venerdì 28 aprile 2023

Seguiamo il Buon Pastore

 «… Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: “Salvatevi da questa generazione perversa!”». (At 2, 14.36-41)

«… anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, … Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime.» (1Pt 2, 20-25)

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. … Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». (Gv 10, 1-10)

Il Vangelo della quarta domenica di Pasqua ci presenta Gesù come la “porta” dalla quale si accede alla Vita e il Pastore che si prende cura delle sue pecore. A questo si unisce, nella prima e seconda lettura, l’invito dell’apostolo Pietro a “salvarci” da questa generazione e a seguire il pastore e custode delle nostre anime.

Spesso nell’Antico Testamento viene presentata l’idea del Dio-Pastore per manifestare la cura amorosa di Dio verso il suo popolo. Una cura che si rendeva concreta anche attraverso i re che “pascevano” il popolo in nome di Dio.

Oggi, tuttavia, l’idea del popolo come pecore pasciute da Dio facilmente viene interpretata come offensiva: dire ad una persona che è “come una pecora”, spesso significa dire che è incapace di decidere, che non è una persona autonoma e libera, e la libertà, giustamente, è considerata una caratteristica irrinunciabile della persona.

Cosa significa, però, essere liberi? Una risposta potrebbe essere: “decidere autonomamente che cosa fare”; espresso in termini più semplici: “fare quello che si vuole”. Ma cosa significa “fare quello che si vuole”? Significa fare quello che ci passa per la testa in un dato momento, o fare ciò che soddisfa il nostro desiderio profondo di la felicità? Mi sembra evidente che, se facessimo sempre tutto ciò che “ci passa per la testa”, in poco tempo ci rovineremmo la vita. Non credo, inoltre, che potremmo essere definiti liberi, ma schiavi delle nostre passioni e del desiderio del momento che ci impediscono di realizzare la nostra felicità.

La vera libertà , allora, è nel fare ciò che soddisfa la nostra sete profonda di felicità. Questo, però, comporta avere una considerazione più a lungo termine della vita: sapere fare oggi delle scelte, magari costose, per ottenere un risultato migliore domani. Anche in questo, però, scopriamo che non siamo “assolutamente liberi”; sono tanti i “progetti di felicità” che ci vengono messi davanti e sono numerosi coloro che si professano “pastori” promettendo serenità, giustizia ecc. e che tentano di condizionare le nostre scelte. Penso di potere affermare, quindi, che la nostra vera libertà consista solo nello scegliere quale “pastore” seguire.

«Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere». Oggi, forse più che al tempo di Gesù, sono veramente tanti i falsi pastori che non hanno interesse a “pascere le pecore”, ma che vogliono solo “pascere se stessi”. Tra esperti di marketing, pubblicitari, politici ecc. siamo continuamente contesi: come scegliere? Nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, da cui è tratta la pagina odierna, Gesù stesso ci dà un criterio per distinguere il Pastore dai mercenari: il Buon Pastore (quello vero) dà la vita per le pecore (Gv. 10,11). Nel vangelo di oggi, inoltre, il Maestro evidenzia una caratteristica del vero Pastore: «egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome». Solo il Pastore, infatti, ci conosce e ama intimamente e singolarmente; solo Lui sa quale sia la nostra strada per giungere alla felicità cui aneliamo; solo Lui è venuto a donarci la Vita in abbondanza.

Se ci guardiamo attorno, non sono pochi, purtroppo, coloro che vivono una vita che non li soddisfa; condizionati da qualche falso pastore, hanno fatto scelte che si sono rivelate insoddisfacenti per loro e adesso si trovano a vivere una vita che non è la loro, a “pedalare una bicicletta che non volevano” (“Ma è vita questa?” Quante volte ci capita di sentire affermazioni del genere!).

