sabato 31 dicembre 2022

Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore

 

« … porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (Nm 6, 22-27)

«Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.» (Gal 4,4-7)

«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.» (Lc 2,16-21)

Oggi, solennità di Maria Santissima Madre di Dio, è anche il primo giorno dell’anno e la giornata mondiale della Pace. In questo giorno solenne la Parola di Dio si apre con la benedizione del Signore che, attraverso la sua santissima Madre, fa splendere il suo volto sui suoi consacrati. L'infinita tenerezza della maternità di Maria è un riflesso della paternità di Dio.

Se consideriamo che la solennità ha anche i primi vespri celebrati il 31 dicembre, ci accorgiamo che ogni nostro anno finisce ed inizia sotto il segno della benedizione di Dio. Tutto il nostro tempo, quindi, viene posto sotto la benedizione divina e l’intercessione della santissima Madre di Dio Maria.

Il Vangelo di questa solennità ci porta ancora una volta, insieme ai pastori, davanti la mangiatoia in cui è adagiato Gesù, il Salvatore, che viene nel fragile segno di un bambino. Anche noi, come i pastori, siamo invitati a lasciarci prendere dallo stupore. In una società come quella attuale dove sembra che niente possa più stupirci, dove assistiamo continuamente e con atteggiamento indifferente alle più alte vette e alle più abbiette miserie della nostra umanità, siamo invitati a riscoprire il sentimento di stupore che prese i pastori dinanzi la gloria di Dio manifestata nel bambino Gesù.

«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia,… è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.» Così aveva annunciato l’angelo. Come i pastori, fidiamoci del Signore e lasciamo che continui a meravigliarci, a mostrarci le sue meraviglie! Il Signore della Storia si manifesta nella debolezza; primi testimoni della sua nascita sono coloro che non contano nulla: i pastori, considerati all’epoca poco più delle loro bestie; quel bambino adagiato in una mangiatoia e dall’apparenza del tutto ordinaria è il Salvatore del mondo, il Figlio eterno del Padre. Accostandosi agli eventi del Natale è importante apprendere l’atteggiamento di Maria che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». 

Dinanzi le numerose guerre che ancora infiammano il mondo (oltre alla guerra in Ucraina attualmente si contano circa 59 conflitti), dinanzi la cattiveria che l’uomo ancora riesce a mostrare, dinanzi la sofferenza di tanti innocenti, sarebbe facile lasciarsi prendere dallo scoraggiamento: davvero è venuto nel mondo il Salvatore, il Principe della Pace?

Sì! Il Salvatore è nato; il Principe della Pace è venuto a portare la Pace nei nostri cuori; il Verbo eterno del Padre è venuto a dare a quanti lo accolgono il potere di diventare figli di Dio. È in questa accoglienza, però, il discrimine. Il Signore e Salvatore della Storia non si impone: si propone e aspetta di essere accolto. Verrà il giorno, però, quando il nostro tempo si sarà compiuto, in cui dovremo rendere conto al Giusto Giudice.

Iniziando oggi un nuovo anno civile, impariamo dalla nostra santissima Madre ad accogliere Gesù, a metterlo al centro della nostra vita. Maria, infatti, in quanto Madre di Dio, è costantemente rivolta al Figlio con lo sguardo, il pensiero, il cuore e tutta se stessa. Ha contemplato Gesù fin dalla sua nascita in costante atteggiamento di stupore e di adorazione.

Quest’oggi, allora, con le parole di quella che forse è la più antica preghiera mariana (III sec.), siamo invitati a pregare il Signore perché ci conceda la Pace per intercessione della Madre di Dio: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”. Alla sua protezione affidiamo tutte le vittime della violenza e dell'odio.

Guidati dalla Parola e resi figli nel Figlio, lasciamoci raggiungere dalla benedizione divina e lasciamo che il Suo volto risplenda attraverso di noi perché il mondo conosca quella Pace vera che il Signore è venuto a portare. Auguri di un Buon 2023.

Fr. Marco

sabato 24 dicembre 2022

Non temete: vi annuncio una grande gioia, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore

« … ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.» (Is 9,1-6)

« … è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà …» (Tt 2,11-14)

«Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.» (Lc 2,1-14)

​È giunto il Natale del Signore. Celebriamo il memoriale della nascita del nostro Salvatore. Nella prima lettura della Messa della notte ascoltiamo la profezia di Isaia che annuncia il Principe della Pace che viene a portare la Luce, la Gioia e la Pace nel mondo. Particolarmente significativa è l’immagine dei calzari dei soldati e dei mantelli bruciati.

Nella pagina del Vangelo, ci viene raccontata la nascita del Salvatore che sceglie per sé l’umiltà e la debolezza. Gesù, infatti, il Verbo di Dio che si è fatto uomo, si manifesta al mondo nell’umile e indifeso bambinello deposto in una mangiatoia.

Egli, tuttavia è il Dio potente, il Principe della pace. Viene infatti a portare nel mondo la Pace vera che nasce da un cuore riconciliato, capace di riconoscere il Padre e quindi anche i fratelli. Un cuore in pace con se stesso e quindi con i fratelli che ha attorno.

«A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio».  Così proclama l’evangelista Giovanni nel Prologo del suo Vangelo che ascoltiamo nella messa del giorno di Natale. Se davvero accogliessimo Gesù nella nostra vita, se lo lasciassimo entrare nei nostri cuori per riconciliarli con il Padre e con i fratelli, non avremmo più bisogno di fare guerre. Conoscendo l’Amore del Padre, avendo in noi la Vita, potremmo accoglierci l’un l’altro, comportarci da figli di Dio che compiono le Sue opere.

«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» Oggi come allora, purtroppo Gesù non trova posto nella nostra vita. Paradossalmente, siamo troppo impegnati a cercare la Vita, felicità, la realizzazione, per accogliere Colui, l’unico, che può darcele! Ecco che allora continuiamo a fare guerra.

Contemplando la nascita del Principe della Pace, infatti, non posso fare a meno di pensare alle innumerevoli guerre che ancora si combattono nel mondo, alle guerre che si combattono con le armi e che mietono innumerevoli vittime innocenti. Le guerre nel mondo in corso in questo momento sono ben 59 e l’invasione russa dell’Ucraina è solo l’ultimo di un lungo elenco di conflitti. Dall’Afghanistan, alla Libia, al Myanmar, alla Palestina, alla Nigeria, sono molte le popolazioni del mondo per cui il conflitto è la tragica normalità.

Penso, però, anche alle guerre che ancora combattiamo fra noi: guerre in famiglia, magari per una porzione di eredità; guerre sul posto di lavoro per accaparrarsi un po’ di autorità … guerre generate dalla brama di avere, di potere e di piacere. Siamo “assetati di vita”, ma nella nostra cecità la cerchiamo dove invece è morte.

«Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» Il Dio Potente e Principe della Pace viene a noi umile, si fa piccolo e indifeso, sceglie di non fare violenza alla nostra libertà (ci ama troppo per farlo), si fa bisognoso di accoglienza. Alla fine della Storia, però, quando il nostro tempo sarà compiuto, ciascuno di noi dovrà rendere conto delle sue opere e si manifesteranno quanti sono figli di Dio e quanti non lo sono. Nel Vangelo di Giovanni, parlando a quanti progettano di ucciderlo, così si rivolge Gesù: «Cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi ... voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui.» (Gv 8, 38-44). Accogliamo, allora, il Verbo che si fa carne, compiamo le opere dei figli di Dio e preghiamo per i nostri fratelli che, con le loro opere mostrano di non averlo accolto.

