sabato 25 gennaio 2020

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce

«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.» (Is 8,23-9,3)

«Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.» (1Cor 1,10-13.17)

«Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, … Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”» (Mt 4,12-23)

La Parola di Dio della terza domenica del tempo ordinario, come nella notte di Natale, ci presenta la Luce che viene nel mondo per illuminare coloro che camminano nelle tenebre. Al tempo in cui scrive il profeta Isaia il popolo che camminava nelle tenebre è Israele, il popolo di Dio, che viene liberato dall’esilio conseguenza della sconfitta contro il re assiro Tiglet Pilezer. Oggi il popolo di Dio chiamato ad accogliere la Luce è la Chiesa, il popolo della Nuova ed Eterna alleanza, di cui la predicazione di Gesù e la chiamata dei primi quattro discepoli ci mostrano gli inizi.
«“Venite dietro a me” … lo seguirono» La Chiesa è un popolo di discepoli che, chiamati da Gesù, si mettono alla Sua sequela. La Parola di Dio di oggi ci offre l’occasione per una riflessione sulla Chiesa, perché ne ripropone gli elementi costitutivi che ricordiamo nella nostra professione di Fede: Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
La Chiesa è “una” perché viene da Cristo, che è il suo capo, da Lui è adunata e dietro di Lui cammina. Le varie comunità cristiane, le varie spiritualità, i vari cammini, si riconoscono tutte come parte dell'unica Chiesa fondata da Cristo. Esiste un solo battesimo, una sola fede (Cfr. Ef 4,4-6) che lega i credenti in Cristo. Per questo Paolo, nella seconda lettura, combatte vigorosamente ogni spirito settario e ogni tentativo di manipolazione da parte di un gruppo. È una tentazione ricorrente quella di pensare ad un gruppo come canale esclusivo o privilegiato di salvezza. Nell'unica Chiesa lo Spirito Santo ha suscitato e continua a suscitare molteplici cammini e "spiritualità"; ciascuno di essi è una ricchezza per la Chiesa purché, nella sequela dell'unico Maestro, rimanga in comunione con tutti gli altri.
La Chiesa è “santa” perché costituita da uomini e donne “santificati” per il loro battesimo in Cristo. La santità è prima di tutto dono prezioso e assolutamente gratuito. A questo dono gratuito siamo chiamati corrispondere portando frutto con la conversione, cioè con la costante tensione ad abbandonare “le nostre strade” e a restare docili alla volontà del Padre, come Cristo ce l'ha comunicata e come lo Spirito continuamente ce la propone anche attraverso i nostri pastori. La Chiesa è santa, ma questa santità si deve manifestare nei suoi membri. Troppo spesso, invece, noi battezzati "appesantiamo" la Chiesa con il nostro peccato. Per questo anche oggi il Vangelo ci invita alla conversione, a correggere la rotta del nostro cammino, per seguire Gesù Cristo, il Santo di Dio.
La Chiesa è “Cattolica”, cioè universale. Il richiamo alle tribù del nord, Zabulon e Neftali, e alla “Galilea delle genti”, zona spesso abitata o attraversata da pagani, ricordano alla chiesa la vocazione di essere aperta sul mondo. Gesù ha scelto di vivere la sua vita nascosta e di iniziare la sua vita pubblica in Galilea per mostrare la vicinanza con gli ultimi e con gli esclusi; tutti quindi siamo chiamati a riconoscerci e ad accoglierci come fratelli.
La Chiesa è “apostolica” perché  il suo unico fondamento, Cristo, prende concretezza storica negli apostoli e nei loro successori (i vescovi) in comunione con il vescovo di Roma, il Papa. La esplicita chiamata degli apostoli (i primi quattro nel vangelo di oggi) denota la precisa volontà di Gesù di organizzare la chiesa in questo modo. I vescovi, successori degli apostoli, a capo delle varie chiese locali, sono garanti della fede e guidano la comunità locale nella sequela di Cristo. L’apostolicità, tuttavia, riguarda la Chiesa anche in tutti i suoi membri: tutti i battezzati, infatti, siamo apostoli, cioè “inviati” a portare la buona notizia del Vangelo nei nostri ambienti quotidiani perché il mondo veda la Luce di Cristo e gioisca.
In conclusione voglio rivolgervi l’invito ad amare la Chiesa, di cui siamo membra, e a pregare per i nostri pastori (invece di giudicarli). Preghiamo soprattutto perché questo popolo della Nuova ed Eterna Alleanza, a cui il Signore ha chiesto di diffondere luce sul cammino tortuoso degli uomini, divenga sempre più segno di salvezza e speranza per tutti.
Fr. Marco

sabato 18 gennaio 2020

Colui che toglie il peccato del mondo


«È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra». (Is 49,3.5-6)

«Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, … a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata … » ( 1Cor 1,1-3)

«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29-34)

Il Vangelo della seconda domenica del tempo ordinario ci riporta al giorno dopo il battesimo di Gesù. Giovanni il Battista, vedendo passare Gesù, memore di ciò che ha contemplato il giorno del battesimo al Giordano, lo addita ai suoi discepoli come l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo. Vorrei soffermarmi sull’uso del singolare: il peccato del mondo, quello da cui derivano i peccati, per l’evangelista Giovanni è il rifiuto della Luce (Cfr. Gv 1,9-11). In che modo Gesù toglie il peccato del mondo? Sicuramente caricandosi i nostri peccati (come suggerisce l’accostamento al carme del servo sofferente che come agnello mansueto condotto al macello … è trafitto per le nostre colpe  – Cfr Is 52,13-53,12), ma anche e forse soprattutto, facendoci conoscere Dio come Padre e non come il “mostro capriccioso” che non ci vuole felici e ci nega tutto. Il peccato del mondo, infatti, trae la sua origine da questa visione distorta di Dio a cui l’uomo non può che ribellarsi. Gesù è il Verbo eterno che con il suo mistero pasquale abbatte “il muro di inimicizia” tra gli uomini e Dio: ora è possibile riconoscere e accogliere l’amore del Padre e, in tal modo, diventare figli di Dio (Cfr. Gv 1,12)
L’immagine dell’agnello che toglie i peccati, rimanda anche ai sacrifici espiatori compiuti nel tempio, in particolare all’agnello pasquale con il sangue del quale venivano segnati gli stipiti delle porte la notte di pasqua perché l’angelo della morte passasse oltre (Cfr. Es 12,7). Giovanni introduce qui il parallelismo che sarà pienamente sviluppato nel racconto della Passione: Gesù è crocifisso nella parasceve di pasqua proprio nell’ora in cui si preparava la cena pasquale (Gv 19,14); non gli sarà spezzato alcun osso secondo le prescrizioni per la preparazione dell’agnello pasquale (Cfr. Es 12,46 e Gv 19,36). Ne consegue che per l’evangelista Giovanni, Gesù è il vero e definitivo Agnello pasquale nel sangue del quale siamo salvati.
Proprio grazie al sacrificio pasquale del Cristo in cui noi siamo Battezzati, infatti, è stata stipulata la Nuova ed eterna Alleanza, per la quale, resi conformi al Figlio di Dio, siamo chiamati alla santità. È quello che ci ricorda S. Paolo nella seconda lettura: siamo stati santificati e siamo chiamati alla santità, cioè a fare fruttificare quella grazia che il Signore ci ha donato nel battesimo. 
Che significa però essere santo? Fare miracoli? Avere il dono della bilocazione? … No! Queste sono solo manifestazioni esterne che il Signore può concedere per il bene della Chiesa. Essere santo significa principalmente e fondamentalmente vivere il proprio Battesimo cioè vivere la Fede, la Speranza e la Carità. La domanda posta prima allora potrebbe trasformarsi: come si fa ad avere la Fede, la Speranza e la Carità? Bisogna forse impegnarsi? No! Fin dai primi tempi del suo pontificato, Papa Francesco ha avuto modo di ricordare a tutta la Chiesa che per essere santi ciò che importa è lasciare operare Dio nella nostra vita, abbandonarsi a Lui. È Lui che ci ha conformati a Sé e che ci ha donato Fede, Speranza e Carità. La conformità a Cristo, e quindi la Fede, la Speranza e la Carità, è un dono gratuito di Dio che ci è stato consegnato al momento del nostro Battesimo: ogni battezzato ha in se il seme della Fede che produce i frutti della Speranza e della Carità.
Questo dono, però, ci chiama alla responsabilità: se ci regalano una pianta che fa fiori e frutti meravigliosi, ma noi non la concimiamo, non la innaffiamo, non togliamo le erbacce e magari la teniamo al buio in un angolo nascosto della nostra casa, è forse colpa della pianta se non vedremo mai né fiori né frutti?
Così è della nostra Fede: il Padre ce la dona con il Suo Spirito al momento del Battesimo, sta a noi però coltivarla, nutrirla, purificarla. Il Padre ce ne dà pure l’occasione con i Sacramenti. Nutriamo allora la nostra Fede, procuriamo di farla crescere e, senza nostro sforzo, vedremo nascere nella nostra vita i frutti della Speranza e della Carità. Diventeremo così realmente ciò che siamo chiamati ad essere: figli nel Figlio, santi che, come il Battista, saranno capaci di testimoniare al mondo, con la loro vita bella e piena di senso, il Signore della Vita.
Fr. Marco.

