mercoledì 29 aprile 2020

L'umiltà di cuore


Imparate da me che sono mite e umile di cuore》 (Mt 11,29) 

Oggi, festa di Santa Caterina da Siena, nel Vangelo Gesù ci esorta ad andare a Lui e ad imitarlo in una virtù fondamentale: l’umiltà senza la quale non può esistere la vera Carità, il vero amore di Dio e del prossimo che è compimento perfetto della Legge.

L’umiltà, ci fa notare S. Bernardo, «è fondamento e custode delle virtù». Senza umiltà, infatti, non vi può essere alcun’altra virtù in un’anima. Il mondo cerca l’apparenza, i gesti eclatanti; Dio, al contrario ama e sceglie per sé la via dell’umiltà. Pensando all'umiltà, mi è subito venuta in mente la santissima Madre Maria, ed in particolare l'icona "Madonna dell'umiltà".

Come fu la prima e più perfetta discepola di Gesù Cristo in tutte le virtù, infatti, così Maria lo fu anche nell'umiltà, per la quale meritò di essere esaltata sopra tutte le creature.

Il primo atto dell'umiltà di cuore è avere una giusta conoscenza di se e saper stimare gli altri. Il superbo, al contrario, non ha una giusta conoscenza di se: o si stima superiore agli altri, o non riconosce ciò che il Signore ha operato nella sua vita perché pretende di essere sempre più grande di quello che è; di conseguenza non è capace neanche di stimare gli altri. Maria seppe sempre esattamente che ciò che il Signore aveva operato in  Lei era da attribuire alla Grazia divina e non si stimò mai al di sopra di nessuno.

L'umile, inoltre, rifiuta le lodi per sé e le riferisce tutte a Dio. Maria si turbò nel sentirsi lodare dall'angelo Gabriele e quando santa Elisabetta le disse: «Benedetta tu fra le donne... A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?... Beata colei che ha creduto...» (Lc 1), la Vergine, attribuendo tutte quelle lodi a Dio, rispose con l'umile cantico: «L'anima mia magnifica il Signore». Come se dicesse: "Elisabetta, tu lodi me, ma io lodo il Signore a cui solo è dovuto l'onore. Tu ammiri che io venga a te; io ammiro la divina bontà: il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore. Tu mi lodi perché ho creduto; io lodo il mio Dio che ha voluto esaltare il mio niente: perché ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,46-48). 

È proprio degli umili, infine, il servire e Maria non esitò ad andare a servire Elisabetta per tre mesi. Dice dunque san Bernardo: «Elisabetta si meravigliava che Maria fosse venuta, ma ancor più si stupisca che sia venuta non per essere servita, ma per servire».

A testimonianza dell’umiltà di Maria, inoltre, va ricordato il fatto che sono pochissime le parole che il vangelo ci riporta di Lei; tanto discreta fu la sua presenza in mezzo ai discepoli che si potrebbe correre il rischio di crederla assente nelle vicende della vita pubblica del Signore.

Contemplando l’umiltà della nostra Madre Celeste, allora, se veramente vogliamo essere riconosciuti come suoi devoti, imitiamo questa sublime virtù che Maria ha incarnato in pienezza sull’esempio del Cristo. Quanto sono care a Maria le anime umili! San Bernardo scrive: «La Vergine riconosce e ama quelli che la amano ed è vicina a coloro che la invocano, specialmente a quelli che vede conformi a sé nella castità e nell'umiltà». Perciò il santo esorta tutti coloro che amano Maria ad essere umili: «Sforzatevi di emulare questa virtù, se amate Maria».

Voglio concludere facendo mia la preghiera che S. Alfonso M. de’Liguori elevò alla Regina del cielo:

«Mia Regina, non potrò mai essere tuo vero figlio se non sono umile. Ma non vedi che i miei peccati dopo avermi reso ingrato verso il mio Signore mi hanno fatto diventare anche superbo? Madre mia, poni tu rimedio alla mia situazione: per i meriti della tua umiltà ottienimi di essere umile, divenendo così figlio tuo. Amen.»

Fr. Marco 

sabato 25 aprile 2020

Arde il nostro cuore?

«Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene –, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,14.22-33)

«Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.» (1Pt 1,17-21)

«In quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.» (Lc 24,13-35)

Il Vangelo della III domenica di Pasqua ci presenta il racconto dei “Discepoli di Emmaus” che, in quel primo giorno della settimana, giorno glorioso della resurrezione, tornano al loro villaggio col volto triste. Mi colpisce l’attualità di questa pagina evangelica. I due discepoli che scoraggiati scendono da Gerusalemme ad Emmaus,  dal monte santo alla loro quotidianità, allontanandosi così dalla Comunità dei discepoli, sono molto vicini ai cristiani nostri contemporanei che non sentono più la gioia di vivere, che sono delusi da tutto … che non hanno più speranza.
Questi due discepoli sicuramente conoscono le Scritture: è probabile che, in quanto israeliti, abbiano imparato a leggere sulla Torah. Da quello che dicono, sembra che abbiano conosciuto da vicino Gesù; magari hanno ascoltato la Sua predicazione e assistito a qualche segno prodigioso. Nella pericope si legge pure che hanno sentito l'annuncio della resurrezione di Gesù portato dalle donne. Tutto questo, però, non basta a dare loro gioia e speranza, a fare ardere il loro cuore. Neanche quando lo stesso Cristo Risorto si fa loro compagno di viaggio in loro si affaccia la gioia: i loro occhi sono impediti a riconoscerlo. Hanno “occhi carnali”, desiderosi del “successo”, magari di vendetta: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele». Sono incapaci di vedere lo “Spirituale”, per questo non possono riconoscere il corpo glorioso di Cristo.
Anche per tanti cristiani nostri contemporanei l’annuncio che Cristo è risorto ha perso significato. Ne è un esempio un fatto che mi è successo forse più di dieci anni fa, ma che mi ha colpito: passeggiavo per il centro di Palermo e venni accostato da un artista di strada (anche se non ricordo cosa facesse) il quale, prima di chiedermi dei soldi, forse volendo essere originale, mi chiese: «Puoi darmi una buona notizia?». Dopo qualche istante risposi: «Cristo è Risorto!». E lui, con la faccia delusa: «Tutto qui? Ma questa non è una novità.»  Il fatto è in sé banale, ma mi è subito tornato in mente pensando a come la Resurrezione di Cristo non è più fonte di gioia, non incide sulle nostre vite.
I nostri occhi sono impediti a riconoscerlo e, quindi, i nostri cuori non ardono. Penso a quante volte anch’io non vedo l’opera che Dio sta compiendo perché i miei occhi sono impediti, sono “carnali”: pieni di desiderio di rivalsa, di brama di successo, di concupiscenza (cfr. 1Gv 2,16). Quante volte a causa dei miei occhi impediti, non vedendo l’opera di Cristo, non sono nella gioia!
« … spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui … prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» Solo allo “spezzare il pane”, nel miracolo dell'amore che si fa dono senza misura, solo allora i discepoli sentiranno ardere il loro cuore e diverranno testimoni della gioia. Perché gli occhi dei discepoli (i nostri?) si aprano e i loro cuori ardano di gioia, è necessario l’incontro con il Risorto, è necessario che essi si nutrano alla duplice mensa della Parola e del Corpo di Cristo. Ma questo è ancora possibile? Certo! Gesù Risorto è rimasto con noi fino alla fine dei tempi e continua ad operare e a donare Gioia e Speranza.
Chiediamo al Signore di purificare i nostri occhi, di aprire le nostre menti alla comprensione delle Scritture, di concederci di vivere realmente l’Eucarestia sia nel suo segno sacramentale (che speriamo di potere tornare presto a celebrare assieme), sia nella sua traduzione esistenziale: facendoci “pane spezzato” per i fratelli. Allora i nostri cuori torneranno ad ardere e saremo testimoni credibili della gioia della resurrezione.
Fr. Marco

venerdì 24 aprile 2020

Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti


«“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” … erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. … riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.» (Gv 6,1-15)

