giovedì 31 dicembre 2020

Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.


 « … porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (Nm 6, 22-27)

«Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.» (Gal 4,4-7)

«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.» (Lc 2,16-21)

​Oggi, primo giorno dell’anno, che per Volere di S. Paolo VI è anche la giornata mondiale della Pace,  la Chiesa celebra la solennità di Maria santissima Madre di Dio. La Parola di Dio di questa solennità si apre con la benedizione del Signore che, attraverso la sua santissima Madre, fa splendere il suo volto sui suoi consacrati. Trovo veramente confortante che l’anno civile si concluda e si apra nel segno della benedizione del Signore: il tempo, tutto il nostro tempo, è un dono del Padre ed è sotto la Sua benedizione!

In questo ottavo giorno dopo il Natale, inoltre, la pagina evangelica ci conduce ancora una volta, insieme ai pastori, davanti la mangiatoia in cui è adagiato Gesù, il principe della Pace, che viene nel fragile segno di un bambino. Come i pastori, anche noi, siamo invitati a lasciarci prendere dallo stupore.

Forse oggi abbiamo perso la capacità di stupirci: assistiamo continuamente e con atteggiamento indifferente alle più alte manifestazioni di grandezza della nostra umanità e alle più abbiette miserie del genere umano. La globalizzazione ci ha anestetizzati di fronte a grandi scoperte e immani tragedie. La Parola di oggi ci invita a riscoprire il sentimento di stupore che prese i pastori dinanzi la gloria di Dio manifestata nel bambino Gesù. Come i pastori, fidiamoci del Signore e lasciamo che continui a meravigliarci, a mostrarci le sue meraviglie!

Per poterci stupire, però, è importante apprendere l’atteggiamento di Maria che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore»:  meditava la povertà della stalla, la visita dei pastori mandati da un angelo, il canto delle schiere celesti degli angeli. Meditava soprattutto il mistero del suo figlio, Dio fatto uomo ed era consapevole della sua divina maternità. Quel bambino piccolo, debole e bisognoso di tutto era il suo Dio ed era suo figlio! L'infinita tenerezza della maternità di Maria è un riflesso della paternità di Dio.

Iniziando un nuovo anno civile,  oggi impariamo, inoltre, dalla nostra santissima Madre a mettere Gesù al centro della nostra vita. Maria, infatti, in quanto Madre di Dio, è costantemente rivolta al Figlio con lo sguardo, il pensiero, il cuore e tutta se stessa. Ha contemplato Gesù fin dalla sua nascita in costante atteggiamento di stupore e di adorazione.

Credo sia bello oggi pregare il Signore, con le parole di quella che forse è la più antica preghiera mariana (III sec.), perché ci conceda la pace per intercessione della Madre di Dio: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.

Alla materna intercessione di Maria affidiamo tutte vittime del Covid-19; gli operatori sanitari; le vittime delle catastrofi naturali, terremoti, incendi, alluvioni;  le vittime della violenza e dell'odio, specialmente i cristiani vessati, sradicati, perseguitati e uccisi. Guidati dalla Parola e resi figli nel Figlio, lasciamoci raggiungere dalla benedizione divina e, affidandoci al Cristo Signore cui appartengono i giorni i secoli e il tempo, lasciamo che il Suo volto risplenda attraverso di noi perché il mondo conosca quella Pace vera che il Signore è venuto a portare. Auguri di un Buon 2021.
Fr. Marco

sabato 26 dicembre 2020

La famiglia, "scultura vivente capace di manifestare Dio"

 


«Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande» (Gen 15,1-6; 21,1-3)

«Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso.» (Eb 11,8.11-12.17-19)

«Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore” – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.» (Lc 2,22-40)

Nella festa della Santa Famiglia​, il Vangelo ci presenta il nucleo fondamentale della Chiesa: la famiglia secondo il progetto del Padre.

Il primo dato che emerge è l’obbedienza alla Legge del Signore: la consacrazione al Signore del figlio primogenito e la purificazione rituale della Madre. L’altro dato, che apprendiamo dalle parole del giusto Simeone, è che neanche a Maria Santissima, la benedetta fra le donne, verrà risparmiata la sofferenza: « … anche a te una spada trafiggerà l’anima». L’inno delle Lodi mattutine, inoltre, definisce la sacra famiglia “esperta nel soffrire”. La prima conclusione che possiamo trarre, allora, è che la Pace che viene a portare Gesù non è assenza di tribolazioni, ma la capacità di affrontarle con l’obbedienza fiduciosa animata dall’Amore; quell’amore che vince il mondo e che riempie di una forza invincibile.

