venerdì 29 marzo 2019

Figlio, tu sei sempre con me ...


«Oggi ho allontanato da voi l’infamia d’Egitto». (Gs 5,9a.10-12)

«… se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate …» (2Cor 5, 17-21)

« … questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. …» (Lc 15, 1-3.11-32)

​La Parola di Dio della quarta domenica di quaresima, domenica in “Laetare” – “Rallegrati” - (dalla prima parola dell’antifona d’ingresso), ci presenta il motivo per rallegrarsi: l’amore misericordioso del Padre.

Sia la prima lettura che il Vangelo, infatti, ci presentano il tema della “Terra”, della “Casa” in cui il Padre ci conduce per saziarci del suo Amore. Un Amore capace di lasciarsi alle spalle i nostri peccati per farci nuove creature; un Amore capace, di liberarci delle nostre schiavitù.
All’inizio della pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato, l’evangelista Luca mette in evidenza il motivo per cui Gesù racconta la parabola: scribi e farisei mormorano perché Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro.
Gli scribi e i farisei, lo sappiamo, sono i più attenti e scrupolosi osservanti della legge. Sono persone che hanno comportamenti irreprensibili. Spesso, tuttavia, incorrono nei rimproveri di Gesù perché il loro cuore non è in comunione con il cuore del Padre, anzi spesso è lontano da Lui. Per questo motivo oggi il Maestro ci presenta il Padre e lo fa mostrandoci come si comporta con i due figli della parabola che sono “esempi” delle due grandi categorie in cui potremmo dividere coloro  che non conoscono il Padre: “il ribelle” e “il servo”.
Il figlio minore, il ribelle, pur riconoscendosi figlio, non conosce bene suo padre: è convinto che gli impedirà di essere felice, che non lo farà mai realizzare. Per questo cerca la felicità e la realizzazione, “in un paese lontano“. È immagine di tutti coloro i quali vedono nella Chiesa, nei comandamenti, ma prima ancora in Dio, un ostacolo alla loro realizzazione; di tutti coloro che sono convinti che Dio proibisca loro, per puro capriccio, cose belle che li renderanno felici.
Il mondo di oggi è pieno di “figli minori” che vogliono fare a meno del Padre; di coloro che, con Nietzsche, cercano il paradiso “dietro il cimitero di Dio”.

“Nessuno gli dava nulla”. Come il figlio della parabola, però, i ribelli di tutti i tempi fanno l’esperienza del bisogno, un bisogno esistenziale che niente può colmare. Fanno l’amara esperienza di avere “sperperato le sostanze“, di avere sprecato la vita. Beati coloro che si rendono conto di essere nel bisogno e che trovano la forza di tornare alla casa del Padre! Il figlio minore della parabola trova questa forza e, anche se per puro calcolo (“almeno i servi di mio padre hanno da mangiare”), torna alla casa paterna.
… lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Non conoscendo suo padre, però, costui non può che rimanere spiazzato dall’accoglienza che riceve: il Padre, che lui vedeva come il tiranno oppressore, lo travolge con il suo amore “viscerale” (quasi materno: il verbo greco usato per descrivere la commozione ha a che fare con le viscere materne). Colui che pensava di doversi piegare a fare il salariato, viene invece dal Padre reintegrato nuovamente nella dignità filiale, viene reso “nuova creatura”.
«Ecco, io ti servo da tanti anni …» L’altra figura esemplare della parabola è il figlio maggiore, “il servo”, colui che, pur restando nella casa paterna, si considera un salariato. Costui considera suo padre solo un “padrone”: è il proprietario di tutto, colui che lo ricompensa per il lavoro che svolge. La figura del figlio maggiore interviene solo con il ritorno e l’accoglienza del ribelle: un fatto inaudito per la sua mentalità di salariato. Ha vissuto nella casa del padre secondo la logica del “do affinché tu mi dia”. Secondo questa logica, ad un lavoro ben svolto spetta il premio e ad un atto di ribellione un castigo. L’accoglienza del ribelle lo spiazza, lo scandalizza, lo riempie di rabbia.

