venerdì 26 novembre 2021

Risollevatevi e alzate il capo: la vostra liberazione è vicina!

 

« In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.» (Ger 33,14-16)

«Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti … come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio …» (1Ts 3,12-4,2)

«Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. … Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». (Lc 21,25-28.34-36)

In questa prima domenica di Avvento la Parola di Dio ci presenta la duplice attesa che caratterizza questo tempo della Chiesa. Colui che nella pienezza del tempo è venuto come Salvatore, tornerà a ricapitolare tutta la Storia e ad instaurare il Regno Eterno.

Il profeta Geremia, infatti, nella prima lettura, rivolgendosi ad un popolo che va verso la deportazione e non vede speranza di salvezza, profetizza la nascita di un germoglio di Davide che avrebbe regnato con giustizia su tutta la terra. Nel Vangelo, invece, Gesù parla delle “cose ultime” che devono accadere, cose che sconvolgeranno e getteranno nel terrore coloro che hanno lasciato che il loro cuore si appesantisca in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, ma che per i discepoli di Cristo sono il segno della liberazione definitiva, dell’avvento finale del Regno.

Ciò che caratterizza la Parola di oggi è quindi la Speranza fiduciosa che, proprio quando sembrerà che tutto sia perduto, allora vedremo il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria per ristabilire la giustizia e ricapitolare tutto in Dio.

State attenti a voi stessi … Nel Vangelo oggi il Signore ci esorta prepararci adeguatamente alla venuta gloriosa non lasciando che le “cose del mondo” appesantiscano i nostri cuori e ci facciano smettere di attendere e sperare. È questo il pericolo da cui oggi siamo messi in guardia: che ci lasciamo “ubriacare” dal mondo e smettiamo di attendere, accontentandoci di una vita piatta e senza speranza. Per scongiurare questo pericolo, il Vangelo di oggi ci invita a “vegliare pregando” cioè a stare vigili, attenti, ben desti rivolgendo sempre il nostro sguardo al Signore che è già venuto nella “pienezza del tempo”, che verrà alla “fine dei tempi” e che è già presente (nei Sacramenti, amministrati dalla Chiesa, e nei fratelli, soprattutto i più “piccoli”).

State attenti a voi stessi … Credo sia importante la sottolineatura “a voi stessi”. Troppo spesso, infatti, siamo attenti agli altri: sempre pronti a correggere i loro difetti, ben consapevoli di ciò che loro devono modificare, ma poco attenti a ciò che, invece, dobbiamo cambiare noi. Un’attenzione che spesso ci rende giudici e non fratelli gli uni degli altri. Il maestro oggi ci esorta a fare attenzione “a noi stessi” prima che agli altri, a vigilare sui “nostri cuori”, sull’intenzione che ci anima nelle azioni che facciamo.

È ancora in quest’ottica, per “rendere saldi i cuori”, che la seconda lettura di oggi ci presenta due atteggiamenti concreti da assumere per vivere la vigilanza nella preghiera richiesta dal Vangelo. Il primo atteggiamento è l’Amore, all’interno della Chiesa (“tra voi”) e per i lontani (“verso tutti”), attraverso il quale possiamo realmente essere riconosciuti come discepoli di Cristo. Il secondo è l’attenzione a comportarci in modo da piacere a Dio conformandoci non al mondo, ma al nostro Signore Gesù Cristo.

Fr. Marco

sabato 20 novembre 2021

Il sovrano dei re della terra.

 «Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.» (Dn 7,13-14)

«Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.» (Ap 1,5-8)

«Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?» … «Il mio regno non è di questo mondo…» (Gv 18,33-37)

​Nella solennità di Cristo Re, quest’anno il Vangelo non ci propone una teofania gloriosa, ma uno stralcio dell’ingiusto processo di Gesù dinanzi a Pilato.

«Sei tu il re dei Giudei?» Alla domanda di Pilato sulla sua regalità, Gesù risponde in modo da chiarire di quale tipo di regalità si stia parlando: la regalità secondo il mondo, che Pilato conosce bene («Dici questo da te …»), o la regalità del Messia atteso dai Giudei (… altri ti hanno parlato di me?). La regalità di Gesù, tuttavia non è né l’una né l’altra: non è secondo il mondo e trascende le malintese attese dei Giudei. 

