venerdì 28 gennaio 2022

Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto

 «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. […] non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro.» (Ger 1,4-5.17-19)

« … E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.» (1Cor 12,31-13,13)

«In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, […]; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». (Lc 4,21-30)

La pagina di Vangelo di questa quarta domenica del Tempo Ordinario si apre riprendendo l’ultimo versetto della pericope di domenica scorsa e riporta la reazione dei presenti alle parole di Gesù nella Sinagoga di Nazaret. Una reazione positiva che, tuttavia, non tarderà a mutarsi in sdegno e rifiuto.

«Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso …» Il motivo del mutamento si può intuire dalle parole del Maestro che conosce ciò che i presenti hanno nel cuore: non sono interessati alla relazione con Dio, alla riconciliazione con Lui, all’anno di Grazia; vogliono solo vedere prodigi, avere benefici materiali ed immediati: «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!».

Per questo Gesù cita due grandi profeti che Israele aveva rifiutato a causa del fatto che aveva perso fiducia in Dio. Elia (1Re) viene cacciato e minacciato di morte dal re Acab e sua moglie Gezabele perché Israele, non confidando più in Dio, chiede la fecondità, la prosperità del paese, dalle divinità pagane Baal ed Astarte. Mentre Israele si affida agli idoli, una vedova pagana è capace di credere alle parole del profeta e si affida a Dio per il suo sostentamento: condivide il poco che ha e questo le viene moltiplicato. Eliseo (2Re) viene cercato dal pagano Naamàn per guarire dalla lebbra e, senza neanche uscire dalla tenda per riceverlo, gli manda a dire di bagnarsi nel Giordano; dopo una prima riluttanza (si aspettava riti spettacolari), Naamàn decide di fidarsi e ottiene la guarigione.

Quanto spesso anche noi cerchiamo i doni di Dio e trascuriamo il rapporto con Lui, tanto che siamo disposti anche a rivolgerci agli “idoli” (il denaro, gli “amici potenti”, la magia ecc.) pur di ottenere ciò che vogliamo. Può accadere anche a noi di cercare segni prodigiosi, miracoli, apparizioni … Anche noi spesso non ci fidiamo di Dio! È per questo che non vediamo le Sue meraviglie nella nostra vita. Meraviglie “quotidiane”, ordinarie, ma che manifestano il Suo prendersi cura di noi.

Dio ci ama, ci ha pensati fin dall’eternità e si prende cura di noi. Ci chiede solo di fidarci di Lui, di non avere paura (I lettura), e di essere suoi profeti e testimoni nel mondo. Profeti la cui parola deve essere autenticata dallo stesso “segno” che ha contraddistinto quella di Gesù: l’Amore autentico capace di donare tutto. È con questo amore che Gesù ci ha amati e ci ama. E con questo amore che il Padre ha pensato per noi un progetto di pienezza e di eternità. Fidiamoci.

San Paolo nella seconda lettura di oggi ci addita proprio questo segno: la Carità senza la quale la nostra vita e le nostre parole risultano vuote, senza senso. Una carità spesso nascosta, feriale, ma capace di realizzare grandi cose, capace di realizzare pienamente la nostra vita.

Crediamo nel Suo amore per noi, accogliamo con fiducia il Suo progetto per la nostra vita, viviamo senza paura la nostra vita in obbedienza alla Sua Signoria: vedremo le meraviglie di Dio e giungeremo alla Pienezza della Vita.

Fr. Marco

sabato 22 gennaio 2022

Oggi si compie la Parola

 «Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», […] I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura.» (Ne 8,2-4.5-6.8-10)

«Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.» (1Cor 12,12-30)

«In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. […] Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” […]  Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”».(Lc 1,1-4; 4,14-21)

La III Domenica del Tempo ordinario dal 2019, per Volontà di papa Francesco, è la “Domenica della Parola”, un’occasione e un invito a riscoprire la fondamentale dimensione dell’ascolto. Questa domenica le letture che la liturgia ci propone trattano proprio della centralità della Parola di Dio nella vita di fede. Sia nella prima lettura che nel Vangelo, infatti, ci viene descritta una “liturgia della Parola” e la sua efficacia come manifestazione e attualizzazione del disegno di Dio.