Da notare che anche lui è “fuori casa” e il Padre, come per minore, deve andargli incontro. Dal dialogo emerge la mentalità “servile” di quest’uomo: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici.”.
La sua è, purtroppo, una mentalità riscontrabile anche all’interno della Chiesa in coloro che vivono la loro vita religiosa solo in vista del premio, del “salario”. Il salario desiderato, oltretutto, è a volte molto terreno: salute e benessere. Se “il Dio padrone” non mi garantisce questo, perché servirlo? Chi la pensa così, inoltre, tende a ergersi su un piedistallo da cui facilmente formula condanne. Non a caso nel dialogo il figlio maggiore parla del minore dicendo “questo tuo figlio”: ne prende le distanze. Il Padre è costretto a dare la stessa spiegazione che ha dato ai servi (tale si considera il maggiore), ma stavolta dicendo “questo tuo fratello”: gli ricorda la relazione incancellabile che c’è tra loro.

Riflettendo su questa parabola dobbiamo fare attenzione al rischio di identificarci con uno solo di questi due figli. Ciò che sarebbe auspicabile è che, dopo avere esaminato il nostro cuore, non ci riconoscessimo in nessuno dei due; entrambi, infatti hanno un’immagine distorta del Padre. Credo, però, che, esaminandosi bene, ciascuno di noi possa scoprire in sé sia gli atteggiamenti del ribelle, che pensa di sapere meglio del Padre ciò che è bene per lui; sia gli atteggiamenti del servo giustizialista, che obbedisce per ricevere un salario e non esita a condannare (prendendone le distanze) coloro che sbagliano e per i quali invoca il castigo.
Dobbiamo ricordare che il nostro modello non deve essere nessuno dei due, ma Gesù Cristo, il Figlio amato nel quale anche noi siamo figli. Proprio per renderci conformi al modello, Gesù stesso è venuto a riconciliarci con il Padre, a farci nuove creature. A noi è richiesta solo l’accoglienza di tale Grazia. Per questo oggi San Paolo ci esorta: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”.
Fr. Marco

domenica 24 marzo 2019

Dio è con noi. Nulla è impossibile a Dio!

«Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, perché Dio è con noi» (Is 7,10-14; 8,10)

«“Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà” … Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.» ( Eb 10,4-10)

«“Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te … Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. … Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”» (Lc 1,26-38)

La solennità dell’Annunciazione del Signore ci ricorda una verità che troppo spesso tendiamo a dimenticare: Dio è con noi! Il Signore, l’Altissimo, l’Onnipotente, cammina con noi, è venuto in mezzo a noi per salvarci!
Quanto spesso, purtroppo, dinanzi i problemi che ci affliggono e dai quali ci sentiamo come assediati, ci comportiamo come il re Acaz della Prima lettura: non ci fidiamo del Signore e, per non “comprometterci” ed essere in qualche modo obbligati a fidarci, non osiamo nemmeno chiedere segni del Suo aiuto e della Sua presenza.
Ma il Signore c’è, Egli è “Colui che c’è” (secondo una a accreditata traduzione del nome di Dio rivelato a Mosè al roveto ardente: Es 3,14) e si china sulla nostra miseria per soccorrerci. Il nostro Dio non è un dio che noi ci siamo inventati, un “dio secondo me”, un idolo che alla resa dei conti manifesta la sua inconsistenza e impotenza; il nostro Dio è il Dio Vivente, che fa cose inedite: nulla è impossibile a Dio. A noi chiede solo di fidarci, di lasciarlo operare, e vedremo le meraviglie che solo Lui può compiere.
Con l’Annunciazione, Dio Onnipotente chiede il permesso a Maria Santissima per fare irruzione nella storia e trasformarla in Storia di Salvezza. A Maria è chiesto solo di fidarsi, di lasciarlo operare, di accogliere l’opera che Dio sta compiendo. Anche questo è indizio che ci troviamo alla presenza del Dio Vivente e non di un idolo da noi pensato: Dio, l’Onnipotente e il Creatore, ci ama a tal punto da non volere schiacciare la nostra libertà; ci chiede di dare il nostro assenso per essere così “collaboratori” dell’opera di salvezza.
 Maria Santissima si fida. Pur non potendo comprendere pienamente come agirà il Signore, si fida e dà il suo consenso perché il Signore operi. Certamente l’opera del Signore “sconvolge la vita”: ci fa uscire dalle nostre vie e ci fa entrare nella Sue vie. Ma il Suo progetto è certamente più grandioso di ciò che noi possiamo pensare e realizzare senza di Lui. Il Suo progetto per noi è una Vita Piena ed Eterna, quella vita che tutti in fondo al cuore desideriamo, ma che da soli non possiamo raggiungere. Il Signore ci fa uscire dalle nostre comode schiavitù, dai nostri meschini compromessi,  per farci camminare con Lui verso “un paese dove scorre latte e miele”. Al primo Sì, infatti devono seguirne tanti altri. È un cammino faticoso quello che siamo chiamati ad intraprendere con Lui, ma è il cammino che da senso alla nostra vita.
Contemplando, allora, il Sì di Maria grazie al quale il Verbo eterno del Padre fa irruzione nella storia, impariamo anche noi a dire Sì a Dio nella nostra vita, ad accogliere la Sua Presenza e a fidarci del Dio Vivente ascoltando la Sua Parola e compiendo ciò che ci chiede. Sperimenteremo le meraviglie che Solo Dio può compiere: nulla è impossibile a Dio.
Fr. Marco

giovedì 21 marzo 2019

Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?


«Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele”». (Es 3,1-8.13-15)

«… chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere …» (1Cor 10,1-6.10-12).

​«Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo … “Padrone, lascialo ancora quest’anno, … Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”» (Lc 13,1-9)

La Parola di Dio della terza domenica di quaresima ci esorta ancora, in maniera pressante, alla conversione. Gesù, infatti, nel Vangelo che abbiamo ascoltato, prende spunto da due fatti di cronaca per invitarci a fare tesoro del tempo che il Signore ci dona per fare frutti di vita eterna, a cambiare vita.
magari capita anche a noi che, sentendo parlare di alluvioni, terremoti, disgrazie sul lavoro, siamo tentati di credere che le vittime di tali tragedie se le siano in qualche modo “meritate”: è un pensiero che ci rassicura perché ci permette di puntare il dito su gli altri e riusciamo a racchiudere la disgrazia in una logica che possiamo comprendere.

Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? Il Maestro prende le distanze da una lettura che veda in queste tragedie il castigo di Dio. Tuttavia conclude: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Credo sia lo stesso avvertimento che altrove diventa: «Il Figlio dell’Uomo verrà come un ladro di notte» (Cfr. Mt 24, 42-44). È l’invito a essere sempre pronti a rendere conto della nostra vita. Quegli uomini morirono improvvisamente e forse senza essere pronti: ecco perché l’urgenza della conversione! Una conversione personale: l’appello alla conversione non è per “gli altri”, è per me. Sono io che devo convertirmi.
Il Dio che Gesù ci rivela, quindi, non è un Dio vendicatore che ci punisce per il male che abbiamo fatto. Il male è già punizione a se stesso. Il Dio che ci rivela Gesù è, invece, un Padre che non smette di chiamare il suo popolo alla salvezza, un Dio che “osserva la miseria” del suo popolo con occhi di misericordia (Cfr. I lettura). Il nostro tempo, tuttavia, è limitato e corriamo due pericoli ugualmente da evitare: da un lato il pericolo di costruirci l’immagine errata di un “Dio giustiziere” pronto a “pesare” scrupolosamente i nostri peccati e a punirci per essi; dall’altro lato il pericolo di costruirci l’immagine di un Dio “troppo buono” che, indipendentemente dalle nostre azioni, alla fine salverà tutti.

