sabato 25 luglio 2020

Concedi, Signore, il discernimento

«… “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; …» (1Re 3,5. 7-12)

«Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» (Rm 8,28-30)

«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.» (Mt 13,44-52)

Nel Vangelo della XVII domenica del TO, Gesù continua il suo discorso in parabole sul Regno parlando del tesoro nascosto e della perla preziosa.
«Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto» Nella prima lettura il re Salomone ci mostra il giusto atteggiamento da assumere per entrare nel Regno: la consapevolezza di essere parte di un popolo che appartiene a Dio, che Dio si è scelto, e di essere chiamati a servirlo; è importante per restare al giusto posto dinanzi a Lui, l’unico Signore della nostra vita. Proprio a partire da questo, Salomone può chiedere la docilità e lo spirito di discernimento, doni preziosi che permettono di svolgere la missione che il Signore gli ha affidato.
Anche per noi è importante chiedere lo spirito di discernimento per riconoscere il bene e il male, ciò che va fatto e ciò che va evitato, ciò che è importante e ciò che è superfluo. Diversamente, rischiamo di sprecare la vita inseguendo cose vane, superflue, secondarie, incapaci di darci la felicità che cerchiamo.
Che disgrazia sarebbe avere dinanzi il tesoro della nostra vita, ciò per cui siamo creati, ciò che solo è capace di darci quella felicità che cerchiamo, ed essere incapaci di riconoscerlo; o, peggio, non avere il coraggio di investire tutto ciò che siamo e abbiamo per acquistarlo.
Nelle Parabole evangeliche di oggi, l’uomo che trova il tesoro nascosto e il mercante di perle hanno saputo riconoscere ciò che veramente vale ed hanno avuto il coraggio di investire tutto – sicuramente anche cose cui erano affezionati – per fare propria quella felicità di cui erano in cerca. Anche noi siamo invitati a fare scelte coraggiose per giungere a quella felicità che il Padre ha pensato per noi fin dall’eternità.
Penso di potere affermare che ogni uomo e donna nel mondo cercano la “felicità”, una Vita serena e piena di senso. Quanti fratelli e sorelle, però, si trovano a vivere una vita vuota, di cui non capiscono il senso … Ciò, a volte, dipende dalle scelte che hanno compiuto, scelte in cui si sono lasciati ingannare dai falsi bagliori del mondo invece di seguire la Luce vera (penso alle scelte professionali fatte in ragione del guadagno; a tutte quelle scelte che compiamo guidati dal “così fan tutti”). Forse non sono stati docili nell'ascolto. È fondamentale, infatti, scegliere dopo avere ascoltato la Volontà del Padre.
«Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» San paolo nella seconda lettura di questa domenica ci aiuta a discernere come comportarci nel caso in cui ciò che sembra svuotare di senso la nostra vita non dipenda da noi; anche quando non possiamo scegliere le “situazioni” da vivere, infatti, possiamo però scegliere come viverle: invece di “subire la vita”, possiamo scegliere di Viverla, di abbracciarla pienamente e trasformarla in un’offerta d’Amore. 
Ogni uomo è un “cercatore della Verità” (Cfr. Giovanni Paolo II) e della Vita. Verità e Vita per noi non sono concetti astratti, ma una persona: il Signore nostro Gesù Cristo. Impariamo a distinguere ogni giorno la Sua volontà, ciò che è vero, buono e giusto, e a fare scelte coraggiose che sappiano andare anche “controcorrente” per giungere a quella gioia che il “mondo” non ci può dare.


fr. Marco

sabato 18 luglio 2020

Da dove viene la zizzania.

«Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto. […] Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere.» (Sap 12,13.16-19)

«Fratelli, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8,26-27)

«“Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”» (Mt 13,24-43)

La Parola di Dio della XVI domenica del tempo ordinario, con le parabole evangeliche del buon grano e della zizzania, del seme di senapa e del lievito nella massa, ci parlano della pazienza di Dio e della grandezza che si nasconde nell’apparenza debole e umile.
Ritengo che, dinanzi il male presente nel mondo, prima o poi sia capitato a tutti di pensarla come i servi della parabola ansiosi di sradicare la zizzania: vogliamo “fare giustizia”, eliminare i peccatori dalla faccia della terra. Non di rado rimaniamo magari scandalizzati dalla pazienza del Signore: “Se Dio c’è ed è buono, perché permette certe cose? Perché permette che i  peccatori prosperino?”
Presentando il Regno dei Cieli, il Maestro stesso risponde oggi a questa obbiezione e spiega ai discepoli la parabola del buon grano e della zizzania: il Signore è paziente e misericordioso, non ha fretta di sradicare la “zizzania”. Il tempo del raccolto, tuttavia, verrà ed allora il “buon grano” sarà riposto nel granaio e la zizzania bruciata.
Penso che sarebbe superficiale, leggendo questa parabola, pretendere di riconoscere tra di noi il “grano” e la “zizzania”; facendo distinzioni nette e magari anche mettendoci dalla parte del “grano”. La realtà è più complessa: in noi spesso convivono il “grano” e la “zizzania”, ciò che “ha piantato” il Signore e ciò che invece ci viene dal “nemico”. Il Signore è paziente e aspetta di vedere i frutti. Sta a noi non lasciare che la zizzania soffochi il buon grano perché questo possa portare frutto.
La parabola di oggi, oltre ad esortarci all’impegno perché in noi la zizzania non soffochi il buon grano, ha anche un’altra ricaduta pratica sulla nostra vita: consapevoli della pazienza e misericordia che il Signore usa verso di noi, siamo invitati ad imparare da Lui, nel rapportarci con i nostri fratelli e sorelle, ad usare pazienza, a non emettere condanne frettolose, ad essere indulgenti.
L'indulgenza, infatti, è un’espressione della carità, perché è insieme comprensione, discrezione, pazienza e fiducia. Con l’indulgenza, infatti l'amore non cerca se stesso, il proprio appagamento, la propria soddisfazione: cerca soltanto il vero bene della persona amata.
Se saremo indulgenti, quindi, riusciremo a vincere ciò che ci impedisce di adempiere il comandamento dell’amore del prossimo: i difetti dei nostri fratelli che siamo sempre pronti a notare e condannare più dei nostri.
L'indulgenza, tuttavia, non consiste nel non volere vedere gli errori dei fratelli, nel semplice “chiudere gli occhi”. Gli errori vanno visti per poterli evitare noi e, se il Signore ce ne dà la grazia, correggerli nei fratelli. Essere indulgenti significa che, pur vedendo gli errori e i difetti dei fratelli, siamo disposti a concedere loro il perdono e quindi la possibilità di correggersi.
Fino a che punto si deve usare indulgenza? La risposta ce la da il Signore dicendoci di perdonare non sette volte, ma «settanta volte sette», e cioè sempre (cfr. Mt 18,22)
La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. Riguardo poi al “seminare zizzania”, a volte ci comportiamo proprio come figli del diavolo, del divisore per eccellenza, mettendo divisione tra i nostri fratelli, fomentando rancori, instillando il dubbio l’uno verso l’altro col fare “porta e riporta” di cose che sarebbe bene non divulgare. Il Vangelo di oggi ci ammonisce: verrà “il tempo della mietitura”, e dovremo rendere conto dei frutti che abbiamo prodotto.
Facendo attenzione a noi stessi, allora, perché la zizzania non soffochi il buon grano e questo porti frutto, non arroghiamoci mai il compito di “estirpare la zizzania” dei fratelli e usiamo con loro l’indulgenza e la pazienza del Padre fino al momento della mietitura.
Fr. Marco

sabato 11 luglio 2020

Chi ha orecchi, ascolti

«Come la pioggia e la neve … così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55, 10-11)

«Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.» (Rm 8, 18-23)

«Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti» (Mt 13, 1-23)

La liturgia della Parola della XV domenica del Tempo Ordinario si apre con l’affermazione, tratta dal libro del profeta Isaia, che la Parola di Dio è efficace, ha la capacità di cambiare la nostra vita, di portare frutto, di renderci sempre più “figli di Dio” conformandoci a Cristo.
Dinanzi a questa verità, però, viene spontaneo chiedersi: perché le nostre vite, così spesso e abbondantemente raggiunte dalla Parola, non cambiano? A questo interrogativo risponde il Maestro nel Vangelo: il seme è efficace e abbondante, ma non sempre il terreno in cui cade è disposto ad accoglierlo perché porti frutto. A Volte ascoltiamo la Parola con distrazione e superficialità – spesso il nostro ascolto è così superficiale che, appena terminata la celebrazione, non ricordiamo che cosa è stato proclamato-; siamo come la terra lungo la strada: impermeabili alla parola, non le permettiamo di penetrare nella nostra vita. È l’atteggiamento assunto da chi ascolta il Vangelo come fosse una “favoletta” che non ha niente a che fare con la vita reale e quindi non si preoccupa di comprendere ciò che il Signore gli sta dicendo. Per questa categoria di ascoltatori vale la condanna pronunciata dal profeta Isaia e oggi riportata nel Vangelo: «Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete». Sentono, ma non si preoccupano di comprendere e per questo si escludono dall’essere salvati. L’atteggiamento dei discepoli, invece, è quello di interrogare il Maestro, di mettersi con sincerità dinanzi alla Parola per comprenderla e realizzarla.
Altre volte, magari, ascoltiamo la Parola con entusiasmo, ma non siamo disposti a sopportare la “persecuzione” e il rifiuto di coloro i quali seguono la logica del mondo: appena la Parola ci chiede di metterci in opposizione al modo di pensare e di agire del “mondo”, rinunciamo e ci conformiamo al “così fan tutti”.
Capita, infine, che siamo anche disposti ad accogliere la Parola con le migliori disposizioni, ma nella nostra vita sono presenti tante di quelle “preoccupazioni del mondo” (direbbe il Vangelo le cose “di cui si preoccupano i pagani”), che soffocano la Parola impedendole di portare frutto. È ciò che avviene, per esempio, quando abbiamo compreso che il Vangelo ci chiama al perdono, ma diciamo tra noi: “Se io perdono sempre, finirà che mi metteranno i piedi addosso … non posso essere sempre io a fare il primo passo!”. Oppure quando abbiamo capito che siamo chiamati a dare a chi ha bisogno, ma ci facciamo frenare dalla preoccupazione che ciò che oggi potremmo dare, domani potrebbe servire a noi.
Questa domenica il Signore ci invita ad interrogarci: come accolgo la Parola seminata nel mio cuore? Se ci interroghiamo con sincerità, forse scopriremo che spesso abbiamo impedito alla Parola di entrare realmente nella nostra vita e portare frutto. In tal caso, ritengo che la prima cosa da fare, sia chiedere al Signore di dissodare il terreno del nostro cuore per renderlo idoneo ad accogliere la Parola. La pagina evangelica di oggi, inoltre, ci invita a prendere esempio dai discepoli e fermarci ad interrogare il Maestro sul Significato della Parola: ascoltiamo con attenzione e fermiamoci a meditare la Parola. Non lasciamola cadere senza comprenderla.
Prima di concludere, infine, vorrei attingere anche all’esperienza del serafico padre S. Francesco: egli metteva in pratica immediatamente ciò che comprendeva della Parola e ciò gli permetteva di comprenderla sempre meglio. Impariamo anche noi a fare così: mettiamo in pratica ora, subito, ciò che abbiamo compreso della Parola; anche se la nostra comprensione è parziale, il Signore ci darà una comprensione più profonda e la Parola porterà frutto in noi. Facendo in questo modo, giorno dopo giorno, faremo della nostra vita un capolavoro e contribuiremo alla piena realizzazione del Regno.

Fr. Marco

sabato 4 luglio 2020

Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro


«Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.» (Zc 9,9-10)

«Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.» (Rm 8, 9.11-13)

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,25-30)

La Parola di Dio della XIV domenica, del tempo ordinario, presenta alla nostra contemplazione l’umiltà e la mitezza del nostro Signore che chiama a se quelli che gli appartengono perché, imparando da Lui l’umiltà e la mitezza, possano avere ristoro, salvezza e vita.
Nella seconda lettura, inoltre, veniamo ammoniti a non vivere secondo la carne, ma secondo lo Spirito di Cristo. Si tratta dello stesso appello all’umiltà espresso con altri termini: vivere secondo la carne, infatti, nel linguaggio di Paolo, significa vivere secondo l’uomo vecchio tutto dedito a cercare il proprio piacere, la propria “gloria” (spesso “vana-gloria”), a gonfiare orgogliosamente il proprio io. Comportamento opposto a quello che il Maestro ci ha insegnato e mostrato.
Vivere secondo lo Spirito di Cristo, quindi, significa lasciare che lo Spirito, effuso nei nostri cuori, ci guidi alla Verità su noi stessi e su Dio. Solo lasciandoci guidare alla verità saremo realmente umili: consapevoli di ciò che siamo (con le nostre miserie e i doni da condividere e fare fruttificare) e della misericordia infinita che il Padre ha per noi.
Perché lo Spirito possa guidarci alla verità su noi stessi e alla “conoscenza” del Padre che il Figlio ci ha donato, è necessario, però, riconoscere che tutto abbiamo ricevuto per grazia dal Padre: rinunciare ad ogni pretesa di virtù, di autoreferenzialità, di sapienza “carnale”, per farci “piccoli”, disposti a lasciarci guidare e ad imparare.
Imparate da me, che sono mite e umile di cuore. L’umiltà che oggi siamo invitati ad imparare è l’umiltà “di cuore”, quella autentica, che riguarda il nostro centro esistenziale, non “la maschera” che ogni tanto indossiamo a condizione, però, che nessuno osi correggerci. L’umiltà, infatti, è una virtù particolare: quando ci convinciamo di possederla, possiamo legittimamente sospettare di essercene allontanati.
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra … Il primo frutto dell’umiltà è la gratitudine. Se entriamo nella verità di noi stessi, se riconosciamo che tutto abbiamo ricevuto per grazia, non potremo che sentire nascere in noi la gratitudine per il Padre che ci ama gratuitamente ed incondizionatamente.
Solo se saremo umili, inoltre, potremo essere “miti”, cioè docili alla volontà del Padre e misericordiosi verso i fratelli. Consapevoli dell’immenso amore misericordioso che il Padre nutre continuamente verso  di noi, saremo disponibili ad abbandonarci al Suo amore e a compiere la Sua volontà e avremo uno sguardo misericordioso verso i fratelli che, come noi (e forse meno di noi) sbagliano a causa della debolezza umana.
Venite a me, … e io vi darò ristoro. Liberati dal peso dell’orgoglio e dalla maschera di presunta perfezione che a volte indossiamo, abbracciati al “giogo d’amore” del Salvatore, troveremo infine ristoro dalle nostre oppressioni e gusteremo la dolcezza di camminare dietro il nostro Maestro.
Fr. Marco