venerdì 25 febbraio 2022

Ogni albero si riconosce dal suo frutto, così la parola rivela i pensieri del cuore

 «Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore.» (Sir 27,5-8)

«… rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.» (1Cor 15,54-58)

«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?  … Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». (Lc 6,39-45)

La Parola di Dio della VIII domenica del tempo ordinario continua ad invitarci a fare attenzione a dove poniamo le nostre radici: siamo radicati in Dio o affondiamo altrove le nostre radici? Per aiutarci a fare questo discernimento, siamo invitati a guardare i frutti che produciamo: l'albero buono produce frutti buoni; l'albero cattivo frutti cattivi.

Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto. Tra i frutti cattivi che escono dal nostro cuore quando affonda le sue radici lontano da Dio, c'è sicuramente il giudizio del fratello, l'incapacità di amarlo. Già domenica scorsa il Vangelo ci invitava ad amare gratuitamente e a non giudicare (Cf. Lc 6,27-38). Oggi ce ne mostra il motivo: «Può forse  un cieco guidare un altro cieco?». Siamo ciechi, accecati dalla trave del nostro giudizio, e pretendiamo di correggere e guidare i fratelli!

A volte ci atteggiamo a maestri, guide spirituali,  per essere apprezzati e guardati con stima. Ecco perché la Parola oggi ci chiama ipocriti, cioè “teatranti” (letteralmente: “maschere di teatro”): recitiamo una parte in cerca di applausi, ma non siamo veri, autentici.

Il Maestro, l'unica vera nostra guida  («Uno solo è il vostro maestro ...» Mt 23,8) ci chiede oggi di entrare nella verità della nostra vita e farci suoi discepoli. A chi ci accosta, indichiamo Lui come guida. Sradichiamo dalla nostra vita il giudizio e la presunzione di farci guide dei nostri fratelli. Impariamo ad amare.

Togli prima la trave dal tuo occhio  … Certo, la correzione fraterna fa parte dell’amore (Gesù stesso la insegna: Mt 18,15-17). Se mio fratello sbaglia ed io non lo correggo, me ne disinteresso, e lascio che si perda, non lo sto certo amando. Per fare questo però, dovrò prima avere permesso al Signore di togliere dal mio occhio la trave del “giudizio” e della condanna; solo allora ci vedrò bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del mio fratello. Riconosciamo umilmente la nostra cecità perché il Signore ci guarisca e noi possiamo essere riconosciuti Suoi discepoli capaci di indicare Lui a quanti ci accostano.

La parola rivela i pensieri del cuore. Facendo attenzione alle nostre parole, allora, vigiliamo sui frutti che escono da nostro cuore: «Del resto sono ben note le opere della carne: … inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. …. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;» (Cf Gal 5,19-23)

Fr. Marco

sabato 19 febbraio 2022

Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro

 «Abisài disse a Davide: “Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l’inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo”. Ma Davide disse ad Abisài: “Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?”».  (1 Sam 26,2.7-9.12-13.22-23)

«Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste.» (1Cor 15, 45-49)

«Ma a voi che ascoltate, io dico … Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.» (Lc 6, 27-38)

Questa domenica, settima del tempo ordinario, dopo averci esortato domenica scorsa a porre solo in Dio il nostro fondamento e la nostra fiducia, la Parola approfondisce ancora di più cosa significhi essere ricchi e confidare nell’uomo, ricadendo nella maledizione di chi confida in se stesso (Cfr. Ger 17,5), e cosa invece essere poveri e confidare nel Signore.

Nella prima lettura di oggi, ascoltiamo di Davide che rinuncia a farsi giustizia con le proprie mani: Saul, che lo cerca per ucciderlo, si trova esposto e vulnerabile. Il generale di Davide, Abisai, che, come direbbe s. Paolo, pensa come l’uomo terreno, gli consiglia di approfittare della debolezza del suo nemico e ucciderlo. Davide, però, pone la sua fiducia nel Signore, non nelle proprie forze e sa che, nonostante tutto, Saul è consacrato al Signore, appartiene a Lui. Solo al Signore spetta rendere a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà.