La IV domenica di Pasqua è anche la Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni. Quanto è importante pregare perché i nostri giovani, ciascuno di noi, trovi la giusta Via della Vita, passi per la Porta, e seguendo il Pastore, giunga a quella Vita in abbondanza che Lui solo ci può donare.

Preghiamo allora, perché ancora oggi, Gesù, che ci ha liberato dal condizionamento del peccato e delle nostre passioni, continui a pascere il Suo popolo illuminandolo con la Sua Parola, nutrendolo con il Suo Corpo e il Suo Sangue e guidandolo con pastori che Lui ha scelto e consacrato. Saremo sufficientemente liberi da seguire il Buon Pastore?

Fr. Marco

venerdì 21 aprile 2023

Gesù in persona camminava con loro

«Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret […] voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,14.22-33)

«Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.» (1Pt 1,17-21)

«In quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.» (Lc 24,13-35)

Nella III domenica di Pasqua la pagina evangelica ci riporta ancora a quel primo giorno della settimana, giorno glorioso della resurrezione, presentandoci il racconto dei “Discepoli di Emmaus” che, delusi e col volto triste, tornano al loro villaggio.

«Noi speravamo …» I due discepoli che scoraggiati scendono da Gerusalemme ad Emmaus,  dal monte santo alla loro quotidianità, allontanandosi così dalla Comunità dei discepoli, sono molto vicini ai cristiani nostri contemporanei che non sentono più la gioia di vivere, che sono delusi da tutto … che non hanno più speranza.

I due discepoli del racconto evangelico sicuramente conoscono le Scritture: è probabile che, in quanto israeliti, abbiano imparato a leggere sulla Torah. Da quello che dicono, sembra che abbiano conosciuto da vicino Gesù; magari hanno ascoltato la Sua predicazione e assistito a qualche segno prodigioso. Nella pericope si legge pure che hanno sentito l'annuncio della resurrezione di Gesù portato dalle donne. Tutto questo, però, non basta a dare loro gioia e speranza, a fare ardere il loro cuore. Neanche quando lo stesso Cristo Risorto si fa loro compagno di viaggio, in loro si affaccia la gioia: i loro occhi sono impediti a riconoscerlo. Hanno “occhi carnali”, desiderosi del “successo”, magari di vendetta: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele». Sono incapaci di vedere lo “Spirituale”, per questo non possono riconoscere il corpo glorioso di Cristo.

Anche per tanti cristiani nostri contemporanei l’annuncio che Cristo è risorto non è più motivo di gioia e speranza, ha perso significato. Mi torna in mente un fatto successo circa venti anni fa, ma che mi ha colpito: passeggiavo per il centro di Palermo e venni accostato da un artista di strada (non ricordo cosa facesse) il quale, prima di chiedermi dei soldi, forse volendo essere originale, mi chiese: «Puoi darmi una buona notizia?». Dopo qualche istante risposi: «Cristo è Risorto!». E lui, con la faccia delusa: «Tutto qui? Ma questa non è una novità.»  Il fatto è in sé banale, ma mi è subito tornato in mente pensando a come la Resurrezione di Cristo non sia più fonte di gioia, non incide sulle nostre vite.

Come gli occhi dei discepoli di Emmaus, anche i nostri occhi sono impediti a riconoscere Gesù che cammina accanto a noi; per questo i nostri cuori non ardono. Penso a quante volte anch’io non vedo l’opera che Dio sta compiendo perché i miei occhi sono impediti, sono “carnali”: pieni di desiderio di rivalsa, di brama di successo, di concupiscenza (cfr. 1Gv 2,16). Quante volte a causa dei miei occhi impediti, non vedendo l’opera di Cristo, non sono nella gioia!

« … spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui … prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». L’evangelista Luca, nella costruzione di questo racconto, traccia gli elementi essenziali della celebrazione eucaristica: l’ascolto della Parola e lo spezzare il pane. È lì, infatti, che possiamo fare esperienza del Cristo Risorto. Solo allo “spezzare il pane”, nel miracolo dell'amore che si fa dono senza misura, i discepoli di tutti i tempi sentiranno ardere il loro cuore e diverranno testimoni della gioia. Perché i nostri occhi si aprano e i nostri cuori ardano di gioia, è necessario l’incontro con il Risorto, è necessario nutrirci alla duplice mensa della Parola e del Corpo di Cristo. Gesù Risorto è rimasto con noi fino alla fine dei tempi e continua ad operare e a donare Gioia e Speranza: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20)

Chiediamo al Signore di purificare i nostri occhi e di aprire le nostre menti alla comprensione delle Scritture; chiediamoGli di concederci di vivere realmente l’Eucarestia sia nel suo segno sacramentale, sia nella sua traduzione esistenziale: facendoci “pane spezzato” per i fratelli. Allora i nostri cuori torneranno ad ardere e saremo testimoni credibili della gioia della resurrezione.

Fr. Marco

sabato 15 aprile 2023

Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi

 «Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.» (At 5,12-16)

«Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi.» (Ap 1,9-11.12-13.17-19)

«La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco.  … “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20,19-31)

​La Parola di Dio della seconda domenica di Pasqua ci colloca ancora al giorno della Resurrezione: la Pasqua è un evento talmente unico e meraviglioso, che la Chiesa sente il bisogno di dilatarlo in otto giorni per contemplarlo.

Nei primi tempi della Chiesa, questa domenica era detta “in albis (deponendis)”: i neofiti, battezzati da adulti a Pasqua, che per tutta la settimana avevano portato la veste bianca dei risorti, deponevano la veste battesimale. Per volere di San Giovanni Paolo II, oggi la Chiesa celebra anche la Festa della Divina Misericordia.

« Pace a voi!». La pagina di Vangelo di oggi ci fa contemplare Gesù Risorto che entra a porte chiuse nel luogo in cui i discepoli si nascondono per timore dei Giudei. In questo contesto di paura, Gesù viene portando il dono pasquale per eccellenza: lo Shalom (Pace-Felicita-Pienezza), una parola che significa molto più di pace. È questo il dono che fa anche a noi qui ed ora. Se glielo permettiamo, Gesù vuole entrare nel più profondo delle nostre angosce e paure per portare la Pace che solo Lui ci può donare. Anche noi, spesso angosciati dai nostri fallimenti, tradimenti, incoerenze, paure e fragilità, siamo chiamati a gioire nel vedere il Signore.

« Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» Solo dopo avere accolto in noi la Pace che il Risorto e venuto a donarci, anche noi come i discepoli siamo mandati quest’oggi per essere testimoni. Non annunciatori di un “sentito dire”, ma testimoni capaci di annunciare ciò che hanno sperimentato, ciò che il Signore ha compiuto nella loro vita. È per questo che, subito dopo aver donato la Pace, Gesù dona alla Chiesa lo Spirito insieme al “potere” di rimettere i peccati. La Chiesa è mandata così a continuare l’opera di riconciliazione e guarigione compiuta da Cristo. Se sapremo accogliere il perdono e la misericordia che Gesù viene a portarci, allora potremo donare il perdono e vivere la Pace.

La Pace pasquale che Gesù viene a donarci, infatti, non è “non belligeranza”, reciproca indifferenza, ma reciproca accoglienza e perdono. Il perdono capace di creare una Nuova Vita in colui che lo riceve. Ecco il senso della festa della divina Misericordia: accogliere nella nostra vita il perdono del Padre che ci giunge per la Passione del Figlio e per opera dello Spirito. Avendo accolto questa Misericordia, siamo chiamati a implorarla per il mondo intero a farci intercessori per la salvezza del mondo. Siamo chiamati, però, soprattutto a farci operatori di misericordia eliminando in noi ogni giudizio di condanna dei fratelli.