Il Vangelo di questo venerdì della seconda settimana di pasqua ci presenta la “cura pastorale” di Gesù verso le folle. Il Vangelo di Gv è ricco di simboli: l’erba su cui viene fatta sedere la folla è simbolo dei pascoli a cui il buon pastore conduce il gregge; la simbologia eucaristica dei gesti e delle parole di Gesù; le dodici ceste avanzate simbolo delle “dodici colonne” del nuovo popolo di Dio.
Oltre alla presentazione di Gesù come il Vero Pastore, il “profeta” atteso che attualizza i gesti di Mosè nell’esodo (Cfr. Dt 18,18), al centro della Parola odierna è anche la necessità della condivisione.
È Gesù l’indiscusso protagonista del brano evangelico: è lui che prende l’iniziativa di nutrire la folla; è ancora lui che, provocatoriamente, pone la domanda su come sfamare la folla (richiamando quella di Mosè in Nm 11,13); ed è, infine, lui che distribuisce il pane ed il pesce. Perché il miracolo si compia, tuttavia, Gesù chiede la collaborazione dell’uomo: si fa consegnare i cinque pani e due pesci, il poco posseduto da un ragazzo presente.
Solo a partire da questo gesto di condivisione di chi non tiene per sé il poco che possiede, ma è pronto a donarlo con generosità, è possibile il miracolo che tutti abbiano da mangiare. La “logica del mondo”, improntata all’egoismo, insegna: «Meglio uno sazio che cento digiuni»; la logica evangelica, invece, ci insegna a donare con generosità, a “perdere”, per amore: solo chi dona, infatti, possiede veramente; solo il pane condiviso è capace di saziare quella “fame” che nessun pane potrà mai saziare: la fame di amore, di fraternità, di comunione.
Ancora oggi Gesù si prende cura dei suoi: è ciò che avviene ad ogni celebrazione eucaristica in cui veniamo nutriti alla duplice mensa della Parola e dell’Eucarestia (speriamo che presto le norme anticontagio ci permettano di riprendere a celebrare assieme!). Ancora Gesù chiede la collaborazione della pochezza umana per potere compiere il suo miracolo. All’offertorio, insieme al pane ed al vino, siamo chiamati a presentare a Gesù ciò che essi significano: il nostro lavoro quotidiano, la nostra stessa vita, “la gioia e la fatica di ogni giorno”. È tutto questo che Lui moltiplica e “trasforma” per donarci se stesso, il Suo Corpo e Sangue che ci nutre per la vita eterna e ci dà la forza per unire la nostra vita alla Sua offerta per la salvezza del mondo.
Lo facciamo sacramentalmente durate la celebrazione, ma siamo poi chiamati, oggi più che mai, a viverlo esistenzialmente uscendo dalle nostre chiese: siamo chiamati, sull’esempio del Maestro, a fare della nostra vita un dono d’amore; a non farci fermare dalla nostra pochezza: fidiamoci del Signore che la farà sovrabbondare. Siamo chiamati, infine, a “sopportarci nell’amore” gli uni gli altri: a sostenere la debolezza del fratello e della sorella che il Signore ci ha messo accanto, a sorreggerlo e a custodirlo. Se faremo così, Vivremo pienamente e il mondo resterà affascinato dal nostro Maestro.
Fr. Marco

sabato 18 aprile 2020

Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”


«Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.» (At 5,12-16)

«Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi.» (Ap 1,9-11.12-13.17-19)

«La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco.  … “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20,19-31)

​La seconda domenica di Pasqua la Parola di Dio ci porta ancora al giorno della Resurrezione: la Pasqua è un evento così unico e meraviglioso, che la Chiesa sente il bisogno di dilatarlo in otto giorni per contemplarlo.
Quando, nei primi tempi della Chiesa, i battesimi avvenivano ordinariamente da adulti la notte di Pasqua (dopo un lungo catecumenato), questa domenica era detta “in Albis”: i neofiti, battezzati a Pasqua, che per tutta la settimana avevano portato la veste bianca dei risorti, deponevano la veste battesimale. Per volere di San Giovanni Paolo II, oggi la Chiesa celebra anche la Festa della Divina Misericordia.
Nel Vangelo contempliamo Gesù Risorto che entra a porte chiuse nel luogo in cui i discepoli si nascondono per timore dei Giudei. Anche noi, per il momento abbiamo le porte chiuse; sicuramente per obbedienza ai nostri governanti e ai nostri Vescovi, ma anche, almeno un po’, per paura.
In questo contesto di paura, Gesù viene portando il dono pasquale per eccellenza: la Pace-Felicita-Pienezza (Shalom è una parola che significa molto più di pace). È questo il dono che fa anche a noi qui ed ora. Se glielo permettiamo, Gesù vuole entrare nel più profondo delle nostre angosce e paure per portare la Pace che solo Lui ci può donare. Anche noi, spesso angosciati dai nostri fallimenti, tradimenti, incoerenze, paure e fragilità, siamo chiamati a gioire nel vedere il Signore.
Solo dopo avere accolto in noi la Pace che il Risorto e venuto a donarci, anche noi come i discepoli siamo mandati quest’oggi per essere testimoni. Non annunciatori di un “sentito dire”, ma testimoni capaci di annunciare ciò che hanno sperimentato, ciò che il Signore ha compiuto nella loro vita. È per questo che, subito dopo aver donato la Pace, Gesù dona alla Chiesa lo Spirito insieme al “Potere” di rimettere i peccati. La Chiesa è mandata così a continuare l’opera di riconciliazione e guarigione compiuta da Cristo. Se sapremo accogliere il perdono e la misericordia che Gesù viene a portarci, allora potremo donare il perdono e vivere la Pace.
La Pace pasquale che Gesù viene a donarci, infatti, non è “non belligeranza”, reciproca indifferenza, ma reciproca accoglienza e perdono. Il perdono capace di creare una Nuova Vita in colui che lo riceve. Ecco il senso della festa della divina Misericordia: accogliere nella nostra vita il perdono del Padre che ci giunge per la Passione del Figlio e per opera dello Spirito. Avendo accolto questa misericordia, siamo chiamati a implorarla per il mondo intero a farci intercessori per la salvezza del mondo. Siamo chiamati, però, soprattutto a farci operatori di misericordia eliminando in noi ogni giudizio di condanna dei fratelli.
Chiarisco il mio pensiero: se vediamo il fratello o la sorella che sbaglia, per amore di verità non possiamo negare l’oggettività dell’errore. Siamo chiamati tuttavia, non a condannare e magari divulgare l’errore, ma a comprendere, giustificare e, con vero amore fraterno, correggere il fratello. Siamo chiamati ad usare misericordia, cioè ad avere un cuore rivolto verso i miseri.
È significativo che proprio questa domenica la Parola accentui l’attenzione sulle Piaghe del Risorto: è da quelle piaghe che sgorga la sorgente della Misericordia. È per questo che la festa della Divina Misericordia è preparata da una novena che inizia il venerdì santo: dalle Sue piaghe siamo stati guariti. Il Risorto porta addosso le ferite inflittegli dalla cattiveria degli uomini, ma proprio a partire da esse usa misericordia al mondo. Anche noi siamo piagati dal nostro peccato e dal peccato dei fratelli, ma è proprio a partire dal contemplare le piaghe di Cristo e dall’unire le nostre sofferenze alle Sue, che siamo chiamati ad usare misericordia divenendo, ognuno nello stato a cui il Signore lo ha chiamato, ministri del perdono.
Tutto ciò non è facile, la nostra natura ferita si ribella. Da ciò, però, dipende l’autenticità della nostra fede. Se davvero crediamo che Gesù è Risorto e che noi, nel battesimo, siamo risorti con lui, lasciamo che lo Spirito ci insegni a vivere da risorti che non temono più la morte e le ferite che il peccato altrui potrà infliggerci e preghiamo con le parole rivelate a Santa Faustina e che la Chiesa ha accolto e tramandato: Eterno Padre, ti offro il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità del tuo dilettissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero!
Fr. Marco

