sabato 28 dicembre 2019

La Santa Famiglia

«Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita. Chi onora sua madre è come chi accumula tesori.» (Sir 3, 3-7.14-17)

«… rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto … La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori.» (Col 3,12-21)

«Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Mt 2,13-15.19-23)

La liturgia della Parola della festa della santa Famiglia ci mostra come la Luce, la Pace e la Gioia, portati da Gesù con la sua nascita, si realizzano nella famiglia, nucleo fondamentale della Chiesa.
Il Vangelo di oggi, infatti, ci presenta la famiglia di Nazareth. Scopriamo subito che è una famiglia “esperta nel soffrire” (come la definisce l’inno delle Lodi mattutine), una famiglia perseguitata, che deve scappare e vivere da straniera in Egitto (il luogo biblico della schiavitù e oppressione). La Pace che viene a portare Gesù, infatti, non è assenza di tribolazioni, ma una capacità di affrontarle con la comunione animata dall’Amore; quell’amore che vince il mondo e che riempie di una forza invincibile.
Sappiamo da fonti storiche che il re Erode era un tiranno che non tollerava concorrenza al suo dominio arrivando per questo a sterminare la sua stessa famiglia. Nella parte del vangelo che questa domenica è omessa, è narrata la “strage degli innocenti” perpetrata dal re pur di eliminare Colui che è visto come concorrente del suo dominio. Purtroppo anche oggi continua la strage degli innocenti. Penso a tutti quei bambini sacrificati agli idoli dell'egoismo e del "progresso". Ai tanti bambini non nati; ai tanti uccisi dalle guerre; a quelli uccisi perché malati (penso alla eutanasia infantile approvata nel modernissimo nord Europa). Quanti innocenti sacrificati al nostro egoismo, alla nostra egolatria alla nostra pretesa di benessere!
La Famiglia è oggi osteggiata e messa in pericolo; non solo quella di Nazareth, ma le nostre famiglie, anzi l’istituzione famiglia. Oggi tante condizioni socioeconomiche minacciano la famiglia fin dal suo nascere: si ha sempre più paura di sposarsi e fare figli. La famiglia, inoltre, è minacciata dall’ “Erode” che è in noi, dal nostro egocentrismo elevato a sistema, divenuto individualismo ed edonismo. Oggi il piacere individuale, lo “stare bene”, è divenuto l’unico criterio delle scelte della nostra vita. Spinti da questa esigenza (che ha la sua legittimità, ma non va assolutizzata) , però, facciamo spesso scelte che ci rovinano la vita e, inseguendo un miraggio, soffriamo e siamo causa di sofferenza: quante famiglie rovinate perché si proietta nell’altro la causa della propria insoddisfazione! Oltre a tutto ciò, una legislazione che non tiene conto del dato oggettivo della natura sembra volere equiparare qualunque relazione affettiva (finanche quella col proprio animale domestico!) a famiglia; in tal modo svuotano di significato i concetti di amore e di famiglia: se tutto è famiglia, niente è famiglia! Non possiamo accettare supinamente tutto ciò, siamo chiamati a testimoniare il valore della famiglia.
Il Vangelo oggi ci presenta il modo principale per salvare la famiglia: l’obbedienza alla Parola di Dio. Giuseppe non esita un istante a mettere in pratica il comando dell’angelo. Non si cura dei sacrifici che questo comporterà e, in obbedienza, si mette in cammino. Anche per noi il modo per salvare la famiglia resta l’obbedienza alla Parola di Dio.
Ritengo che all’interno del matrimonio penso sia normale, dopo qualche anno (speriamo tanti), che passi l’entusiasmo iniziale; il rapporto si evolve: non c’è più la “fiamma viva” degli inizi, ma è importante che questo fuoco sia curato e alimentato perché diventi “brace ardente”:  la paglia brucia in fretta e con poco calore, è il carbone ardente che è capace di durare a lungo e dare calore.
Nella seconda lettura di oggi San Paolo ci dà qualche insegnamento per curare questa fiamma: rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri. Gli atteggiamenti che l’apostolo ci descrive, mettono l’altro al centro, ci fanno uscire dal nostro individualismo proiettandoci fuori di noi.
Vorrei sottolineare l’invito alla sopportazione e sottomissione reciproca. Oggi il termine ha assunto generalmente un’accezione negativa, ma in realtà sopportare significa “mettersi sotto (sotto-mettersi) per sorreggere/portare”. Altrove Paolo invita a “portare i pesi gli uni degli altri” (cfr. Gal 6,2). È normale che l’altro, proprio perché tale, in alcuni momenti sia per me un peso, mi “pesti i piedi” (e più si è vicini, più questo è facile); ma dobbiamo ricordare che anche a noi capita di “pestare i piedi” dell’altro. Ciascuno di noi ha bisogno che gli si usi misericordia, che si abbia pazienza con lui. È per questo motivo che l’Apostolo ci rimanda al fatto che siamo perdonati da Dio per motivare l’esigenza del perdono reciproco. Tutto questo va fatto non con rassegnazione, ma con Carità, con quell’amore che solo è capace di farci uscire da noi. Quest’amore, però, va custodito, coltivato, curato. Per questo Paolo ci invita alla frequente relazione con la Parola, la verità di Dio su noi, che meditata e pregata assieme diventi il collante delle nostre diversità.
Un’ultima sottolineatura voglio farla sulla gratitudine: non stiamo a ricordare ciò che di male abbiamo subito, ma coltiviamo la gratitudine verso il Signore e verso l’altro per ciò che di bello ci hanno donato. Fin dai primi giorni del suo pontificato Papa Francesco ci ha esortati a usare tre parole, tre atteggiamenti nella famiglia: permesso, grazie, scusa. Usiamo la delicatezza di chiedere permesso a chi ci sta accanto per non essere invadenti ed irruenti, per rispettare la sua alterità. Ringraziamo per il bene che riceviamo: non diamo nulla per dovuto. Impariamo a chiederci scusa: non lasciamo questioni insolute e non tramonti il sole sui nostri dissidi.
Preghiamo insieme perché ogni famiglia trovi la forza di vivere ogni giorno l’Amore vero che viene da Dio e, superando le difficoltà che la vita non risparmia a nessuno, costruisca ogni giorno la comunione e la pace.
Fr. Marco

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