Viene nel mondo la Luce vera, quella che illumina ogni uomo, lasciamolo entrare nei nostri cuori perché illumini le nostre tenebre e ci riconcili con Dio e con i fratelli. Auguri. Che questo Natale possa essere realmente l’inizio di una vita nuova in cui splende la Luce di Cristo.

Fr. Marco

venerdì 16 dicembre 2022

Non temere! Dio Salvatore è con noi

 

«…“Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto”. Ma Àcaz rispose: “Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore”». (Is 7,10-14)

« … Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome … » (Rm 1, 1-7)

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 18-24)

Il messaggio della Parola di questa quarta domenica di avvento sembra essere: «Non temere, fidati di me». Il Signore ci invita a fidarci di Lui, a scacciare ogni timore e a riconoscere i segni della Sua opera in mezzo a noi.

Nella prima lettura, infatti, ascoltiamo il profeta Isaia che esorta il re Acaz a chiedere un segno e a fidarsi del Signore. Il regno è minacciato, ma il Signore, per bocca di Isaia, promette di sconfiggere i potenti invasori a condizione che Israele resti saldo nella fede (Cfr. Is. 7, 7-9). Un erede al trono sarà il segno che Dio non ha abbandonato il suo popolo (Emmanuele: Dio con noi).

Il Re Acaz, purtroppo, come spesso siamo soliti fare anche noi, mosso dalla paura sceglie di fidarsi più delle sue capacità e dei suoi intrighi che del Signore: rifiuta di chiedere e riconoscere il segno promesso, che lo avrebbe vincolato a credere nella promessa del Signore, e si allea con l’Assiria. Ciò che otterrà sarà proprio quello che temeva: il regno d’Israele sarà sottomesso alla dominazione assira.

La pagina del Vangelo, come a fare il contrappunto alla mancanza di fede di Acaz, ci presenta la figura di Giuseppe sposo di Maria. Anche Giuseppe è confuso ed è preso da timore: il concepimento di Maria lo sconvolge, non capisce quale sia il suo ruolo in tutto questo. Mentre lui pensa di congedarla in segreto, di tirarsi indietro dinanzi a ciò che sta accadendo, l’angelo del Signore viene a dirgli: «Non temere ...».

Giuseppe, contrariamente ad Acaz, sceglie di fidarsi, di credere a ciò che il Signore gli annuncia, e obbedisce silenziosamente al comando del Signore. È proprio con la sua silenziosa obbedienza che Giuseppe entra con un ruolo fondamentale nella storia della salvezza: dando il nome a Gesù lo inserirà nella discendenza davidica e permetterà il compiersi della promessa.

Anche a noi, che ci stiamo preparando a celebrare il Natale, il Signore viene a chiedere di avere fiducia, di non agire sotto il condizionamento della paura, di riconoscere i segni e di lasciarlo operare nella nostra storia perché Egli possa ancora compiere meraviglie per noi e per i fratelli.

Chiediamo al Signore di purificare i nostri occhi per vedere e riconoscere i segni della sua presenza. I segni dell’opera di Dio, infatti, facilmente possono passare inosservati. Il Signore non si impone con violenza, ma chiede di essere ascoltato “nella brezza leggera” (Cfr. 1Re 19, 12): la nascita di un erede quando il regno è minacciato, un sogno, un bambino in fasce in una mangiatoia.

L’evangelista Matteo usa due nomi per identificare il Verbo che si è fatto carne nel grembo di Maria: Gesù, che significa “Dio salva”, ed Emmanuele che, oltre a collegare quanto sta avvenendo alla profezia di Isaia, significa “Dio con Noi”. Egli è infatti il Dio che cammina con noi: non ci abbandona, non si dimentica di noi, ma è venuto per salvarci, perché abbiamo la Vita, perché la nostra gioia sia piena. Fidiamoci di Lui. Lasciamo che sia Lui ad insegnarci la Via della Vita.

Prepariamoci al Natale con l’obbedienza della fede perché possiamo accogliere e generare Gesù nello spirito nostro e dei fratelli ed essere in tal modo apostoli a gloria del suo nome.

Fr. Marco.

venerdì 9 dicembre 2022

Rallegratevi, siate costanti, guardate l’agricoltore: il Signore è vicino.

 «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa.» (Is 35,1-10)

«Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge … Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati» (Gc 5, 7-10)

«“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”». (Mt 11, 2-11)

​Questa domenica, terza di Avvento, è detta domenica “gaudete” dalla prima parola dell’antifona d’ingresso («Rallegratevi sempre nel Signore …»). Siamo, quindi, invitati a rallegrarci e a ravvivare la nostra speranza: il Signore è vicino.

La pagina evangelica sottolinea la piena realizzazione delle attese messianiche presentate dalla prima lettura: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. Alla domanda del Battista riportata dai suoi discepoli, Gesù risponde presentando le opere che compie a testimonianza del suo essere il Messia atteso. Non va passata sotto silenzio, però, la beatitudine per chi non si scandalizzerà: Gesù è il Messia e realizza ciò che avevano annunciato i profeti; non si presenta, tuttavia, come re condottiero e vittorioso, ma come un Messia mite che viene a donare la salvezza manifestando la paternità di Dio. Prima di proseguire vorrei sottolineare l’atteggiamento di Giovanni il Battista: pur avendo la sua idea del Messia atteso (un condottiero glorioso che avrebbe distrutto gli empi e ristabilito la giustizia), non lascia che questa idea gli impedisca di riconoscere Gesù: rimane aperto alla novità di Dio. Anche noi siamo invitati a non pretendere di “ingabbiare” Dio nei nostri schemi: lasciamoci stupire dalle meraviglie che il Signore sa compiere al di là di ogni nostra attesa.

Oltre che a rallegrarci, questa domenica, siamo invitati inoltre a ravvivare la nostra speranza e la nostra attesa, a farci coraggio, a prendere esempio dal contadino che sa attendere i frutti a suo tempo. Come tempo fa ci ha invitato papa Francesco, non lasciamoci rubare la speranza e con essa il nostro futuro.

Sembra, purtroppo, che molti dei nostri contemporanei abbiano perso il senso dell’attesa e della speranza: non ci si attende più nulla, il futuro appare come un vuoto che fa paura. Siamo disillusi, viviamo un presente disancorato da ogni attesa futura e, quindi, spesso senza senso. I nostri giovani (anche a causa di oggettive condizioni di precarietà) non sono più capaci di progettare o di sperare un futuro. Ciò che è peggio, però, è che non trovano più le forze per costruirlo questo futuro. Si accontentano di vivere un presente a cui manca il gusto e la pienezza perché vissuto senza speranza. La società dei consumi ci ha abituato a “tutto e subito” e ci troviamo incapaci di attendere, di desiderare. Il mito del “super uomo”, inoltre, ci ha convinti che dobbiamo salvarci da soli. Tutto ciò ci ha reso delusi, disillusi, sempre insoddisfatti e pronti a lamentarci di tutto e tutti.

Proprio in questo contesto di “deserto e terra arida” risuona l’invito di Isaia: rallegratevi, fatevi coraggio, non lasciatevi paralizzare dalla paura. Un invito a cui si associa S. Giacomo nella seconda lettura: siate costanti, imparate dall’agricoltore a sapere aspettare i frutti, e a lavorare animati dalla speranza. L’agricoltore, prepara il terreno, semina, irriga e attende. Non si accontenta del suo sacco di frumento, ma semina in attesa del più abbondante raccolto.

Facciamoci coraggio, allora, e ricominciamo a rallegrarci e a sperare. Per esercitarci in questo atteggiamento, S. Giacomo oggi ci da un consiglio molto pratico: «Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri». Smettiamo di lamentarci, sia dei fratelli che degli eventi. Accogliamoci e lasciamoci stupire dalle meraviglie di Dio.