giovedì 16 aprile 2020

Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?

Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho».》(Lc 24,35-48)

"Cristo è risorto. Veramente è risorto!" Così ci si saluta tra cristiani nel tempo di Pasqua. Eppure, quante volte anche per noi Gesù risorto è un fantasma, una presenza eterea, che poco ha a che fare con la concretezza della nostra vita. Per questo siamo turbati, abbiano paura, siamo presi da dubbi. 
《Gesù in persona stette in mezzo a loro》Al capito 18 del Vangelo di Matteo, Gesù afferma 《Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro》. Ecco dove possiamo fare esperienza della sua presenza reale. Nella Chiesa, in mezzo ai fratelli e sorelle nella fede; vivendo realmente l'eucarestia, cioè facendoci "pane spezzato" per amore, lasciandoci "mangiare", da loro. Lì dove i fratelli si amano e servono nel nome di Gesù, Lui è in mezzo e lo possiamo incontrare. Donami, Signore, la grazia di amare e servire i fratelli. Domani il Tuo Spirito che mi apra la mente alla comprensione delle Scritture, perché possa credere realmente alla Tua presenza e vincere ogni turbamento e paura.
Fr. Marco 

lunedì 13 aprile 2020

Non temete. Andate ad annunciare!

Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così:"Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie parole: Gesù di Nàzaret ... voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere.》 (At 2,14.22-33)

Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».》(Mt 28,8-15)

Il Vangelo del lunedì di Pasqua ci conduce ancora al mattino del primo giorno della settimana. La gioia pasquale è così grande che non si può contenere in un solo giorno. La Chiesa "dilata" il giorno di Pasqua per gli otto giorni successivi: questa settimana la Liturgia sarà sempre quella di Pasqua e durante la Messa faremo il ricordo del giorno glorioso in cui Cristo è risorto col Suo vero corpo.
《Non temete》 In questo contesto di gioia non c'è spazio per la paura. Il Maestro incontrando le donne, le invia come annunciatrici della gioia. Chi con cuore sincero si mette alla sequela del Signore, non ha più paura e può annunciare francamente la verità (prima lettura). Non così i capi dei Giudei, coloro che non hanno voluto riconoscere il Messia che attendevano, ma che non rientrava nei loro schemi e metteva in crisi il loro potere. Loro hanno paura e quindi ricorrono alla menzogna: pagano le guardie del sepolcro per dichiarare il falso. Col potere del denaro pensano di potere mettere tacere la Verita. Questa però ha una forza dirompente che né le lusinghe, né le minacce possono silenziare.
Anche noi, allora, con coraggio facciamo la Verità e facciamoci testimoni della gioia che ne scaturisce.
Fr. Marco

domenica 12 aprile 2020

Non è qui. È risorto!


«Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.» (Rom 6,3-11)

«L’angelo disse alle donne: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto”». (Mt 28,1-10)

Quest’anno, a causa dell’“esilio” cui siamo costretti a causa del Covid-19, non abbiamo potuto condividere la ricchezza dei simboli della liturgia della veglia di Pasqua. Ciò nonostante, oggi voglio soffermarmi sulla luce e l’acqua che dominano la veglia e il giorno di Pasqua e che sono all’origine di ogni vita cristiana: il Cero Pasquale simbolo eminente del Cristo Risorto e l’acqua lustrale, in cui siamo rinati a nuova vita nel Battesimo, e dalla quale durante la veglia saremmo stati aspersi.
Elementi indispensabili alla vita naturale, la luce e l’acqua trasfigurati diventano anche elementi indispensabili alla vita soprannaturale, quella vita in Cristo che trova la sua origine proprio nella resurrezione del nostro Signore.
Ciò che celebriamo a Pasqua, infatti, non è mero folclore, né un evento relegato al passato. Se così fosse avrebbe ragione chi dice che oggi, nella condizione in cui siamo e con le prospettive che umanamente ci troviamo dinanzi, non c’è niente da festeggiare (ho letto su Facebook almeno un commento del genere). Ma non è così. La Pasqua, non è folclore, una festa condizionata dalla storia che viviamo, ma è un memoriale che riattualizza l’evento principale della nostra salvezza: Cristo ha sconfitto il peccato e la morte, non siamo più schiavi del peccato, la pietra che ci imprigionava nel sepolcro è stata rotolata via: la Vita è libera. La storia attuale non può condizionare la gioia della Pasqua. Al contrario è l’evento Pasquale che trasforma la storia.
Sta a noi, però, accogliere il dono: Cristo ha sconfitto il peccato e la Morte e ci ha regalato una Vita nuova e piena che è iniziata in noi nel Battesimo, ma non si sostituisce a noi. Lui ci ha donato la libertà dalla schiavitù del peccato, ma a noi rimane sempre la libertà di continuare ad asservirci alle opere della carne o di scegliere di servire il Signore della Vita. Con il Battesimo, infatti, Cristo ha fatto iniziare in noi una Vita nuova ed eterna, ma ci ha lasciato la responsabilità di coltivare questa Vita o lasciarla appassire.
Perché questa Vita nuova che è iniziata in noi possa crescere e svilupparsi, il Signore ci ha lasciato ciò che è essenziale: la Luce della sua Resurrezione, che si irradia nella Sua Parola proclamata dalla Chiesa la quale nutre la nostra Fede perché possa illuminare ogni ambito della nostra vita. Ci ha lasciato l’acqua del Battesimo che ci ha introdotti nella vita sacramentale permettendoci di nutrire, purificare e rafforzare la nostra Vita perché cresca e porti frutto. Ecco perché ordinariamente durante la Santa Veglia rinnoviamo i nostri impegni battesimali e veniamo ancora una volta aspersi con l’acqua lustrale: siamo chiamati a ravvivare sempre il dono della vita cristiana perché non venga soffocata dalle spine del mondo. Quest’anno non abbiamo potuto vivere questo momento carico di significato. Spero che riusciremo a farlo ancora dinanzi la Chiesa, magari a Pentecoste. Per il momento, però, vi propongo, in un momento di preghiera, dinanzi ad un’icona e/o alla Bibbia aperta, di rinnovare la vostra adesione a Cristo con questa preghiera (o una a vostra scelta): «O Dio, Padre buono, ti ringrazio perché nel santo Battesimo, mi hai reso tuo figlio per sempre, facendomi risorgere, con Gesù, ad una vita nuova e santa. Ti ringrazio perché, con l’acqua battesimale, hai riempito la mia anima dello splendore della grazia, e mi hai fatto tempio vivo dello Spirito Santo. Voglio rinnovare in questo momento le mie promesse battesimali con cui mi sono impegnato a  vivere nella santità di figlio di Dio. Conserva e aumenta in me la fede e la grazia che mi hai infuso nel battesimo e concedimi di rimanere fedele ad esse per tutta la vita. Amen.» Concludendo poi con il Credo.
Il Signore Risorto ancora una volta oggi rinnova in noi, che già l’abbiamo ricevuta, la Vita nuova e Piena, una Vita bella che, anche nelle immancabili difficoltà quotidiane, non soccombe al nonsenso, una Vita destinata a durare per l’eternità. A noi però la responsabilità di farla sviluppare, di portare frutto.
La pietra è rotolata, il sepolcro è aperto, non siamo più schiavi del peccato e della morte. Vogliamo Vivere la Vita vera o continueremo a restare nei nostri sepolcri?
Il Signore Risorto ci conceda di morire ogni giorno al peccato per potere vivere “per Dio in Cristo Gesù”. Auguri
Fr. Marco

venerdì 10 aprile 2020

Da un'antica «Omelia sul Sabato santo».



Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura.
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli».

giovedì 9 aprile 2020

Vi ho dato l’esempio ...


« … fate questo in memoria di me …» (1Cor 11, 23-26)

«Vi ho dato l’esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13, 1-15)

Gesù nell’ultima cena dopo avere amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, sino all’estrema donazione: donando il Suo Corpo e il Suo Sangue. Tale donazione, tuttavia, non è che la naturale conclusione di una “vita donata”, una vita tutta vissuta per l’altro; l’Altro con la maiuscola (il Padre) e l’altro con la minuscola (i fratelli che il Padre gli ha donato). Una donazione che comincia con l’incarnazione: è li infatti che ha inizio quella Kenosi, quello svuotamento che ha il suo culmine sulla Croce e, sacramentalmente, nell’Eucaristia.
Don Tonino Bello ci ricorda: «La sera del Giovedì santo, si è alzato, è andato verso gli Apostoli e ha preso loro i piedi per lavarli. Anche i piedi di Pietro che non voleva. Povero Pietro, non voleva farsi servire! Pensava, forse, che Gesù, più che fargli il lavaggio dei piedi, volesse fargli una lavata di testa! Poi Gesù è andato da Giovanni e da Giuda. Ha lavato anche i piedi di Giuda …
Con l’immagine di Gesù che lava i piedi, San Giovanni descrive l’Eucaristia. Vediamo perché. Consideriamo i due participi adoperati dagli altri Evangelisti accanto alle parole Corpo e Sangue. Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo “spezzato”. Prendete e bevete, questo è il mio Sangue “versato”. San Giovanni, attraverso l’episodio della lavanda dei piedi, non spiega l’istituzione dell’Eucaristia, ma la logica di questi due participi, spezzato e versato, adoperati anche dagli altri evangelisti. Corpo spezzato, Sangue versato: Che significa?
San Giovanni dice che Gesù si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse l’asciugatoio, lavò i piedi e riprese le vesti. Nel testo greco sono adoperati gli stessi verbi che pronuncia Gesù quando dice: “Io lascio la mia vita per riprenderla di nuovo”. Questa è una spia, ci fa capire che questo gesto non è un gesto emotivo, fatto da Gesù la sera dell’ultima cena, ma è proprio la descrizione, “formula breve”, della Passione, e quindi dell’Eucaristia.
Perciò questo gesto spiega la logica dell’Eucaristia: Gesù, rimanendo sempre servo, servo e Signore, dice che la nostra signoria, la nostra affermazione, sta nel servizio.» (Bello A., Laudate e benedicete, ed Insieme, Terlizzi 2000, 45-48)
Lavarci i piedi l’un l’altro sull’esempio del Maestro, infatti, è un comando lasciatoci da Gesù. È questa la via voluta da Dio per la nostra salvezza. Partecipare al banchetto eucaristico significa, in obbedienza a Cristo, unirsi alla sua offerta d’amore, fare comunione con Cristo, assimilarsi (farsi simili) al Figlio diletto del Padre.
Nel’ultima cena Gesù, istituendo l’eucaristia, anticipa sacramentalmente ciò che avverrà nel venerdì di passione: offre il suo corpo e il suo sangue e conclude: «Fate questo in memoria di me». Queste parole hanno certamente il senso del comando di ripetere il gesto sacramentale, di celebrare il memoriale, ma hanno anche il senso di comandare di fare ciò che il gesto sacramentale significa: come Cristo, anche noi dobbiamo potere dire: questo è il mio corpo spezzato per voi, questo è il mio sangue versato per voi.
È in questo senso che l’enciclica Sacramentum Caritatis parla di “forma eucaristica della vita cristiana”. Il Santo Padre Benedetto XVI, infatti, nella terza parte dell’enciclica, invita a vivere in modo profondo il mistero eucaristico, il cui contenuto è “l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri”. Il Papa ci ricorda che il cristiano è chiamato a testimoniare concretamente sul piano sociale e politico l’amore di Cristo, facendosi “pane spezzato per gli altri” e impegnandosi “per un mondo più giusto e fraterno”, denunciando lo scandalo della fame, il dramma dei profughi, il crescente divario tra ricchi e poveri provocato da “certi processi di globalizzazione”. Ai fedeli laici in particolare il Papa ricorda:
«[…] L’Eucaristia, come mistero da vivere, si offre a ciascuno di noi nella condizione in cui egli si trova, facendo diventare la sua situazione esistenziale luogo in cui vivere quotidianamente la novità cristiana. Se il Sacrificio eucaristico alimenta ed accresce in noi quanto ci è già dato nel Battesimo per il quale tutti siamo chiamati alla santità, allora questo deve emergere e mostrarsi proprio nelle situazioni o stati di vita in cui ogni cristiano si trova. Si diviene giorno per giorno culto gradito a Dio vivendo la propria vita come vocazione. A partire dalla convocazione liturgica, è lo stesso sacramento dell’Eucaristia ad impegnarci nella realtà quotidiana perché tutto sia fatto a gloria di Dio. E poiché il mondo è “il campo” (Mt 13,38) in cui Dio pone i suoi figli come buon seme, i cristiani laici, in forza del Battesimo e della Cresima, e corroborati dall’Eucaristia, sono chiamati a vivere la novità radicale portata da Cristo proprio all’interno delle comuni condizioni della vita. Essi devono coltivare il desiderio che l’Eucaristia incida sempre più profondamente nella loro esistenza quotidiana, portandoli ad essere testimoni riconoscibili nel proprio ambiente di lavoro e nella società tutta. Un particolare incoraggiamento rivolgo alle famiglie, perché traggano ispirazione e forza da questo Sacramento.» (n. 79).
La successiva focalizzazione di questa sezione è su “l’eucaristia, mistero da annunciare”. A tal proposito il Santo Padre afferma la necessità della testimonianza:
«La prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore. Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. […] In quest’ordine di riflessioni mi preme riprendere un concetto caro ai primi cristiani, ma che colpisce anche noi, cristiani di oggi: la testimonianza fino al dono di se stessi, fino al martirio, è sempre stata considerata nella storia della Chiesa il culmine del nuovo culto spirituale: «Offrite i vostri corpi» (Rm 12,1). […] Anche quando non ci viene chiesta la prova del martirio, tuttavia, sappiamo che il culto gradito a Dio postula intimamente questa disponibilità e trova la sua realizzazione nella lieta e convinta testimonianza, di fronte al mondo, di una vita cristiana coerente negli ambiti dove il Signore ci chiama ad annunciarlo.» (n. 85)
L’ultima parte del documento riguarda “l’Eucaristia, mistero da offrire al mondo”. «[…] L’Eucaristia è sacramento di comunione tra fratelli e sorelle che accettano di riconciliarsi in Cristo, il quale ha fatto di ebrei e pagani un popolo solo, abbattendo il muro di inimicizia che li separava (cfr Ef 2,14). Solo questa costante tensione alla riconciliazione consente di comunicare degnamente al Corpo e al Sangue di Cristo (cfr Mt 5,23-24).(242) Attraverso il memoriale del suo sacrificio, Egli rafforza la comunione tra i fratelli e, in particolare, sollecita coloro che sono in conflitto ad affrettare la loro riconciliazione aprendosi al dialogo e all’impegno per la giustizia. È fuori dubbio che condizioni per costruire una vera pace siano la restaurazione della giustizia, la riconciliazione e il perdono. Da questa consapevolezza nasce la volontà di trasformare anche le strutture ingiuste per ristabilire il rispetto della dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. È attraverso lo svolgimento concreto di questa responsabilità che l’Eucaristia diventa nella vita ciò che essa significa nella celebrazione. […]Rivolgo pertanto un appello a tutti i fedeli ad essere realmente operatori di pace e di giustizia: “Chi partecipa all’Eucaristia, infatti, deve impegnarsi a costruire la pace nel nostro mondo segnato da molte violenze e guerre, e oggi in modo particolare, dal terrorismo, dalla corruzione economica e dallo sfruttamento sessuale”. […] Proprio in forza del Mistero che celebriamo, occorre denunciare le circostanze che sono in contrasto con la dignità dell’uomo, per il quale Cristo ha versato il suo sangue, affermando così l’alto valore di ogni singola persona.» (n. 89)
fr. Marco