Credo, però, che la domanda del Signore possa essere rivolta anche a noi nel tentativo di farci prendere posizione: Gesù è il nostro re, il nostro Signore? Diciamo così “per sentito dire”, ripetendo qualcosa che ci hanno insegnato, o perché realmente abbiamo scelto di vivere sotto la sua Signoria? Siamo di quelli che dicono “Signore, Signore …”, o di quelli che mettono in pratica la Parola? Sappiamo bene che Gesù ci ha avvertiti: «Non chiunque mi dice Signore, Signore, … ma chi fa la volontà del Padre mio entrerà nel Regno.» (Mt 7,21)

«Il mio regno non è di questo mondo …» Non si possono servire due padroni: non possiamo dirci discepoli di Cristo e vivere secondo il mondo. Quest’oggi sono a confronto la regalità del mondo e la regalità secondo il Vangelo: Pilato, la “regalità” del mondo, affermerà qualche versetto più sotto di avere il potere di salvare o condannare, ma in realtà, lo sappiamo bene, è schiavo: del suo “potere”, che non vuole perdere; della folla alla quale deve dare soddisfazione; del sinedrio che lo costringe a condannare a morte un uomo in cui, come dice lui stesso, non trova alcuna colpa. Gesù, invece, è re secondo la verità: è libero e liberamente si dona per amore. Come lui stesso aveva affermato qualche pagina prima, «Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso» (Gv 10,18). Ecco la vera regalità che è libertà e capacità di amare senza condizionamenti e fino alle estreme conseguenze.

La Croce, che da sempre ha fatto scandalo al mondo, è il trono da cui Gesù regna sul mondo; il trono in cui si manifesta pienamente l’amore di Dio per noi; il trono su cui Gesù vittorioso ha sconfitto tutto ciò che ci rendeva schiavi, per renderci un regno di “re, sacerdoti e profeti” liberi e capaci di offrire la nostra vita per amore. Liberi di spendere la vita donandole un senso che il mondo non conosce.

Gesù è chiaro: il suo Regno non è di questo mondo. Lui è il sovrano dei re della terra (II lettura)il Re dei re, come titolava un film di qualche decennio fa, ma la sua regalità si manifesta in un modo assolutamente sconosciuto al mondo: donando la vita per amore!

Se oggi celebriamo questa solennità è perché possiamo prendere posizione. È la nostra vita ad essere in gioco: possiamo metterla sotto la signoria del mondo cercando il potere, l’avere e il piacere; mettendo sempre il nostro io al centro della nostra vita. Al momento della verità, però, scopriremo che una vita così vissuta è vuota, insignificante … Oppure possiamo metterla sotto la signoria di Cristo, imparando da Lui a Vivere pienamente donando la vita per amore, mettendo il “Tu” di Dio e del fratello al centro della nostra vita: sperimenteremo una gioia e una pienezza di senso della vita che il mondo non conosce e non comprende!

fr. Marco

sabato 13 novembre 2021

Vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria

«In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. … Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.» (Dn 12,1-3)

«Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi.» (Eb 10,11-14.18)

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.» (Mc 13,24-32)

Questa trentatreesima domenica conclude il tempo ordinario; domenica prossima, con la solennità di Cristo Re, si concluderà l’anno liturgico. Per questo motivo oggi la Parola ci presenta “le cose ultime” e la Speranza finale.

Certa letteratura e filmografia ci hanno abituato a pensare alla fine del mondo come qualcosa di catastrofico e tragico; il cristiano, invece, è chiamato a vedervi l’inizio della Vita Piena ed Eterna: la venuta finale del nostro Signore Gesù Cristo e la ricapitolazione della storia che confluisce nell’Eternità. Un’eternità di gioia per coloro che hanno saputo attenderla e hanno vissuto tenendo costantemente lo sguardo su questo orizzonte; un’eternità di rovina (la “morte secunda” la chiamerebbe S. Francesco) per coloro che si sono lasciati rinchiudere negli stretti orizzonti del “mondo” ed hanno vissuto secondo la logica egoistica che il mondo insegna.

“In quel tempo …”; “In quei giorni …”. Il tempo e i giorni cui si riferiscono la prima lettura e il Vangelo, sono quelli in cui l’iniquità ha raggiunto il suo culmine; umanamente parlando, non si scorge più speranza: la misura è colma, le “tenebre” sembrano averla vinta. Proprio in quel momento, però, quando sembrerebbe che tutto sia perduto, il cristiano sa che si manifesterà la Vittoria di Cristo: le “tenebre”, infatti, sono già sconfitte; il Signore Gesù Cristo ha già vinto il peccato, la morte e il mondo. Ora si attende solo la manifestazione finale di questa vittoria (II lettura).

