martedì 31 dicembre 2019

Dio mandò il suo Figlio, nato da donna.

« … porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (Nm 6, 22-27)

«Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.» (Gal 4,4-7)

«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.» (Lc 2,16-21)

Il primo giorno dell’anno, giornata mondiale della Pace, la Chiesa celebra la solennità di Maria santissima Madre di Dio. La Parola di Dio di questa solennità si apre con la benedizione del Signore che, attraverso la sua santissima Madre, fa splendere il suo volto sui suoi consacrati.
La pagina evangelica ci conduce ancora una volta, insieme ai pastori, davanti la mangiatoia in cui è adagiato Gesù, il principe della Pace, che viene nel fragile segno di un bambino. Come i pastori, anche noi, siamo invitati a lasciarci prendere dallo stupore. Guardandomi attorno, ritengo di potere affermare che abbiamo perso la capacità di stupirci: assistiamo continuamente e con atteggiamento indifferente alle più alte vette del genere umano e alle più abbiette miserie della nostra umanità. Oggi siamo invitati a riscoprire il sentimento di stupore che prese i pastori dinanzi la gloria di Dio manifestata nel bambino Gesù. Come i pastori, fidiamoci del Signore e lasciamo che continui a meravigliarci, a mostrarci le sue meraviglie!
Per poterci stupire, però, è importante apprendere l’atteggiamento di Maria che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore»:  meditava la povertà della stalla, la visita dei pastori mandati da un angelo, il canto delle schiere celesti degli angeli. Meditava soprattutto il mistero del suo figlio, Dio fatto uomo ed era consapevole della sua divina maternità. Quel bambino piccolo, debole e bisognoso di tutto era il suo Dio ed era suo figlio! L'infinita tenerezza della maternità di Maria è un riflesso della paternità di Dio.
Iniziando un nuovo anno civile,  oggi impariamo, inoltre, dalla nostra santissima Madre a mettere Gesù al centro della nostra vita. Maria, infatti, in quanto Madre di Dio, è costantemente rivolta al Figlio con lo sguardo, il pensiero, il cuore e tutta se stessa. Ha contemplato Gesù fin dalla sua nascita in costante atteggiamento di stupore e di adorazione.
Con le parole di quella che forse è la più antica preghiera mariana (III sec.), siamo invitati allora a pregare il Signore perché ci conceda la pace per intercessione della Madre di Dio: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”. Alla sua protezione affidiamo tutte le vittime della violenza e dell'odio, specialmente i cristiani vessati, sradicati, perseguitati e uccisi.
Guidati dalla Parola e resi figli nel Figlio, lasciamoci raggiungere dalla benedizione divina e, affidandoci al Cristo Signore cui appartengono i giorni i secoli e il tempo, lasciamo che il Suo volto risplenda attraverso di noi perché il mondo conosca quella Pace vera che il Signore è venuto a portare. Auguri di un Buon 2020.
Fr. Marco

sabato 28 dicembre 2019

La Santa Famiglia

«Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita. Chi onora sua madre è come chi accumula tesori.» (Sir 3, 3-7.14-17)

«… rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto … La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori.» (Col 3,12-21)

«Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Mt 2,13-15.19-23)