Fr. Marco

martedì 6 dicembre 2022

Non temere perché hai trovato grazia presso Dio

 «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno»
(Gen 3,9-15.20)

«Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza.» (Rm 15,4-9)

«Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te … Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,26-38)

La Parola di Dio della solennità dell’Immacolata concezione di Maria si apre con il racconto delle conseguenze immediate del peccato dei progenitori: la rottura di ogni rapporto di amicizia tra l’uomo e Dio (“Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”), tra l’uomo e la donna (“La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”) e tra l’uomo e il creato (“Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”).

Questa inimicizia, questa incapacità di vedere Dio come il Padre che ci ama al di là di ogni nostra immaginazione, i fratelli e il creato come un dono d’amore, e la conseguente morte dell’anima, è la conseguenza del peccato originale che si tramanda per ogni generazione. La prima lettura però, si conclude con quello che viene chiamato il “proto-vangelo”: l’annuncio che la stirpe della donna avrebbe schiacciato il serpente antico.

È quello che avviene in Maria la quale, in vista dei meriti di Cristo, è da Lui redenta fin dal grembo materno e quindi resa capace, con la sua obbedienza fiduciosa al progetto del Padre, di essere “aurora della redenzione”, colei attraverso la quale è giunto nel mondo il Redentore.

In questa solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, però, vorrei che riflettessimo su ciò che questo dogma dice a noi per la nostra salvezza. Maria oggi ci viene presentata come “avvocata di grazia e modello di santità” (prefazio). L’opera redentrice di Cristo, infatti, che ci raggiunge nei sacramenti, compie in noi ciò che ha operato in Maria fin dal concepimento: Maria è immacolata fin dal grembo materno, noi diventiamo immacolati con il Battesimo.

A differenza di Maria, però, noi raramente, purtroppo, corrispondiamo pienamente a questa Grazia rendendoci colpevoli con i nostri peccati volontari (mai compiuti da Maria) e non aderendo al progetto d’amore del Padre. Per questo il Signore, che ci vuole “santi e immacolati di fronte a lui nella carità”, ha istituito il sacramento della riconciliazione: se ben celebrato (con un vero pentimento e un sincero proposito di non peccare più), la confessione ci restituisce la santità battesimale. Con il sacramento della comunione, inoltre, riceviamo in noi Gesù Cristo vivo e vero, la Grazia di Dio apparsa nel mondo, come lo chiama S. Paolo scrivendo a Tito (Cfr. Tt 2,11); anche noi, quindi, siamo pieni di Grazia!

Non sprechiamo tali doni d’amore, ma impegniamoci a corrispondere alla Grazia di cui Dio vuole colmarci e a compiere la volontà del Padre nella nostra vita.

La seconda lettura oggi ci invita a perseverare e a tenere viva la Speranza. Guardando a Maria tutta bella, ricolma di ogni virtù e senza alcuna macchia di peccato, la Chiesa tutta e ogni singolo battezzato oggi può contemplare ciò che il Signore vuole fare con ciascuno di noi e con la Chiesa nel suo insieme: un capolavoro di Santità.

Contemplando Maria la nostra madre immacolata, anche noi impegniamoci ogni giorno per dire a Dio la nostra risposta di obbedienza fiduciosa: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Fr. Marco

Novena dell'Immacolata. Ottavo giorno. Maria vergine accogliente della Parola

 «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata.» (Is 40,1-11)

«Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda» (Mt 18,12-14)

La Parola di Dio di oggi, nella prima lettura, ci invita a preparare la via al Signore che viene, perché nessuno al suo arrivo sia perduto: il Signore vuole che tutti siano salvati (Vangelo). Per questo viene a cercarci là dove ci siamo smarriti. Ascoltando la Sua voce noi siamo però invitati a ritornare sui nostri passi, a “convertirci”.

Conversione, infatti, lo sappiamo bene, significa fare una “inversione a U”, ritornare sui propri passi abbandonando la strada sbagliata che si sta percorrendo. È quello che siamo chiamati a fare quest’oggi: lasciare le vie di peccato che ci portano in esilio, lontano dalla Vita, per andare incontro al Signore.

Oggi, inoltre, la liturgia ci parla anche innalzare valli e abbassare monti. Anche questo è il contenuto della conversione: preparare la nostra vita ad accogliere la venuta del Signore. Se guardiamo onestamente alla nostra vita, scopriamo quanto bisogno ci sia di queste “grandi opere di ripristino”; scopriamo anche, però, di non essere capaci di compierle.

Anche la nostra santissima Madre Maria, all’annunzio dell’Angelo rimase turbata e confusa dalla propria piccolezza a fronte di ciò che il Signore le chiedeva. Ecco, però, il messaggio di speranza: non dobbiamo (ne possiamo) fare nulla da soli, Dio stesso che viene in cerca di noi per salvarci, compirà la Sua opera in noi. A Maria che chiede «Come avverrà questo?» l’Angelo risponde sostanzialmente che farà tutto Dio: «Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra». È Dio stesso che compirà quest’opera a condizione che noi glielo permettiamo.

Lo strumento con cui il Padre vuole operare nella nostra vita è la sua Parola. Perché questa parola possa essere accolta, però, e produca frutto nella nostra vita, siamo chiamati ad assumere l’atteggiamento di Maria la piena disponibilità: «Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola»

Condizione indispensabile, infatti, perché la Parola venga accolta e produca frutto, è farle spazio rinunciando ad ogni pretesa di autosufficienza e riconoscendo la nostra piccolezza e il nostro bisogno di Dio. È necessario, però, anche entrare nel “deserto”, fare tacere i rumori del mondo per potere ascoltare la Voce del Silenzio che manifesta la Parola.

Impariamo da Maria ad ascoltare davvero la Parola per lasciarci trasformare da essa; lasciamo che il Verbo di Dio entri anche nel nostro cuore perché la nostra vita sia più bella.

Vorrei concludere con una preghiera pronunziata da Papa Francesco il 31 maggio 2013:

«Maria, donna dell’ascolto, rendi aperti i nostri orecchi; fa’ che sappiamo ascoltare la Parola del tuo Figlio Gesù tra le mille parole di questo mondo; fa’ che sappiamo ascoltare la realtà in cui viviamo, ogni persona che incontriamo, specialmente quella che è povera, bisognosa, in difficoltà.

Maria, donna della decisione, illumina la nostra mente e il nostro cuore, perché sappiamo obbedire alla Parola del tuo Figlio Gesù, senza tentennamenti; donaci il coraggio della decisione, di non lasciarci trascinare perché altri orientino la nostra vita.

Maria, donna dell’azione, fa’ che le nostre mani e i nostri piedi si muovano “in fretta” verso gli altri, per portare la carità e l’amore del tuo Figlio Gesù, per portare, come te, nel mondo la luce del Vangelo. Amen.»

lunedì 5 dicembre 2022

Novena dell'Immacolata. Settimo giorno. Maria Madre di Misericordia

 

«Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi» (Is 35,1-10)

«Ecco, alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era paralizzato, cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza.» (Lc 5,17-26)

La pagina evangelica di oggi ci presenta Gesù che viene a salvare l’umanità dal peccato e da ogni male perché possa tornare a fare il bene e vivere pienamente. Il paralitico del Vangelo, infatti, rappresenta tutta l’umanità che a causa del peccato è ormai incapace di riconoscere e fare il bene. Come il paralitico questa umanità ha bisogno di qualcuno che lo presenti al Signore per essere perdonata e guarita. È ciò che fa la Chiesa e come modello di essa, Maria: intercede per i peccatori e li conduce al Salvatore Gesù Cristo

È questo il motivo per cui nell’Ave Maria invochiamo: “prega per noi peccatori” e nella Salve Regina invochiamo Maria come Madre di Misericordia. Chiediamo a Maria SS., che ci è stata data come Madre, di intercedere per i suoi figli ottenendoci dalla Misericordia di Dio la grazia della conversione e la salvezza eterna.