È proprio l’obbedienza fiduciosa a cui corrisponde la fedeltà di Dio, la tematica fondamentale che attraversa le letture di oggi. La prima e la seconda lettura, infatti, ci presentano la figura di Abramo che obbedisce e si mette in cammino per strade sconosciute e, proprio quando pensa di avere perso tutto, fa l’estremo atto di fiducia (credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia) e riceve quella discendenza che umanamente gli era preclusa.

È nella famiglia obbediente al progetto di Dio, nella comunione d’amore che si apre alla fecondità, che si manifesta la fedeltà di Dio all’uomo; quella fedeltà che diventa speranza di un futuro e pienezza di vita. Oggi, però, la crisi economica e le tendenze sociali e politiche minacciano la famiglia fin dal suo nascere tanto che si ha sempre più paura di sposarsi e fare figli. L’avere esteso il concetto di famiglia tanto che perfino un uomo e il suo cane o addirittura un uomo e la sua bambola gonfiabile (un esempio del 1 dicembre scorso è Yuri Tolochko) hanno la pretesa di essere definiti “famiglia”, ha svuotato di senso il termine stesso

Slogan pubblicitari come: “Tutto attorno a te!”, “Tu vali!” ecc., inoltre, sono spie di una cultura edonistica in cui il piacere individuale, lo “stare bene”, è divenuto l’unico criterio delle scelte della nostra vita. Spinti da questa esigenza (che, nei giusti limiti, ha la sua legittimità), facciamo spesso scelte che ci rovinano la vita: inseguiamo un miraggio, magari convinti che “quest’uomo”, “questa donna” o finanche “questo figlio” sono la causa del malessere. Alla fine soffriamo e siamo causa di sofferenza. Quanti innocenti sacrificati al nostro egoismo, alla nostra egolatria alla nostra pretesa di benessere!

La Parola di Dio di oggi ci presenta il modo per salvare la famiglia: l’obbedienza fiduciosa che si mette in cammino, non confidando sulle proprie forze e nelle proprie certezze, ma sull’obbedienza alla Parola.

È nella famiglia, infatti, come ci ricorda Papa Francesco, nell’enciclica Amoris Laetitia, che si riscopre l’autentica immagine di Dio: «I due grandiosi capitoli iniziali della Genesi ci offrono la rappresentazione della coppia umana nella sua realtà fondamentale. In quel testo iniziale della Bibbia brillano alcune affermazioni decisive. La prima, citata sinteticamente da Gesù, afferma: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (1,27). Sorprendentemente, l’“immagine di Dio” ha come parallelo esplicativo proprio la coppia “maschio e femmina”. […] Si preserva la trascendenza di Dio, ma, dato che è al tempo stesso il Creatore, la fecondità della coppia umana è “immagine” viva ed efficace, segno visibile dell’atto creatore. La coppia che ama e genera la vita è la vera “scultura” vivente (non quella di pietra o d’oro che il Decalogo proibisce), capace di manifestare il Dio creatore e salvatore. Perciò l’amore fecondo viene ad essere il simbolo delle realtà intime di Dio […] In questa luce, la relazione feconda della coppia diventa un’immagine per scoprire e descrivere il mistero di Dio, fondamentale nella visione cristiana della Trinità che contempla in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore. Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente.» (AL 10-11).

Contemplando la santa Famiglia di Nazareth siamo spinti a cercare il criterio del successo della vita familiare nell’obbedienza alla Parola, nel continuo superamento del nostro egoismo, nell'esercizio dell'amore. Un amore che ben conosce il sacrificio personale, la spada che ti trapassa l'anima. La profezia di Simeone a Maria si avvererà sotto la croce, dove Maria, stava, in piedi, a nome di tutta l'umanità.