Entrambe le immagini sono false. La prima immagine  ci porta ad assumere atteggiamenti servili: agiamo spinti dalla paura, attenti all’osservanza letterale della legge, ma con il cuore distante da Dio. In tale prospettiva la salvezza, destinata a pochissimi, non è dono di Dio, ma conquista dell’uomo. La seconda immagine, al contrario, ci porta a deresponsabilizzarci, a non vigilare sul nostro comportamento: viviamo, di fatto, come se Dio non ci fosse, presumendo che ci sarà sempre tempo … e che alla fine “Dio perdona tutti”. Dimentichiamo che il nostro tempo è limitato e che non sappiamo quando compariremo davanti il Suo giusto giudizio.
Il Dio che ci presenta Gesù, invece, è un Padre infinitamente giusto e misericordioso: si china sulla miseria del suo popolo, prende l’iniziativa della salvezza, nutre la nostra debolezza con i sacramenti, ma ci chiede di accogliere questa salvezza, di portare frutto, di assumere la logica dell’amore.
«Padrone, lascialo ancora quest’anno …». Usiamo bene il tempo che il Signore ci dona, assumiamo la logica dell’amore sulla quale saremo giudicati. Facciamo in modo di essere pronti quando il Signore cercherà i frutti. Pur confidando nella misericordia del Padre, vigiliamo sulla nostra vita senza presumere della nostra salvezza: «… chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere …».

Fr. Marco.

sabato 16 marzo 2019

Videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui


«… “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. Egli credette … Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram … » (Gen 15, 5-12.17-18)

​«Perché molti … si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.» (Fil 3,17- 4,1)


«… E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante … videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. … Questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo!» (Lc 9, 28-36).

La Parola di Dio della seconda domenica di quaresima ci presenta la Trasfigurazione. Fin dai primi passi del cammino quaresimale, il Signore offre ai suoi discepoli di ieri e di oggi la grazia di intravedere la meta del Suo e del nostro cammino. Una meta gloriosa che, tuttavia, si raggiunge attraverso la “via stretta”, ma ineludibile, della croce.
Il Signore conosce la nostra debolezza, la debolezza della nostra fede, la nostra paura, e ci offre quest’oggi la visione della meta perché possiamo farci coraggio quando il cammino si fa più difficile, quando il “non senso” sembra averla vinta.
A noi, come ad Abramo (prima lettura),  non è chiesto altro che di fidarci di Lui. Siamo invitati a  credere alle Sue Parole. È una fede ragionevole quella che ci viene chiesta: il Signore si impegna solennemente e conferma con segni concreti la veridicità della Sua Parola.
Anche ad Abramo il Signore promette qualcosa che va al di là di ogni credibilità: è un uomo ormai vecchio, lontano dalla sua terra e dalla sua tribù. Il Signore gli promette una discendenza senza numero e una ricca terra che apparterà a questa discendenza. Veramente quella di Abramo è una fede che sfida ogni speranza umana! Una fede capace di fondarsi solo sulla Parola di Colui che promette. Il Signore, però, conosce la fatica di Abramo e si piega sulla sua debolezza offrendogli un solenne impegno nelle modalità che gli erano ben note. Era, infatti, un uso comune ai popoli del vicino oriente antico quella di giurare e stabilire alleanze passando in mezzo a carcasse di animali uccisi: i due contraenti, con il passaggio, si impegnavano a rispettare il patto; la pena per la trasgressione  era condividere la sorte di quegli animali. A questo punto, però, è importante notare che nel brano di Genesi solo la “Fornace ardente” (chiara rappresentazione della presenza di Dio) passa attraverso le carcasse: è Dio che si impegna! È solo sulla Sua fedeltà che si fonda l’alleanza!
Ciò è valido anche per noi: la Nuova Alleanza è fondata sulla fedeltà di Dio. Non ci sono più le carcasse di animali immolati, ma Lui stesso, immolato per amore sulla croce, si offre a garanzia della promessa. A noi chiede solo di accogliere la Sua fedeltà, di fidarci del Suo amore, di ascoltare e obbedire alla Sua Parola. Un ascolto chiamato a diventare, discepolato, sequela e imitazione: come Abramo anche noi siamo chiamati ad “uscire dalla nostra terra”, a lasciare le logiche del mondo, dell’egoismo, dell’edonismo e del potere, per percorrere nuove strade, per vivere secondo una logica nuova, quella dell’amore che si dona senza riserve fino a morire per l’amato, la logica della Croce. Come ci ricorda l’apostolo Paolo, siamo chiamati a non comportarci da “nemici della Croce”.

Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. Trovo attualissime queste parole. Quante volte attorno a noi vediamo fratelli e sorelle, che hanno smarrito il senso e la direzione della loro vita, ostentare con orgoglio le peggiori nefandezze, pretendere di chiamare giusto e “diritto” ciò che va contro la legge di Dio! Avendo smarrito l’orizzonte dell’eternità, sono tutti presi dalle cose della terra. Tutto questo purtroppo, non sarà senza conseguenze: la loro sorte finale sarà la perdizione.
Viviamo, allora, come “cittadini del Cielo” (Cf Fil 3,20) e, fissando la nostra speranza nel nostro Salvatore, trasformiamo ogni giorno, con la nostra vita, questo mondo nel Regno dei Cieli.
Fr. Marco

sabato 9 marzo 2019

Se tu sei Figlio di Dio ...

«Mio Padre era un Arameo errante… allora gridammo al Signore ed Egli ascoltò la nostra voce» (Dt. 26, 4-10)

«… se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.» (Rm 10,8-13)

«Gesù si allontanò … nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo» (Lc 4,1-13)

​Con la prima domenica di quaresima, anche noi siamo condotti con Gesù nel deserto “per essere tentati”, per scoprire cosa c’è nel nostro cuore, ma anche per “esercitarci”. Come nello sforzo atletico, infatti, siamo chiamati, iniziando il nostro cammino di conversione, a metterci alla prova, o meglio a lasciarci mettere alla prova, per aumentare la nostra capacità di risposta alle sollecitazioni, per imparare a scegliere sempre la Volontà di Dio.
È importate, però, iniziando questo cammino, partire dalla consapevolezza della nostra identità: non a caso la Parola di Dio di oggi si apre con la professione di fede che il popolo eletto è invitato a fare nella liturgia primaverile. Bisogna che riconosciamo la nostra profonda identità di “erranti accolti”. Uomini e donne sempre alla ricerca di un “di più” che solo il Signore ci può donare. Comprendendo questa nostra profonda identità di “erranti”, di nomadi, comprenderemo anche la relazione fondamentale della nostra vita: il Signore ascolta la nostra voce e ci dona una terra, ci dona stabilità. 
Non di solo pane vivrà l’uomo: ecco il senso del donare le primizie (prima lettura). Ciò che mi soddisfa e mi dona stabilità, non è il mio pane, ciò che posso procurarmi con le mie mani, ma Dio. Quella dell’autonomia, dell’autarchia, del “self made man”, è la prima e la più antica delle tentazioni: “non hai bisogno di nessuno, soddisfa da solo la tua fame, dì che queste pietre diventino pane …”. Gesù risponde mettendo in chiaro la relazione vitale con il Padre e la dipendenza da Lui: ciò di cui l’uomo ha bisogno non può darselo da solo, ma deve riceverlo dal Padre. L’uomo non ha bisogno solo del pane, ma della “Parola”, della relazione con il Padre!
… se ti prostrerai in adorazione davanti a me … Nella seconda tentazione presentata da Luca, sembra che sia proprio la relazione ad essere presa in considerazione. Si tratta però di una relazione traviata, falsa fin dall’origine: si rende culto a “qualcosa/qualcuno” per ottenere il potere. Alla fine, centro del mio amore è sempre il mio Io che pretende di avere potere su tutte le creature. È la tentazione della magia che poco ha a che fare con la fede. Facciamo attenzione a questa tentazione, perché subdolamente potrebbe nascondersi anche in un atteggiamento che appare religioso.
… gettati giù … L’ultima tentazione è quella del prodigioso, del mettere alla prova Dio: “se mi ama …”. È la tentazione che sta alla base di ogni tentazione: Se tu sei Figlio di Dio. Non a caso questa formula ricorre in tutte e tre le tentazioni. Il pensiero sottostante è che Dio, per mostrarsi nostro Padre, deve fare ciò che noi decidiamo essere giusto … la stessa logica che ha il bambino capriccioso quando il padre gli nega qualcosa che sa non è per lui un bene, almeno in quel momento.
Questa tentazione nasce dal dubbio: Dio è veramente capace di salvarmi? Veramente mi ama? Un dubbio profondo che nessun miracolo potrà veramente fugare: dopo un evento prodigioso, se ne chiederà un altro ed un altro ancora … Il nocciolo del problema è ancora una volta la relazione: si compie l’errore di pensare di essere il centro della relazione. Il nostro Io si erge ancora a dio: sarò io allora a decidere ciò che è giusto che avvenga e come deve avvenire … siamo ancora lontani dal“sia fatta la tua volontà” che preghiamo quotidianamente.
Non a caso l’evangelista Luca pone l’ultima tentazione a Gerusalemme: di questo “Se tu sei Figlio di Dio, gettati” si sentirà l’eco nel racconto della Passione la domenica delle palme: “Salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, l’eletto” (Lc 23,35). È la tentazione di fuggire dalla volontà di Dio, la tentazione di fuggire alla Croce. Sappiamo, però, che è una strada obbligata per giungere alla gloria della resurrezione, una strada sicura perché ci è stata aperta dal nostro Maestro e Signore.
Fr. Marco.