S. Bernardo fa notare che il Vangelo di Luca al cap. 2, parlando della nascita di Gesù, afferma che Maria partorì il suo “figlio primogenito”. Si può parlare di primogenito, continua S. Bernardo, perché dopo avere dopo avere portato in grembo il Capo, Maria divenne Madre di tutto il suo Corpo, cioè la Chiesa che siamo tutti noi.

Il momento in cui Maria ci generò alla grazia, fu quando sul Calvario fu costituita da Gesù Madre dei suoi discepoli. Maria, in piedi sotto la croce, partecipa con il suo proprio dolore alla passione redentrice di Cristo. Il vecchio Simeone le aveva annunziato: «Anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc 2,35). Da allora con i suoi dolori ella ci partorì alla vita eterna, così che possiamo chiamarci tutti figli dei dolori di Maria. La nostra Amorosissima Madre fu sempre interamente unita alla volontà divina. Dunque, non si può dubitare che Maria, per quello che poteva comprendere della volontà di Dio, acconsentì che Gesù morisse per la salvezza del genere umano.

Maria è nostra Madre, quindi; da qui, allora, le lacrime che incessantemente versa per tutti i suoi figli che si rovinano la vita, che allontanandosi dalla via della Vita vanno incontro alla Morte. Lacrime ed esortazioni di una madre preoccupata per i suoi figli, una madre pronta ad ottenerci da Dio tutto l’auto necessario per lasciare la schiavitù del peccato e percorrere la via dell’obbedienza al Vangelo.

Accogliamo l’invito di questa tenerissima Madre; se veramente vogliamo considerarci figli devoti di Maria, impegniamoci a dare consolazione al suo cuore di madre con una vita in cui impariamo a riconoscere le grazie che il Signore ci fa, una vita capace di rendere grazie per ciò che abbiamo.

Se veramente vogliamo riconoscere Maria per nostra Madre, impariamo a comportarci da Figli. I vangeli ci riportano pochissime, ma significative, parole di Maria; tra queste, trovo particolarmente importante il comando che la Madre di Gesù dà ai servi alle nozze di Cana: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). Impariamo, dunque, da questa santissima madre come comportarci da figli. I santi ci mettono in guardia: «Chi fa opere contrarie a quelle di sua madre, nega con i fatti di voler essere suo figlio». Maria è umile e lui vuole essere superbo? Maria è pura e lui si abbandona alle passioni? Maria è piena di amore e lui vuole odiare il prossimo? Egli dimostra così di non essere e di non voler essere figlio di questa santa madre.

Non sia così per noi, ma impegniamoci per liberarci dalla schiavitù del peccato e invochiamo fiduciosi l’intercessione di Maria che ci otterrà dal Signore le grazie di cui abbiamo bisogno. Facciamo gioire la nostra Mamma Celeste e smettiamo di comportarci da figli ingrati.


sabato 3 dicembre 2022

Novena dell'Immacolata. Convertitevi, fate frutti degni di conversione

 «In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici.» (Is 11, 1-10)

«Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio.» (Rom 15, 4-9)

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! … Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”» (Mt 3, 1-12)

​La Parola di oggi, seconda domenica di Avvento, ci presenta i due precursori per eccellenza: Isaia e Giovanni il Battista. Essi sono gli araldi del Signore, coloro che invitano il popolo a prepararsi ad accogliere il Signore che viene.

Nella prima lettura, Isaia profetizza la venuta del Signore come un evento che dà speranza dove sembra non esservi più alcuna speranza. L’immagine è quella di un albero secolare abbattuto: la sua vita è finita; dalle radici però spunta un pollone, un germoglio dal quale tutto può ricominciare.  La venuta del Signore è perciò oggi presentata come un evento di speranza. Un evento gioioso. Quello presentatoci da Isaia è un Dio che si piega sull’umanità disperata; un Dio che si “converte” a noi.

A questo Dio che si piega su di noi con amore misericordioso, noi siamo chiamati da Giovanni il Battista a rispondere con la nostra conversione: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» Siamo chiamati a correggere le nostre strade, a percorrere strade rette per incontrare il Signore che viene.

Cosa significa convertirsi? Significa cambiare direzione alla nostra vita, “correggere la rotta”. La nostra vita è come una nave in balia dei venti e delle correnti: se non correggiamo continuamente la rotta tenendo fisso lo sguardo sulla “stella polare”, rischiamo di fare naufragio, di fallire, di vivere una vita senza senso.

Per fare questo bisogna sempre tenere lo sguardo fisso al Signore “che viene, che è venuto e che verrà”, e correggere tutti quei moti che ci spingono, invece, verso il nostro Io: egoismo, superbia, vanagloria ecc.

Fate dunque un frutto degno della conversione. Nella pagina evangelica il Battista ci esorta ad una conversione che abbia ricadute concrete, visibili: una conversione che porti frutti. Non basta dire: “Sono cristiano. Vado a messa quasi ogni domenica”. Non basta dire “Appartengo al gruppo/comunità/fraternità …” . Ciò che è veramente importante è l’avere accolto nella propria vita il Signore e i fratelli; imparare a rinnegare costantemente il proprio Io per fare spazio al Tu di Dio e del fratello bisognoso. La nostra conversione deve tradursi in opere buone fatte a gloria di Dio. Opere fatte “senza che la destra sappia ciò che fa la sinistra”.

Maria santissima, naturalmente, è nostra maestra anche in questo. Non a caso è venerata anche con il titolo, caro a noi siciliani, di Odigitria: colei che indica il cammino. Maria ha saputo sempre accogliere e realizzare in lei la Parola di Dio. All’annuncio dell’Angelo accoglie in sé la Parola che le stravolge la vita. Nel suo grembo santissimo la Parola si fece carne.

Anche a noi il Signore chiede di lasciare “incarnare” nella nostra vita la Sua Parola. In qualche modo anche noi siamo chiamati ad essere “madri” del Signore. Così (riferendosi al vangelo di Matteo 12,48-50) dice san Francesco d’Assisi nella Lettera ai Fedeli parlando di quelli che “fanno penitenza”, cioè vivono la conversione: «sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando l’anima fedele si congiunge a Gesù Cristo per l’azione dello Spirito Santo. E siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è in cielo. Siamo madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l’amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri» (FF. 200).  

Maria santissima, inoltre, non ha mai cercato la propria volontà quando questa si opponeva alla volontà di Dio. Non ha mai cercato gloria per se stessa, ma sempre ha saputo rendere grazie a Dio per ciò che operava in lei.

Prendendo spunto dall’atteggiamento di Maria santissima, che nel Magnificat loda il Signore per ciò che ha operato in lei, mi permetto di suggerire un esercizio per crescere nella conversione, cioè nel decentramento: impariamo a dire “Grazie”. Principalmente a Dio per tutto ciò che ci dona. In tal modo riconosceremo che tutto è dono di Dio, di nostro abbiamo solo il peccato. Impariamo a dire grazie ai fratelli. Ci aiuterà a ricordarci che ciò che loro ci danno o fanno per noi non ci è dovuto: non siamo il centro del mondo!

Fr. Marco

giovedì 1 dicembre 2022

Novena dell'Immacolata. Quarto giorno. Maria modello di preghiera

 «Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele.» (Is 29,17-24)

«Avvenga per voi secondo la vostra fede». (Mt 9,27-31)

Oggi il Vangelo ci mette dinanzi l’esempio di due ciechi che, per la loro grande fede e perseveranza nella preghiera, vengono esauditi. Ciò mi dà lo spunto per parlare della preghiera e di Maria come maestra di preghiera.