Quest’oggi, allora, preghiamo insieme perché ogni famiglia trovi la forza di vivere ogni giorno l’Amore vero che viene da Dio e, superando le difficoltà che la vita non risparmia a nessuno, costruisca ogni giorno la comunione e la pace.

Fr. Marco

giovedì 24 dicembre 2020

A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio


 «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”.» (Is 52,7-10)

«Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.» (Eb 1,1-6)

«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,1-18)

Celebrando la solennità del Natale, siamo invitati a gioire perché è avvenuto l’impossibile: il Verbo si è fatto Carne, l’Eterno è entrato nel tempo, Dio si è fatto uomo; il Creatore si è fatto creatura nel grembo della Vergine per fare di noi, sue creature, figli di Dio. Contemplando il fragile segno del Bambino posto nella mangiatoia, quindi, esultiamo di gioia. Una gioia, però che purtroppo non raggiunge tutti.

Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. Ad accoglierlo, lo abbiamo sentito nella liturgia della messa della notte, sono solo i pastorelli che vegliavano le greggi. I “grandi della terra” non si accorgono nemmeno della sua venuta. “I suoi”, il popolo di Dio, hanno smesso di attendere e non si accorgono di lui. Tra qualche giorno, inoltre, scopriremo che, tutt’altro che accoglierlo, “i suoi” vogliono eliminarlo.

Non c’era posto per loro nell’alloggio, così abbiamo sentito stanotte. Maria e Giuseppe sono costretti a trovare rifugio in una stalla e la prima culla del Figlio Eterno del Padre fatto uomo è una mangiatoia. Il mondo non lo ha riconosciuto e purtroppo ancora non lo riconosce. Quanti festeggiano un natale senza senso, un natale in cui non nasce nessuno, in cui non c’è Gesù!

A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Il Figlio eterno del Padre è venuto a renderci figli! Non solo creature, ma figli, capaci di riconoscere il Padre e di entrare in relazione con Lui. Cosa significa accogliere il Verbo Eterno fatto uomo? Significa riconoscerlo Dio, Signore della nostra vita e vivere sotto la Sua signoria; significa ascoltare la Sua Parola e fare la Sua Volontà. Se accolgo Gesù come Signore, è evidente che non sono più io il signore della mia vita e sicuramente non sono il signore di quanti mi stanno accanto. Ecco perché è così difficile accoglierlo: l’uomo figlio di Adamo, vuole essere signore, vuole dominare, vuole decidere ciò che è bene e ciò che è male … e così facendo si rovina la vita. Essendo solo una creatura, infatti, non può donarsi la vita. Le sue scelte senza Dio, che è la Vita, non possono che essere scelte di morte.

A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Il Battesimo, conformandoci a Cristo, ci rende figli di Dio. Una volta questo sacramento, celebrato da adulti, era frutto di una scelta consapevole alla quale ci si preparava per anni: davvero si accoglieva Gesù come Signore. Oggi, con il Battesimo dei bambini amministrato in una società anticristiana, spesso ci si ritrova cristiani senza esserlo mai diventati.

Diventare Figli di Dio. In relazione d'Amore col Padre. Con la serena consapevolezza di avere un Padre che provvede a noi. Sapendo che dove non arriviamo noi, arriva il Padre. Con la certezza che la nostra vita è nelle mani del Padre e che alla fine sarà il Suo abbraccio ad accoglierci.

Accogliamo, allora, il Verbo Eterno, la Parola di Dio che si fa carne; riconosciamo, con i fatti e nella verità, Gesù come Signore della nostra vita per sperimentare la gioia di essere figli di Dio. Buon Natale del Signore.

Fr. Marco

venerdì 18 dicembre 2020

Nulla è impossibile a Dio!


« … Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. … io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio”.» (2Sam 7,1-5.8-12.14.16)

«Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo, … a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.» (Rm 16,25-27)

​«Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.» (Lc 1, 26-38)

la Parola di Dio della quarta domenica di Avvento ci fa contemplare la figura di Maria, la madre di Gesù attraverso la quale il Signore realizza le Sue promesse a Davide e inizia la Sua opera di redenzione.

Dio è fedele e mantiene le sue promesse, è questo ciò che la Liturgia della Parola di oggi vuole sottolineare. Perché si compiano le meravigliose opere di Dio, però, alla Sua fedeltà deve corrispondere l’obbedienza della nostra fede (II lettura). Solo così, nonostante la nostra piccolezza, il Signore potrà operare grandi cose in noi e attraverso di noi: nulla è impossibile a Dio.

La pagina evangelica di oggi ci presenta Maria come modello di una fede che diventa disponibilità operosa. La prima cosa che sentiamo dire di Maria nel Vangelo è che rimase turbata. Maria conosce le Scritture e si meraviglia si sentirsi appellare come la figlia di Sion (Sof 3,14-15 e Zc 2,14) espressione che racchiude il Popolo dell’alleanza in attesa del Messia. Trovandosi alla presenza dell’angelo Gabriele (“forza di Dio”) che manifesta la potenza del Santo dei Santi, inoltre, prende coscienza della propria piccolezza e indegnità. Certo, Maria, concepita immacolata, non era consapevole di peccato alcuno; ciò non toglie, tuttavia, che sperimentando la presenza di Dio percepisca la propria piccolezza e ne resti turbata. Il turbamento, inoltre, è caratteristica comune di tutte le particolari vocazioni nella Scrittura: il chiamato si meraviglia che il Signore abbia posato lo sguardo proprio su di lui e sulla sua piccolezza; si sperimenta indegno della grazia ricevuta ed ha quel santo “timor di Dio” che non è la paura di Dio, ma il timore di non corrispondere pienamente all’amore di cui ci si vede colmati; il timore di rattristare un così eccelso amante.

Soffermandoci ad osservare meglio il versetto evangelico, infatti, notiamo che Maria «rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto». «Rallegrati, riempita della grazia». Così l’aveva salutata l’Angelo riferendosi alla singolarissima Grazia che Dio le aveva concesso. È proprio la consapevolezza della Grazia ricevuta a suscitare in Maria il turbamento, il “timor di Dio”.

Anche noi nei sacramenti veniamo colmati dalla Grazia di Dio. Lui stesso vivo e vero viene in noi. Impariamo dalla nostra santissima madre come corrispondere a questa Grazia. Dinanzi all’amore di cui si vede colmata, Maria, sa abbandonarsi ad un’obbedienza umile e fiduciosa: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». La Madre ci mostra in tal modo la prima cosa da fare in risposta alla Grazia: fidarsi, e lasciare che il Signore compia la Sua opera in noi e per mezzo nostro; donare la nostra disponibilità operosa.

L’atteggiamento immediatamente successivo in risposta alla Grazia di Dio, è di “rendere grazie”. È ciò che ci invitava a fare la Parola già domenica scorsa, un appello continuo del tempo di Avvento. Alla Grazia di Dio deve far seguito il grazie dell’uomo. Rendere grazie non significa restituire il favore o dare il  contraccambio. Chi potrebbe dare a Dio il contraccambio di qualcosa? Ringraziare significa piuttosto riconoscere la grazia, accettarne la gratuità. Ringraziare significa accettarsi come debitori, come dipendenti; lasciare che Dio sia Dio. Ed è quello che Maria ha fatto con il Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore …, perché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente».

Nell’atteggiamento del rendimento di grazie, infine, è implicita l’attenzione a non sprecare il dono ricevuto: significherebbe svalutare il dono e offendere il donatore. Facciamo attenzione allora a non sprecare la Grazia che il Signore ci dona nei suoi sacramenti: viviamoli con la giusta consapevolezza e preparazione.

Ormai prossimi alla solennità del Natale, disponiamoci, sull’esempio di Maria Santissima, ad accogliere la Grazia. Prepariamoci seriamente alla celebrazione dei sacramenti, viviamoli consapevolmente e impegniamoci, per quanto è possibile, a corrispondere con l’obbedienza della fede all’Amore di cui siamo stati colmati. La nostra piccolezza non ci spaventi: nulla è impossibile a Dio.

Fr. Marco.

sabato 12 dicembre 2020

Voce di uno che grida nel deserto: il Signore è vicino!

«Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri …» (Is 61,1-2.10-11)

«Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.» (1Ts 5,16-24)

«Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: “Tu, chi sei?”. Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo. … Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa”» (Gv 1,6-8.19-28)

La liturgia della terza domenica di Avvento, domenica Gaudete, si apre con l’invito, espresso nell’antifona di ingresso: «Rallegratevi sempre nel Signore … »; è lo stesso invito che per tutto il tempo di Avvento ci siamo sentiti rivolgere nella lettura breve dei secondi vespri della domenica. Anche il motivo per cui rallegrarci è lo stesso: il Signore è vicino.