La liturgia della Parola della festa della santa Famiglia ci mostra come la Luce, la Pace e la Gioia, portati da Gesù con la sua nascita, si realizzano nella famiglia, nucleo fondamentale della Chiesa.
Il Vangelo di oggi, infatti, ci presenta la famiglia di Nazareth. Scopriamo subito che è una famiglia “esperta nel soffrire” (come la definisce l’inno delle Lodi mattutine), una famiglia perseguitata, che deve scappare e vivere da straniera in Egitto (il luogo biblico della schiavitù e oppressione). La Pace che viene a portare Gesù, infatti, non è assenza di tribolazioni, ma una capacità di affrontarle con la comunione animata dall’Amore; quell’amore che vince il mondo e che riempie di una forza invincibile.
Sappiamo da fonti storiche che il re Erode era un tiranno che non tollerava concorrenza al suo dominio arrivando per questo a sterminare la sua stessa famiglia. Nella parte del vangelo che questa domenica è omessa, è narrata la “strage degli innocenti” perpetrata dal re pur di eliminare Colui che è visto come concorrente del suo dominio. Purtroppo anche oggi continua la strage degli innocenti. Penso a tutti quei bambini sacrificati agli idoli dell'egoismo e del "progresso". Ai tanti bambini non nati; ai tanti uccisi dalle guerre; a quelli uccisi perché malati (penso alla eutanasia infantile approvata nel modernissimo nord Europa). Quanti innocenti sacrificati al nostro egoismo, alla nostra egolatria alla nostra pretesa di benessere!
La Famiglia è oggi osteggiata e messa in pericolo; non solo quella di Nazareth, ma le nostre famiglie, anzi l’istituzione famiglia. Oggi tante condizioni socioeconomiche minacciano la famiglia fin dal suo nascere: si ha sempre più paura di sposarsi e fare figli. La famiglia, inoltre, è minacciata dall’ “Erode” che è in noi, dal nostro egocentrismo elevato a sistema, divenuto individualismo ed edonismo. Oggi il piacere individuale, lo “stare bene”, è divenuto l’unico criterio delle scelte della nostra vita. Spinti da questa esigenza (che ha la sua legittimità, ma non va assolutizzata) , però, facciamo spesso scelte che ci rovinano la vita e, inseguendo un miraggio, soffriamo e siamo causa di sofferenza: quante famiglie rovinate perché si proietta nell’altro la causa della propria insoddisfazione! Oltre a tutto ciò, una legislazione che non tiene conto del dato oggettivo della natura sembra volere equiparare qualunque relazione affettiva (finanche quella col proprio animale domestico!) a famiglia; in tal modo svuotano di significato i concetti di amore e di famiglia: se tutto è famiglia, niente è famiglia! Non possiamo accettare supinamente tutto ciò, siamo chiamati a testimoniare il valore della famiglia.
Il Vangelo oggi ci presenta il modo principale per salvare la famiglia: l’obbedienza alla Parola di Dio. Giuseppe non esita un istante a mettere in pratica il comando dell’angelo. Non si cura dei sacrifici che questo comporterà e, in obbedienza, si mette in cammino. Anche per noi il modo per salvare la famiglia resta l’obbedienza alla Parola di Dio.
Ritengo che all’interno del matrimonio penso sia normale, dopo qualche anno (speriamo tanti), che passi l’entusiasmo iniziale; il rapporto si evolve: non c’è più la “fiamma viva” degli inizi, ma è importante che questo fuoco sia curato e alimentato perché diventi “brace ardente”:  la paglia brucia in fretta e con poco calore, è il carbone ardente che è capace di durare a lungo e dare calore.
Nella seconda lettura di oggi San Paolo ci dà qualche insegnamento per curare questa fiamma: rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri. Gli atteggiamenti che l’apostolo ci descrive, mettono l’altro al centro, ci fanno uscire dal nostro individualismo proiettandoci fuori di noi.
Vorrei sottolineare l’invito alla sopportazione e sottomissione reciproca. Oggi il termine ha assunto generalmente un’accezione negativa, ma in realtà sopportare significa “mettersi sotto (sotto-mettersi) per sorreggere/portare”. Altrove Paolo invita a “portare i pesi gli uni degli altri” (cfr. Gal 6,2). È normale che l’altro, proprio perché tale, in alcuni momenti sia per me un peso, mi “pesti i piedi” (e più si è vicini, più questo è facile); ma dobbiamo ricordare che anche a noi capita di “pestare i piedi” dell’altro. Ciascuno di noi ha bisogno che gli si usi misericordia, che si abbia pazienza con lui. È per questo motivo che l’Apostolo ci rimanda al fatto che siamo perdonati da Dio per motivare l’esigenza del perdono reciproco. Tutto questo va fatto non con rassegnazione, ma con Carità, con quell’amore che solo è capace di farci uscire da noi. Quest’amore, però, va custodito, coltivato, curato. Per questo Paolo ci invita alla frequente relazione con la Parola, la verità di Dio su noi, che meditata e pregata assieme diventi il collante delle nostre diversità.
Un’ultima sottolineatura voglio farla sulla gratitudine: non stiamo a ricordare ciò che di male abbiamo subito, ma coltiviamo la gratitudine verso il Signore e verso l’altro per ciò che di bello ci hanno donato. Fin dai primi giorni del suo pontificato Papa Francesco ci ha esortati a usare tre parole, tre atteggiamenti nella famiglia: permesso, grazie, scusa. Usiamo la delicatezza di chiedere permesso a chi ci sta accanto per non essere invadenti ed irruenti, per rispettare la sua alterità. Ringraziamo per il bene che riceviamo: non diamo nulla per dovuto. Impariamo a chiederci scusa: non lasciamo questioni insolute e non tramonti il sole sui nostri dissidi.
Preghiamo insieme perché ogni famiglia trovi la forza di vivere ogni giorno l’Amore vero che viene da Dio e, superando le difficoltà che la vita non risparmia a nessuno, costruisca ogni giorno la comunione e la pace.
Fr. Marco