Chiarisco il mio pensiero: se vediamo il fratello o la sorella che sbaglia, per amore di verità non possiamo negare l’oggettività dell’errore. Siamo chiamati tuttavia, non a condannare e magari divulgare l’errore, ma a comprendere, giustificare e, con vero amore fraterno, correggere il fratello. Siamo chiamati ad usare misericordia, cioè ad avere un cuore rivolto verso i miseri.

«… mostrò loro le mani e il fianco …» È significativo che proprio questa domenica la Parola accentui l’attenzione sulle Piaghe del Risorto: è da quelle piaghe che sgorga la sorgente della Misericordia. È per questo che la festa della Divina Misericordia è preparata da una novena che inizia il venerdì santo: dalle Sue piaghe siamo stati guariti. Il Risorto porta addosso le ferite inflittegli dalla cattiveria degli uomini, ma proprio a partire da esse usa Misericordia al mondo. Anche noi siamo piagati dal nostro peccato e dal peccato dei fratelli, ma è proprio a partire dal contemplare le piaghe di Cristo e dall’unire le nostre sofferenze alle Sue, che siamo chiamati ad usare misericordia divenendo, ognuno nello stato a cui il Signore lo ha chiamato, ministri del perdono.

Tutto ciò non è facile, la nostra natura ferita si ribella. Da ciò, però, dipende l’autenticità della nostra fede. Se davvero crediamo che Gesù è Risorto e che noi, nel battesimo, siamo risorti con lui, lasciamo che lo Spirito ci insegni a vivere da risorti che non temono più la morte e le ferite che il peccato altrui potrà infliggerci e preghiamo con le parole rivelate a Santa Faustina e che la Chiesa ha accolto e tramandato: Eterno Padre, ti offro il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità del tuo dilettissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero!

Fr. Marco

sabato 8 aprile 2023

Vide e credette. È risorto! Alleluia!

 « … ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome». (At 10,34a.37-43)

«Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.» (Col 3,1-4)

«Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.» (Gv 20,1-9)

Il Vangelo del giorno di Pasqua si apre con una costatazione: quando Maria di Magdala si reca al sepolcro era ancora buio. Probabilmente Maria si è recata al sepolcro prima dell’alba, pressata dall’amore per il Maestro sepolto frettolosamente la vigilia della Pasqua; sappiamo, però, che il Vangelo di Giovanni ha una forte connotazione simbolica e ci è lecito, quindi, pensare che l’evangelista si riferisca anche allo stato d’animo di Maria: se il suo Signore è morto e sepolto o, peggio, se il sepolcro è vuoto perché hanno portato via il Suo corpo, nel suo animo c’è oscurità, lutto, senso di una perdita irrimediabile ed irreversibile.

«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!» Dinanzi al sepolcro vuoto, il lutto diventa sgomento e incomprensione e Maria porta la sconcertante notizia ai discepoli. L’attenzione si sposta adesso su Pietro e Giovanni, ma solo di quest’ultimo, quello che Gesù amava, si dice che vide e credette

Ecco un raggio di luce! Per vedere, infatti è necessaria la luce. Non è sicuramente per caso che l'evangelista sottolinea che si tratta del discepolo che Gesù amava (trovo suggestivo la possibilità di leggere: “quello che amava Gesù”). È l’amore quella luce che permette a Giovanni di distinguere la “presenza” del Risorto, nei segni di un’assenza.

L’evangelista, infatti, precisa: «osservò i teli posati là, e il sudario …». Il verbo greco usato dall’evangelista indica un “guardare con attenzione”, osservare con calma, rendersi conto di ogni particolare, riconoscere i singoli oggetti e la loro collocazione. I teli giacevano posati là, afflosciati, a indicare che le bende non erano in disordine, ma che giacevano a terra come sgonfie, perché non vi era più il corpo che li sostenesse. Sarebbero stati in disordine, se qualcuno li avesse frettolosamente tolti per trafugare il corpo.