Ma a voi che ascoltate, io dico... Nel Vangelo di Luca la pericope di questa domenica si apre con la congiunzione avversativa “ma” che rende esplicito il collegamento con quanto precede e l’invito a prendere le distanze dall’atteggiamento prima descritto: “ricchezza” e fiducia nelle proprie forze e nell’approvazione degli uomini. Noi che ascoltiamo la Parola siamo invitati a vivere in un atteggiamento diverso: siamo invitati a confidare nel Signore e non nelle nostre forze, a fare del bene gratuitamente così come siamo amati dal Padre. 

Il Vangelo di oggi, quindi, ci invita a perdonare, a fare del bene anche a chi ci fa del male, a pregare per i nostri nemici … vette altissime della vita del cristiano. Talmente alte che da qualcuno sono considerate irraggiungibili. Solo comportandoci così, tuttavia, saremo riconosciuti come figli dell’Altissimo, che è benevolo verso gli ingrati e i malvagi,  e potremo renderci conto se siamo passati dalla morte alla Vita. Lo dice chiaramente l’Apostolo Giovanni nella sua prima lettera: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte.» (1Gv 3,14).

Rinunciamo a farci giustizia da soli. Come il Padre Misericordioso, diamo tempo ai fratelli per pentirsi. Ricordandoci, inoltre, che ogni giorno preghiamo il Padre di rimettere a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori; facciamo attenzione ad essere generosi nel perdono perché la misericordia nei nostri confronti possa essere altrettanto abbondante. Faccio notare, inoltre, che questa è l’unica petizione del Padre Nostro che Gesù riprende e commenta: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.» (Mt 6,14-15).

Riconoscendo la nostra povertà e piccolezza, allora, lasciamo a Dio il giudizio. Verrà il momento in cui ciascuno sperimenterà i frutti delle proprie scelte: la “morte”, il non senso eterno, l’eterna mancanza della “Vita”, della pienezza, del senso; o la “Vita eterna”, la gioia piena, la felicità che non passa. Tutte cose che sperimentiamo già qui nella misura in cui viviamo in Dio o senza di Lui.

Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla. Torna l’appello alla povertà, a non confidare nella carne, a non fare del bene per ottenere un contraccambio, a non sperare nulla dal bene che facciamo. Se amiamo quelli che ci amano, se poniamo come condizione al nostro amore il fatto di essere a nostra volta amati, e facciamo del bene per ricevere altrettanto, stiamo ponendo la nostra fiducia sulle nostre forze, stiamo cercando una “ricchezza” su cui confidare e ricadiamo nella maledizione dell’uomo che confida nell’uomo. Ciò vale nei confronti degli “uomini” che siamo chiamati ad amare “gratuitamente”, anche se a nostro parere non se lo meritano; ma vale anche nei confronti di Dio che siamo chiamati ad amare per se stesso, da figli e non da “mercenari” che fanno qualcosa per ottenere una ricompensa.

Le mete oggi indicate nel Vangelo sono altissime, ma imprescindibili per chi vuole seguire il Maestro sulla via della Vita. Benché altissime, inoltre, sono mete “alla nostra portata”. Come ci ricorda S. Paolo nella seconda lettura, infatti, con il Battesimo siamo stati conformati all’Uomo Celeste, al nostro Signore Gesù Cristo, abbiamo ricevuto lo Spirito Santo: lasciamolo operare nella nostra vita.

Fr. Marco

sabato 12 febbraio 2022

Benedetto l’uomo che confida nel Signore

 «Così dice il Signore: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore.”» (Ger 17,5-8).

«Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini.» (1 Cor 15,12.16-20)

«Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.» (Lc 6,17.20-26)

La Parola di Dio di questa sesta domenica del tempo ordinario ci chiama a riflettere su nostro fondamento, su ciò in cui poniamo la nostra fiducia e la nostra speranza.