La fede e la perseveranza, infatti, sono le componenti essenziali della preghiera autentica. La preghiera, infatti, non consiste nella ripetizione di formule, quasi che siano le formule, correttamente pronunziate, a ottenerci ciò di cui abbiamo bisogno o a convincere Dio ad esaudirci. Pregare non significa “dire formule”; significa, invece, parlare con un cuore di figlio al cuore del Padre. La preghiera è un dialogo animato dalla fiducia. Ciò che è essenziale, allora, è il cuore che mettiamo in ciò che chiediamo, la fiducia che anima le nostre parole. Le preghiere che la Chiesa e la tradizione ci consegnano, come anche la stessa preghiera dei Salmi, hanno senso, sono preghiera, se nel pronunciarle facciamo nostri i sentimenti della Chiesa orante o del salmista; se siamo capaci, cioè, di animarle con la fede dei figli, una fiducia che non si scoraggia dinanzi l’apparente silenzio di Dio.

L’autentica preghiera cristiana, inoltre, non è volta a convincere Dio a fare ciò che vogliamo noi; al contrario, la preghiera che ci ha insegnato Gesù è volta a ottenere la grazia di conoscere e fare la volontà del Padre: «sia fatta la tua volontà». Nel Padre nostro, infine, Gesù ci ha insegnato a chiedere: «venga il Tuo Regno»; chiediamo, cioè, a Dio di regnare nelle nostre vite e teniamo desto in noi il desiderio della Sua venuta finale.

Gli Atti degli Apostoli ci presentano Maria nel Cenacolo perseverante nella preghiera insieme agli Apostoli (At 1,14). Ho già trattato della fede di Maria, oggi intendo trattare della sua perseveranza nella preghiera. S. Alfonso M. De’Liguori afferma: «Non vi è mai stata su questa terra alcun'anima che come la beata Vergine abbia con tanta perfezione messo in pratica il grande insegnamento del nostro Salvatore: “Bisogna pregare sempre, senza stancarsi mai” (Lc 18,1). Da nessun altro … possiamo meglio prendere esempio ed imparare la necessità che abbiamo di perseverare nella preghiera, quanto da Maria.»

Come spiega bene s. Agostino, l'essenza della preghiera è il desiderio di Dio che «sgorga dalla fede, speranza e carità»; «II tuo desiderio è la tua preghiera; se continuo è il desiderio, continua è la preghiera, perché non invano ha detto l'Apostolo: “Pregate senza interruzione” (1 Ts 5, 17). Forse che noi senza interruzione pieghiamo il ginocchio, prostriamo il corpo, o leviamo le mani, per adempiere all'ordine: “Pregate senza interruzione?” Se intendiamo il pregare in tal modo, credo che non lo possiamo fare senza interruzione. Ma c'è un'altra preghiera interiore che non conosce interruzione ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel "sabato", non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere la preghiera, non cessar mai di desiderare. Il tuo desiderio continuo sarà la tua continua voce» (Esposizione sui Salmi, 37,14).

Possiamo affermare, quindi, che Maria ha conosciuto la preghiera continua, perché continuo era il suo desiderio di Dio e di quel «sabato» eterno, in cui ci si riposa nella celeste Gerusalemme. La citazione di Atti che vede la Madre di Gesù in preghiera nel Cenacolo, inoltre, è l’ultima che la Scrittura ci riporta riguardo Maria: Ella resta, idealmente, nel Cenacolo in preghiera. La sua è ormai una vita «nascosta con Cristo in Dio» (cf Col 3, 3). Potremmo quasi dire che Maria è stata la prima claustrale della Chiesa, che ha inaugurato nella Chiesa quella forma di vita nascosta e orante che sostiene l’attività apostolica. Maria è il prototipo di questa Chiesa orante.

Guardando a questa Madre e maestra di preghiera, allora, impariamo anche noi a desiderare con perseveranza che si compia la Volontà di Dio; contemplando il Cuore Immacolato di Maria ardente di Amore per Dio, rivolgiamo con fiducia anche noi il cuore verso il Padre e vedremo anche nella nostra vita compiersi le meraviglie che solo Dio sa fare.

Novena dell'Immacolata. Terzo giorno. Maria Vergine obbediente

 «In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: «Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza.» (Is 26,1-6)

«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7, 21.24-27)

Questa sera il Salvatore ci mette in guardia contro l’illusione che per entrare nel regno dei cieli basti dire: “Signore, Signore”. Non si tratta, naturalmente, di una condanna della preghiera.

Noi dobbiamo pregare, dire: “Signore, Signore”; ma ancora di più dobbiamo dimostrare con la nostra vita che Gesù è il nostro Signore. Il Vangelo di oggi, inoltre, ci ricorda che la nostra preghiera e la nostra vita di fede non sono la garanzia che potremo schivare le “tempeste della vita”.

Sia per il saggio che per lo stolto, infatti, accadono le medesime cose: «Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa». L’esito è, però, ben differente: uno resta saldo, non cade; l’altro viene abbattuto e la sua rovina fu grande. Ecco allora l’importanza dell’ascolto operoso della Parola di Dio: ci rende forti contro le inevitabili prove della vita.

La preghiera è fondamentale; separata dall’autentica umiltà e da un amore obbediente, tuttavia, è un illusione, se non una menzogna. Anche in questo, naturalmente la nostra Madre Maria ci è modello.

La prima cosa che sentiamo dire di Maria nel Vangelo è che “rimase turbata”: trovandosi alla presenza del Santo dei Santi, prende consapevolezza della propria piccolezza e indegnità. Certo, Maria, concepita immacolata, non era consapevole di peccato alcuno; ciò non toglie, tuttavia, che sperimentando la “presenza di Dio” percepisca la propria “piccolezza” e ne resti turbata. Il turbamento, inoltre, è caratteristica comune di tutte le particolari vocazioni nella Scrittura: il “chiamato” si meraviglia che il Signore abbia posato lo sguardo proprio su di lui e sulla sua piccolezza; si sperimenta indegno della grazia ricevuta ed ha quel santo “timor di Dio” che non è la paura di Dio, ma il timore di non corrispondere pienamente all’amore di cui ci si vede colmati; il timore di rattristare un così eccelso amante.

Dinanzi all’amore di cui si vede colmata, Maria, sa abbandonarsi in un’obbedienza umile e fiduciosa: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». La Madre ci mostra in tal modo la prima cosa da fare in risposta alla Grazia: fidarsi, e lasciare che il Signore compia la Sua opera in noi e per mezzo nostro; donare la nostra disponibilità operosa.

L’atteggiamento immediatamente successivo in risposta alla grazia di Dio, è di “rendere grazie”. Alla grazia di Dio deve far seguito il grazie dell’uomo. Rendere grazie non significa restituire il favore, o dare il contraccambio. Chi potrebbe dare a Dio il contraccambio di qualcosa? Ringraziare significa piuttosto riconoscere la grazia, accettarne la gratuità. Ringraziare significa accettarsi come debitori, come dipendenti; lasciare che Dio sia Dio. Ed è quello che Maria ha fatto con il Magnificat:«L’anima mia magnifica il Signore …, grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente».

È implicito, infine, nell’atteggiamento del rendimento di grazie l’attenzione a non sprecare il dono ricevuto: significherebbe svalutare il dono e offendere il donatore. La grazia che riceviamo ci chiama a responsabilità, ci chiede di metterci in movimento per compiere l’opera per cui ci è donata. Siamo chiamati a mettere a frutto i talenti ricevuti (Cfr. Mt 25,14-30). Maria santissima sa lasciarsi mettere in movimento dalla Parola ascoltata, le permette di cambiarle la vita. La Grazia di cui è ricolma si fa carne nel suo grembo e la muove all’amore e al servizio.