Ciò che conta è che il discepolo “credette” anche se non comprese (cfr. v. 9). L’amore è probabilmente quella luce che gli permette di intuire la realtà di ciò che non può comprendere.

«Chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome». La prima lettura lega alcune conseguenze alla fede amante, a questa Luce che permette di vedere: il perdono dei peccati. S. Pietro ci dice, inoltre, che chi crede in Lui, chi, illuminato da questa fede amante, l’ha riconosciuto presente nella sua vita,  è invitato all’annuncio e alla testimonianza: «… ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare».

Il Signore Risorto è vivo e presente in mezzo a noi. Premuriamoci di purificare i nostri occhi e di ravvivare il nostro amore per poterlo vedere e riconoscere: la nostra vita ne sarà trasformata. Auguri.

Fra Marco.

venerdì 7 aprile 2023

«È compiuto!»

 «Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.» (Gv 18,1-19,42)

Nel pomeriggio del Venerdì Santo la Chiesa celebra la Passione di N. S. Gesù Cristo. Prima della preghiera universale e della adorazione della Croce viene proclamata la Passione secondo il Vangelo di Giovanni. In questo racconto l’evangelista sottolinea come Gesù non subisce gli eventi ma li assume da Signore: è l’ora della Gloria. Nessuno Gli toglie la vita, ma Lui la consegna da se stesso (Cfr. Gv 10,18). Sulla Croce, infatti, si realizza la totale e piena consacrazione di Gesù quale vittima e sacerdote che con la Sua offerta glorifica il Padre e da Lui è glorificato (cfr. Gv 17,4-5.19)

Gesù sulla Croce regna vittorioso. Questo è evidenziato dall’ultima parola che pronunzia prima di “consegnare lo spirito”: «É compiuto». Il verbo greco usato, teleo, rimanda all’inizio dei discorsi dell’ultima cena in Giovanni, quando, nel Cenacolo «Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine (eis telos – fino al compimento)» (Gv 13,1). Ora, sulla Croce, donando se stesso, Gesù realizza la totalità dell’Amore, lo porta a pieno compimento.

Gesù non muore stremato e sconfitto. Egli afferma: “Tutto è compiuto”, cioè “Ho eseguito con successo il compito per il quale ero venuto”. «É compiuto» è dunque il grido finale di vittoria del Salvatore. Quando morì, Cristo portò tutto a compimento. L’Amore di Dio per l’uomo si manifesta nella sua massima espressione: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.» (Gv 15,13). È portata a compimento la “Volontà del Padre”, cioè il progetto salvifico, che passa attraverso la conoscenza del Padre nella verità perché l’uomo possa essere salvato dal nonsenso della vita e possa avere la Vita eterna (cfr Gv 4,34 e 17,3-4): «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.» Sulla Croce, infine, è annullato «il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce» (Col 2,14). La trasgressione della Legge da parte dell’umanità peccatrice, infatti, sfociava in una sentenza di morte. La passione di Cristo ha pagato ogni debito e annullato la sentenza di morte: «É compiuto»

La prima cosa che siamo chiamati a fare contemplando la Passione di Gesù è credere alla buona notizia, accogliere ciò che Cristo ha fatto per noi: «Tutto è compiuto!», siamo stati salvati senza nostro alcun merito.

Credendo a quest’amore portato fino all’estremo, inoltre, siamo invitati a lasciarci conquistare dall’Amore e ad accenderci d’amore a nostra volta. Siamo chiamati, infine, a corrispondere come meglio possiamo a quest’amore donando anche noi la nostra vita perché il Padre possa compiacersi di noi come del Figlio. Innestati per il Battesimo in Cristo Re, Sacerdote e Profeta, anche noi, infatti, siamo chiamati in Cristo a glorificare il Padre: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.» (Gv 15,8); anche noi siamo chiamati ad offrire noi stessi, i nostri corpi, «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.» (Rm 12,1-2)