sabato 11 gennaio 2020

Questi è il Figlio mio, l’amato


«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni.» (Is 42,1-4.6-7)

«In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga.» (At 10,34-38)

«In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
 … Ed ecco una voce dal cielo che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”» (Mt 3,13-17)


Questa domenica, festa del Battesimo del Signore, giunge a compimento il tempo di Natale e il mistero dell'incarnazione: il Verbo coeterno del Padre, Dio da Dio, che si è fatto carne per la nostra salvezza, si fa solidale con l’umanità peccatrice e si confonde con essa sulle rive del Giordano per ricevere un battesimo di penitenza.
Come sappiamo, infatti, il battesimo impartito da Giovanni non è il sacramento che noi abbiamo ricevuto, ma un “lavacro” rituale che, simboleggiando il serio proposito di convertirsi, di fare penitenza, dava inizio ad una vita nuova. Gesù, l’unico innocente, non aveva bisogno di conversione e penitenza. Da qui le proteste di Giovanni: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?” Il Signore, però, vuole adempiere ogni giustizia, portare a compimento la Sua solidarietà con l’umanità. L’Unigenito del Padre vuole salvare tutti, non fa preferenza di presone, per questo si confonde con noi peccatori perché possiamo diventare figli. Da qui il compiacimento del Padre che dà inizio alla vita pubblica di Gesù.
Celebrare la festa del Battesimo del Signore, tuttavia, ci dà anche l’occasione per riflettere sul sacramento Battesimo che noi abbiamo ricevuto nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Quel Battesimo che, innestandoci nell’Unigenito Figlio di Dio, ci ha resi figli: anche per noi il Padre, nel giorno del nostro battesimo, ha detto: “Questi è il Figlio mio, l’amato”.
Siamo diventati figli di Dio! Lo siamo perché il Battesimo ci ha conformati a Cristo, ci ha innestati in Lui. Questa conformità, però, deve essere visibile nel nostro quotidiano. Anche noi siamo chiamati ad “adempiere ogni giustizia”: ad ascoltare e obbedire alla Sua Parola e a rendere gloria al Padre con le opere  che testimonino il nostro essere figli. Come il Figlio Unigenito, siamo chiamati ad amarci gli uni gli altri; ad amare e a fare del bene anche a quanti non ci amano. Siamo chiamati a fare della nostra vita un dono e così portare frutto perché il Padre possa compiacersi anche di noi.
Fr. Marco

domenica 5 gennaio 2020

Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo


«… ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te.» (Is 60,1-6)

«Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: … le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.» (Ef 3,2-3;5-6)

« … alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.» (Mt 2,1-12)

Nella solennità dell’Epifania, celebriamo la “manifestazione” (in greco epifania) del Signore al mondo intero, ai “lontani” rappresentati dai Magi venuti dall’oriente. La tradizione popolare parla di “tre re” per i doni che offrono, ma i Magi rappresentano anche i tre figli di Noè, ossia tutta l’umanità che da essi trae origine (Cfr. Gen 9,18-19). “Magi” erano inizialmete detti gli appartenenti alla casta sacerdotale della Persia, l’odierno Iran. Più tardi con questo nome furono designati i teologi, i filosofi e gli scienziati orientali.
La Parola di Dio si apre, nella prima lettura, con la descrizione di una situazione di “tenebra”, di oscurità, una situazione in cui sembra che non ci sia speranza. In queste tenebre spunta la Luce, la Speranza: il Signore dà un segno della sua presenza nel mondo attraverso la gloria di Gerusalemme.
Per i popoli descritti nella prima lettura, il segno è lo splendore di Gerusalemme che ravviva la speranza e li indirizza all’adorazione di Dio. Ai pastori, la notte di Natale, è l’Angelo ad indicare il segno di un bimbo adagiato in un mangiatoia, come l’inizio della loro salvezza e fonte di una grande gioia. Per i Magi dell’oriente, capaci di scrutare i segreti della creazione, è il sorgere della stella ad indicare ciò che sta avvenendo e a metterli in cammino per adorare “il Re dei re” che è nato.

