ma chiama gli accusatori a prendere coscienza della comune condizione di peccato da cui, purtroppo, nessun uomo è esente. L’adulterio, inoltre, è un peccato fortemente simbolico: spesso Israele è accusato dai profeti di adulterio, di avere il cuore lontano dal suo Dio (Cfr. Osea 2 e Ezechiele 16). Anche il gesto di scrivere sulla polvere ha sapore profetico: nel libro del profeta Geremia si legge: “Sarà scritto sulla polvere chi si allontana da te, poiché essi hanno abbandonato il Signore, la fonte dell’acqua sprizzante” (Ger 17, 13b).
Gli accusatori di questa donna non sono forse anch’essi colpevoli di adulterio verso il loro Signore? Implicitamente Gesù chiede a ciascuno dei suoi ascoltatori di esaminare se hanno realmente il diritto di accusare o se, piuttosto, devono anch’essi appellarsi alla Misericordia di Dio.
Se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Cominciando da chi ha una più lunga storia di infedeltà, gli accusatori rinunciano all’accusa. Rimangono “la misera e la Misericordia”(S. Agostino).
Il Signore non giustifica il peccato, ma salva la peccatrice donandole il perdono, prima ancora che lei lo chieda, insieme all’ingiunzione: non peccare più. Il proposito di non peccare più (che facciamo nell’Atto di Dolore) è una tensione importante: non possiamo rassegnarci alla nostra miseria; siamo chiamati a rialzarci e a riprendere il cammino di sequela del Maestro. Gesù è capace di rinnovare la nostra vita; il nostro passato, gettato nel braciere della sua misericordia, non è più un peso. Guardando con speranza al futuro, allora, tendiamo sempre ad una maggiore fedeltà al Dio fedele e misericordioso.
fr. Marco

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