venerdì 26 aprile 2024

In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto

 «La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.» (At 9,26-31)

«Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.» (1Gv 3,18-24)

«Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.» (Gv 15,1-8)

​La pagina di Vangelo della quinta domenica di Pasqua fa risuonare più volte l’esortazione a rimanere nel Signore o, meglio, a permettere al Signore di rimanere in noi.

Rimanete in me e io in voi. L’evangelista Giovanni usa qui un verbo greco che ha il significato di “dimorare stabilmente”: Gesù ci invita a prendere dimora in Lui e ci chiede di lasciarlo dimorare stabilmente in noi. Noi in Lui e Lui in noi. Solo custodendo questa reciproca inabitazione, questa comunione d’amore, la nostra vita porterà frutto.

Questa comunione d’amore è realizzata in noi dallo Spirito Santo che è  Signore e dà la vita: l’Amore tra il Padre e il Figlio effuso nei nostri cuori. La comunione realizzata dallo Spirito, però, va custodita. Nella lettera agli Efesini S. Paolo ammonisce: non contristate lo Spirito Santo (Cfr. Ef 4,30).

Per questo motivo, oltre ad esortaci a rimanere stabilmente in Cristo, la Parola di Dio di questa domenica ci indica anche come custodire la comunione con Lui: camminando nel timore del Signore (I lettura), osservando i suoi comandamenti (cioè credendo in Gesù e amandoci gli uni gli altri - II lettura) e facendo rimanere in noi le Sue parole (Vangelo). Tre modi per esprimere, in effetti, la stessa cosa: l’obbedienza a Dio. La liturgia della Parola di oggi, però, ci dà anche tre sottolineature che arricchiscono il concetto di obbedienza.

La Chiesacamminava nel timore del Signore. Il timore del Signore, di cui ci parla l’autore degli Atti degli Apostoli, non è paura del Signore; è, invece, quel sentimento di rispetto e di fedeltà che aiuta a fuggire il male e a scegliere il bene e, se abbiamo peccato, a pentirci. È l’amore del figlio che non vuole rattristare il padre amato; è l’amore del giovane che non vuole rattristare colei che ama. Obbediamo a Dio, quindi non per paura del castigo, ma per amore, per non contristarlo, per compiacerlo, perché “possa essere contento di noi”.

La seconda lettura ci presenta l’esigenza di osservare i comandamenti, cioè di credere in Gesù e quindi di amarci gli uni gli altri. Il motivo per osservare i comandamenti e in maniera particolare il comandamento dell’amore reciproco che garantisce l’autenticità dell’amore per Dio, è, infatti, che ci fidiamo di Gesù. Non ci amiamo tra noi perché siamo simpatici o perché ne traiamo un vantaggio materiale. Così ama il mondo. Ci amiamo reciprocamente e gratuitamente, invece, perché crediamo che così siamo amati da Gesù che ha dato la vita per noi; e perché ci fidiamo di Gesù che ci ha indicato la croce, l’amore gratuito, come via perché la nostra vita possa essere piena di senso.

Per poterci fidare di Lui, per potergli credere, infine, è necessario che Lo conosciamo e conosciamo ciò che ci chiede. Per questo la terza raccomandazione di oggi è di fare dimorare in noi la Sua Parola. Solo se abbiamo un contatto assiduo e profondo con la Sua Parola, infatti, possiamo conoscere chi è Gesù e conformare la “nostra mente” non al modo di pensare del mondo, ma alla volontà di Dio (Cfr. Rm 12, 2).

… senza di me non potete far nulla. Gesù oggi ci chiede di custodire la comunione con Lui, la reciproca inabitazione, perché la nostra vita possa essere pienamente realizzata e ricca di frutti. Lui ci dona tutto se stesso, il Suo Corpo, il Suo Sangue, il Suo Spirito: accogliamolo in noi, lasciamoci guidare da Lui nella nostra quotidianità, non a parole e con la lingua, ma coi fatti e nella verità: saremo realmente suoi discepoli e porteremo frutti di vita eterna.

Fr. Marco

venerdì 19 aprile 2024

Io sono il buon pastore

 « … In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,8-12)

«Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.» (1Gv 3,1-2)

«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.» (Gv 10,11-18)

​Questa domenica, quarta di Pasqua, è detta “Domenica del Buon Pastore” perché nella pagina di Vangelo Gesù si autorivela come il “Bel Pastore” (letteralmente): il pastore ideale, quello vero, contrapposto al mercenario per il quale le pecore che gli sono affidate sono solo un mezzo per “pascere se stesso” (Cfr. Ez 34).