Con Cristo e in Cristo, Re, Sacerdote e Profeta


La mattina del giovedì santo ordinariamente si celebra la Messa Crismale, "epifania" (solenne manifestazione) della Chiesa: attorno al Vescovo si riunisce tutto il presbiterio (tutti i sacerdoti della Diocesi) e il popolo santo di Dio. Anche se quest'anno la Messa Crismale, straordinariamente, sarà posticipata a data da destinarsi, vorrei approfittare di questa mattina per fare memoria del mistero del Sacerdozio di Cristo partecipato a tutti i Battezzati. La chiesa è il “popolo sacerdotale”, un popolo di sacerdoti all’interno del quale alcuni vengono scelti come ministri (il sacerdozio ministeriale) per il servizio dei fratelli.
Attraverso una realtà terrena, già trasformata dal lavoro dell’uomo (l’olio) e un gesto semplice e familiare (l’unzione), si esprime la ricchezza della nostra esistenza in Cristo, che lo Spirito continua a trasmettere alla Chiesa sino alla fine dei tempi.
Durante la solenne Messa Crismale, infatti, il Vescovo, circondato dagli altri sacerdoti, benedice gli oli che verranno adoperati nei diversi sacramenti: il crisma (olio mescolato con profumi), per significare il dono dello Spirito Santo nel Battesimo, nella Cresima, nell’Ordine; l’olio dei catecumeni segno della forza che libera dal male; e l’olio degli infermi che sostiene nella prova della malattia.
Questi sono gli oli con cui viene unto ogni Battezzato che in tal modo diventa con Cristo e in Cristo, Re, Sacerdote e Profeta. Ogni battezzato, quindi, partecipa del sacerdozio regale di Cristo ed è "abilitato" rivolgere al Padre la preghiera e a presentare sacrifici spirituali a Lui graditi. Così ci ricorda, per esempio, San Paolo nella Lettera ai Romani: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (12,1)
C'è dunque un culto spirituale che compete a tutti i battezzati. Un dignità sacerdotale comune a tutti i battezzati! In attesa che si possa tornare a celebrare la Messa Crismale, e nella speranza che quanti possono partecipino a questa solenne manifestazione della Chiesa, vi invito a riscoprire valorizzare il sacerdozio comune dei fedeli e con San Paolo ancora vi esorto: a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. (Rm 12,1-2)
Auguri, quindi, a tutti i battezzati. E buon Triduo Santo.
Fr. Marco

mercoledì 8 aprile 2020

Sono forse io?

«Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: “In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”. Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: “Sono forse io, Signore?”» (Mt 26,14-25)

L'ultimo giorno di quaresima prima del triduo santo, il Vangelo ci conduce ancora una volta alla sera del tradimento.
«… uno dei Dodici» In Matteo la figura di Giuda assume il contorno drammatico del discepolo amato e chiamato dal Signore che rifiuta di accogliere l'invito alla conversione. È come noi, Giuda, esattamente come noi. Forse, deluso dal messianismo manifestato da Gesù, pensa di forzare la mano al Maestro. Spiegherebbe la sua disperazione dopo l'arresto di Gesù: il suo progetto non prevedeva un tale catastrofico epilogo!
«Sono forse io, Signore?» L’evangelista Matteo mette questa domanda sulla bocca dei discepoli. Anch’io oggi sono invitato a chiedermi: «Sono forse io?». Ciascuno di noi, infatti, è stato scelto, chiamato ad essere suo discepolo, istruito dal Maestro; quante celebrazioni eucaristiche, catechesi, lectio Divine … eppure, forse, al momento della prova, tentati dal guadagno o convinti di sapere meglio del Maestro ciò che è giusto, l’abbiamo tradito. Quanto assomigliamo a Giuda!
Durante la cena, però, Gesù gli offre ancora un'opportunità di ripensamento. Quando anche Giuda chiede: «Sono forse io?» il Maestro risponde rinviandolo alla sua scelta: «Tu l’hai detto!». Tu, Giuda, decidi se diventare traditore, se allontanarti dal sogno, dal progetto, se lasciarti travolgere dalla parte oscura, se lasciarti prendere dallo scoramento. Ciascuno di noi ha di fronte a sé l'immenso dono della libertà: il discepolo può diventare il traditore. Ma questo non cambia il giudizio che Gesù esprime su ciascuno di noi: anche al momento di essere consegnato Gesù chiamerà Giuda “amico”.
Non lasciamo che i nostri sbagli, i nostri piccoli o grandi tradimenti ci allontanino dal Signore che ci ha chiamati amici ed ha dato la vita per noi.
Fr. Marco

martedì 7 aprile 2020

Darai la tua vita per me?