Nel brano tratto dal Libro di Neemia lo scriba Esdra proclama il libro della Legge di Dio al “resto d’Israele” di ritorno dall’esilio. La reazione del popolo è un pianto di pentimento e di gioia: pentimento per il peccato che li ha allontanati dalla Terra che aveva loro donato il Signore; gioia e gratitudine perché la fedeltà del Signore li ha ricondotti in Patria e permette loro di ascoltare ancora quella Parola che li costituisce “popolo di Dio”. A questa reazione Esdra e Neemia esclamano: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!»

Nel Vangelo, ascoltiamo di Gesù che entra di sabato nella Sinagoga e, dopo avere proclamato un brano tratto dal profeta Isaia, afferma: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Con Gesù, infatti, è arrivato “l’oggi” della salvezza e si realizza pienamente ciò che i profeti avevano annunciato: ai poveri è portato il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione.

Vorrei soffermarmi brevemente a riflettere su chi sono i poveri ai quali si riferisce Gesù e su quale lieto annuncio viene loro portato. Il contesto immediato in cui Isaia proclama queste parole ha a che fare con l’anno giubilare in cui venivano azzerati tutti i debiti e ciascun israelita rientrava in possesso di quella “porzione di terra promessa” che gli era stata assegnata. I poveri di cui parla, quindi, sono sicuramente anche “indigenti”. Ciò tuttavia non basta per descrivere i poveri cui si riferisce Gesù: si può essere “ricchi” anche possedendo poco, se a quel poco attacchiamo il cuore e facciamo dipendere da esso la nostra salvezza. I poveri ai quali si rivolge Gesù, invece, sono coloro che sanno di non potere mai “bastare a se stessi” e tutto si aspettano dal Signore; coloro che sanno che, per quanti beni possano possedere, questi non potranno mai dare loro la Vita; per questo sono disponibili alla condivisione. La condivisione, infatti, è un requisito essenziale dell’essere veramente poveri secondo Dio: il prenderci cura gli uni degli altri come membra di uno stesso corpo (vedi la seconda lettura) nella consapevolezza di avere un Padre che si prende cura di noi.

A questi poveri di JHWH, poveri secondo Dio, viene portato “il lieto annuncio”: il Signore si prende cura di loro; è entrato nella storia per liberare coloro che vivono nella schiavitù del peccato, rimettere “i debiti” che ci allontanavano dalla Grazia di Dio e donarci l’eredità e la dignità di Figli di Dio. Con Gesù, infatti, l’anno di grazia del Signore, l’anno giubilare, raggiunge il suo senso pieno e più vero e si estende all’Oggi della Parola: l’oggi in cui la Parola ascoltata e creduta ci muove all’amore fiducioso in Dio e all’amore dei fratelli.

Avviandomi alla conclusione, vorrei sottolineare l’atteggiamento di pentimento e conversione manifestato nella prima lettura dal popolo salvato: il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Gesù, infatti, rivelatore della Misericordia del Padre, se da una parte non ci condanna per il nostro peccato («non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» Gv 12,47), dall’altra ci chiede il pentimento per il nostro peccato e ci dona la grazia di lasciarlo, di cambiare vita. Una mal intesa “misericordia” che ci lasciasse schiavi della nostra miseria non sarebbe vera Misericordia che salva. In ogni incontro salvifico con i peccatori, Gesù dona il perdono e chiede di lasciare la via del peccato: «Va e non peccare più».