Già nella prima lettura tratta dal profeta Geremia, infatti, l’uomo che pone la propria speranza “nell’uomo”, cioè in sé stesso, nei propri averi, nelle proprie capacità, nelle “alleanze” che ha stipulato con i potenti di questo mondo, è detto maledetto. Non perché Dio lo maledice (Lui, datore di ogni bene, ama tutti gli uomini), ma perché, staccandosi dalla fonte del Bene, non potrà che restare deluso. Di quest’uomo è detto che non vedrà venire il bene. Costui, infatti, “lega le  mani a Dio”, Gli impedisce di donargli il bene perché Lo esclude dal suo orizzonte decisionale. L’uomo che confida nell’uomo, così come è descritto nella prima lettura, infatti, è “pieno di sé”, autoreferenziale. Lungi dall’affidarsi al Signore, dal lasciarsi guidare, costui si affida alle proprie ricchezze e alla proprie forze per ottenere ciò che ritiene essere bene per sé. Magari può apparire religioso, ma la sua vita si svolge “a prescindere da Dio”. Allontanandosi da Dio, separandosi dalla fonte della Vita, presto tutto attorno a lui parlerà di morte, di non senso: dimorerà in luoghi aridi, nel deserto …

Attorno a noi, purtroppo, non mancano esempi di questo tipo: uomini e donne che vogliono piegare tutto alla propria volontà, che vogliono prescindere da ogni oggettività. Fratelli e sorelle che vivono come se Dio non ci fosse, al massimo relegandolo alla sfera intimistica, facendosi il loro dio che non li disturba. Con le loro scelte, tali uomini e donne si creano il loro deserto … È una realtà attualissima nelle scelte etiche che la società civile è chiamata a fare: l’uomo che confida nell’uomo (nei sondaggi, nei referendum …) non vede più il bene. Ha smarrito il senso profondo dei suoi atti.

Benedetto l’uomo che confida nel Signore … Beati voi, poveri. Che significa “confidare nel Signore”, essere “poveri” dinanzi a Dio? Significa porre nel Signore la propria fiducia. Non certo, però, con l’atteggiamento di chi  “sta con le mani in mano”, ma facendo le nostre scelte e prendendo le nostre decisioni a partire da una Parola che ci interpella. Significa, allora, accogliere nei nostri processi decisionali l’orizzonte di Dio. Essere consapevoli che è Lui la fonte di ogni Bene a partire dalla quale siamo chiamati ad agire. Probabilmente questo ci porterà ad andare controcorrente, ad essere rifiutati dal mondo, ad essere ritenuti pazzi, magari dei “fondamentalisti”. Oggi il Signore ci ricorda: Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Per questo, nella seconda lettura di oggi, San Paolo ci richiama alla fede nella resurrezione, a spingere il nostro sguardo al fine ultimo della nostra vita.

Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. È importante allargare i nostri orizzonti di senso, non restare ancorati ad una immanenza che ci ingabbia. Anche questo pericolo è concreto e attuale: quanti fratelli e sorelle, anche nella Chiesa, vivono una la religiosità come una garanzia che non gli accadrà nulla di male; quando le insopprimibili difficoltà della vita li colgono non possono che restare scandalizzati. A costoro oggi San Paolo dice: «Se abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare».

Allora: Benedetto l’uomo  che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. Poniamo in Lui la nostra fiducia, accogliamo la Sua Parola e lasciamoci guidare. La nostra vita sarà feconda, ricca di frutti per la Vita Eterna.

Fr. Marco

venerdì 4 febbraio 2022

Per grazia di Dio sono quello che sono

 

«“Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato”.  … “Eccomi, manda me!”». (Is 6,1-2.3-8)

​«Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo … Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.» (1Cor 15,1-11)

« “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. … “Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore”. … “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”». (Lc 5,1-11)

Nella quinta domenica del Tempo Ordinario la Parola di Dio ci presenta il mistero della vocazione ad un particolare ministero: l’annuncio della Parola. Per quest’annuncio il Signore sceglie di servirsi di uomini limitati e peccatori.