«“Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. ...”. ... Pietro disse: “Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!”. Rispose Gesù: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte”» (Gv 13,21-33.36-38)

Il Vangelo del martedì santo ci fa contemplare l'ultima cena raccontata da Giovanni. Gesù si appresta a donare la vita per amore. Nessuno fra i discepoli ha capito cosa sta per accadere. Il Maestro è drammaticamente solo davanti alla propria morte. Incapaci di vedere, turbati dall'annuncio della fine e del tradimento, i discepoli si guardano con sospetto gli uni gli altri invece di guardare dentro loro stessi. Gesù tenta un ultimo gesto: offre il boccone a Giuda, il traditore. Un gesto di amicizia, di conciliazione che forse viene interpretato come un'accusa.
«Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte» È buio nel cuore di Giuda, come è buio fuori dalla stanza del Cenacolo. Giuda è perso. Gesù, però, è venuto proprio per coloro che sono perduti. Negli ultimi momenti prima della Passione, il Maestro vuole salvare Giuda dalla sua tenebra e Pietro dalla sua immensa presunzione. Pietro, infatti, non capisce nulla di ciò che sta accadendo e, come al solito, vuole insegnare a Gesù come comportarsi: «Dove vai ... Perché non posso seguirti? ... Darò la mia vita per te!»
Fra Giuda e Pietro, fra la tenebra del tradimento e la presunzione di sé, Gesù fa un'affermazione sconcertante: è il momento della Gloria. Proprio quel tradimento e quella lontananza, infatti, permetteranno a Gesù di manifestare il proprio amore incondizionato e la propria misericordia. Una misericordia che chiede solo di essere accolta. Sappiamo, dal vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato domenica, che Giuda non riuscirà ad accogliere il perdono di Gesù, ma schiacciato dalla propria colpa, andrà ad impiccarsi. Pietro, invece, dopo aver rinnegato il Maestro, colpito dal suo sguardo, piangerà amaramente.
Riconosciamoci anche noi bisognosi della Misericordia del Signore; guardiamoci dentro riconoscendo le nostre miserie, invece di guardarci con sospetto gli uni gli altri; lasciamoci salvare da Colui che ha preso su di Sé il peccato del mondo.
Fr. Marco

domenica 5 aprile 2020

Maria, presi trecento grammi di profumo di puro nardo, ne cosparse i piedi di Gesù

«Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo.» (Gv 12,1-11)

Con il lunedì santo inizia la "grande settimana" che sfocerà nella Pasqua del Signore. La Parola ci racconta i passi che conducono Gesù alla Croce. Andando al lavoro o preparandoci ad una lunga giornata da passare in casa, possiamo cercare di pensare spesso al Signore. Come staremmo se sapessimo di vivere le ultime giornate della nostra vita terrena? Quali emozioni, quali paure, quali delusioni, quali speranze colmerebbero i nostri cuori?
Il Vangelo di oggi ci racconta che Gesù inizia la settimana in casa di amici; ci parla di una cena che vede Lazzaro fra i commensali. È durante quell'incontro che, secondo Giovanni, avviene l'unzione ad opera di Maria, sorella di Lazzaro. Tutti gli evangelisti raccontano questo episodio, anche se lo situano in momenti diversi. Giovanni lo pone qui per sottolineare il gesto gratuito e semplice della sua discepola.
«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?» Giuda ha ragione: a prescindere dai secondi fini che gli attribuisce l'evangelista (essendo il traditore), il gesto di Maria è uno spreco. È uno spreco, se restiamo in una visione utilitaristica e meschina della fede e della vita; una visione in cui i cristiani sono ridotti solo ad "operatori sociali". Come ci ha ricordato Papa Francesco fin dai suoi primi discorsi, però, la Chiesa, non è un'Onlus. Senza dubbio l'attenzione ai poveri, agli ultimi, caratterizza i cristiani; ma più importante e alla base di quest'attenzione deve esserci l'amore per Gesù Cristo. E come ci ricorda S. Agostino, «Misura dell'amore è amare senza misura». L'amore non conosce risparmio. Così ci ama Gesù dalla Croce: con un amore folle, senza risparmiarsi nulla.
Il Maestro mostra di gradire il gesto ingenuo e pieno di speranza di Maria. Anche noi, oggi, mostriamo il nostro amore per Gesù!
Fr. Marco

sabato 4 aprile 2020

Passione di Nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo


«A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: “Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?”. Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. […]i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. […]Quelli risposero: “Barabba!”. Chiese loro Pilato: “Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?”. Tutti risposero: “Sia crocifisso!”. Ed egli disse: “Ma che male ha fatto?”. Essi allora gridavano più forte: “Sia crocifisso!”».(Mt 27, 17-23)

Quest’anno vivremo una domenica delle Palme diversa dal solito. Non potremo celebrare la commemorazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme che tanto spazio ha avuto solitamente in questo giorno santo. Possiamo e dobbiamo però accoglier Gesù nel nostro cuore come Signore e Salvatore. Abbiamo inoltre l'occasione per meditare maggiormente sulla Passione di nostro Signore che quest’anno ci viene raccontata dall’evangelista Matteo.
Il racconto della Passione di Gesù è sempre occasione di meditazione e di contemplazione: contemplo il grande amore con cui sono stato amato e medito sull’insufficienza della mia corrispondenza, sul peso che il mio peccato aggiunge alla Croce di Cristo. Quest’anno due momenti della Passione mi risuonano particolarmente: il dialogo di Pilato con la folla e Simone di Cirene costretto a portare la croce.
Mi risuonano dentro le parole del dialogo di Pilato con la folla. Una folla che pochi giorni prima aveva accolto festante Gesù, riconoscendolo il Messia atteso, e che ora grida “crocifiggilo”. In questo cambiamento di atteggiamento scorgo la mutevolezza dell’uomo, la mia incostanza e incoerenza. Veramente posso solo affidarmi alla fedeltà di Dio!
«Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?» Il Vangelo ci dice chiaramente che la folla fu sobillata dai sacerdoti perché richiedessero la liberazione di Barabba piuttosto che quella di Gesù. Gesù o Barabba? Il giusto o il “conveniente”? Nell’alternativa posta da Pilato e nella risposta della folla scorgo tutte quelle volte in cui, per paura o per interesse, nelle varie scelte che la vita mi impone, non scelgo ciò che so essere giusto, ma ciò che è più conveniente, pur sapendo che è sbagliato. Che, magari, va a scapito di un innocente. Guardandomi attorno, purtroppo, vedo una società che facilmente si lascia affascinare dal guadagno immediato piuttosto che dalla verità. Come è facile cadere nella tentazione di “vendersi” per la promessa di un lavoro, di un aumento, …
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Simone di Cirene probabilmente neanche conosce Gesù. Forse si trova solo a passare di là. Non sono là i discepoli con cui Gesù ha condiviso tanto; quelli che Gesù ha chiamato amici; quelli che avevano professato amore fedele al Maestro; quelli che avevano detto: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò» (v. 35). Loro non ci sono. Forse sono nascosti tra la folla, ma non sono lì a condividere la sorte del Maestro. Lì c’è Simone che a questa condivisione viene costretto suo malgrado, ma che non mancherà sicuramente di ricevere la sua ricompensa. Quante volte anch’io ho fatto promesse di fedeltà al Signore, ho professato il mio amore per lui, ma al momento della prova sono venuto meno. Altre volte, invece, per grazia di Dio, mi trovo costretto a portare una croce che non voglio, che non avevo preventivato, che non è la mia. Sul momento mi pare un sopruso e mi ribello. Solo in un secondo momento comprendo che è stata una grazia, un’occasione per portare la Croce di Gesù … un’occasione che potevo vivere meglio.
Gesù, tu che sulla Croce preghi per i tuoi crocifissori, abbi pietà di noi e concedici di sapere sempre rendere testimonianza alla verità, di avere sempre la forza di scegliere ciò che sappiamo essere giusto, anche quando non ci conviene, anche quando perdiamo un ingiusto privilegio o andiamo incontro a persecuzioni. Concedici, Signore, di portare la Croce con Te, di riconoscerti nei crocifissi del mondo e di farci cirenei dei nostri fratelli.
Concedici di ricordare sempre le tue Parole: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.» (Mt 5, 11-12)
Fra Marco.