«In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga.» È forte la tentazione di riconoscere nei nostri giorni “quei giorni”, il culmine dell’iniquità: la pandemia, le guerre e gli orrori che quotidianamente ci sono riportati dai telegiornali possono orientare in tal senso il nostro pensiero. Oggi nel Vangelo, con “la parabola del fico”, Gesù ci invita a sapere scorgere i “segni dei tempi”: pur senza cadere in futili millenarismi, siamo chiamati a fare attenzione per non farci trovare impreparati. La fine del nostro tempo in questo mondo, infatti, di cui nessuno conosce l’ora eccetto il Padre, coinciderà per noi con la fine del mondo. È oggi, quindi, in questo tempo, che siamo chiamati a scegliere con chi schierarci: se unirci al corteo trionfale di Cristo riconoscendo la sua Signoria e, quindi, obbedendo alla Sua volontà ; o schierarci con ciò che si oppone a Lui e procurarci la rovina eterna quando la vittoria di Cristo sarà manifesta.

Con il Mistero Pasquale di Cristo sono iniziati gli “ultimi tempi” in cui celebriamo sempre “in attesa della Sua venuta” (vedi il Mistero della Fede). Gli eventi della nostra vita, allora, diventano occasioni perché possiamo riconoscere l’imminenza della Sua venuta. Per questo è importante mantenere un clima di costante vigilanza; non a caso il Signore si rifiuta di rivelare il “quando”: per noi non è importante sapere il “quando”, ma è fondamentale mantenere desta la nostra attesa e il nostro desiderio perché, al momento dell’Incontro Finale, la nostra gioia sia piena. 

Fr. Marco

sabato 6 novembre 2021

Tutto diamo a Gesù che tutto si dona a noi

 «Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.» (1Re 17,10-16)

«… Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso.» (Eb 9,24-28)

«In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,38-44)

Nella pagina di Vangelo di domenica scorsa Gesù, rispondendo allo scriba che lo interrogava, ci ha indicato il primo e fondamentale comandamento: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza […] Amerai il tuo prossimo come te stesso». Questa domenica, trentaduesima del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci presenta un modello di applicazione del duplice comandamento dell’amore.

Nella prima lettura, infatti, ascoltiamo di una vedova poverissima che, in tempo di carestia, fidandosi della parola di Dio annunciata da Elia, non rifiuta di condividere con il Profeta il poco che ha: il Signore provvederà. Proprio per questa fiducia nella Parola sulla quale scommette tutto quello che ha, la sua vita e quella del figlio saranno salvate.

Nel Vangelo è ancora una vedova che viene presentata dal Maestro come modello di comportamento. Una vedova capace di amare Dio con tutto se stessa: non tiene per sé il poco che possiede, ma dona tutto quanto aveva per vivere. Non importa se ciò che possiamo dare sia tanto o poco: il Signore non chiede tanto, chiede tutto! Ciò che conta è che doniamo con tutto il cuore, che doniamo con un amore pieno per Lui, che gli consegniamo tutta la nostra vita.

Quanto spesso, invece, noi ci comportiamo come i ricchi che donano parte del loro superfluo. Tratteniamo per noi, vogliamo “salvarci la vita” e ci guardiamo bene dal consegnarla al Signore. Per Dio abbiamo solo i ritagli di tempo, misuriamo il dono della nostra vita: « … fin qui, ma non oltre». Lui, Amore illimitato, accoglie ciò che noi vogliamo dargli, ma finché non gli consegneremo tutto, non potrà fare della nostra vita il capolavoro che vorrebbe.

«Guardatevi dagli scribi […] Essi riceveranno una condanna più severa». Oltre l’esempio positivo dell’amore totale della vedova e l’esempio negativo dell’amore parziale dei ricchi, quest’oggi il Vangelo, nella sua versione estesa, si apre con l’ammonizione di Gesù a guardarsi dall’ipocrisia di quanti, sotto un’apparenza religiosa, non amano per niente Dio, ma solo il proprio Io e usano per la propria gloria persino le cose sante. L’amore per Dio e l’amore per l’Io, infatti, si escludono a vicenda e se l’Io non viene messo al servizio di Dio, si finisce per mettere Dio al servizio dell’Io. Di loro dice Gesù che riceveranno una condanna più severa.

Sull’esempio della vedova del Vangelo, guardiamo, allora, Gesù che, sacrificando se stesso per redimerci dal peccato, tutto si è donato a noi e niente ha tenuto per sé e impariamo anche noi a donare a Dio “tutto quanto abbiamo per vivere”. Vedremo come il Signore sarà capace di moltiplicare il poco che noi gli consegniamo facendo delle nostre vite quel capolavoro per le quali le ha create. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco