lunedì 31 dicembre 2018

Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore


« … porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (Nm 6, 22-27)

«Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.» (Gal 4,4-7)

«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.» (Lc 2,16-21)

Il primo giorno dell’anno è stato dalla Chiesa consacrato alla solennità di Maria Santissima Madre di Dio: attraverso la sua santissima Madre, il Signore della Storia cui appartengono i giorni, i secoli e il tempo, fa splendere il Suo volto sui suoi consacrati. Ecco il motivo per cui la liturgia della Parola di questa solennità si apre con la benedizione del Signore. Per volere di Papa Paolo VI, inoltre, oggi si celebra la giornata mondiale della Pace.
Il Vangelo ci riporta ancora una volta, insieme ai pastori, davanti la mangiatoia in cui è adagiato Gesù, il principe della Pace, che viene nel fragile segno di un bambino. Anche noi, come i pastori, siamo invitati a lasciarci prendere dallo stupore. In una società come quella attuale dove sembra che niente possa più stupirci, dove assistiamo continuamente e con atteggiamento indifferente alle più alte vette del genere umano e alle più abbiette miserie della nostra umanità, siamo invitati a ricoprire il sentimento di stupore che prese i pastori dinanzi la gloria di Dio manifestata nel bambino Gesù. 
Come i pastori, riconosciamo l’opera del Signore nei fragili segni del tempo e lasciamo che continui a mostrarci le sue meraviglie! Perché questo possa avvenire, però, è importante apprendere l’atteggiamento di Maria che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore»:  meditava la povertà della stalla, la visita dei pastori mandati da un angelo, il canto delle schiere celesti degli angeli. Meditava soprattutto il mistero del suo figlio, Dio fatto uomo. Quel bambino piccolo, debole e bisognoso di tutto era il suo Dio ed era suo figlio! L'infinita tenerezza della maternità di Maria è un riflesso della paternità di Dio.
In questo giorno in cui inizia un nuovo anno civile, impariamo, inoltre, dalla nostra santissima Madre a mettere Gesù al centro della nostra vita. Maria, infatti, in quanto Madre di Dio, è costantemente rivolta al Figlio con lo sguardo, il pensiero, il cuore e tutta se stessa. Ha contemplato Gesù fin dalla sua nascita in costante atteggiamento di stupore e di adorazione. 
Quest’oggi, allora, con le parole di quella che forse è la più antica preghiera mariana (III sec.), siamo invitati a pregare il Signore perché ci conceda la pace per intercessione della Madre di Dio: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.
Alla protezione della Madre di Misericordia, come la invochiamo nel Salve Regina,  affidiamo tutte le vittime della violenza e dell'odio, specialmente i cristiani vessati, sradicati, perseguitati e uccisi.
Guidati dalla Parola e resi figli nel Figlio, lasciamoci raggiungere dalla benedizione divina e lasciamo che il Suo volto Misericordioso risplenda su di noi e attraverso di noi perché il mondo conosca quella Pace che il Signore è venuto a portare. Buon anno 2019!

Fr. Marco 

sabato 29 dicembre 2018

Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?


«Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, “perché – diceva – al Signore l’ho richiesto”». (1Sam 1,20-22.24-28)

«Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato […] Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui.» (1Gv 3,1-2.21-24)

«“Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”» (Lc 2,41-52)

Dopo averci presentato, nelle messe di Natale, Gesù come immagine dell’Amore Misericordioso di Dio che si fa Luce, la Parola di Dio della Solennità della Santa Famiglia, ci presenta come quest’Amore misericordioso si incarna nella quotidianità nel nucleo fondamentale della Chiesa che è la famiglia. Nel Vangelo, infatti, ci viene presentato uno scorcio di quotidianità della famiglia di Nazareth.
La prima cosa che emerge è che si tratta di una famiglia “esperta nel soffrire” (come la definisce l’inno delle Lodi mattutine), a cui non sono risparmiati i travagli e le angosce di ogni giorno. Nella pericope odierna del Vangelo di Luca, Maria e Giuseppe appaiono angosciati per lo smarrimento di Gesù. La liturgia del Natale ci presentava Gesù come principe di pace, la Pace che viene a portare Gesù, però, non è assenza di tribolazioni, ma la capacità di affrontarle in comunione con Lui e tra di noi. Una comunione animata dall’Amore che si accoglie da Dio e che ci permette di accoglierci reciprocamente come dono.
La liturgia della Parola di questa solennità, quest’anno evidenzia come tutto, perfino il dono fondamentale della vita, sia un dono da accogliere con gratitudine da Dio. È ciò che sottolinea la prima lettura presentandoci la gratitudine di Anna per il dono del figlio Samuele. I figli, infatti, sono un dono da impetrare e accogliere con gratitudine, non un diritto da pretendere; né tantomeno un “prodotto” da ordinare a pagamento!
Anche S. Giovanni, nella seconda lettura, manifestando lo stupore per il grande amore del Padre che ci ha resi suoi figli, ci orienta alla gratitudine per la liberalità di Dio. È nella categoria del dono, quindi, che siamo chiamati a leggere la nostra vita: un dono che abbiamo ricevuto e che a nostra volta offriamo ai fratelli. Per poterci comprendere come dono, però, è necessario che riconosciamo il Donatore, che diamo il giusto posto al Padre che ci ha amati fin dall’eternità ed ha progetti di salvezza per noi; infatti: noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.
È a questo riconoscimento che ci orienta il Vangelo in cui Gesù, dinanzi l’angoscia della Madre e di Giuseppe, sottolinea il primato del Padre: Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?
La Santa Famiglia di Nazareth, quindi, ci è presentata oggi come modello di ogni famiglia chiamata a mettere Dio al centro, ad accogliere il Suo amore, perché i membri della famiglia possano accogliersi l’un l’altro nella libertà senza possessi soffocanti o disinteresse deresponsabilizzante. Mettendo Dio al centro, “occupandosi delle cose del Padre”, ciascuno potrà scoprire pienamente se stesso e accogliere l’altro con l’amore autentico che fa crescere e libera.

Stava loro sottomesso. Obbedienti al Padre, sapremo allora essere “sottomessi” gli uni agli altri senza umilianti servilismi, ma in quell’autentico servizio d’amore che il Maestro è venuto a mostrarci come via regale per entrare nel Regno.
Impariamo dalla sacra famiglia a leggere la  nostra vita nella categoria del dono. Accogliamo il Dono dell’Amore misericordioso del Padre, mettiamo Lui al centro della nostra vita e della nostra famiglia. Scopriremo il progetto d’amore che Egli ha per ciascuno di noi, quel progetto realizzando il quale saremo davvero uomini e donne realizzati.
Fr. Marco.

martedì 25 dicembre 2018

La Luce splende nelle tenebre


«Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”». (Is 52,7-10)

«Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente» (Eb 1,1-6)
«Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.» (Gv 1,1-18)
Oggi è il Natale del Signore, non c’è spazio per la tristezza: viene nel mondo il Messaggero dell’amore misericordioso di Dio, irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza,la Luce vera che illumina ogni uomoDalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia!
Il nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio Unigenito del Padre, si è fatto uno di noi, si è consegnato piccolo e fragile nelle nostre mani. L’Onnipotente si è fatto bisognoso dell’amore di una madre, della custodia di un padre, del calore del fieno.

Il Creatore del mondo, Colui per mezzo del quale tutto e stato fatto e senza del quale nulla è stato fatto di ciò che esiste, si china sulla miseria degli uomini. L’Eterno entra nella storia. il Signore si fa obbediente e si assoggetta alle leggi umane.
Il Figlio eterno del Padre si fa figlio dell’uomo per renderci figli di Dio. Ci chiede solo di essere accolto, di credere in Lui, per compiere questo miracolo. Che significa però accoglierlo e credere? Significa riconoscerlo Signore delle nostra vita, lasciarci amare, riconoscerci bisognosi della Sua misericordia e lasciarlo operare in noi.
Questa notte, ascoltando il racconto della nascita di Gesù secondo il Vangelo di Luca, abbiamo contemplato la docilità della Sacra Famiglia alla volontà di Dio che si manifestava attraverso le leggi umane: un decreto di Cesare Augusto li mette in movimento, li fa partire dalla loro casa, dalla loro sicurezza, proprio all’approssimarsi del tempo in cui sarebbe nato il Bambino atteso. In tal modo, per Maria si compiono i giorni del parto proprio in quelle condizioni che, immagino, non avrebbe scelto: lontana dalle persone care, fuori casa perché non c’è posto pel loro, costretta a rifugiarsi in una stalla e ad usare una mangiatoia come culla per il Neonato.
È proprio attraverso quest’ “obbedienza agli eventi”, però, che si manifesta la Misericordia di Dio per l’umanità: Colui che è venuto per cercare le pecore perdute della casa d’Israele, nasce in una stalla adorato dai pastori; il Pane del Cielo che viene a saziare la fame dell’umanità, nasce a Betlemme, la “casa del pane”; colui che è il Messia atteso dalla discendenza davidica, nasce nella città di Davide.
Accogliamo docilmente la manifestazione della Misericordia di Dio, lasciamoci condurre da Colui che “sa scrivere dritto nelle righe storte degli uomini”. Crediamo davvero nel suo amore misericordioso e fidiamoci di Lui. Anche noi allora vedremo le meraviglie di Dio e saremo riempiti della Grazia. Auguri.
Fr. Marco.

sabato 22 dicembre 2018

Il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo

«E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1-4)

«“Ecco, io vengo per fare la tua volontà”. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo.» (Eb 10,5-10)

«Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa,  … “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”.» (Lc 1,39-45)

Il Vangelo della quarta domenica di avvento, nell’imminenza del Natale, ci fa contemplare la visitazione di Maria a s. Elisabetta. Il Signore, che sceglie la via della piccolezza per manifestarsi, viene a visitare il suo popolo e a portare la Gioia piena che il mondo non conosce.
Mi colpisce la dinamica del Vangelo: Maria, piena di Spirito santo, portando in grembo il Verbo eterno del Padre, si mette in movimento: «si alzò e andò in fretta». Mi viene facile immaginare la gioia incontenibile che la spinge da colei di cui ha saputo che ha una gioia simile alla sua per condividere la gioia e mettersi al servizio.
L’evangelista Luca, nel descrivere la scena dell’incontro, ha in mente il racconto dell’arrivo dell’Arca dell’Alleanza nella casa di Obed Edom (1Cr 15,25): come Davide danzò di gioia dinanzi l’Arca dell’alleanza, così Giovanni Battista, nel grembo della madre, danza di gioia all’arrivo di Maria, la vera e definitiva Arca dell’Alleanza. Quella antica conteneva una testimonianza della manna del deserto, Maria porta in sé il vero Pane del Cielo; quella conteneva le tavole della Legge, Maria porta in sé il Legislatore divino.
La scena della visitazione, raccontando la gioia dell’incontro tra le due madri e tra i bimbi che portano in grembo, ci mostra, quindi, la gioia che scaturisce dall’accoglienza e dalla condivisione. Maria è piena di gioia perché ha accolto la volontà del Padre e ha generato nel suo grembo, per opera dello Spirito Santo, il Figlio Unigenito. Questa gioia, però, chiede di essere condivisa, la spinge verso la parente nel bisogno presso cui rimane il tempo necessario. Elisabetta, e Giovanni nel suo grembo, sono pieni di gioia per avere accolto Maria. 
Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! Credo che non sia superfluo, infine, evidenziare che la gioia di Elisabetta nasce anche dal sapere scorgere senza invidia l’opera che il Signore sta compiendo in Maria. Quanta tristezza scaturisce, invece, in noi quando con occhi impuri guardiamo con invidia l’opera che Dio compie nei nostri fratelli e attraverso di loro!
Contemplando la scena della visitazione, prepariamoci anche noi ad Accogliere Colui che viene a fare la Volontà del Padre donando tutto se stesso. Sperimentiamo anche noi la gioia accogliendoci reciprocamente, mettendoci gli uni al servizio degli altri. Se sarà vera accoglienza (e non strumentalizzazione dell’altro), se sarà vero servizio (e non ricerca di guadagno), se saremo mossi da vero amore (e non da desiderio di visibilità e approvazione), allora sperimenteremo la Gioia perché nell’altro accoglieremo Gesù. Il Signore ce lo conceda.
Fr. Marco

sabato 15 dicembre 2018

Che cosa dobbiamo fare?


«Rallègrati, figlia di Sion, grida di gioia, … non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,14-18)

«Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-7)
«In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”. … «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. … “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. … “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; …”» (Lc 3,10-18)
La terza domenica di Avvento (domenica gaudete dalla prima parola dell’antifona d’ingresso) è pervasa dalla letizia. È vicino il Signore che viene a salvarci e a rinnovarci con il Suo Amore, che viene a incontrare la sua creazione su cui non cessa di riversare il Suo Amore salvifico e misericordioso. La Speranza si colora di gioia: il popolo che vede revocata la sua condanna e sperimenta l’amore e la vicinanza di Dio. Anche S. Paolo nella seconda lettura ci invita a stare sempre lieti nel Signore perché la nostra gioia diventi testimonianza della salvezza ricevuta.
Per essere raggiunti da questa gioia, però, anche noi, troppo spesso in preda alla tristezza e disperazione, siamo chiamati a fare delle scelte, come i contemporanei del Battista siamo invitati a chiedere: «Che cosa dobbiamo fare?».
Nel Vangelo di Luca la pericope odierna è preceduta dall’invito di Giovanni Battista a “fare frutti degni della conversione”. Rispondendo alla domanda della folla, il Battista, inserendosi nell’insegnamento dei profeti poi ripreso da Gesù, specificherà quali sono questi frutti di conversione: l’amore operoso e misericordioso del prossimo come autenticazione dell’amore per Dio.
Guardando alle risposte che il Battista dà alle richieste della folla, va notato che Giovanni non chiede ai suoi interlocutori di “uscire dal mondo”, di lasciare il loro stato di vita: c’è speranza di salvezza per ogni uomo in ogni stato di vita. La prima indicazione del Battista è quella della condivisione, del prendersi cura del fratello nel bisogno. Anche qui, Giovanni non chiede alle folle di spogliarsi per donare tutto ai poveri (non tutti sono chiamati a questo), ma chiede di condividere ciò che si ha, di non restare indifferenti al bisogno dei fratelli.
La seconda risposta del Battista, rivolta ai pubblicani, invita a rinunciare all’avidità e al disonesto guadagno. Anche per loro, considerati peccatori pubblici, c’è speranza di salvezza se smetteranno di attaccare il cuore e le loro speranze al denaro da procurarsi ad ogni costo, anche con sotterfugi e disonestà. Anche a noi oggi Giovanni chiede di vivere onestamente, di non cercare più di quanto è lecito, di rinunciare al guadagno disonesto, di non vivere la nostra vita andando avanti a forza di inganni e raccomandazioni; di accontentarci di ciò che ci spetta (invito ripreso poi anche nella risposta ai soldati).
Ai soldati il Battista chiede di rinunciare alla violenza gratuita e alla volontà di sopraffazione. Anche per noi oggi è valido l’invito alla “non violenza”: quanta violenza nei nostri rapporti interpersonali! Quante volte abbiamo cercato di sopraffare l’altro con la violenza delle nostre parole e dei nostri atteggiamenti se non addirittura con la violenza fisica! Quest’oggi Giovanni invita anche noi: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno».
«Viene colui che è più forte di me, a cui  non sono degno di sciogliere i lacci dei sandali» Un'ulteriore indicazione su cosa fare la desumo dal comportamento del Battista dinanzi le attese messianiche dei suoi contemporanei: l'umiltà di riconoscere il proprio giusto posto, il non appropriarsi della gloria che non ci appartiene.
È san Paolo, infine, che ci suggerisce un ultimo “frutto” di conversione: la letizia. Convertirsi significa entrare nella logica del Vangelo, della “buona notizia” che il Signore ci ha salvato, che il Signore è vicino. Un vangelo che siamo chiamati a testimoniare prima di tutto con la nostra vita lieta e bella. Siamo ormai prossimi alla festa del Natale, esercitiamoci in questo ultimo tratto dell’Avvento a mostrarci sempre amabili e lieti. Ritengo che sia una “penitenza” non facile e gradita al Signore e che ci renderà testimoni credibili: il Signore è vicino.
Fr. Marco.


venerdì 7 dicembre 2018

La parola di Dio venne su Giovanni nel deserto


«Sorgi, o Gerusalemme … Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio.» (Bar 5,1-9)

« … prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.» (Fil 1,4-6.8-11)

«… la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. … “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! …”» (Lc 3,1-6)
La Parola di Dio della prima domenica di avvento ci invitava all’attesa e alla vigilanza, a stare attenti a noi stessi. Nella seconda domenica la liturgia della Parola dà un contenuto a questa vigilanza: siamo chiamati alla conversione, a preparare la via al Signore che viene. Conversione, lo sappiamo bene, significa fare una “inversione a U”, ritornare sui propri passi abbandonando la strada sbagliata che si sta percorrendo. È quello che siamo chiamati a fare quest’oggi: lasciare le vie di peccato che ci portano in esilio, lontano dalla Vita, per ritornare al Signore.
Oggi, tuttavia, la liturgia ci invita anche di raddrizzare i sentieri, riempire i burroni e abbassare i monti. Anche questo è il contenuto della conversione: preparare la nostra vita ad accogliere la venuta del Signore. Guardando onestamente alla nostra vita lasciandoci illuminare dal Signore, scopriamo quanto bisogno ci sia di queste “grandi opere di ripristino”; scopriamo anche, però, di non essere capaci di compierle.
Ecco intervenire il messaggio di speranza che questa domenica il Signore ci presenta: «Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra» (I lettura). È Dio stesso che compirà quest’opera a condizione che noi glielo permettiamo. Lo strumento con cui il Padre vuole operare nella nostra vita è la sua Parola. Perché questa parola possa essere accolta, però, e produca frutto nella nostra vita, siamo chiamati ad assumere l’atteggiamento di Giovani il Battista: la disponibilità.
Non a caso nella pericope odierna, l’evangelista Luca inizia presentando i potenti del tempo: colloca nella storia concreta dell’umanità l’evento della venuta della Parola su Giovanni. Da notare, tuttavia, è anche il fatto che non sui potenti “viene la Parola”, ma su un uomo semplice e nel deserto. Condizione indispensabile, infatti, perché la Parola venga accolta e produca frutto, è farle spazio rinunciando ad ogni pretesa di autosufficienza e riconoscendo la nostra piccolezza e il nostro bisogno di Dio (cosa che difficilmente i potenti riescono a fare). È necessario, però, anche entrare nel “deserto”, fare tacere i rumori del mondo per potere ascoltare la Voce del Silenzio che manifesta la Parola.
Solo in seguito, come Giovanni, siamo chiamati alla funzione profetica: rimanendo nel silenzio dell’ascolto (nel deserto) siamo chiamati a farci voce di questa parola nell’invitare il mondo ad accogliere Colui che solo può donargli la pace e la gioia di cui è assetato.
Fr. Marco

sabato 1 dicembre 2018

State attenti a voi stessi!


«Ecco, verranno giorni – oràcolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.» (Ger 33,14-16)

«Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti … come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio …» (1Ts 3,12-4,2)

«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli … Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. … Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». (Lc 21,25-28.34-36)

La Parola di Dio della prima domenica di Avvento ci presenta la duplice attesa che caratterizza questo tempo della Chiesa: nella prima lettura, infatti, Geremia, rivolgendosi ad un popolo che va verso la deportazione e non vede speranza di salvezza, profetizza la nascita di un germoglio di Davide che avrebbe regnato con giustizia su tutta la terra. Nel Vangelo, invece, Gesù parla delle “cose ultime” che devono accadere, cose che sconvolgeranno e getteranno nel terrore coloro che hanno lasciato che il loro cuore si appesantisca in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, ma che per i discepoli di Cristo sono il segno della liberazione definitiva, dell’avvento finale del Regno.
Ciò che caratterizza la Parola di oggi è quindi la Speranza fiduciosa che, proprio quando sembrerà che tutto sia perduto, allora vedremo il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria per ristabilire la giustizia e ricapitolare tutto in Dio. Colui che nella pienezza del tempo è venuto come Salvatore, tornerà a ricapitolare tutta la Storia e ad instaurare il Regno Eterno.
State attenti a voi stessi … Oggi nel Vangelo il Maestro ci esorta prepararci adeguatamente alla venuta gloriosa non lasciando che le “cose del mondo” appesantiscano i nostri cuori e ci facciano smettere di attendere e sperare. È questo il pericolo da cui oggi ci mette in guardia Gesù: che ci lasciamo “ubriacare” dal mondo e smettiamo di attendere, accontentandoci di una vita piatta e senza speranza. Per scongiurare questo pericolo, il Vangelo di oggi ci invita a “vegliare pregando” cioè a stare vigili, attenti, ben desti rivolgendo sempre il nostro sguardo al Signore che è già venuto nella “pienezza del tempo”, che verrà alla “fine dei tempi” e che è già presente (nei Sacramenti, amministrati dalla Chiesa, e nei fratelli, soprattutto i più “piccoli”).
State attenti a voi stessi … credo sia importante la sottolineatura “a voi stessi”. Troppo spesso, infatti, siamo attenti agli altri: sempre pronti a correggere i loro difetti, ben consapevoli di ciò che loro devono modificare, ma poco attenti a ciò che invece dobbiamo cambiare noi. Un’attenzione che spesso ci rende giudici gli uni degli altri e non fratelli. Oggi il maestro ci esorta a fare attenzione “a noi stessi” prima che agli altri, a vigilare sui “nostri cuori”, sull’intenzione che ci anima nelle azioni che facciamo.
È ancora in quest’ottica, per “rendere saldi i cuori”, che la seconda lettura di oggi ci presenta due atteggiamenti concreti da assumere per restare vigilanti: l’Amore all’interno della Chiesa (“tra voi”) e per i lontani (“verso tutti”), attraverso il quale possiamo realmente essere riconosciuti come discepoli di Cristo; e l’attenzione a comportarci in modo da piacere a Dio conformandoci non al mondo, ma al nostro Signore Gesù Cristo.
Fr. Marco