venerdì 3 aprile 2020

Da quel giorno decisero di ucciderlo


«In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. … Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: “Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione”… Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.» (Gv 11,45-56)

Il miracolo di Lazzaro, l’ultimo dei sette “segni” riportati dall’evangelista Giovanni, ha suscitato grande stupore. È un fatto che va ben oltre il possibile umano: chiamare in vita dalla tomba un uomo morto da quattro giorni, che «manda già cattivo odore» (v. 39). Dopo questo segno «molti … cedettero in lui».
Per i capi dei sacerdoti e per i farisei questo è un momento drammatico. Se Gesù verrà lasciato libero di agire a suo piacimento è la loro fine. Per preservare il loro potere, la loro tranquillità, questo Gesù deve morire. Poco importa se i segni che egli compie lo identificano come inviato da Dio per compiere le Sue opere. Deve essere tolto di mezzo perché il loro mondo non venga turbato.
A volte anche noi scegliamo di “eliminare” il fratello che manifesta l’opera di Dio nella nostra vita operando uno stravolgimento. Scegliamo di eliminare il fratello che ci mette in discussione. Scegliamo di dire a Dio: «Lasciami stare!»; quasi che Dio venga a rovinarci la vita.
È dal peccato che nasce questo pensiero. Solo ascoltando il “serpente antico” possiamo essere ingannati e credere che Dio voglia rovinarci. Dio è sempre per l'uomo, mai contro l'uomo. È proprio il volerci salvare la vita da soli, invece, eliminando Dio e la Sua opera dalla nostra vita, che ci rovina. Tutta la Sacra Scrittura, infatti, ci mostra la storia di un uomo che viene preso per mano dal suo Creatore e Signore e condotto nel pieno possesso della sua vera umanità.
Solo in una religiosità naturale, la mentalità “magico-superstiziosa”, può vedere Dio contro l'uomo; una mentalità in cui la divinità deve essere placata con sacrifici, nella quale l'uomo rimane nella sua disumanità, nella sua cattiveria e malvagità, nel suo odio e invidia, nella sua superbia e arroganza, nella sua sete di sangue e di vendetta, nel suo terrore e nelle sue stragi, ma con riti, preghiere e sacrifici, “piega” la divinità ad essere benevola;  questa non è la vera religione. Questa è una religione ingannevole, come ingannevoli sono molte filosofie dell'era moderna, nelle quali Dio veniva identificato come il più grande nemico dell'uomo.
Nel sinedrio Caifa, che in quell'anno era sommo sacerdote, dona la “soluzione” al “problema” Gesù: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Le parole di Caifa avvisano che un grave pericolo incombe sul popolo dei Giudei e, soprattutto, sull’autorità dei capi del popolo. Se Cristo viene lasciato libero, la sua azione sarà destabilizzante. Si romperanno gli equilibri che attualmente essi con tanta abilità e diplomazia riescono a costruire ogni giorno. Preso alla lettera, il suo è il discorso di chi non si fida di Dio e vuole eliminare la Sua opera.
Paradossalmente, però, Caifa profetizza:  proclama necessaria la morte di Gesù per la salvezza del mondo intero. Gesù è l'Agnello di Dio che porta la vera salvezza al popolo dei Giudei e al mondo.
La morte di Gesù è decisa. O prima della festa o immediatamente dopo la festa Gesù dovrà essere ucciso. Non si tratta più della volontà di questo o di quell'altro Giudeo. Ora è il sinedrio che ha preso formalmente la decisione. Essa è irrevocabile. Gesù deve morire subito. Lo richiede la salvezza del suo popolo. È questa la grande saggezza, l'infinita sapienza di Dio: raggiungere il suo fine percorrendo vie umane, a volte di peccato e di totale cecità. Ora Gesù sa che la sua ora è venuta: Colui che è venuto a mostrarci il vero volto del Padre, darà la vita per la salvezza dell’uomo.
Fr. Marco

Compio le opere del Padre mio



«Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre» (Gv 1031-42)

In quest’ultimo venerdì di quaresima (venerdì prossimo sarà il Venerdì Santo), il Vangelo ci presenta per l’ennesima volta il tentativo di uccidere Gesù precisandone il motivo: «perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». il Maestro, però ribatte a questa accusa ancora una volta portando a testimonianza le opere che egli compie.
È su queste ultime che oggi voglio soffermarmi. Gesù nel Vangelo afferma più volte questo criterio di discernimento da applicare a noi prima che agli altri: nel Vangelo di Giovanni parla di opere che testimoniano (l’abbiamo ascoltato in questi giorni), nei sinottici insegna che l’albero si riconosce dai frutti (cfr. Mt 7,15-20). Alla folla che gli chiede: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato» (Gv 6,28-29). A questo punto credo sia il caso di chiedermi: i frutti che io produco, le opere che io compio, cosa testimoniano di me? posso realmente affermare di essere discepolo di Cristo e figlio di Dio? Riconosco davvero in Gesù il mio Maestro e Signore?
Non è una domanda così scontata, perché troppo spesso la nostra professione di fede viene sconfessata dalla nostra vita: alla fede “detta” non facciamo seguire le opere corrispondenti. Se veramente riconosciamo Gesù come il nostro Signore, il Messia e Salvatore, allora siamo chiamati a testimoniarlo con la vita; comportandoci da discepoli; imparando a camminare dietro di Lui, in obbedienza alla Sua Parola.
Nel Vangelo Gesù è chiaro sulle esigenze del discepolato: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,35 e paralleli). Tra le opere, i frutti, della sequela di Cristo, quindi, è imprescindibile il rinnegamento di se stessi. Ma che significa rinnegare se stessi? Nel Nuovo Testamento il  verbo “rinnegare” ricorre con costanza in due contesti diversi: quando si parla di rinnegamento di sé e quando si parla di rinnegamento di Cristo: Chi mi rinnegherà davanti agli uomini … (Mt 10, 33). Le due cose, secondo il Vangelo, sono in alternativa: o si rinnega se stessi, o si rinnega Cristo. O si cerca di difendere la propria natura, di “salvarsi la vita” secondo la logica del mondo, si cerca, cioè di fare valere i propri diritti mettendo il nostro Io al centro della nostra vita; o ci si mette alla sequela di Cristo, si prende a cuore l’esigenza e la mentalità del Regno e si mette Cristo al centro della propria vita. Il “rinnegamento”, quindi, non è mai fine a se stesso, né un ideale in sé. Dire no a se stessi è il mezzo per dire sì a Cristo. Se scegliamo di seguire Cristo, dobbiamo smettere di seguire il nostro io e rinnegare noi stessi: il nostro orgoglio (che ci impedisce di perdonare) il nostro egoismo (che ci impedisce di condividere), la nostra vanagloria (che ci impedisce di riconoscere i doni dei fratelli). La sequela poi, porta a prendere ogni giorno la nostra croce, facendo della nostra vita un dono d’amore per i fratelli.
La “logica del mondo” mi insegna che “tutto gira intorno a me”, che “io valgo”, che devo stare bene; per quanto riguarda la sofferenza, poi, come Pietro, afferma: «questo non ti accadrà mai!» (Mt 16,22). Anche a noi, come a Pietro, oggi Gesù dice: «Vieni dietro a me, non pensare più secondo gli uomini, ma secondo Dio» (Mt 16,23).
Mettiamoci dunque anche noi alla sequela del Maestro sulla Via dell’Amore, impariamo da Lui a fare ogni giorno della nostra vita un dono ai fratelli, “spezzandoci” come il pane eucaristico per “farci mangiare” dai fratelli, faremo le opere dei figli di Dio, discepoli di Cristo, e renderemo Gloria al Padre che è nei Cieli.
Fra Marco.