sabato 2 marzo 2019

Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?

«Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore.» (Sir 27,5-8)

«… rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.» (1Cor 15,54-58)

«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?  … Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». (Lc 6,39-45)

Questa VIII domenica del tempo ordinario, la Parola di Dio continua ad ammonirci a fare attenzione a dove poniamo le nostre radici: siamo radicati in Dio o affondiamo altrove le nostre radici? Per aiutarci a fare questo discernimento, la Parola ci invita a guardare i frutti che produciamo: l'albero buono produce frutti buoni; l'albero cattivo frutti cattivi.
Tra questi frutti cattivi che escono dal nostro cuore quando affonda le sue radici lontano da Dio, c'è sicuramente il giudizio del fratello, l'incapacità di amarlo. Già domenica scorsa il Vangelo ci invitava ad amare gratuitamente e a non giudicare (Cf. Lc 6,27-38). Oggi ce ne mostra il motivo: «Può forse  un cieco guidare un altro cieco?» Siamo ciechi, accecati dalla trave del nostro giudizio, e pretendiamo di correggere e guidare i fratelli!
A volte ci atteggiamo a maestri, guide spirituali,  per essere apprezzati e guardati con stima. Ecco perché la Parola oggi ci chiama ipocriti, cioè “teatranti” (letteralmente: “maschere di teatro”): recitiamo una parte in cerca di applausi, ma non siamo veri, autentici.
Il Maestro, l'unica nostra guida  («Uno solo è il vostro maestro ...» Mt 23,8) ci chiede oggi di entrare nella verità della nostra vita e farci suoi discepoli. A chi ci accosta, indichiamo Lui come guida. Sradichiamo dalla nostra vita il giudizio e la presunzione di essere guide dei nostri fratelli. Impariamo ad amare. Certo, la correzione fa parte dell’amore (Gesù stesso insegna la correzione fraterna: Mt 18,15-17): se mio fratello sbaglia ed io non lo correggo, me ne disinteresso, e lascio che si perda, non lo sto certo amando. Per fare questo però, dovrò prima avere permesso al Signore di togliere dal mio occhio la trave del “giudizio” e della condanna; solo allora ci vedrò bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del mio fratello. Riconosciamo umilmente la nostra cecità perché il Signore ci guarisca e noi possiamo essere riconosciuti Suoi discepoli capaci di indicare Lui a quanti ci accostano.
Facendo attenzione alle nostre parole, vigiliamo, allora sui frutti che escono da nostro cuore: «Del resto sono ben note le opere della carne: … inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. …. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;» (Cf Gal 5,19-23)
Fr. Marco