martedì 24 dicembre 2019

E' apparsa la Grazia di Dio


« … ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.» (Is 9,1-6)

« … è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà …» (Tt 2,11-14)

«Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.» (Lc 2,1-14)

È giunta la notte di Natale. La notte piena di gioia in cui celebriamo il memoriale della nascita del nostro Salvatore. Nella prima lettura di questa notte ascoltiamo la profezia di Isaia che annuncia la venuta del Principe della Pace che viene a portare la Luce, la Gioia e la Pace nel mondo. La Gioia caratterizzi questa notte e il giorno di Natale. Una gioia che riempia tutta la nostra vita nella sua estensione temporale e in tutte le sue espressioni: il Signore, l’Autore della Vita, il creatore del Mondo, viene a porre la sua tenda in mezzo a noi come Salvatore. Il Verbo si è fatto carne e viene in mezzo a noi per salvarci. Questo è il Vangelo, la buona notizia che, se ci crediamo realmente, riempie i nostri cuori di Gioia.
Nella pagina del Vangelo, ci viene raccontata la nascita del Salvatore che sceglie per sé l’umiltà e la debolezza. Gesù, infatti, il Verbo di Dio che si è fatto uomo, si manifesta al mondo nell’umile e indifeso bambinello deposto in una mangiatoia. Egli, tuttavia è il Dio potente, il Principe della pace. Viene infatti a portare nel mondo la Pace vera che nasce da un cuore riconciliato, capace di riconoscere il Padre e quindi anche i fratelli. Un cuore in pace con se stesso e quindi con i fratelli che ha attorno. Se davvero accogliessimo Gesù nella nostra vita, se lo lasciassimo entrare nei nostri cuori per riconciliarli con il Padre e con i fratelli, non avremmo più bisogno di fare guerre.
«… per loro non c’era posto nell’alloggio» oggi come allora, purtroppo Gesù non trova posto nella nostra vita: siamo troppo impegnati a cercare la felicità, la realizzazione, per accogliere Colui, l’unico, che può darcele! Ecco che allora continuiamo a fare guerra. Questa notte, contemplando la nascita del Principe della Pace, infatti, non posso fare a meno di pensare alle innumerevoli guerre che ancora si combattono nel mondo. Alle guerre che si combattono con le armi e che mietono innumerevoli vittime innocenti. Penso anche e soprattutto alle guerre che ancora combattiamo fra noi: guerre in famiglia, magari per una porzione di eredità; guerre sul posto di lavoro per accaparrarsi un po’ di autorità … guerre generate dalla brama di avere, di potere e di piacere. Siamo “assetati di vita”, ma nella nostra cecità la cerchiamo dove invece è morte.
Viene nel mondo la Luce vera, quella che illumina ogni uomo, lasciamolo entrare nei nostri cuori perché illumini le nostre tenebre e ci riconcili con Dio e con i fratelli. Accogliamo colui che è la nostra Gioia, la nostra letizia.
Auguri. Che questo Natale possa essere realmente l’inizio di una vita nuova in cui splende la Luce di Cristo.
Fr. Marco





sabato 21 dicembre 2019

Non temere, il Signore viene a salvarci


«…“Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto”. Ma Àcaz rispose: “Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore”». (Is 7,10-14)


« … Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome … » (Rm 1, 1-7)

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 18-24)

In questa quarta domenica di Avvento, il messaggio che ci giunge dalla Parola di Dio, a mio parere potrebbe essere riassunto con: “Non temere, fidati di me”. Il Signore ci invita a riconoscere i segni della Sua opera in mezzo a noi, ci invita a fidarci di lui e a scacciare ogni timore.
Nella prima lettura, infatti, ascoltiamo il profeta Isaia che esorta il re Acaz a chiedere un segno e a fidarsi del Signore. Il regno è minacciato, ma il Signore, per bocca di Isaia, promette di sconfiggere i potenti invasori a condizione che Israele resti saldo nella fede (Cfr. Is. 7, 7-9). Purtroppo Acaz, come spesso siamo soliti fare anche noi, mosso dalla paura sceglie di fidarsi più delle sue capacità e dei suoi intrighi che del Signore e rifiuta di chiedere e riconoscere un segno per non essere vincolato a credere nella promessa del Signore. Dio stesso però concede un segno: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Dio con noi). Purtroppo Acaz, schiavo della sua paura, si ostinerà nei suoi piani e si alleerà con l’Assiria. Ciò che otterrà sarà proprio quello che temeva: il regno d’Israele sarà sottomesso alla dominazione assira.
Il Vangelo, quasi a contrappunto della mancanza di fede di Acaz, ci presenta la figura di Giuseppe sposo di Maria. Anche Giuseppe è confuso ed è preso da timore: il concepimento di Maria lo sconvolge, non capisce quale sia il suo ruolo in tutto questo. Pensa, quindi, di congedarla in segreto, di tirarsi indietro dinanzi a ciò che sta accadendo. È in questo momento che l’angelo del Signore viene a dirgli: «non temere ...». Giuseppe, contrariamente ad Acaz, sceglie di fidarsi, di credere a ciò che il Signore gli annuncia, e obbedisce silenziosamente al comando del Signore. È proprio con la sua silenziosa obbedienza che Giuseppe entra con un ruolo fondamentale nella storia della salvezza: dando il nome a Gesù lo inserirà nella discendenza davidica e permetterà il compiersi della promessa.

Anche a noi, che ci stiamo preparando a celebrare il Natale, il Signore viene a chiedere di avere fiducia, di non agire sotto il condizionamento della paura, di riconoscere i segni e di lasciarlo operare nella nostra storia perché Egli possa ancora compiere meraviglie per noi e per i fratelli.
Chiediamo al Signore di purificare i nostri occhi per vedere e riconoscere i segni della sua presenza. I segni dell’opera di Dio, infatti, possono in un primo tempo passare inosservati. Il Signore non si impone con violenza, ma chiede di essere ascoltato “nella brezza leggera” (Cfr. 1Re 19, 12): la nascita di un erede quando il regno è minacciato, un sogno, un bambino in fasce in una mangiatoia.
L’evangelista Matteo sceglie di usare due nomi per identificare il Verbo che si è fatto carne nel grembo di Maria: Gesù che significa “Dio salva” ed Emmanuele che, oltre a collegare quanto sta avvenendo alla profezia di Isaia, significa “Dio con Noi”. Egli è infatti il Dio che cammina con noi, non ci abbandona, non si dimentica di noi, ma è venuto per salvarci, perché abbiamo la Vita, perché la nostra gioia sia piena. Fidiamoci di Lui. Lasciamo che sia Lui ad insegnarci la Via della Vita.
Prepariamoci al Natale con l’obbedienza di fede perché, come ci invita a fare la colletta alternativa di questa domenica, possiamo accogliere e generare Gesù nello spirito nostro e dei fratelli ed essere in tal modo apostoli a gloria del suo nome.

Fr. Marco

sabato 14 dicembre 2019

Rallegratevi nel Signore sempre

«Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa.» (Is 35,1-10)

«Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge … Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati» (Gc 5, 7-10)

«“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”». (Mt 11, 2-11)

La Parola di Dio della terza Domenica di Avvento ci invita a rallegrarci. Questa domenica, infatti è detta domenica “gaudete” dalla prima parola dell’antifona d’ingresso («Rallegratevi sempre nel Signore …»). Siamo, quindi, invitati a ravvivare la nostra speranza: il Signore è vicino.
Ecco il motivo per cui la pagina evangelica sottolinea la piena realizzazione delle attese messianiche presentate dalla prima lettura: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. Gesù afferma il suo essere il Messia atteso portando a testimonianza le opere che compie. Non va passata sotto silenzio, però, la beatitudine per chi non si scandalizzerà: Gesù è il Messia e realizza ciò che avevano annunciato i profeti; non si presenta, tuttavia, come re condottiero e vittorioso, ma come un Messia mite che viene a donare la salvezza manifestando la paternità di Dio.
Oltre che a rallegrarci, questa domenica, come su accennato, siamo invitati a ravvivare la nostra speranza, la nostra attesa, a farci coraggio, a prendere esempio dal contadino che sa attendere i frutti a suo tempo. Come direbbe papa Francesco, non lasciamoci rubare la speranza e con essa il nostro futuro.
Purtroppo ritengo che la società abbia perso il senso dell’attesa e della speranza: non ci si attende più nulla, il futuro appare come un vuoto che fa paura. Siamo disillusi, viviamo un presente disancorato da ogni attesa futura e quindi spesso senza senso. I nostri giovani (anche a causa di oggettive condizioni di precarietà) non sono più capaci di progettare o di sperare un futuro. Ciò che è peggio, però, è che non trovano più le forze per costruirlo questo futuro. Si accontentano di vivere un presente a cui manca il gusto e la pienezza perché vissuto senza speranza. La società dei consumi ci ha abituato a “tutto e subito” e ci troviamo incapaci di attendere, di desiderare. Il mito del “super uomo”, inoltre, ci ha convinti che dobbiamo salvarci da soli. Tutto ciò ci ha reso delusi, disillusi, sempre insoddisfatti e pronti a lamentarci di tutto e tutti.
Proprio in questo contesto di “deserto e terra arida” risuona l’invito di Isaia: rallegratevi, fatevi coraggio, non lasciatevi paralizzare dalla paura. Un invito a cui si associa S. Giacomo: siate costanti, imparate dall’agricoltore a sapere aspettare i frutti, e a lavorare animati dalla speranza. L’agricoltore, prepara il terreno, semina, irriga e attende. Non si accontenta del suo sacco di frumento, ma semina in attesa del più abbondante raccolto.

Facciamoci coraggio, allora, e ricominciamo a rallegrarci e a sperare. Per esercitarci in questo atteggiamento, S. Giacomo oggi ci da un consiglio molto pratico: smettiamo di lamentarci!

Fra Marco

sabato 7 dicembre 2019

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola»

«Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,9-15.20)

«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, … In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (Ef 1,3-6.11-12)

«Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te … Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,26-38)

Nella solennità dell’Immacolata Concezione, la Parola di Dio nella prima lettura ci presenta il racconto delle conseguenze immediate del peccato dei progenitori: la rottura di ogni rapporto di amicizia tra l’uomo e Dio (“Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”), tra l’uomo e la donna (“La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”) e tra l’uomo e il creato (“Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”).
La conseguenza del peccato originale che si tramanda per ogni generazione, infatti, è l’inimicizia con Dio e la conseguente morte dell’anima, l’incapacità di vedere Dio come il Padre che ci ama al di là di ogni nostra immaginazione e i fratelli e il creato come un dono d’amore.

Il racconto della Genesi, però, si conclude con quello che viene chiamato il “proto-vangelo”: l’annuncio che la stirpe della donna avrebbe schiacciato il serpente antico. È quello che avviene in Maria che, in vista dei meriti di Cristo, è da Lui redenta fin dal grembo materno e quindi resa capace, con la sua obbedienza fiduciosa al progetto del Padre, di essere “aurora della redenzione”: colei attraverso la quale è giunto nel mondo il Redentore.
Va ricordato, infatti che la Grazia di Dio, di cui Maria è stata ricolmata, è anch’essa una “grazia di Cristo” (come ricorda la bolla di definizione. È la « grazia di Dio data in Cristo Gesù» - cfr. 1Cor 1, 4- , cioè il favore e la salvezza che Dio concede ormai agli uomini, a causa della morte redentrice di Cristo). Assumere questa prospettiva rende la vicenda di Maria straordinariamente significativa per noi, restituisce Maria alla Chiesa e all’umanità.
Prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, la categoria fondamentale con la quale si spiegava la grandezza della Madonna era quella del “privilegio” o dell’esenzione. Queste categorie, portate all’estremo, presentavano la Madre di Dio come una creatura in genere disincarnata e idealizzata che poco ha a che fare con le nostre quotidiane lotte. Qualcuno da venerare e contemplare, ma troppo distante da noi per potere essere un modello da imitare. Non ci si rendeva conto che, in questo modo, si dissociava completamente Maria da Gesù, che, pur essendo senza peccato, volle sperimentare a nostro vantaggio la fatica, il dolore, l’angoscia, la tentazioni e la morte.
Dopo il Vaticano II, la categoria fondamentale con la quale si parla  della santità unica di Maria non è più tanto quella del “privilegio”, quanto quella della fede. Maria ha camminato, anzi ha “progredito” nella fede (Lumen Gentium 58). Questo, anziché diminuire, accresce a dismisura la grandezza di Maria. Lei è colei che liberamente e per fede ha aderito al progetto di Dio; un progetto singolarissimo che le ha chiesto più che a ogni altra creatura.

Ma cosa dice a noi, per la nostra salvezza, il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria? Il prefazio della solennità ci presenta Maria come “avvocata di grazia e modello di santità”. Se è modello, allora siamo chiamati ad imitarla. L’opera redentrice di Cristo che ci raggiunge nei sacramenti, infatti,compie in noi ciò che ha operato in Maria fin dal concepimento: Maria è immacolata fin dal grembo materno, noi diventiamo immacolati con il battesimo.
A differenza di Maria, però, raramente noi siamo docili alla volontà di Dio e corrispondiamo pienamente alla Grazia di Cristo. Facilmente, invece, ci rendiamo colpevoli con i nostri peccati volontari (mai compiuti da Maria) e non aderiamo al progetto d’amore del Padre.

Per questo il Signore, che, come ci ricorda S. Paolo oggi nella seconda lettura, ci vuole “santi e immacolati di fronte a lui nella carità”, ha istituito il sacramento della riconciliazione: se ben celebrato (con un vero pentimento e un sincero proposito di non peccare più), la confessione ci restituisce la santità battesimale. Sta a noi decidere si sprecare tali doni d’Amore o piuttosto impegnarci a a corrispondere alla grazia di cui Dio vuole colmarci e compiere la volontà del Padre nella nostra vita.
Guardando a Maria “tota pulchra” (“tutta bella”), ricolma di ogni virtù e senza alcuna macchia di peccato, la Chiesa tutta e ogni singolo battezzato può oggi contemplare ciò che il Signore vuole fare con ciascuno di noi e con la Chiesa nel suo insieme: un capolavoro di Santità.
Contemplando Maria, la nostra madre immacolata, anche noi impegniamoci ogni giorno per dire a Dio la nostra risposta di obbedienza fiduciosa: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Fra Marco.