Nella prima lettura tratta dal libro del Profeta Isaia, infatti, è raccontata la visione avuta dal Profeta probabilmente durante una liturgia al Tempio: Isaia contempla la potenza e maestà di Dio, il “tre volte Santo”. Dinanzi alla gloria e santità di Dio, il profeta ha una bruciante consapevolezza del proprio peccato e della propria indegnità e ne è atterrito: «Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono». Isaia, tuttavia, fa anche esperienza della infinita misericordia di Dio la cui Grazia e Santità è infinitamente più grande del suo peccato ed è capace di annullarlo. Purificato dal proprio peccato e acceso dall’amore per Dio, il profeta è reso ardito: «Eccomi, manda me!». Forse è proprio a questa immagine del tizzone ardente che si è ispirata S. Teresa di Gesù Bambino per la sua poesia: «Se avessi mai commesso, il peggiore dei crimini per sempre manterrei la stessa fiducia, poiché io so che questa moltitudine di offese non è che goccia d’acqua in un braciere ardente.».

«… sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo» Anche san Paolo, come ogni chiamato nella Scrittura, fa questa esperienza della propria indegnità e della infinita misericordia di Dio che lo sceglie liberamente senza suo merito, lo purifica con il suo infinito amore e lo chiama a fidarsi di Lui.

«Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» Nel Vangelo di oggi leggiamo il racconto della vocazione di Pietro che, dopo avere ascoltato Gesù, e avere assistito a diverse guarigioni, è disposto a fidarsi di Lui, a mettere in discussione tutto ciò che conosce e ad affrontare la fatica che questo comporta (avevano già lavato e rassettato le reti!). Forse la fede di Pietro, nonostante ciò che ha visto e sentito, non è ancora perfetta. Forse nella sua frase c’è una connotazione di “sfida”. Da qui, dunque lo stupore e la confessione del proprio peccato dinanzi la grande abbondanza di pesci che riempiono le reti: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». A Gesù tuttavia basta questa fiducia, magari imperfetta ma comunque operosa, per mostrare la grande potenza di Dio.

«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» Fatta l’esperienza della grande potenza di Dio, a Pietro viene chiesto di continuare a fidarsi, di crescere nella Fede e lasciare ogni sua certezza, per mettersi alla sequela del Maestro e annunciare il Regno.

«Maestro, abbiamo faticato tutta la notte …». Viene messa in evidenza la differenza tra chi “fatica” senza Dio e chi lascia che la Grazia lo muova alla fatica. San Paolo afferma: «ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me» (II lettura). Se “fatichiamo” secondo i nostri criteri, i nostri ragionamenti, anche dotti, secondo i nostri “programmi pastorali”, rischiamo di faticare invano. Senza di Lui non possiamo far nulla! Per questo è indispensabile per ogni chiamato sperimentare la propria inadeguatezza, riconoscere la propria pochezza, e affidarsi realmente e totalmente a Colui che lo chiama. Lasciarsi guidare dalla Grazia. Solo in tal modo porteremo frutti.

Credo sia da sottolineare a questo punto che tutti i battezzati siamo chiamati, tutti i battezzati abbiamo una missione da compiere: annunciare il Vangelo nel nostro contesto vitale, testimoniare la presenza di Gesù nel mondo attraverso di noi. Come potremo adempiere questa missione? Solo fidandoci di Lui, “gettando le reti” sulla Sua Parola e non su ciò che secondo la logica del mondo ci sembra ragionevole. Impariamo a scegliere e ad agire non in base alla sapienza e prudenza umana, ma in base alla logica del Vangelo. Sperimenteremo la potenza della Grazia.

Non lasciamoci spaventare dai nostri limiti, dai nostri peccati: l’Amore Misericordioso che ci chiama, ci conosce e ci ama: non si scandalizza delle nostre miserie e ci dona la grazia per superarle. Fidiamoci di Lui e combattiamo virilmente per superare i nostri limiti e peccati. Non arrendiamoci alle nostre miserie, ma non scandalizziamoci: non siamo stati chiamati perché siamo “perfetti” o “degni”, ma per il mistero del Suo Amore gratuito.

Fr. Marco