Accogliamo l’amore di Gesù Cristo e viviamo il suo comandamento: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.» (Gv 13,34)

Fr. Marco

 

 

giovedì 6 aprile 2023

«Vi ho dato l'esempio»

« … fate questo in memoria di me …» (1Cor 11, 23-26)

«Vi ho dato l’esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13, 1-15)

Nelle ore serali del Giovedì santo si celebra la “Messa nella Cena del Signore” nella quale facciamo solenne memoriale della istituzione dell'Eucarestia, il Sacramento della Carità, dell'Amore di Dio per noi che ci rende un solo Corpo di Cristo, la Chiesa, unita dal Suo Amore. È questo il senso del gesto della lavanda dei piedi (dove si fa).

Gesù nell’ultima cena dopo avere amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, sino all’estremo compimento: donando il Suo Corpo e il Suo Sangue. Tale donazione, tuttavia, non è che la naturale conclusione di una “vita donata”. Una donazione che comincia con l’incarnazione: è lì infatti che ha inizio quella Kenosi, quello svuotamento che ha il suo culmine sulla Croce e, sacramentalmente, nell’Eucaristia.

L’evangelista Giovanni, tuttavia, invece di raccontare l’istituzione dell’Eucarestia, racconta della lavanda dei piedi e, attraverso questo racconto, spiega la logica del “Corpo spezzato” e del “Sangue versato”, raccontati dagli altri evangelisti. San Giovanni racconta che Gesù si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse l’asciugatoio, lavò i piedi e riprese le vesti. Nel testo greco sono adoperati gli stessi verbi che pronuncia Gesù quando dice: “Io lascio la mia vita per riprenderla di nuovo”. Questa è una spia, ci fa capire che questo gesto non è un gesto emotivo, fatto da Gesù la sera dell’ultima cena, ma è proprio la descrizione, la “formula breve”, della Passione, e quindi dell’Eucaristia. Questo gesto spiega la logica dell’Eucaristia: Gesù, rimanendo sempre servo, servo e Signore, dice che la nostra signoria, la nostra affermazione, sta nel servizio[1].

«Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15) Queste parole hanno qui il senso di «Fate questo in memoria di me»: ci invitano sicuramente a ripetere il gesto sacramentale, a celebrare il memoriale, ma hanno anche il senso di comandare di fare ciò che il gesto sacramentale significa: come Cristo, anche noi dobbiamo potere dire: questo è il mio corpo spezzato per voi, questo è il mio sangue versato per voi.

Lavarci i piedi l’un l’altro sull’esempio del Maestro, infatti, è il comando lasciatoci da Gesù. È questa la via voluta da Dio per la nostra salvezza. Partecipare al banchetto eucaristico significa, in obbedienza a Cristo, unirsi alla sua offerta d’amore, fare comunione con Cristo, assimilarsi (farsi simili) al Figlio diletto del Padre.

Nell’enciclica Sacramentum Caritatis, papa Benedetto XVI ci ricordava che il cristiano è chiamato a testimoniare concretamente sul piano sociale e politico l’amore di Cristo, facendosi “pane spezzato per gli altri” e impegnandosi “per un mondo più giusto e fraterno”, denunciando lo scandalo della fame, il dramma dei profughi, il crescente divario tra ricchi e poveri provocato da “certi processi di globalizzazione”.

Facendo memoriale dell’Amore di Cristo portato fino al pieno compimento nel servizio ai fratelli e nell’offerta sacramentale del Suo Copro e del Suo Sangue, lasciamoci conformare a Cristo ed impariamo ad amare il Padre e i fratelli fino alla fine.

Fra Marco



[1] Cfr. Bello A., Laudate e benedicete, ed Insieme, Terlizzi 2000, 45-48

sabato 1 aprile 2023

«Davvero costui era Figlio di Dio!»

