«Si rallegrino il
deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa.» (Is 35,1-10)
«Siate costanti,
fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli
aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le
prime e le ultime piogge … Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per
non essere giudicati» (Gc 5, 7-10)
«“Sei tu colui che
deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù rispose loro: “Andate e
riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli
zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti
risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova
in me motivo di scandalo!”». (Mt 11, 2-11)
La Parola di Dio della terza Domenica di Avvento ci invita a
rallegrarci. Questa domenica, infatti è detta domenica “gaudete” dalla prima
parola dell’antifona d’ingresso («Rallegratevi
sempre nel Signore …»). Siamo, quindi, invitati a ravvivare la nostra
speranza: il Signore è vicino.
Ecco il motivo per cui la pagina evangelica sottolinea la
piena realizzazione delle attese messianiche presentate dalla prima lettura: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi
camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai
poveri è annunciato il Vangelo. Gesù afferma il suo essere il Messia atteso
portando a testimonianza le opere che compie. Non va passata sotto silenzio,
però, la beatitudine per chi non si scandalizzerà: Gesù è il Messia e realizza
ciò che avevano annunciato i profeti; non si presenta, tuttavia, come re
condottiero e vittorioso, ma come un Messia mite che viene a donare la salvezza
manifestando la paternità di Dio.
Oltre che a rallegrarci, questa domenica, come su accennato,
siamo invitati a ravvivare la nostra speranza, la nostra attesa, a farci
coraggio, a prendere esempio dal contadino che sa attendere i frutti a suo
tempo. Come direbbe papa Francesco, non lasciamoci rubare la speranza e con
essa il nostro futuro.
Purtroppo ritengo che la società abbia perso il senso
dell’attesa e della speranza: non ci si attende più nulla, il futuro appare
come un vuoto che fa paura. Siamo disillusi, viviamo un presente disancorato da
ogni attesa futura e quindi spesso senza senso. I nostri giovani (anche a causa
di oggettive condizioni di precarietà) non sono più capaci di progettare o di
sperare un futuro. Ciò che è peggio, però, è che non trovano più le forze per
costruirlo questo futuro. Si accontentano di vivere un presente a cui manca il
gusto e la pienezza perché vissuto senza speranza. La società dei consumi ci ha
abituato a “tutto e subito” e ci troviamo incapaci di attendere, di desiderare.
Il mito del “super uomo”, inoltre, ci ha convinti che dobbiamo salvarci da
soli. Tutto ciò ci ha reso delusi, disillusi, sempre insoddisfatti e pronti a
lamentarci di tutto e tutti.
Proprio in questo contesto di “deserto e terra arida”
risuona l’invito di Isaia: rallegratevi, fatevi coraggio, non lasciatevi
paralizzare dalla paura. Un invito a cui si associa S. Giacomo: siate costanti,
imparate dall’agricoltore a sapere aspettare i frutti, e a lavorare animati
dalla speranza. L’agricoltore, prepara il terreno, semina, irriga e attende.
Non si accontenta del suo sacco di frumento, ma semina in attesa del più
abbondante raccolto.
Facciamoci coraggio,
allora, e ricominciamo a rallegrarci e a sperare. Per esercitarci in questo
atteggiamento, S. Giacomo oggi ci da un consiglio molto pratico: smettiamo di
lamentarci!
Fra Marco
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