mercoledì 1 aprile 2020

Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno


«In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: “In verità, in verità io vi dico: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno”. Gli dissero allora i Giudei: “Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?”». (Gv 8,51-59)

Il Vangelo di questo giovedì ci presenta una realtà che, pur professata a parole, difficilmente riusciamo a credere realmente: la morte non è più definitiva, è stata sconfitta. I discepoli di Cristo, coloro che sono rinati in Cristo nel battesimo e vivono della Sua Parola, non hanno più motivo di temere la morte.
Non significa che non sperimenteranno la morte fisica. Questa fa parte della natura umana. Anche se l'uomo tenta in ogni modo di eliminarla, essa verrà. Tuttavia se l'uomo entra nella Parola del Signore, la osserva, la vive, questa morte non avrà alcun potere su di lui. Gesù, figlio obbediente che visse tutta la Parola del Padre, ha sperimentato tutta intera la debolezza umana fino alla morte; e l'ha sconfitta. Essa non è più un entrare nel nulla, ma un essere accolti nelle braccia del Padre.
Se non osserviamo la Sua Parola, se siamo lontani dal Padre, allora la morte acquista tutta la sua drammaticità, ne sperimentiamo il pungiglione, il peccato che ci fa sperimentare una “sopravvivenza” senza Vita, una vita senza senso.
« Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno» il Maestro parla della morte spirituale. Si tratta di quella morte che è frantumazione dell'uomo interiore i cui effetti si riversano sul nostro corpo e sull'intera umanità e creazione. Chi è fuori della Parola di Gesù, manca della grazia che vivifica la sua anima. È privo dello Spirito Santo che dona conoscenza, sapienza, scienza, fortezza, intelletto, timore del Signore, pietà al suo spirito. Manca dell'amore del Padre che lo costituisce vero strumento del suo amore. Fuori della Parola, l'uomo è in tutto simile ad un albero secco quanto alla sua anima e al suo spirito. Rimane però tutta la malvagità, la cattiveria, la concupiscenza, che lo spinge ad ogni sorta di male. Rimane il vizio che lo corrompe e lo induce ad ogni azione di corruzione. Fuori dalla Parola, l'uomo è in tutto simile ad una barca in un mare in tempesta senza alcun timone. Il vento la porta dove lui vuole: la concupiscenza lo spinge in ogni direzione di male. Questa verità non ha bisogno di prove. È sufficiente osservare quanto avviene attorno a noi per vedere la verità delle parole di Gesù.
Abramo ha creduto e ha obbedito alla Parola di Dio. Ha lasciato le sue false sicurezze per fidarsi unicamente di Colui che lo chiamava. Ha creduto che Dio è capace di suscitare la Vita dalla morte: far nascere Isacco dal seno avvizzito di Sara.
«Prima che Abramo fosse, Io Sono» Anche noi oggi siamo invitati a fidarci del Signore della vita, ad accogliere e a credere alla Sua Parola vivendo di essa e non di ciò che insegna il mondo. Sperimenteremo la Vita che il mondo non conosce.
Fr. Marco

Se rimanete nella mia parola, sarete liberi davvero.


« Sadrac, Mesac e Abdènego risposero al re Nabucodònosor: “Noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto”». (Dn 3,14-20.46-50.91-92.95)

«In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.» (Gv 8,31-42)

Questo mercoledì di quaresima il Vangelo tocca un valore molto caro alla nostra società, oggi forse più che mai: la libertà. L'uomo contemporaneo afferma con vanto sua libertà: libertà dalla dittatura, libertà di coltivare le nostre abitudini, di fare qualunque cosa ci passi per la mente … siamo bombardati da messaggi del tipo «Tutto attorno a te … perché tu vali!».
La società in cui ci troviamo a vivere considera servizio, obbedienza e sottomissione concetti difficili da accettare. La propria libertà individuale viene idolatrata: ciò che conta è solo il piacere personale ed immediato. In questo contesto il sacrificio viene visto solo con accezione negativa. Ma siamo sicuri di essere veramente liberi?
Se agiamo spinti dalle nostre passioni, all'omologazione acritica ai modelli presentati dagli spot pubblicitari, dalle nostre dipendenze, siamo realmente liberi? O siamo schiavi della cupidigia, dell'alcool, della droga, della bramosia di potere, del voler tenere tutto sotto controllo, del parere della gente?
No, non siamo completamente liberi, ci illudiamo di esserlo perché “libertà” è una bella parola, suona bene, ti fa credere di poter fare qualunque cosa. È così per tutti noi. Siamo legati a mille debolezze e solo abbandonando, non senza lotta e senza fatica, il nostro peccato saremo veramente liberi, liberi dalla schiavitù delle nostre passioni, liberi di realizzare pienamente la nostra vita.
 «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Il Maestro oggi ci  mostra la vera libertà che consiste nel servire per amore, nell’obbedire al Padre liberi dalla schiavitù degli idoli (prima lettura). La “libertà assoluta”, infatti, è un’illusione: siamo liberi per servire; e possiamo servire solo se siamo liberi. Oggi siamo invitati a comportarci da discepoli di Cristo: obbedendo al comandamento dell’Amore, camminiamo dietro a Lui per fare della nostra vita un dono.
«Noi siamo discendenti di Abramo …!» quante volte anche noi abbiamo la pretesa di non avere bisogno del Maestro: «Nella mia famiglia siamo sempre stati gente di chiesa … Sono “nato in chiesa” …!». La nostra vita però, ciò che concretamente facciamo, è coerente con ciò che siamo? Ci comportiamo da figli di Dio e discepoli di Cristo? Dinanzi le quotidiane lotte, quale maestro seguiamo concretamente, il mondo che insegna a “farsi rispettare”, ad arraffare ciò che desideriamo anche a costo di far guerra ai nostri fratelli … o Gesù che insegna il perdono e l’amore dei nemici, la generosità e l’amore fino a dare la vita? «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato» (Gv 8, 42)
Fr. Marco