«È troppo poco che tu
sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti
d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino
all’estremità della terra». (Is 49,3.5-6)
«Paolo, chiamato a
essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, … a coloro che sono stati
santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata … » ( 1Cor 1,1-3)
«Ecco l’agnello di
Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29-34)
Il Vangelo della seconda domenica del tempo ordinario ci
riporta al giorno dopo il battesimo di Gesù. Giovanni il Battista, vedendo
passare Gesù, memore di ciò che ha contemplato il giorno del battesimo al
Giordano, lo addita ai suoi discepoli come l’Agnello di Dio, colui che
toglie il peccato del mondo. Vorrei soffermarmi sull’uso del
singolare: il peccato del mondo, quello da cui derivano i peccati, per
l’evangelista Giovanni è il rifiuto della Luce (Cfr. Gv 1,9-11). In che modo
Gesù toglie il peccato del mondo? Sicuramente
caricandosi i nostri peccati (come suggerisce l’accostamento al carme del servo
sofferente che come agnello mansueto
condotto al macello … è trafitto per le nostre colpe – Cfr Is 52,13-53,12), ma anche e forse
soprattutto, facendoci conoscere Dio come Padre e non come il “mostro capriccioso”
che non ci vuole felici e ci nega tutto. Il peccato del mondo, infatti, trae la
sua origine da questa visione distorta di Dio a cui l’uomo non può che
ribellarsi. Gesù è il Verbo eterno che con il suo mistero pasquale abbatte “il
muro di inimicizia” tra gli uomini e Dio: ora è possibile riconoscere e
accogliere l’amore del Padre e, in tal modo, diventare figli di Dio (Cfr. Gv
1,12)
L’immagine dell’agnello che toglie i peccati, rimanda anche ai
sacrifici espiatori compiuti nel tempio, in particolare all’agnello pasquale
con il sangue del quale venivano segnati gli stipiti delle porte la notte di
pasqua perché l’angelo della morte passasse oltre (Cfr. Es 12,7). Giovanni
introduce qui il parallelismo che sarà pienamente sviluppato nel racconto della
Passione: Gesù è crocifisso nella parasceve di pasqua proprio
nell’ora in cui si preparava la cena pasquale (Gv 19,14); non gli sarà spezzato
alcun osso secondo le prescrizioni per la preparazione dell’agnello pasquale
(Cfr. Es 12,46 e Gv 19,36). Ne consegue che per l’evangelista Giovanni, Gesù è
il vero e definitivo Agnello pasquale nel sangue del quale siamo salvati.
Proprio grazie al sacrificio pasquale del Cristo in cui noi
siamo Battezzati, infatti, è stata stipulata la Nuova ed eterna Alleanza, per
la quale, resi conformi al Figlio di Dio, siamo chiamati alla santità. È quello
che ci ricorda S. Paolo nella seconda lettura: siamo stati santificati e siamo
chiamati alla santità, cioè a fare fruttificare quella grazia che il Signore ci
ha donato nel battesimo.
Che significa però essere santo? Fare miracoli? Avere il
dono della bilocazione? … No! Queste sono solo manifestazioni esterne che il
Signore può concedere per il bene della Chiesa. Essere santo significa
principalmente e fondamentalmente vivere il proprio Battesimo cioè vivere la
Fede, la Speranza e la Carità. La domanda posta prima allora potrebbe
trasformarsi: come si fa ad avere la Fede, la Speranza e la Carità? Bisogna
forse impegnarsi? No! Fin dai primi tempi del suo pontificato, Papa
Francesco ha avuto modo di ricordare a tutta la Chiesa che per essere santi ciò
che importa è lasciare operare Dio nella nostra vita, abbandonarsi a Lui. È Lui
che ci ha conformati a Sé e che ci ha donato Fede, Speranza e Carità. La
conformità a Cristo, e quindi la Fede, la Speranza e la Carità, è un dono
gratuito di Dio che ci è stato consegnato al momento del nostro Battesimo: ogni
battezzato ha in se il seme della Fede che produce i frutti della Speranza e
della Carità.
Questo dono, però, ci chiama alla responsabilità: se ci regalano una pianta che
fa fiori e frutti meravigliosi, ma noi non la concimiamo, non la innaffiamo,
non togliamo le erbacce e magari la teniamo al buio in un angolo nascosto della
nostra casa, è forse colpa della pianta se non vedremo mai né fiori né frutti?
Così è della nostra Fede: il Padre ce la dona con il Suo
Spirito al momento del Battesimo, sta a noi però coltivarla, nutrirla,
purificarla. Il Padre ce ne dà pure l’occasione con i Sacramenti. Nutriamo
allora la nostra Fede, procuriamo di farla crescere e, senza nostro sforzo,
vedremo nascere nella nostra vita i frutti della Speranza e della Carità.
Diventeremo così realmente ciò che siamo chiamati ad essere: figli nel Figlio,
santi che, come il Battista, saranno capaci di testimoniare al mondo, con la
loro vita bella e piena di senso, il Signore della Vita.
Fr. Marco.
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