 

«A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: “Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?”. […]Quelli risposero: “Barabba!”. Chiese loro Pilato: “Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?”. Tutti risposero: “Sia crocifisso!”. Ed egli disse: “Ma che male ha fatto?”. Essi allora gridavano più forte: “Sia crocifisso!” […] Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce.».(Mt 27, 17-23)

Come ogni anno, questa domenica, detta delle palme, facciamo memoria dell’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme. In ricordo del suo ingresso trionfale, benediciamo le palme e processionalmente ci avviamo in chiesa dove siamo invitati ad ascoltare e meditare sulla Passione di nostro Signore che quest’anno ci viene raccontata dal Vangelo secondo Matteo.

Il racconto della Passione di Gesù, infatti, è sempre occasione di meditazione e di contemplazione: contemplo il grande amore con cui sono stato amato e medito sull’insufficienza della mia corrispondenza, sul peso che il mio peccato aggiunge alla Croce di Cristo. Nell’ascoltare la Passione raccontata dall’evangelista Matteo, due momenti mi colpiscono particolarmente: il dialogo di Pilato con la folla e il fatto che Simone di Cirene venga costretto a portare la croce.

Mi risuonano dentro le parole del dialogo di Pilato con la folla. Una folla che pochi giorni prima aveva accolto festante Gesù, riconoscendolo il Messia atteso, e che ora grida “crocifiggilo”. In questo cambiamento di atteggiamento scorgo l’inconsistenza dell’uomo, la mia incostanza e incoerenza. Veramente posso solo affidarmi alla fedeltà di Dio!

«Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?» Il Vangelo ci dice chiaramente che la folla fu sobillata dai sacerdoti perché richiedessero la liberazione di Barabba piuttosto che quella di Gesù. Gesù o Barabba? Il giusto o il “conveniente”? Nell’alternativa posta da Pilato e nella risposta della folla scorgo tutte quelle volte in cui, per paura o per interesse, nelle varie scelte che la vita mi impone, non scelgo ciò che so essere giusto, ma ciò che è più conveniente, pur sapendo che è sbagliato. Che, magari, va a scapito di un innocente. Guardandomi attorno, purtroppo, vedo una società che facilmente si lascia affascinare dal guadagno immediato piuttosto che dalla verità. Come è facile cadere nella tentazione di “vendersi” per la promessa di un lavoro, di un aumento, …

Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Simone di Cirene probabilmente neanche conosce Gesù. Forse si trova solo a passare di là. Non sono là i discepoli con cui Gesù ha condiviso tanto; quelli che Gesù ha chiamato amici; quelli che avevano professato amore fedele al Maestro; quelli che avevano detto: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò» (v. 35). Loro non ci sono. Forse sono nascosti tra la folla, ma non sono lì a condividere la sorte del Maestro. Lì c’è Simone che a questa condivisione viene costretto suo malgrado, ma che non mancherà sicuramente di ricevere la sua ricompensa. Quante volte anch’io ho fatto promesse di fedeltà al Signore, ho professato il mio amore per lui, ma al momento della prova sono venuto meno. Altre volte, invece, per grazia di Dio, mi trovo costretto a “portare una croce” che non voglio, che non avevo preventivato, che non è la mia. Sul momento mi pare un sopruso e mi ribello. Solo in un secondo momento comprendo che è stata una grazia, un’occasione per portare la Croce di Gesù … un’occasione che magari potevo vivere meglio.

Gesù, tu che sulla Croce preghi per i tuoi crocifissori, abbi pietà di noi e concedici di sapere sempre rendere testimonianza alla Verità, di avere sempre la forza di scegliere ciò che sappiamo essere giusto, anche quando non ci conviene, anche quando perdiamo un ingiusto privilegio o andiamo incontro a persecuzioni. Concedici, Signore, di portare la Croce con Te, di riconoscerti nei crocifissi del mondo e di farci cirenei dei nostri fratelli.

Concedici di ricordare sempre le tue Parole: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.» (Mt 5, 11-12)

Fra Marco.