Contemplano la nostra santissima Mamma del Cielo, allora, facciamo attenzione a non sprecare la Grazia che il Signore ci dona nei suoi sacramenti: viviamoli con la giusta consapevolezza e preparazione.

Anche noi come Maria siamo stati colmati di Grazia. Anche a noi Dio dà tutto se stesso nei sacramenti. In preparazione alla solennità del Natale, impariamo da questa Madre a vivere la Grazia che abbiamo ricevuto: impegniamoci, per quanto è possibile, a corrispondere all’Amore di cui siamo stati colmati con l’obbedienza della fede. La nostra piccolezza non ci spaventi: nulla è impossibile a Dio.

martedì 29 novembre 2022

Novena dell'Immacolata. secondo giorno: Maria modello di fede per i discepoli

«Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.» (Rm 10,9-18)

«Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,18-22)

Oggi, festa di S. Andrea, nel Vangelo ascoltiamo la chiamata dei primi discepoli. Questi uomini avevano probabilmente già ascoltato il Signore annunciare il Regno, per questo ora sono disposti a lasciare tutto per mettersi alla sua sequela nel discepolato.

Anche a noi, come ai discepoli, oggi Gesù dice «Venite dietro a me». Se, come S. Andrea e i suoi compagni, crediamo alla Sua Parola, allora siamo chiamati a farci suoi discepoli, a manifestare la nostra fede non solo a parole, ma con i fatti, con una vita che corrisponda a ciò che crediamo. Prendendo lo spunto dal Vangelo, oggi intendo parlare di Maria modello di fede per i discepoli.

S. Agostino, afferma: “Maria santissima fece la volontà del Padre e la fece interamente; perciò vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo, anziché Madre di Cristo.

È nell’obbedienza fiduciosa, infatti, che si manifesta in maniera più alta la santità di Maria, quella santità che noi siamo chiamati non solo a contemplare, ma ad imitare. Come i bambini imparano a comportarsi osservando come si comporta la loro mamma, così anche noi siamo chiamati ad imparare ad essere discepoli osservando come si è comportata la nostra Madre celeste.

Maria è colei che ha creduto nell’adempimento della Parola di Dio. che ha saputo fare posto alla volontà di Dio nella propria vita. Non pensiamo che la fede di Maria sia stata facile o scontata: vide il figlio suo fragile e indifeso nella stalla di Betlemme e lo credette il Creatore del mondo; lo vide minacciato da Erode e costretto alla fuga in Egitto e non cessò di credere che era il re dei re; lo vide nascere dal suo grembo e lo credette eterno. Lo vide povero, bisognoso di cibo e lo credette Signore dell'universo; lo vide coricato sul fieno bisognoso di tutto e lo credette onnipotente.  Lo vide, infine, morire vilipeso e crocifisso, ma benché negli altri vacillasse la fede, Maria continuò a credere fermamente che egli era Dio. «Vicino alla croce di Gesù stava sua madre» (Gv 19,25).  Maria stava salda nella fede, che conservò incrollabile, nella divinità di Cristo (S. Antonino).

Proprio sotto la croce, inoltre, emerge la grandissima fede di Maria: al contrario di Pietro, che già all’annuncio della passione si ribella (Cfr. Mt 16, 22), di Maria sotto la Croce non ci è riportata alcuna parola di ribellione. Maria sa stare al suo posto: dietro il Maestro e Signore.

Quante volte anche noi vorremmo insegnare al Signore come essere Dio! quante volte anche noi preferiamo pensare secondo il mondo e non secondo Dio. Impariamo da Maria la fede dei veri discepoli, di coloro che sanno riconoscere il Signore e obbedire a Lui piuttosto che alla logica del mondo.

Come possiamo, però, imitare questa fede di Maria? La fede è insieme dono e virtù. È dono di Dio in quanto è una luce che Dio infonde nell’anima; imploriamo il Signore che per intercessione di Maria aumenti la nostra fede. La fede, tuttavia, è anche virtù che siamo chiamati a mettere in pratica. Perciò la fede ci deve servire da regola non solo per credere, ma anche per agire. Questo è l'avere una fede viva, cioè il vivere secondo quel che si crede: «Il mio giusto vive di fede» (Eb 10,38). Così visse la Beata Vergine, a differenza di coloro che non vivono secondo quel che credono e la cui fede è morta; come dice san Giacomo: «La fede senza le opere è morta» (Gc 2,26).

La fede, inoltre, è quell’atteggiamento necessario perché la Grazia porti in noi il suo frutto: solo avendo fede (una fede viva e fattiva) vedremo le meraviglie di Dio nella nostra vita.

Contemplare la fede di Maria, infine, ci ricorda che la fede è contemporaneamente personale e comunitaria. Maria ci insegna che l’atto di fede è sì personale: un rapporto da persona a persona. È un fidarsi di Dio e un affidarsi completamente a Dio. Ma la fede di Maria è anche comunitaria. Ella non crede in un Dio soggettivo, personalizzato. Crede invece al Dio dei Padri, al Dio del suo popolo. Ella si inserisce umilmente nella schiera dei credenti, diventa la prima credente della Nuova Alleanza, come Abramo era stato il primo credente dell’antica alleanza. Maria, probabilmente, non avrebbe creduto all’angelo, se questi le avesse rivelato un Dio diverso dal  Dio del suo popolo Israele. 

Contemplando Maria, allora, impariamo a credere personalmente, ma nella Chiesa. Con il mio personale atto di fede io faccio mia la fede di tutti quelli che mi hanno preceduto: degli apostoli, dei martiri, dei dottori.

Novena dell'Immacolata:.Primo giorno. L’Umiltà di Maria specchio dell’Umiltà di Dio

«Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici.» (Is 11,1-10)

«Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.» (Lc 10, 21-24)

Oggi la prima lettura, tratta dal profeta Isaia, ci presenta gli umili inizi del regno messianico di cui Cristo Gesù è la piena realizzazione. Nella pagina evangelica Gesù rende lode al Padre perché ai piccoli ha rivelato il suo regno.

La sapienza di questo mondo cerca la grandezza e l’appariscenza: vuole mettersi in mostra e si gonfia di orgoglio. Il Signore, però, è sempre il “totalmente altro” che non si lascia imbrigliare nei nostri schemi e si presenta umile. L’Onnipotente sceglie di manifestarsi nella debolezza. Il mondo cerca l’apparenza, i gesti eclatanti, Dio, al contrario ama e sceglie per sé la via dell’umiltà.

Il Nuovo Testamento ci presenta proprio questa come la caratteristica fondamentale dell’auto-rivelazione di Dio: il Signore dell’universo si fa bambino minacciato da Erode; è considerato il figlio del carpentiere e alla fine della sua vita si consegna per essere inchiodato a una Croce. La logica del Vangelo ci rivela che la vera grandezza sta nel sapersi fare piccoli per far posto agli altri nella nostra vita.

Anche Maria, naturalmente, rientra in questa logica: una fanciulla di Nazareth, che facilmente passerebbe inosservata, è eletta dal Signore come nuova Arca dell’Alleanza.

L’umiltà, ci fa notare S. Bernardo, «è fondamento e custode delle virtù». Senza umiltà, infatti, non vi può essere alcun'altra virtù in un'anima. È per questo che Gesù venne a mostrarcela con il suo esempio e volle che specialmente in essa noi cercassimo d'imitarlo: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Come fu la prima e più perfetta discepola di Gesù Cristo in tutte le virtù, così Maria lo fu anche nell'umiltà, per cui meritò di essere esaltata sopra tutte le creature.

Il primo atto dell'umiltà di cuore è avere una giusta conoscenza di se e saper stimare gli altri. Il superbo, al contrario, non ha una giusta conoscenza di se: o si stima superiore agli altri, o non riconosce ciò che il Signore ha operato nella sua vita perché pretende di essere sempre più grande di quello che è; il superbo, inoltre, non è capace di stimare gli altri. Maria, maestra di umiltà, seppe sempre esattamente che ciò che il Signore aveva operato in  Lei era da attribuire alla Grazia divina e non si stimò mai al di sopra di nessuno.

L'umile, inoltre, rifiuta le lodi per sé e le riferisce tutte a Dio. Maria si turbò nel sentirsi lodare dall'angelo Gabriele e quando santa Elisabetta le disse: «Benedetta tu fra le donne... A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?... Beata colei che ha creduto...» (Lc 1), la Vergine, attribuendo tutte quelle lodi a Dio, rispose con l'umile cantico: «L'anima mia magnifica il Signore». Come se dicesse: «Elisabetta, tu lodi me, ma io lodo il Signore a cui solo è dovuto l'onore. Tu ammiri che io venga a te; io ammiro la divina bontà: “il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”. Tu mi lodi perché ho creduto; io lodo il mio Dio che ha voluto esaltare il mio niente: “perché ha guardato l'umiltà della sua serva”» (Lc 1,46-48). 

È proprio degli umili, infine, il servire, e Maria non esitò ad andare a servire Elisabetta per tre mesi. Dice dunque san Bernardo: «Elisabetta si meravigliava che Maria fosse venuta, ma ancor più si stupisca che sia venuta non per essere servita, ma per servire».

A testimonianza dell’umiltà di Maria, inoltre, va ricordato il fatto che sono pochissime le parole che il vangelo ci riporta di Lei; tanto discreta fu la sua presenza in mezzo ai discepoli che si corre il rischio di crederla assente nella narrazione delle vicende del Signore.

Contemplando l’umiltà della nostra Madre Celeste, allora, se veramente vogliamo essere riconosciuti come suoi devoti, imitiamo questa sublime virtù che Maria ha incarnato in pienezza sull’esempio del Cristo. Quanto sono care a Maria le anime umili! San Bernardo scrive: «La Vergine riconosce e ama quelli che la amano ed è vicina a coloro che la invocano, specialmente a quelli che vede conformi a sé nella castità e nell'umiltà». Perciò il santo esorta tutti coloro che amano Maria ad essere umili: «Sforzatevi di emulare questa virtù, se amate Maria».

Voglio concludere facendo mia la preghiera che S. Alfonso M. De’Liguori elevò alla Regina del cielo:

«Mia Regina, non potrò mai essere tuo vero figlio se non sono umile. Ma non vedi che i miei peccati dopo avermi reso ingrato verso il mio Signore mi hanno fatto diventare anche superbo? Madre mia, poni tu rimedio alla mia situazione: per i meriti della tua umiltà ottienimi di essere umile, divenendo così figlio tuo. Amen

sabato 26 novembre 2022

E' ormai tempo di svegliarci dal sonno: la nostra salvezza è vicina

 «“Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”. Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore.» (Is 2,1-5)

«Fratelli … è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti.» (Rm 13,11-14)

«Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti» (Mt 24,37-44)

​Questa domenica inizia il tempo liturgico dell’Avvento, un tempo caratterizzato dall’attesa e che dà il carattere a tutto l’Anno Liturgico e a tutto il Tempo della Chiesa che sempre celebra “nell’attesa della Tua venuta” (vedi per es. il Mistero della fede). I Padri della Chiesa ci parlano di una triplice venuta del Signore da attendere e a cui fare attenzione: Egli viene oggi in mezzo a noi nella liturgia, perché è già venuto nella nostra natura umana nella pienezza dei tempi ed alla fine del Tempo verrà nella gloria.

Vegliate dunque … Tenetevi pronti. La pagina evangelica di oggi ci riporta quest’accorata esortazione del Maestro.  Attendendo la Sua venuta gloriosa, infatti, siamo invitati a “vegliare”. Al verbo vegliare possono corrispondere almeno tre atteggiamenti che siamo chiamati ad assumere: “stare svegli”, “stare vigili” (attenti) e “fare vigilia”.

Siamo invitati, quindi a “stare svegli”, a non lasciarci prendere dal torpore spirituale nel quale il mondo vorrebbe indurci. «Come furono i giorni di Noè … non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti» All’inizio del brano evangelico, Gesù riporta l’esempio dei contemporanei di Noè: si erano lasciati “stordire” dalla vita presente e non hanno prestato ascolto agli avvertimenti ricevuti. Il diluvio li ha quindi trovati impreparati e sono stati perduti. Il mondo e la vita di ogni giorno possono indurci ad “assopirci”, a rassegnarci accontentandoci di ciò che viviamo senza aspettare più niente, senza speranza. Lo “stare svegli” significa, quindi, non lasciare spegnere la Speranza e l’attesa del Regno. Stare svegli, inoltre, significa essere pronti a riconoscere il Signore quando viene a visitarci, nel povero o nel malato, e accoglierlo.

Siamo invitati ad “essere vigili”, attenti a non cadere nelle trappole del diavolo che «come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1Pt 5,8). La più pericolosa tra queste trappole è l’insinuazione, nei momenti bui della vita, che il Padre non ci ama, che ci ha abbandonati, che dobbiamo salvarci la vita da soli perché nessuno si prende cura di noi. Vigiliamo: usiamo bene del dono della vita e del tempo che il Signore ci concede: ne dovremo rendere conto; non dubitiamo mai, però, dell’amore del nostro Padre celeste che mai ci abbandona e sempre si prende cura di noi; anche quando ci chiede di entrare con lui nella valle oscura, il Suo bastone e il Suo vincastro ci danno sicurezza. (cfr. Sal 22/23).

Siamo invitati, infine, a “fare vigilia”, a vivere questo tempo come un tempo di attesa gioiosa e piena di entusiasmo: viene il Signore della Vita, viene a incontrarci e ad introdurci nella comunione piena con Lui! La nostra attesa è caratterizzata dalla gioia: un’attesa piena di speranza che non resterà delusa. Il tempo della vigilia, però, oltre che dalla gioia, è caratterizzato anche dalla necessità di “tenersi pronti”, di prepararsi all’incontro con il Signore, perché possiamo entrare con Lui nella Gloria del Padre. È questo il senso della “penitenza” cui ci richiama il Tempo liturgico dell’Avvento, una penitenza che è un “convertirci”, un cambiare la direzione della nostra vita, un decentrarci per fare spazio a Colui che viene.

Proprio nel contesto della “penitenza”, vi ripropongo un piccolo esercizio cui mi richiama la Parola di Dio: in queste domeniche di Avvento, celebrando i (secondi) vespri, ci sentiremo rivolgere l’esortazione: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). Un esercizio di “conversione”, di decentramento: mettendo al centro dei nostri pensieri la gioia per la vicinanza del Signore, siamo invitati a non stare ripiegati su noi stessi e sulle inevitabili contrarietà della vita. Ritengo che il modo più immediato di mettere in pratica questa Parola, sia quello di avere sempre un volto sorridente per tutti, disporci sempre ad accogliere l’altro. Spesso, presi dalle difficoltà della vita e dai nostri malumori, non sarà semplice (chi mi conosce sa quanto sia difficile per me), ma … il Signore è vicino!

