sabato 18 gennaio 2020

Colui che toglie il peccato del mondo


«È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra». (Is 49,3.5-6)

«Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, … a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata … » ( 1Cor 1,1-3)

«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29-34)

Il Vangelo della seconda domenica del tempo ordinario ci riporta al giorno dopo il battesimo di Gesù. Giovanni il Battista, vedendo passare Gesù, memore di ciò che ha contemplato il giorno del battesimo al Giordano, lo addita ai suoi discepoli come l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo. Vorrei soffermarmi sull’uso del singolare: il peccato del mondo, quello da cui derivano i peccati, per l’evangelista Giovanni è il rifiuto della Luce (Cfr. Gv 1,9-11). In che modo Gesù toglie il peccato del mondo? Sicuramente caricandosi i nostri peccati (come suggerisce l’accostamento al carme del servo sofferente che come agnello mansueto condotto al macello … è trafitto per le nostre colpe  – Cfr Is 52,13-53,12), ma anche e forse soprattutto, facendoci conoscere Dio come Padre e non come il “mostro capriccioso” che non ci vuole felici e ci nega tutto. Il peccato del mondo, infatti, trae la sua origine da questa visione distorta di Dio a cui l’uomo non può che ribellarsi. Gesù è il Verbo eterno che con il suo mistero pasquale abbatte “il muro di inimicizia” tra gli uomini e Dio: ora è possibile riconoscere e accogliere l’amore del Padre e, in tal modo, diventare figli di Dio (Cfr. Gv 1,12)
L’immagine dell’agnello che toglie i peccati, rimanda anche ai sacrifici espiatori compiuti nel tempio, in particolare all’agnello pasquale con il sangue del quale venivano segnati gli stipiti delle porte la notte di pasqua perché l’angelo della morte passasse oltre (Cfr. Es 12,7). Giovanni introduce qui il parallelismo che sarà pienamente sviluppato nel racconto della Passione: Gesù è crocifisso nella parasceve di pasqua proprio nell’ora in cui si preparava la cena pasquale (Gv 19,14); non gli sarà spezzato alcun osso secondo le prescrizioni per la preparazione dell’agnello pasquale (Cfr. Es 12,46 e Gv 19,36). Ne consegue che per l’evangelista Giovanni, Gesù è il vero e definitivo Agnello pasquale nel sangue del quale siamo salvati.
Proprio grazie al sacrificio pasquale del Cristo in cui noi siamo Battezzati, infatti, è stata stipulata la Nuova ed eterna Alleanza, per la quale, resi conformi al Figlio di Dio, siamo chiamati alla santità. È quello che ci ricorda S. Paolo nella seconda lettura: siamo stati santificati e siamo chiamati alla santità, cioè a fare fruttificare quella grazia che il Signore ci ha donato nel battesimo. 
Che significa però essere santo? Fare miracoli? Avere il dono della bilocazione? … No! Queste sono solo manifestazioni esterne che il Signore può concedere per il bene della Chiesa. Essere santo significa principalmente e fondamentalmente vivere il proprio Battesimo cioè vivere la Fede, la Speranza e la Carità. La domanda posta prima allora potrebbe trasformarsi: come si fa ad avere la Fede, la Speranza e la Carità? Bisogna forse impegnarsi? No! Fin dai primi tempi del suo pontificato, Papa Francesco ha avuto modo di ricordare a tutta la Chiesa che per essere santi ciò che importa è lasciare operare Dio nella nostra vita, abbandonarsi a Lui. È Lui che ci ha conformati a Sé e che ci ha donato Fede, Speranza e Carità. La conformità a Cristo, e quindi la Fede, la Speranza e la Carità, è un dono gratuito di Dio che ci è stato consegnato al momento del nostro Battesimo: ogni battezzato ha in se il seme della Fede che produce i frutti della Speranza e della Carità.
Questo dono, però, ci chiama alla responsabilità: se ci regalano una pianta che fa fiori e frutti meravigliosi, ma noi non la concimiamo, non la innaffiamo, non togliamo le erbacce e magari la teniamo al buio in un angolo nascosto della nostra casa, è forse colpa della pianta se non vedremo mai né fiori né frutti?
Così è della nostra Fede: il Padre ce la dona con il Suo Spirito al momento del Battesimo, sta a noi però coltivarla, nutrirla, purificarla. Il Padre ce ne dà pure l’occasione con i Sacramenti. Nutriamo allora la nostra Fede, procuriamo di farla crescere e, senza nostro sforzo, vedremo nascere nella nostra vita i frutti della Speranza e della Carità. Diventeremo così realmente ciò che siamo chiamati ad essere: figli nel Figlio, santi che, come il Battista, saranno capaci di testimoniare al mondo, con la loro vita bella e piena di senso, il Signore della Vita.
Fr. Marco.

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