La liturgia della Parola di questa domenica, inoltre, attraverso i due “testimoni dell’Avvento”, il profeta Isaia e Giovanni il Battista, ci mostra ancora meglio il motivo per cui rallegrarci. Nella prima lettura, infatti, il profeta Isaia ci presenta la venuta del Signore come il lieto annuncio rivolto ai miseri, un tempo di grazia e di liberazione per quanti hanno il cuore spezzato o sono schiavi. È il tempo della liberazione e della consolazione, è tempo in cui siamo raggiunti dall’amore misericordioso di Dio. Per questo è tempo di gioia vera ed autentica.

Nel Vangelo, Giovanni il Battista, interrogato dai Giudei, dichiara che il suo compito è quello di parlare a favore della Luce e annuncia la Misericordia di Dio che viene nel mondo: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Dio è pieno di amore misericordioso per tutta l'umanità, lo dice il suo stesso nome, Giovanni cioè Dio fa grazia, e il padre, Zaccaria, lo canta nei secoli col suo Benedictus. Ecco il motivo per rallegrarsi.

La Parola di oggi, però, ci dà anche alcune indicazioni, per potere essere raggiunti dalla misericordia di Dio ed essere sempre lieti, come ci esorta a fare la seconda lettura.

In ogni cosa rendete grazie … ​La prima indicazione la trovo proprio nel brano tratto dalla prima lettera ai Tessalonicesi. Credo sia fondamentale coltivare il senso di gratitudine, concentrarsi sugli innumerevoli doni che il Signore continuamente ci fa, per evitare che il maligno avveleni la nostra vita e ci tolga la gioia. In quest’ultima parte dell’Avvento, allora esercitiamoci nel ringraziare. Ringraziamo spesso e volentieri il Signore, ma ricordiamoci di ringraziarci spesso a vicenda.

«Io non sono il Cristo … a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». L’altro fondamentale atteggiamento che ci permette di partecipare alla gioia messianica lo troviamo nel Vangelo ed è l’umiltà di Giovanni. L’umiltà infatti è la verità di noi stessi. Non lo sminuirci, ma il riconoscere ciò che siamo ed i nostri limiti. Troppo spesso, invece, ci costruiamo un’idea troppo alta di noi stessi (Cfr. Rm 12,16) e ci affanniamo per mantenerla dinanzi a noi e al mondo. Spesso questa fatica e gli inevitabili fallimenti di questi sforzi ci tolgono la gioia. Io non sono il Cristo. Quanto è liberante ricordarmi che non sono io il Salvatore del mondo! Il mondo è già stato salvato. Gesù Cristo è il Signore della Storia e, se glielo lascio fare, è capace di condurre la mia vita e quella dei miei fratelli a pienezza. Io ho le mie responsabilità, il mio compito, ma Io non sono il Cristo.

Pregate ininterrottamente.  Quest'ultima indicazione dataci da s. Paolo, infine, compendia entrambe le condizioni su esposte: siamo invitati a pregare ringraziando continuamente il Signore per i suoi innumerevoli doni. Consapevoli dei nostri limiti, però, siamo anche invitati a pregare per chiedere al Signore di intervenire in quelle situazioni che superano le nostre possibilità. 

Rallegriamoci, allora, nel Signore, lasciamoci possedere dalla gioia messianica liberandoci con la gratitudine dal veleno dell’invidia e della cupidigia; accogliendo umilmente i nostri limiti confidiamo nel Signore che viene a donarci la Gioia piena. Così facendo, saremo anche noi, come Giovanni, testimoni della presenza del Signore.

Fr. Marco

lunedì 7 dicembre 2020

In lui ci ha scelti per essere santi e immacolati


«Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,9-15.20)

«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,3-6.11-12)

«Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te … Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.» (Lc 1,26-38)

Rallègrati, piena di grazia. Il saluto angelico, richiamato dalla bolla di definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, Ineffabilis Deus (8/12/1854), presenta Maria come destinataria della pienezza del favore divino, ma anche come piena di quella grazia e bellezza che è la santità, la conformità al progetto di Dio. Non a caso la Chiesa chiama Maria “tutta bella” (tota pulchra) con le parole del Cantico (cfr. Ct 4, 1).

In Maria questa grazia, consistente nella santità, ha una caratteristica che la pone al di sopra della grazia di ogni altra persona, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento: è una grazia incontaminata. La Chiesa cattolica esprime ciò con il titolo di «Immacolata» e quella Orientale con il titolo di «Panaghìa» (Tutta santa). L’una mette più in risalto l’elemento negativo della grazia di Maria, che è l’assenza di ogni peccato anche di quello originale; l’altra mette più in risalto l’elemento positivo, cioè la presenza in lei di tutte le virtù e di tutto lo splendore che da ciò promana.

Parlando del titolo “piena di grazia” dato dall’angelo a Maria, però, dobbiamo ricordare che tale grazia di Dio, di cui Maria è stata ricolmata, è anch’essa una “grazia di Cristo” (come ricorda la bolla di definizione). È la « grazia di Dio data in Cristo Gesù» (cfr. 1Cor 1, 4), cioè il favore e la salvezza che Dio concede ormai agli uomini, a causa della morte redentrice di Cristo.
Assumere questa prospettiva rende la vicenda di Maria straordinariamente significativa per noi, restituisce Maria alla Chiesa e all’umanità.

Prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, la categoria fondamentale con la quale si spiegava la grandezza della Madonna era quella del “privilegio” o dell’esenzione. Si pensava che Maria fosse stata esentata non solo dal peccato originale e dalla corruzione, ma si arrivava anche a pensare che fosse stata esentata dai dolori del parto, dalla fatica, dal dubbio, dalla tentazione, dall’ignoranza e, infine, anche dalla morte vista come conseguenza del peccato. Non ci si rendeva conto che, in questo modo, si dissociava completamente Maria da Gesù, che, pur essendo senza peccato, volle sperimentare a nostro vantaggio la fatica, il dolore, l’angoscia, la tentazione e la morte. Le categorie del privilegio e dell’esenzione, portate all’estremo, presentavano la Madre di Dio come una creatura che poco ha a che fare con le nostre quotidiane lotte. Qualcuno da venerare e contemplare, ma troppo distante da noi per potere essere un modello da imitare.

Dopo il Vaticano II, la categoria fondamentale con la quale si parla  della santità unica di Maria è quella della “Fede”. Maria ha camminato, anzi ha “progredito” nella fede (Lumen Gentium 58). Questo, anziché diminuire, accresce a dismisura la grandezza di Maria. Lei è colei che liberamente e per fede ha aderito al progetto di Dio; un progetto singolarissimo che le ha chiesto più che a ogni altra creatura. Di Gesù, nel Nuovo Testamento, si dice che noi «non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4, 15); e che, «pur essendo figlio, egli imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5, 8). Fatte le debite proporzioni, queste parole si applicano anche a Maria che si è fatta perfetta discepola del Figlio; potremmo dire, addirittura, che esse costituiscono la vera chiave di comprensione della sua vita.

Come Gesù imparò l’obbedienza, cioè la esercitò e crebbe in essa grazie alle cose che patì, così anche Maria imparò la fede e l’obbedienza; crebbe in esse grazie alle cose che patì, sicché noi possiamo dire di lei, con tutta fiducia: non abbiamo una madre che non sappia compatire le nostre infermità, la nostra fatica, le nostre tentazioni, essendo stata ella stessa provata in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato.

In lui ci ha scelti … per essere santi e immacolati di fronte a lui. come ci ricorda S. Paolo nella seconda lettura di oggi, anche noi siamo stati scelti per essere immacolati. Come è avvenuto per Maria Santissima, infatti, anche noi siamo stati riempiti della Grazia di Cristo; anche noi, per i meriti di Cristo, siamo stati resi immacolati. Maria “per singolare privilegio” è stata preservata da ogni peccato fin dal concepimento; noi siamo stai purificati da ogni peccato e rivestiti di Cristo nel Battesimo, che ci ha resi immacolati, e riceviamo Cristo vivo e vero nella Comunione. Ciò che per nostra disgrazia ci fa differenti da Maria è il modo in cui noi corrispondiamo alla pienezza della Grazia che viene a noi nei sacramenti. Maria corrispose pienamente alla Grazia e disse sempre il suo Sì al progetto d’amore del Padre. Noi, per nostra disgrazia, spesso diciamo no …

Ciò detto, perché la solennità odierna non sia solo la celebrazione di qualcosa che non ci tocca, siamo chiamati a lasciarci plasmare dal mistero che celebriamo perché il Padre possa realizzare anche in noi il Suo progetto d’Amore. Guardiamo allora alla nostra santissima Madre: Maria è madre e forma, stampo in cui plasmarci. Da dove iniziare? Da una contemplazione che diventa desiderio di imitazione, di fare, credere e amare come lei.

 Fr. Marco (rileggendo R. Cantalamessa, Maria uno specchio per la Chiesa)

venerdì 4 dicembre 2020

Ecco, il Signore Dio viene con potenza

«Consolate, consolate il mio popolo … Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede» (Is 40,1-5.9-11)

« … Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia.» (2Pt 3,8-14)

«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Mc 1,1-8)

Consolate. È questo l'imperativo che caratterizza la seconda domenica di Avvento. Quello che oggi la Parola ci comunica è un messaggio di consolazione: nelle fatiche della vita, nelle difficoltà che quotidianamente siamo chiamati ad affrontare, siamo invitati a ricordare la consolante notizia che viene il Signore della Vita, Colui che si prende cura di ciascuno di noi. Perché questa venuta possa essere fonte gioia e consolazione, tuttavia, è necessario prepararci.

Domenica scorsa, prima domenica di Avvento, la Parola ci invitava all’attesa e alla vigilanza. Questa seconda domenica la liturgia dà un contenuto a questa vigilanza: siamo chiamati alla conversione, a preparare la via al Signore che viene.

Conversione, lo sappiamo bene, significa cambiare la direzione in cui va la nostra vita, ritornare sui nostri passi abbandonando la strada sbagliata che stiamo percorrendo. È quello che siamo chiamati a fare quest’oggi: lasciare le vie di peccato che ci portano in esilio, lontano dalla Vita, per ritornare al Signore.

La liturgia di oggi, però, ci parla anche di raddrizzare i sentieri, riempire i burroni e abbassare i monti. Conversione, infatti, significa anche questo: preparare la nostra vita ad accogliere il Signore che viene a darci la consolazione che attendiamo.

Guardando onestamente alla nostra vita, scopriamo quanto abbiamo bisogno di queste “grandi opere di ripristino”. Abbassare i monti del nostro orgoglio, colmare i fossi delle mancanze nei nostri doveri, raddrizzare le strade tortuose che stiamo percorrendo. Purtroppo, però, se siamo onesti con noi stessi dobbiamo anche prendere atto di non essere capaci di compiere queste opere. Ecco la buona notizia di questa domenica: sarà il Padre stesso, con la Sua Parola accolta nella nostra vita, a trasformare le nostre vie perché possiamo accogliere il Signore che viene.

Perché questa parola possa essere accolta e produca frutto nella nostra vita, tuttavia, siamo chiamati ad assumere l’atteggiamento di Giovani il Battista: l’attesa operosa e la disponibilità; l’intimità del deserto in cui sperimentiamo la presenza del Signore senza il quale non possiamo fare nulla.

Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. Condizione indispensabile perché la Parola venga accolta e produca frutto, è farle spazio rinunciando ad ogni pretesa di autosufficienza e riconoscendo la nostra piccolezza e il nostro bisogno di Dio. È necessario, quindi, anche entrare nel “deserto”, fare tacere i rumori del mondo per potere ascoltare il mormorio della brezza leggera, la Voce del Silenzio, che manifesta la Parola.

Solo dopo avere ascoltato la Parola ed averla lasciata operare in noi, come Giovanni, potremo svolgere la funzione profetica: rimanendo nel silenzio dell’ascolto (nel deserto) siamo chiamati anche noi a farci voce di questa Parola nell’invitare il mondo ad accogliere Colui che solo può donargli la consolazione, pace e la gioia di cui ogni uomo e donna è assetato.

Fr. Marco