Fr. Marco

venerdì 18 novembre 2022

Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno

 «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». (2Sam 5, 1-3)

«Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.» (Col 1, 12-20)

«Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. L’altro invece lo rimproverava […] E disse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”». (Lc 23, 35-43)

Oggi, ultima domenica del tempo ordinario, celebriamo la solennità di Cristo Re dell’universo. La pagina evangelica di oggi, tuttavia, ci presenta una regalità diversa da quella che intende il mondo: Cristo è un re che regna dalla Croce. È proprio in questo contesto così lontano dalla regalità mondana, però, che il “buon ladrone” è capace di riconoscere in quell’uomo crocifisso il Messia atteso, il re il cui regno non avrà mai fine: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Il “buon ladrone” è uno dei pochi personaggi del Vangelo di Luca che chiama il Signore per nome: Gesù, Dio salva. Proprio perché consapevole della propria miseria e che nessun uomo potrà salvarlo né potrà salvarsi da solo, questo malfattore può dire in tutta verità Gesù e affidarsi alla salvezza che viene da Dio. E Gesù manifesta la sua regalità concedendo la Grazia: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Altrove Gesù aveva affermato: «Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso» (cfr. Gv 10,18). Sulla Croce, infatti, Gesù è veramente Re secondo il cuore del Padre: non si lascia condizionare, non si lascia sopraffare da tutta la cattiveria e il male del mondo; non subisce gli eventi, ma li vive trasformandoli in un’offerta d’Amore. Elevato sulla Croce per amore nostro, Gesù manifesta pienamente la sua regalità: vince contro il peccato del mondo offrendo la propria vita e perdonando i suoi crocifissori; vince contro il tentatore che, attraverso chi gli sta attorno, continua a chiedergli di salvare se stesso.

Salva te stesso: un invito che torna tre volte in questa breve pagina del vangelo. È la prospettiva egoistica ed egocentrica che regola il mondo. Attraverso i capi, i soldati e uno dei malfattori crocifissi con Lui,  il tentatore continua a suggerire a Gesù di preferire l’egoismo all’amore;  continua a suggerire l’illusione di salvare se stesso non fidandosi dell’amore del Padre. Gesù, però, non cade nell’inganno e con una libertà veramente regale si offre per Amore.

Celebrando la regalità di Cristo, però, oggi siamo chiamati a fare memoria anche della “nostra” regalità, di quella regalità di cui Gesù ci ha resi partecipi.

Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Nella prima lettura le tribù d’Israele fanno una professione di appartenenza a Davide che richiama il libro della Genesi (cfr. Gen 2,23). Un’espressione che allude ad un’appartenenza intima. Sappiamo che Davide è “un’immagine” (un typos) di Gesù Re Messia. Anche noi possiamo dire a Gesù Cristo “Ecco noi siamo tue ossa e tua carne”. Come ci ricorda S. Paolo nella seconda lettura, infatti, la Chiesa è il corpo di Cristo. Noi tutti siamo innestati in Cristo per il battesimo. Proprio per questo ogni battezzato è con Cristo re, sacerdote e profeta.

Come Cristo, che oggi contempliamo re, anche noi siamo chiamati a vivere la nostra regalità sul peccato, sulle passioni, sul giudizio del mondo. Anche noi abbiamo ricevuto quella libertà regale che ci permette di trasformare la nostra vita in un’offerta d’amore. Non viviamo come schiavi delle nostre passioni e dei piaceri passeggeri; facciamo il bene senza lasciarci condizionare dal giudizio del mondo (“che penseranno?”); non lasciamoci ingannare dall’illusione: “se non ci salviamo da noi, saremo persi”; è esattamente il contrario: «Chi perderà la vita per causa mia, la salverà» (cfr. Mt 16,25).

Celebrando Cristo re dell’universo, riconosciamo la Signoria di Cristo sulla nostra vita. Obbediamo a Lui per sperimentare la pienezza della regalità nella nostra vita. Impariamo dal nostro maestro Gesù Cristo la regalità “a gloria di Dio Padre” (Cfr. Fil 2,11).

Fr. Marco

mercoledì 16 novembre 2022

Santa Elisabetta d’Ungheria, prega per noi.

«La donna veramente vedova e che sia rimasta sola, ha riposto la speranza in Dio e si consacra all'orazione e alla preghiera giorno e notte; al contrario quella che si dà ai piaceri, anche se vive, è già morta.» (1 Tm 5,3-10)

 «Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». (Mt 25,31-40)

 La contemplazione della figura di santa Elisabetta d’Ungheria ci ha mostrato in questi giorni del triduo come la nostra santa seppe amare autenticamente Dio e per questo seppe amare i fratelli. È questo il primo e più grande comandamento (Cfr. Mt 22,36-39) e ciò che il Maestro chiede ai suoi discepoli: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35-35).

La Vita di Santa Elisabetta ci mostra come questo amore per Dio e per i fratelli non tolga nulla alla nostra vita, anzi la renda Piena, e come non ci ostacoli nell’adempimento dei doveri del nostro stato, ma ci aiuti a viverli portando frutti di vita eterna. Elisabetta ama realmente il suo Signore al di sopra di tutto e tutti ed è da quest’amore che scaturisce la capacità di donare amore a tutti coloro che aveva accanto. Proprio perché vive la profonda intimità con Dio, proprio perché Dio è il suo tutto e percepisce profondamente l’amore di Dio per lei, Elisabetta è configurata a Cristo diventando manifestazione dell’amore di Dio per i fratelli.

Vorrei, inoltre, sottolineare come la Carità che ci richiede oggi la pagina di vangelo non sia “pelosa”, interessata: i giusti cui viene rivolta la lode si meravigliano che il Re consideri fatti a sé i gesti d’autentico amore che loro hanno compiuto; non cercavano di “meritarsi il paradiso”, ma amavano i fratelli come se stessi e come essi si sono sentiti amati da Dio. È questo amore autentico che Santa Elisabetta ci addita con il suo esempio.

Come dicevamo ieri, Elisabetta a corte è stata considerata pazza. E lo è davvero: è pazza d’amore, di quella pazzia che il mondo non può comprendere, di quella stessa pazzia di cui fu accusato S. Francesco, ma che prima era stata del nostro Maestro e Signore.

Elisabetta è pazza d’amore e pur non lasciandoci nulla di scritto, con la sua stessa vita ci insegna a vivere il vangelo.

Elisabetta seppe perdere la vita per seguire Gesù (cfr. Mc 8,34-35): dimentica di sé, dei suoi stessi bisogni e della sua “rispettabilità” si diede tutta al Signore nella penitenza e nella carità fino a consumarsi all’età di 24 anni. Non ha sprecato la vita, ma l’ha vissuta pienamente e adesso gode di quella pienezza di vita che il mondo non conosce.

Desiderosa di seguire il suo Maestro e Signore, Elisabetta seppe lasciare tutto ciò che aveva, tutte le sue sicurezze materiali, consapevole che solo il Signore è capace di darci ciò di cui abbiamo veramente bisogno: il Suo Amore. Tutto il resto è utile e buono purché Lui sia il centro della nostra vita. Se al contrario Dio è assente nella nostra vita, non ci saranno ricchezze sufficienti a saziarci, nulla riuscirà a riempire il vuoto dentro di noi.

La forza interiore di Santa Elisabetta, però, trae origine dalla sua preghiera: intenso e continuo dialogo amoroso di un cuore di figlia con il Cuore del Padre. Da qui la necessità di un amore fattivo che diventa servizio ai bisognosi e sofferenti: alle sue ancelle e compagne diceva: «Dobbiamo rendere felici le persone». La vita di Santa Elisabetta si pone oggi a noi come una lezione affinché tutti possiamo imitarla. Santa Elisabetta d’Ungheria, prega per noi.

Fr. Marco