Per noi e per i nostri contemporanei, è la Chiesa il segno che splende della gloria di Dio, il segno della presenza di Dio nel mondo. Segno che deve dare speranza e invitare alla gioia, la Chiesa, è il nuovo popolo di Dio, la Gerusalemme Celeste del “già e non ancora”, cioè già presente nel mondo, ma non ancora pienamente rivelata. È questo il motivo per cui proprio oggi si legge l’annuncio del giorno di Pasqua: si annuncia il Mistero di Cristo di cui tutto l’anno liturgico è memoriale e attuazione.
È importante, però, ricordare che la Chiesa siamo noi tutti battezzati e non solo i vescovi, i preti, le suore e i frati. Noi tutti, quindi, siamo chiamati ad essere segno della presenza di Dio nel mondo. Siamo chiamati ad essere segno di speranza, portatori della Luce di Gesù ai fratelli, di quella luce della fede che abbiamo ricevuto nel nostro battesimo. Siamo chiamati a condurre il mondo a Cristo perché possa riconoscerlo ed adorarlo. Troppo spesso, tuttavia, invece di testimoniare la presenza di Gesù, diventiamo una “contro-testimonianza” che allontana il mondo dal riconoscere il Signore.

Il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Così il Vangelo descrive i sentimenti di Erode e della casta sacerdotale che vedono nel Re che è nato un turbamento al loro potere. Anche a noi può capitare di sentirci “disturbati” dal Signore; può capitare che le esigenze della Sua sequela, diametralmente opposte a quelle del mondo, ci portino a volerlo “eliminare”. Se riconosciamo in Gesù il Signore, infatti, dobbiamo rinunciare alla “signoria del nostro io”, a mettere noi stessi al centro del mondo, per adorare Lui e vivere sotto la Sua signoria. Solo facendo questo potremo svolgere quel ministero di cui ci parla oggi S. Paolo nella seconda lettura e che appartiene a tutti i battezzati: annunziare al mondo la Speranza e la Gioia. Annunziare al mondo che ci sono valori capaci di dare la felicità, ma che non possono essere messi in banca; valori diversi da quelli economici: valori eterni e capaci di darci quella felicità che il denaro o il potere non saranno mai capaci di darci.
In questa solennità vi auguro di accogliere il Signore Gesù come vostro Signore e di annunciarlo al mondo con la vostra vita.
Fr. Marco

sabato 4 gennaio 2020

A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio


«La sapienza fa il proprio elogio, … Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti”» (Sir 24,1-4.12-16)

«In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.» (Ef 1,3-6.15-18)

«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio … E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.» (Gv 1,1-18)

La Parola di Dio della II Domenica dopo Natale ci presenta la Sapienza che pone la sua tenda in mezzo a noi: il Verbo di Dio, il Logos coetereno del Padre, la logica che regge la creazione del mondo e che era “in principio”, la Luce che permette di dare senso a tutte le cose, la Vita vera, si è fatto Carne, ha assunto la nostra debolezza per permetterci di diventare figli di Dio. Il Dio che nessuno ha mai visto e che la sapienza umana può solo ipotizzare, ci è rivelato pienamente dal Figlio.
È questa la “buona notizia”, l’euanghelion, carica di stupore che oggi la Parola ci annuncia. Una notizia che ci riempie di gioia e di speranza: la vita non è senza senso, senza logica; il Logos è venuto in mezzo a noi. Le tenebre del mondo non possono vincere la Luce. Il nostro orizzonte non è più la mera sopravvivenza, ma la Vita piena.
A quanti .. lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. La Parola quest’oggi ci invita ad accogliere il Verbo, a cambiare la logica con la quale viviamo la nostra vita: non la logica del mondo, ma la Sapienza di Dio, la logica del Vangelo; così facendo diventeremo figli del Padre e gioiremo della Sua gioia: la  gioia del Padre che vede la piena realizzazione dei suoi figli. Solo vivendo pienamente la nostra vita realizzando quel progetto di felicità che il Padre da sempre ha per noi, glorificheremo il Padre, come il Figlio ci ha mostrato e resi capaci di fare. Il Signore ce lo conceda.
Fr. Marco