venerdì 30 aprile 2021

Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto

 

«La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.» (At 9,26-31)

«Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.» (1Gv 3,18-24)

«Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.» (Gv 15,1-8)

​ Nella quinta domenica di Pasqua la pagina del Vangelo fa risuonare più volte l’esortazione a rimanere nel Signore o, meglio, a permettere al Signore di rimanere in noi.

Rimanete in me e io in voi. L’evangelista Giovanni usa qui un verbo greco che ha il significato di “dimorare stabilmente”: Gesù ci invita a prendere dimora in Lui e ci chiede di lasciarlo dimorare stabilmente in noi. Noi in Lui e Lui in noi. Solo custodendo questa reciproca inabitazione, questa comunione d’amore, la nostra vita porterà frutto.

Questa comunione d’amore è realizzata in noi dallo Spirito Santo che è  Signore e dà la vita: l’Amore tra il Padre e il Figlio effuso nei nostri cuori. La comunione realizzata dallo Spirito, però, va custodita. Nella lettera agli Efesini S. Paolo ammonisce: non contristate lo Spirito Santo (Cfr. Ef 4,30).

Per questo motivo, oltre ad esortaci a rimanere stabilmente in Cristo, la Parola di Dio di questa domenica ci indica anche come custodire la comunione con Lui: camminando nel timore del Signore (I lettura), osservando i suoi comandamenti (cioè credendo in Gesù e amandoci gli uni gli altri - II lettura) e facendo rimanere in noi le Sue parole (Vangelo). Tre modi per esprimere, in effetti, la stessa cosa: l’obbedienza a Dio. La liturgia della Parola di oggi, però, ci dà anche tre sottolineature che arricchiscono il concetto di obbedienza.

Il timore del Signore, di cui ci parla la prima lettura, non è paura del Signore; è, invece, quel sentimento di rispetto e di fedeltà che aiuta a fuggire il male e a scegliere il bene e, se abbiamo peccato, a pentirci. È l’amore del figlio che non vuole rattristare il padre amato; è l’amore del giovane che non vuole rattristare colei che ama. Obbediamo a Dio, quindi non per paura del castigo, ma per amore, per non contristarlo, per compiacerlo, perché “possa essere contento di noi”.

La seconda lettura ci presenta l’esigenza di osservare i comandamenti, cioè di credere in Gesù e quindi di amarci gli uni gli altri. Il motivo per osservare i comandamenti e in maniera particolare il comandamento dell’amore reciproco che garantisce l’autenticità dell’amore per Dio, è, infatti, che ci fidiamo di Gesù. Non ci amiamo tra noi perché siamo simpatici o perché ne traiamo un vantaggio materiale. Così ama il mondo. Ci amiamo reciprocamente e gratuitamente, invece, perché crediamo che così siamo amati da Gesù che ha dato la vita per noi; e perché ci fidiamo di Gesù che ci ha indicato la croce, l’amore gratuito, come via perché la nostra vita possa essere piena di senso.

Per poterci fidare di Lui, per potergli credere, infine, è necessario che Lo conosciamo e conosciamo ciò che ci chiede. Per questo la terza raccomandazione di oggi è di fare dimorare in noi la Sua Parola. Solo se abbiamo un contatto assiduo e profondo con la Sua Parola, infatti, possiamo conoscere chi è Gesù e conformare la “nostra mente” non al modo di pensare del mondo, ma alla volontà di Dio (Cfr. Rm 12, 2).

… senza di me non potete far nulla. Gesù oggi ci chiede di custodire la comunione con Lui, la reciproca inabitazione, perché la nostra vita possa essere pienamente realizzata e ricca di frutti. Lui ci dona tutto se stesso, il Suo Corpo, il Suo Sangue, il Suo Spirito: accogliamolo in noi, lasciamoci guidare da Lui nella nostra quotidianità, non a parole e con la lingua, ma coi fatti e nella verità: saremo realmente suoi discepoli e porteremo frutti di vita eterna.

Fr. Marco

venerdì 23 aprile 2021

In nessun altro c’è salvezza

 


« … In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,8-12)

«Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.» (1Gv 3,1-2)

«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.» (Gv 10,11-18)

​Nel Vangelo della quarta domenica di Pasqua, detta Domenica del Buon Pastore, Gesù si autorivela come il “Bel Pastore” (letteralmente): il pastore ideale, quello vero, contrapposto al mercenario per il quale le pecore che gli sono affidate sono solo un mezzo per “pascere se stesso” (Cfr. Ez 34).

Ciò che permette di distinguere tra il vero (bello/buono) pastore e coloro che lo sono solo in apparenza, è la capacità di donare la vita per le “pecore”. Il mercenario è interessato solo a se stesso e al proprio guadagno, non “conosce” le pecore, non gli interessa di loro. Il Pastore, invece, “conosce” coloro che gli appartengono, è interessato a loro.

Questa domenica, inoltre, Gesù manifesta pienamente la Sua Libertà: «io do la mia vita … Nessuno me la toglie: io la do da me stesso». Il dono della vita in obbedienza al Padre è l’atto di più grande libertà di Gesù.

Conosco le mie (pecore) e le mie (pecore) conoscono me. In questo versetto 14 il testo greco non usa il termine “pecore”, ma soltanto l’aggettivo “mie” («Conosco le mie e conoscono me le mie») che diventa in tal modo ciò che ci identifica: gli apparteniamo.

… come il Padre conosce me e io conosco il Padre. Dopo avere detto che gli apparteniamo e che ci conosce, oggi il Signore specifica pure il modo in cui ci conosce: «Come il padre conosce me». Vale la pena allora di chiedersi in che modo il Padre conosce il Figlio: con una comunione d’amore inscindibile che li rende “una cosa sola”. Il Buon Pastore, quindi, ci conosce con una “conoscenza d’amore” che ci unisce a Lui: nel battesimo, infatti, siamo stati uniti inscindibilmente a Lui, nella Comunione Lui ci unisce alla Sua passione morte e resurrezione … Lui ci conosce, ha unito la Sua vita alla nostra, ci ama per quello che siamo, non per quello che appariamo o che dobbiamo essere. Lui ci vuole felici. Il mondo, invece, non ci “conosce”, non ci ama, non può renderci felici, ci costringe troppo spesso ad essere ciò che non siamo.

Solo Gesù è il vero/buon Pastore. Nella prima lettura di oggi S. Pietro è chiaro: «In nessun altro c’è salvezza». Non seguiamo quindi altri “pastori” che non vogliono (e non potrebbero) darci la Vita.

Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Fin qui abbiamo visto ciò che contraddistingue il Buon Pastore. Ora vorrei soffermarmi brevemente sulla caratteristica distintiva di chi gli appartiene (“le mie”): l’ascolto obbediente e la comunione reciproca. Ecco ciò che ci deve caratterizzare se Gli apparteniamo. Ecco da cosa possiamo riconoscere se siamo Suoi: se ascoltiamo la Sua Parola e viviamo da figli di Dio secondo la grazia del nostro Battesimo.

Oggi per volontà di S. Paolo VI, è anche la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Come ci ricorda Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exultate, tutti siamo chiamati alla santità (la vocazione universale), ma a questa ciascuno è chiamato per una “via” personalissima. La nostra piena realizzazione, la nostra felicità, dipende dalla capacità di comprendere e realizzare questo personale progetto d’amore.

Questa domenica vorrei invitarvi a pregare in maniera particolare per i presbiteri, che il Signore chiama ad essere suoi collaboratori nel ministero pastorale, e per le persone di vita consacrata, frati e suore, che sono chiamati ad essere segno profetico della totale dedizione al Regno. A ogni cristiano, ma a loro in maniera particolare, il Signore chiede di fare della propria vita un dono giorno per giorno, di dimenticarsi di sé (rinnegare se stessi), per amore di Dio e dei fratelli. Tutto ciò, lo sperimentiamo, non è facile, ma è l’unica strada che conduce alla piena realizzazione, alla Gloria eterna. Sosteniamoci reciprocamente in questo cammino perché ciascuno di noi, restando fedele alla vocazione che ha ricevuto, possa giungere alla Pienezza della Vita per l’eternità.

Fr. Marco

venerdì 16 aprile 2021

Di questo voi siete testimoni

 « … Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni … Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».(At 3,13-15.17-19).

«Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità.» (1Gv 2,1-5)

«… i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus narravano … ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. … Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture …». (Lc 24,35-48)

Il Vangelo della terza domenica di Pasqua riporta la terza e ultima apparizione del Risorto raccontata dall’evangelista Luca. Manifestandosi alle donne (Lc 24,1-12) e ai “discepoli di Emmaus” (Lc 24,13-35), il Signore ha radunato la Chiesa nascente e ora, mentre i discepoli si scambiano i racconti dei loro personali incontri con il Risorto, Gesù “sta” in mezzo a loro e, ancora una volta, dona loro la Pace, il dono pasquale per eccellenza, la piena riconciliazione con Dio grazie alla quale è possibile la riconciliazione con i fratelli e il creato.

Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. L’apparizione del Risorto provoca turbamento: la resurrezione gloriosa di Cristo, infatti, sconvolge ogni logica umana, non può essere “incasellata”; non si può assimilare a nessuna esperienza precedente: è qualitativamente diversa dalle “rivitalizzazioni” operate durante il ministero pubblico di Gesù. Il Risorto non è semplicemente tornato in vita, ma ha iniziato un “nuovo livello di esistenza”.

… credevano di vedere un fantasma. Anche noi possiamo cadere in questo errore: l’evento Cristo è talmente sconvolgente ed ha implicazioni tali, che facilmente anche noi lo releghiamo ai “confini del reale”; Gesù diventa così per noi “un’ombra”, qualcuno vissuto nel passato, di cui ci ricordiamo, magari, la domenica durante la Messa, ma che poco ha a che fare con la nostra quotidianità.

… Sono proprio io! Il Maestro oggi ci ricorda che è reale, che si fa nostro compagno di cammino, che vuole “stare in mezzo” a noi. Viene a mostrarci ciò che in quel pane spezzato, mediante il quale i discepoli di Èmmaus lo hanno riconosciuto, è rappresentato sacramentalmente: mostra ai discepoli i segni della Passione, il Suo Corpo spezzato per noi. Per vincere l’incredulità dei discepoli, infine, apre le loro menti alla comprensione delle Scritture. Parola di Dio e Pane Spezzato: ecco il modo in cui anche noi oggi, durante la celebrazione eucaristica domenicale possiamo fare esperienza del Risorto!

«Convertitevi e cambiate vita!» Perché sia possibile l’incontro con il Risorto, però, è necessario che accogliamo l’invito che Pietro ci fa nella prima lettura. Bisogna convertirsi, lasciare le vie dell’egoismo e percorrere la via dell’Amore. Bisogna cambiare il nostro modo di pensare e di vivere per potere accogliere l’inedito, la novità assoluta della Vita Nuova che Cristo è venuto a regalarci. Bisogna riconoscere i nostri peccati e prenderne la distanza, se vogliamo accogliere in noi la Gioia che viene dall’incontro con il Risorto, una gioia che il mondo non conosce e non può donarci. 

Nella seconda lettura di oggi, infine, Giovanni ci indica il criterio per scoprire se realmente “conosciamo” il Risorto, se, cioè, lo abbiamo incontrato e ne abbiamo fatto esperienza: «Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti». Criterio è quindi l’obbedienza alla logica del Vangelo, ai comandamenti che, lo sappiamo bene, hanno la loro radice e il loro spirito nel duplice comandamento dell’Amore di Dio e dei fratelli.

Di questo voi siete testimoni. Così si conclude la pagine evangelica odierna. L’invito al testimoniare ciò che il Signore ha compiuto nella nostra vita. Non solo all’annuncio, ma alla testimonianza, a renderlo presente. Il Vangelo ci mostra che Gesù Risorto è riconosciuto nello “spezzare il pane”, nel Suo farsi pane spezzato per noi. Così noi possiamo renderlo visibile ai fratelli se, nutriti di Cristo, anche noi ci facciamo pane spezzato per loro.

A questo punto è bene domandarci: siamo capaci di Amare Dio concretamente e non “a parole e con la lingua”, dandogli il primo posto nella nostra vita, o abbiamo altri idoli a cui sacrifichiamo tempo ed energie? Siamo capaci di Amare i fratelli anche quando ci fanno del male (perdonandoli e pregando per loro), o li consideriamo solo in funzione utilitaristica al nostro benessere? Ricevendo il Corpo di Cristo, facciamo comunione con Lui che “si spezza”, si fa dono, per Amore del Padre e dei fratelli. Viviamo nella quotidianità la dimensione dello “spezzarci per amore”? Da questo dipende la nostra possibilità di incontrare Gesù risorto e di sperimentare la vita da risorti, quella “Vita eterna” qualitativamente differente che comincia già qui.

Fr. Marco

sabato 10 aprile 2021

Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi

 


«La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.» (At 4,32-35)

«Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.» (1Gv 5,1-6)

«“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20, 19-31)

Oggi, seconda domenica di Pasqua in cui, per volere di s. Giovanni Paolo II, celebriamo la Festa della Divina Misericordia, il Vangelo ci colloca alla sera di quel “primo giorno della settimana” in cui la morte è stata sconfitta e la Vita ha vinto. Il sepolcro è aperto, Maria Maddalena ha portato agli apostoli l’annuncio della resurrezione ed essi stessi hanno visto il sepolcro vuoto.

La pagina evangelica di oggi, però, inizia descrivendo un contesto di chiusura causata dalla paura: la tomba è stata aperta, ma la porta del cuore degli apostoli è ancora chiusa ed essi sono timorosi. Il Signore entra in questo contesto di chiusura e paura e mostra la sua Misericordia donando loro quella Pace che sola è capace di suscitare una gioia che il mondo non conosce e che nulla può toglierci.

«Pace a voi!». Il saluto del Signore Risorto non è un semplice augurio, ma è il dono pasquale per eccellenza, il frutto della redenzione: la riconciliazione con Dio non più visto come un padrone tirannico, ma come un Padre amoroso. La pace che viene a portare il Gesù, non è semplicemente “non belligeranza”, è lo shalom ebraico, la somma di ogni pace e bene che riempie la vita.

Ritengo vada notato il fatto che le porte del cenacolo restano chiuse: il Signore ha già aperto il sepolcro e sconfitto la morte e, con essa, ogni paura; solo noi però possiamo aprire la porta del nostro cuore alla Sua Misericordia che viene a donarci la Grazia e la Gioia perché possiamo uscire dalle nostre paure e annunziare la Sua resurrezione. 

« Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati». Dopo avere donato loro la Pace, il Risorto dona ai suoi apostoli anche lo Spirito Santo e con esso l’autorità di trasmettere il perdono e la Pace (citati nella formula dell’assoluzione): dona lo Spirito per la remissione dei peccati e costituisce i suoi apostoli ministri della Sua Misericordia.

Nel racconto della vicenda riguardante l’apostolo Tommaso penso si possa riscontrare un’ulteriore manifestazione della Misericordia del Signore. Tommaso, forse, è rimasto talmente scandalizzato dalla passione, da non riuscire a credere nella resurrezione. Gesù ha misericordia di Lui e gli concede la prova che aveva richiesto. 

«Mio Signore e mio Dio!» La tradizione e l’arte (penso per esempio al dipinto di Caravaggio “Incredulità di san Tommaso”) ci tramandano l’immagine di Tommaso che tocca le piaghe. Pur se non è escluso che sia avvenuto così, l’evangelista non lo specifica. Ci è lecito supporre, quindi, che a Tommaso sia bastato sperimentare la Pace donata da Gesù e ascoltare la Sua voce per riconoscere il Maestro ed esprimere, lui “l’incredulo”, la più completa professione di fede nella divinità di Gesù chiamandolo Signore e Dio.

Proprio grazie alla incredulità di Tommaso, inoltre, il Signore formula quella beatitudine che ci riguarda in prima persona: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Una beatitudine che raggiunge anche noi nella misura in cui abbiamo quella fede che vince il mondo (II lettura); quella fede che diventa fiducia, confidenza, e che, per questo, vince ogni paura e ci rende capaci di amare i fratelli.

Fidandoci di Lui, infatti, confidando nel Suo Amore Misericordioso e Provvidente, non avremo più paura della morte, non avremo più bisogno di accaparrare cose come se da esse possa venirci la Vita: saremo capaci di usare misericordia verso i nostri fratelli e di condividere (I lettura). Raggiunti dalla Sua misericordia attraverso i Sacramenti e riconciliati con il Padre, inoltre, saremo ricolmi di una gioia tale da renderci capaci di affrontare qualsiasi prova nell’attesa dell’incontro finale con Lui. Auguri.

fr. Marco

 

sabato 3 aprile 2021

Sepolti e Risorti con Cristo alla Vita Nuova

 

«Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.» (Rom 6,3-11)

​Oggi celebriamo la Pasqua di resurrezione del Signore Nostro Gesù Cristo, il centro dell’anno liturgico e della nostra fede. Nel contesto di questa solenne liturgia, ricca di simboli e già in sé significativa,voglio oggi soffermarmi sulla simbologia battesimale della luce e dell’acqua che dominano la veglia e il giorno di Pasqua e che sono all’origine di ogni vita cristiana: il cero pasquale, simbolo eminente del Cristo Risorto, e l’acqua lustrale, in cui siamo rinati a nuova vita nel Battesimo, e dalla quale durante la veglia siamo stati aspersi.

La luce e l’acqua: elementi indispensabili alla vita naturale che, trasfigurati, diventano anche elementi indispensabili alla vita soprannaturale, quella Vita in Cristo che trova la sua origine proprio nella resurrezione del nostro Signore.

Il Battesimo, infatti, è l'inizio della nostra risurrezione. Con Cristo siamo sepolti e Risorti! È l’inizio di Vita Nuova: il Signore cambia le nostre logiche, le nostre abitudini, i nostri rapporti.

A Pasqua, non celebriamo un evento folcloristico, né un evento relegato al passato; celebriamo un memoriale che riattualizza l’evento principale della nostra salvezza: Cristo ha sconfitto il peccato e la morte! Non siamo più schiavi del peccato che ci separava da Dio e dai fratelli. La pietra che ci imprigionava nel sepolcro è stata rotolata via: la Vita è libera.

Conformato al Risorto, infatti, ogni battezzato vive in comunione con Gesù nel corpo di Cristo che è la Chiesa: «uno in Cristo» (Gal 3, 28). Noi non siamo più uno accanto all'altro o uno contro l'altro. Il Risorto congiunge la Sua vita con la nostra, tenendoci dentro al suo amore. Noi battezzati diventiamo un'unità, una cosa sola con Lui e una cosa sola tra di noi.

Accogliere il dono, però, è nostra responsabilità. Cristo ha sconfitto il peccato e la morte e ci ha regalato una Vita Nuova e piena che è iniziata in noi nel Battesimo, ma non si sostituisce a noi. Lui ci ha donato la libertà dalla schiavitù del peccato, ma siamo noi a doverne fare buon uso e scegliere di servire il Signore della Vita perché la libertà non diventi un pretesto per continuare ad asservirci alle opere della carne. Con il Battesimo, infatti, Gesù ha fatto iniziare in noi una Vita Nuova ed eterna, ma ci ha lasciato la libertà e la responsabilità di coltivare questa Vita o lasciarla appassire.

Perché questa Vita Nuova che è iniziata in noi possa crescere e svilupparsi, il Signore ci ha lasciato ciò che è essenziale: la luce e l’acqua. Ci ha lasciato la Luce della Resurrezione, che si irradia nella Sua Parola proclamata dalla Chiesa, la quale nutre la nostra Fede perché possa illuminare ogni ambito della nostra vita. Ci ha lasciato l’acqua del Battesimo (e in esso tutti i sacramenti, segni efficaci della Grazia) che ci ha introdotti nella vita sacramentale permettendoci di nutrire, purificare e rafforzare la nostra Vita perché cresca e porti frutto. Ecco perché durante la santa veglia rinnoviamo i nostri impegni battesimali e veniamo ancora una volta aspersi con l’acqua lustrale: siamo chiamati a ravvivare sempre il dono della vita cristiana perché non venga soffocata dalle spine del mondo.

Il Signore Risorto oggi ancora una volta regala a tanti nostri fratelli che riceveranno il Battesimo una Vita nuova e Piena, una Vita bella che, anche nelle immancabili difficoltà quotidiane, non soccombe al nonsenso, una Vita destinata a durare per l’eternità. Questa stessa Vita oggi la rinnova in noi che già l’abbiamo ricevuta. A noi però la responsabilità di farla sviluppare, di portare frutto.

La pietra è rotolata, il sepolcro è aperto, non siamo più schiavi del peccato e della morte. Vogliamo Vivere la Vita vera o continueremo a restare nei nostri sepolcri?

Il Signore Risorto ci conceda di morire ogni giorno al peccato per potere vivere “per Dio in Cristo Gesù” e mostrare al mondo la gioia della resurrezione. Auguri.

Fr. Marco