Accogliendo, allora, la Misericordia del Padre che viene a proclamare l’anno di grazia del Signore, lasciamoci raggiungere dalla Parola ed esaminiamo alla luce di Essa la nostra vita. Scoprendo quanta Misericordia il Signore usa a noi, prendiamoci cura gli uni degli altri soccorrendo i nostri fratelli e sorelle nella miseria come anche noi vogliamo essere soccorsi da loro. Non dimentichiamo che anche la correzione fraterna (Cfr. Mt 18,16-18),  ammonire i peccatori, è un’opera di misericordia spirituale.

Fr. Marco

sabato 15 gennaio 2022

Il Vino della Gioia

 «Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.» (Is 62,1-5)

​«Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.» (1Cor 12,4-11)

«Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.» (Gv 2,1-11)

​Questa domenica, seconda del Tempo Ordinario, nel Vangelo si completa la manifestazione di Gesù cominciata con l’epifania e continuata con il battesimo (la voce dall’alto): con il primo segno Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Il contesto in cui avviene l'inizio dei segni è un contesto nuziale. Si tratta di un simbolo potente già usato dai profeti per descrivere il Patto di reciproca appartenenza tra JHWH e il popolo eletto, la prima lettura ne è un esempio.

«Non hanno vino» In questo matrimonio viene a mancare il vino. Senza vino la festa è destinata a finire. Lo stesso avveniva anche nel patto tra JHWH e il popolo: non c’è più il vino della gioia! Non c’è più festa. Il popolo ha dimenticato chi è il suo Dio; ha assolutizzato la legge e vive il suo rapporto con Dio come un adempimento di doveri in cui cerca il tornaconto immediato (do ut des: do affinché tu dia): celebra il culto per avere salute e ricchezza; cerca i doni di Dio dimenticando il Datore di ogni bene, il Signore che opera tutto in tutti.

«Non è ancora giunta la mia ora» Non a caso, quando la Madre fa notare a Gesù che non hanno più vino, Lui risponde facendo allusione all’Ora. Solo nell’Ora della Sua Gloria (come Giovanni legge la passione, morte e resurrezione) in cui verrà sancita la Nuova ed Eterna Alleanza, infatti, tornerà la gioia piena.

Alla risposta di Gesù, che sembra volere negare il suo intervento, fa seguito un ordine della Madre ai servi: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Potenza della fede: Maria, con la sua fiducia nell’intervento del Figlio, in qualche modo anticipa l’Ora. Non si lascia scoraggiare dall’apparente diniego di Gesù. Soffermiamoci brevemente su ciò che la Madre ci insegna in questo contesto: il potere della preghiera fiduciosa e perseverante, e la necessità di fare qualsiasi cosa vi dica, cioè anche ciò che può sembrarci illogico, non secondo il nostro modo di pensare. Finché non accoglieremo la Sua logica nella nostra vita, finché non accetteremo, concretamente ed esistenzialmente, la Sua signoria sulla nostra vita, non potremo gustare il vino della gioia che Lui vuole darci.

«… hai conservato fino ad ora il vino buono» Il commento del maestro di tavola ci aiuta a comprendere che il centro è non tanto il cambiamento dell’acqua in vino, ma il fatto che questo vino è migliore di quello che c’era prima. Era “vino buono” anche quello che in precedenza animava il Patto tra Dio e il popolo, cioè la Legge data attraverso Mosè, ma il vino di Gesù è migliore: adesso c’è una rivelazione che va oltre la rivelazione della Legge. Adesso l’amore di Dio è manifestato con una vivacità e una chiarezza senza riserve. Come ci ricorda il Prologo di S. Giovanni: «La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità sono venute attraverso Gesù Cristo» (Gv 1,17). Non solo, ma questo “vino”, la gioia messianica, è sovrabbondante: «Vi erano là sei anfore … contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri» Si tratta quindi di una quantità di vino tra i 480 e i 720 litri, un dono che va al di là del bisogno e delle nostre attese.

Dato il contesto nuziale in cui avviene l’inizio dei segni, mi permetto un riferimento a come oggi il mondo intende il matrimonio. Perfino alcuni cristiani hanno dimenticato che il matrimonio è immagine dell’amore di Cristo per la Chiesa (cfr Ef 5,31-32), un amore in cui i coniugi vivono l’uno per l’altra. Oggi il matrimonio è visto da molti quasi esclusivamente come una ricerca di appagamento egoistico: l’altro/a mi deve rendere felice; quando non adempie più allo scopo (non mi soddisfa) lo posso cambiare. La prospettiva è ego-centrata e Dio non trova posto nel rapporto di coppia. Per questo anche in molti matrimoni odierni viene a mancare il "vino della gioia".

La buona notizia di oggi è che il Signore vuole darci abbondantemente il vino della gioia. Perché questo avvenga, tuttavia, è necessaria una “conversione”, cambiare la prospettiva in cui si vive e riammettere Dio nella nostra vita. Solo così gusteremo una gioia che nessun altro può donarci.

Fr. Marco

venerdì 7 gennaio 2022

Egli ci ha salvati con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo

«Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri». (Is 40, 1-5.9-11)

«Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo» (Tt 2,11-14;3,4-7)

«Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”». (Lc 3, 15-16.21-22)

Oggi celebriamo la festa del Battesimo del Signore con la quale giunge a compimento il mistero e il tempo di Natale: il Verbo, coeterno con il Padre, che si è fatto uomo per la nostra salvezza, per raggiungere tutti gli uomini si fa solidale con l’umanità peccatrice e si confonde con essa sulle rive del Giordano per ricevere un battesimo di penitenza.

Come sappiamo, infatti, il battesimo impartito da Giovanni non è il sacramento che noi abbiamo ricevuto, ma un “lavacro” simbolico che suggellava il serio proposito di convertirsi, di fare penitenza. Gesù, l’unico innocente, non ne aveva bisogno. Da questo sono motivate le proteste di Giovanni riportate nel vangelo di Matteo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14). Il Signore, però, vuole portare a compimento la Sua solidarietà con l’umanità; vuole salvare tutti senza distinzioni. Il Figlio eterno del Padre, si confonde con i peccatori perché noi possiamo diventare figli. Da qui il compiacimento del Padre che dà inizio alla vita pubblica di Gesù.

«… viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali». All’umiltà di Gesù che si mischia con l’umanità peccatrice, fa eco l’umiltà di Giovanni. Dinanzi le attese delle folle che aspettano il Messia, Giovanni sa stare al suo posto, nella verità: lui prepara la venuta del Messia, ma non è lui il Salvatore atteso. Ecco un atteggiamento che ritengo sarebbe bello se riuscissimo ad imparare: stare davanti a Dio e davanti agli uomini nella verità di noi stessi, senza valutarci più di quanto sia conveniente valutarci (Cfr Rm 12, 3) e senza tirarci indietro, per falsa umiltà, dal fare ciò che siamo chiamati a fare.

«Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera». L’evangelista Luca spesso parla della preghiera di Gesù presentata a modello della preghiera dei discepoli. È la preghiera del Figlio che si rivolge al Padre fiducioso, che ascolta la Sua Parola e si dispone a compiere la Sua volontà. Così ci ha insegnato a pregare Gesù: «Padre … sia fatta la Tua volontà» (Cfr. Mt 6, 9-10 e Lc 11,2-4). Pregare, infatti non significa soltanto e soprattutto chiedere cose, ma mettersi alla presenza del Padre, in comunione con lui, chiedendo soprattutto la grazia de compiere la Sua volontà che è la nostra vera salvezza. È questa la preghiera dei figli di Dio.

Celebrare la festa del Battesimo del Signore, infatti, ci dà anche l’occasione per fare memoria di quanto è avvenuto nel nostro Battesimo, quello che abbiamo ricevuto nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; quello in Spirito Santo e fuoco; quel Battesimo che, innestandoci nell’Unigenito Figlio di Dio, ci ha resi figli: anche per noi il Padre, nel giorno del nostro battesimo, ha detto: «Tu sei il Figlio mio, l’amato».

Siamo diventati figli di Dio! Lo siamo perché il Battesimo ci ha conformati a Cristo, ci ha innestati in Lui. Questa conformità, però, deve essere visibile nel nostro quotidiano. In qualità di figli, come ci ricorda s. Paolo nella seconda lettura, siamo invitati ad imparare dal Figlio a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Siamo chiamati a portare frutto con la nostra vita perché il Padre possa compiacersi anche di noi.

Fr. Marco

mercoledì 5 gennaio 2022

Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima.


«… ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te.» (Is 60,1-6)

«Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: … le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.» (Ef 3,2-3;5-6)

« … alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.» (Mt 2,1-12)

​Oggi, solennità dell’Epifania, celebriamo la “manifestazione” (in greco epifania) del Signore al mondo intero, ai “lontani” rappresentati dai Magi venuti dall’oriente. La tradizione popolare parla di “tre re” per i doni che offrono: oro per Gesù re dei re della terra, incenso per onorare la divinità di Gesù e mirra simbolo della passione salvifica che avrebbe accolto per noi. I tre Magi, però, rappresentano anche i tre figli di Noè, Sem, Cam e Iafet, ossia tutta l’umanità che da essi sarebbe discesa.
Nella prima lettura, la Parola di Dio ci descrive una situazione di “tenebra”, di oscurità, una situazione in cui sembra che non ci sia speranza. In queste tenebre spunta la Luce, la Speranza: il Signore dà un segno della sua presenza nel mondo attraverso la gloria di Gerusalemme.
Oggi il segno della presenza di Dio nel mondo, questo segno che deve dare speranza e invitare alla gioia, è la Chiesa, l’assemblea dei battezzati, il nuovo popolo di Dio, la Gerusalemme Celeste del “già e non ancora”, cioè già presente nel mondo, ma non ancora pienamente rivelata; è per questo che proprio oggi si legge “l’annuncio del giorno di Pasqua”: si annuncia il Mistero di Cristo di cui tutto l’anno liturgico è memoriale e attuazione. Per i nostri contemporanei, quindi, è la Chiesa il segno che splende della gloria di Dio. Non per tutti, però, la presenza della gloria di Dio è motivo di gioia.
Il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Così il Vangelo descrive i sentimenti di Erode e della casta sacerdotale che vedono nel Re che è nato un turbamento al loro potere. Anche oggi, purtroppo, “il mondo” (nell’accezione che a questa parola da s. Giovanni) vede in Gesù un “disturbatore” da eliminare, da ridurre al silenzio. Si vorrebbe eliminare Dio. 
Anche a noi può capitare di sentirci “disturbati” dal Signore; può capitare che le esigenze della Sua sequela, diametralmente opposte a quelle del mondo, ci portino a volerlo “eliminare”. Se riconosciamo in Gesù il Signore, infatti, dobbiamo rinunciare alla “signoria del nostro io”, a mettere noi stessi al centro del mondo, per adorare Lui e vivere sotto la Sua signoria. Solo facendo questo potremo svolgere quel ministero di cui ci parla oggi S. Paolo nella seconda lettura e che appartiene a tutti i battezzati: annunziare al mondo la Speranza e la Gioia. Annunziare al mondo che ci sono “valori” capaci di dare la felicità, ma che non possono essere messi in banca; valori diversi da quelli economici: valori eterni e capaci di darci quella felicità che il denaro, il “piacere” o il potere non saranno mai capaci di darci.
Accogliamo, allora, il Signore che viene a manifestare la Sua gloria, poniamoci sotto la Sua signoria di Amore e di Pace. Sperimenteremo la libertà di essere figli di Dio amati e testimonieremo al mondo quella gioia di vivere di cui i nostri contemporanei sono assetati. Auguri.
Fra Marco.

sabato 1 gennaio 2022

A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio

 «La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. […] “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti”» (Sir 24,1-4.12-16)

« … il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.» (Ef 1,3-6.15-18)

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. […] Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,1-18)

Questa domenica, seconda dopo Natale, la pagina del Vangelo ci  ripropone il preconio di Giovanni: ci fa contemplare ancora il Verbo, il Logos divino, che si fa carne; la Sapienza che viene a piantare la tenda in mezzo al suo popolo per rivelare agli uomini chi è Dio e quali progetti d’amore ha per noi.

Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. Viene nel mondo Colui per mezzo del quale tutto è stato creato; il Logos in cui tutto il creato trova la sua logica, il suo senso. Ma gli uomini, immersi nelle tenebre del non senso, non l’hanno accolto. Tragicamente, è ciò che è avvenuto più di 2000 anni fa e che continua ad avvenire oggi.

Nel mondo occidentale contemporaneo, accecato dal proprio “delirio di onnipotenza”, dal “lume” della propria “ragione”, sembra che tutti abbiano diritto di parola, tranne il Verbo di Dio. Tutti vanno rispettati, tranne il messaggio cristiano offendendo il quale non si incorre in alcuna censura, ma al contrario si viene elogiati come persone “libere”. Una parte del mondo contemporaneo continua a rifiutare violentemente il Verbo di Dio. Penso che possa inquadrarsi in quest’ottica il rifiuto, ogni anno più aspro, anche della sola rappresentazione della Natività. Viene vietato fare il presepe, si rappresentano “presepi omosessuali” …

Una parte del mondo, immerso nelle tenebre, ha rifiutato e continua a rifiutare il Logos e, di conseguenza, ha perso il senso del vivere, si è smarrito in preda alle proprie “passioni”. Si è perso il senso del creato: tutto viene sfruttato indiscriminatamente senza alcun rispetto per la natura e le generazioni a venire. Si è perso il senso dell’umanità, per cui l’altro viene usato come un oggetto del proprio piacere su cui accampare diritti: il sesso viene slegato dall’amore e dalla procreazione; i figli diventano un oggetto di diritto da pretendere e, eventualmente, acquistare; le donne vengono strumentalizzate (con grande danno alla loro salute), approfittando del loro stato di necessità, come incubatrici nella barbarica pratica dell’utero in affitto. In questa società ufficialmente laica, ma cripticamente dogmatica, in cui si vuole imporre un modo di pensare e di vivere anticristiano, si viene attaccati e “messi alla gogna” anche solo affermando una verità palese e logica come quella che un bambino ha bisogno di una mamma e un papà.

A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Oggi la Parola ci viene a ricordare qual è il senso della Creazione, qual è il progetto del Padre per noi: renderci Figli, stare al Suo cospetto vivendo la Vita bella ed eterna che Egli ha pensato per noi. Una vita piena di senso dove tutto, anche la fatica e la sofferenza (imprescindibile nella nostra condizione mortale) hanno il loro senso. Figli di Dio in senso pieno, infatti, non lo siamo per nascita. Per nascita siamo sue creature, volute e amate, ma diventiamo Figli solo accogliendo il Figlio, riconoscendolo Signore della nostra vita e rinascendo in Lui.

Il Verbo si è fatto carne, si è fatto uno di noi, è entrato in tutte le situazioni di miseria dell’umanità mostrando la Sua misericordia. Una misericordia, però, che non è “lassismo”, un’indulgenza che lasci l’uomo nella miseria in cui si trova, ma che aiuta l’umanità a risollevarsi dalla miseria in cui vorrebbero relegarla le sue passioni.

Accogliamo il Logos di Dio che ci  mostra il Suo amore nel risollevarci dalla nostra miseria. Permettiamo alla Luce vera che viene nel mondo di rischiarare le nostre tenebre. Incarniamo quotidianamente il messaggio del Vangelo vivendo la nostra vita guidati dalla Sua Luce. Sperimenteremo quella Sapienza che dà sapore alla nostra vita.

Fr. Marco