La differenza tra il vero (bello/buono) pastore e coloro che lo sono solo in apparenza, è la capacità di donare la vita per le “pecore”. Il mercenario è interessato solo a se stesso e al proprio guadagno, non conosce le pecore, non gli interessa di loro. Il Pastore, invece, conosce coloro che gli appartengono, è interessato a loro.

Nella pericope evangelica di oggi, inoltre, Gesù manifesta pienamente la Sua libertà: «io do la mia vita … Nessuno me la toglie: io la do da me stesso». Il dono della vita in obbedienza al Padre è l’atto di più grande libertà di Gesù.

«Conosco le mie (pecore) e le mie (pecore) conoscono me» In questo versetto 14 il testo greco non usa il termine “pecore”, ma soltanto l’aggettivo “mie” che diventa in tal modo ciò che ci identifica: gli apparteniamo.

«… come il Padre conosce me e io conosco il Padre». Dopo avere detto che gli apparteniamo e che ci conosce, oggi il Signore specifica pure il modo in cui ci conosce: «Come il padre conosce me». Vale la pena allora di chiedersi in che modo il Padre conosce il Figlio: con una comunione d’amore inscindibile che li rende “una cosa sola”. È questo il modo in cui il Buon Pastore ci conosce: con una “conoscenza d’amore” che ci unisce a Lui; nel battesimo, infatti, siamo stati uniti inscindibilmente a Lui, nella Comunione Lui ci unisce alla Sua passione morte e resurrezione … Lui ci conosce, ha unito la Sua vita alla nostra, ci ama per quello che siamo, non per quello che appariamo o che dobbiamo essere. Lui ci vuole felici. I mercenari che sono nel mondo, invece, non ci “conoscono”, non ci amano, non possono renderci felici e ci costringono troppo spesso ad essere ciò che non siamo.

Nella prima lettura di oggi S. Pietro è chiaro: «In nessun altro c’è salvezza». Solo Gesù è il vero/buon Pastore.  Non seguiamo quindi altri “pastori” che non vogliono (e non potrebbero) darci la Vita.

«Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore». Fin qui abbiamo visto ciò che contraddistingue il Buon Pastore. Ora vorrei soffermarmi brevemente sulla caratteristica distintiva di chi gli appartiene (“le mie”): l’ascolto obbediente e la comunione reciproca. Ecco ciò che ci deve caratterizzare se Gli apparteniamo. Ecco da cosa possiamo riconoscere se siamo Suoi: se ascoltiamo la Sua Parola e viviamo da figli di Dio secondo la grazia del nostro Battesimo.

Oggi per volontà di S. Paolo VI, è anche la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Come ci ricorda Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exultate, tutti siamo chiamati alla santità (la vocazione universale), ma a questa ciascuno è chiamato per una “via” personalissima. La nostra piena realizzazione, la nostra felicità, dipende dalla capacità di comprendere e realizzare questo personale progetto d’amore.

Questa domenica vorrei invitarvi a pregare in maniera particolare per i presbiteri, che il Signore chiama ad essere suoi collaboratori nel ministero pastorale, e per le persone di vita consacrata, frati e suore, che sono chiamati ad essere segno profetico della totale dedizione al Regno. A ogni cristiano, ma a loro in maniera particolare, il Signore chiede di fare della propria vita un dono giorno per giorno, di dimenticarsi di sé (rinnegare se stessi), per amore di Dio e dei fratelli. Tutto ciò, lo sperimentiamo, non è facile, ma è l’unica strada che conduce alla piena realizzazione, alla Gloria eterna. Sosteniamoci reciprocamente in questo cammino perché ciascuno di noi, restando fedele alla vocazione che ha ricevuto, possa giungere alla Pienezza della Vita per l’eternità.

Fr. Marco

venerdì 12 aprile 2024

Da questo sappiamo di averlo conosciuto

 « … Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni … Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».(At 3,13-15.17-19).

«Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità.» (1Gv 2,1-5)

«… i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus narravano … ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. … Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture …». (Lc 24,35-48)

La pagina di Vangelo di oggi, terza domenica di Pasqua, ci fa ascoltare la terza e ultima apparizione del Risorto raccontata dall’evangelista Luca. Manifestandosi alle donne (Lc 24,1-12) e ai “discepoli di Emmaus” (Lc 24,13-35), il Signore ha radunato la Chiesa nascente e ora, mentre i discepoli si scambiano i racconti dei loro personali incontri con il Risorto, Gesù “sta” in mezzo a loro e, ancora una volta, dona loro la Pace, il dono pasquale per eccellenza, la piena riconciliazione con Dio grazie alla quale è possibile la riconciliazione con i fratelli e il creato.

Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Mi colpisce quanto spesso i vangeli sottolineino la difficoltà nel credere realmente alla risurrezione. Nonostante i discepoli riuniti si stiano raccontando reciprocamente le loro esperienze (Gv 24,34), forse non riescono a crederci veramente: l’apparizione del Risorto provoca turbamento. La resurrezione gloriosa di Cristo, infatti, sconvolge ogni logica umana, non può essere “incasellata”; non si può assimilare a nessuna esperienza precedente: è qualitativamente diversa dalle “rivitalizzazioni” operate durante il ministero pubblico di Gesù. Il Risorto non è semplicemente tornato in vita, ma ha iniziato un “nuovo livello di esistenza”.

… credevano di vedere un fantasma. Anche noi possiamo cadere in questo errore: la resurrezione di Cristo è talmente sconvolgente ed ha implicazioni tali, che facilmente anche noi la releghiamo ai “confini del reale”; Gesù diventa così per noi “un’ombra”, qualcuno vissuto nel passato, di cui ci ricordiamo, magari, la domenica durante la Messa, ma che poco ha a che fare con la nostra quotidianità.

… Sono proprio io! Il Maestro oggi ci ricorda che è reale, che si fa nostro compagno di cammino, che vuole “stare in mezzo” a noi. Viene a mostrarci ciò che in quel pane spezzato, mediante il quale i discepoli di Èmmaus lo hanno riconosciuto, è rappresentato sacramentalmente: mostra ai discepoli i segni della Passione, il Suo Corpo spezzato per noi. Per vincere l’incredulità dei discepoli, infine, apre le loro menti alla comprensione delle Scritture. Parola di Dio e Pane Spezzato: ecco il modo in cui anche noi oggi, durante la celebrazione eucaristica domenicale possiamo fare esperienza del Risorto!

«Convertitevi e cambiate vita!» Perché sia possibile l’incontro con il Risorto, tuttavia, è necessario accogliere l’invito che Pietro ci fa nella prima lettura. Bisogna convertirsi, lasciare le vie dell’egoismo e percorrere la via dell’Amore. Bisogna cambiare il nostro modo di pensare e di vivere per potere accogliere l’inedito, la novità assoluta della Vita Nuova che Cristo è venuto a regalarci. Bisogna riconoscere i nostri peccati e prenderne la distanza, se vogliamo accogliere in noi la Gioia che viene dall’incontro con il Risorto, una gioia che il mondo non conosce e non può donarci. 

«Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti» Nella seconda lettura di oggi, infine, Giovanni ci indica il criterio per scoprire se realmente “conosciamo” il Risorto, se, cioè, lo abbiamo incontrato e ne abbiamo fatto esperienza: l’obbedienza alla logica del Vangelo, ai comandamenti che, lo sappiamo bene, hanno la loro radice e il loro spirito nel duplice comandamento dell’Amore di Dio e dei fratelli.

«Di questo voi siete testimoni». L’invito a testimoniare ciò che il Signore ha compiuto nella nostra vita conclude la pericope evangelica. Siamo invitati non solo all’annuncio, ma alla testimonianza, a renderlo presente. Il Vangelo ci mostra che Gesù Risorto è riconosciuto nello “spezzare il pane”, nel Suo farsi pane spezzato per noi. Questo è il modo in cui noi possiamo renderlo visibile ai fratelli: nutriti di Cristo, anche noi facciamoci pane spezzato per loro.

A questo punto è bene domandarci: siamo capaci di Amare Dio concretamente e non “a parole e con la lingua”, dandogli il primo posto nella nostra vita? O abbiamo altri idoli a cui sacrifichiamo tempo ed energie? Siamo capaci di Amare i fratelli anche quando ci fanno del male (perdonandoli e pregando per loro), o li consideriamo solo in funzione utilitaristica al nostro benessere? Ricevendo il Corpo di Cristo, facciamo comunione con Lui che “si spezza”, si fa dono, per Amore del Padre e dei fratelli. Viviamo nella quotidianità la dimensione dello “spezzarci per amore”? Da questo dipende la nostra possibilità di incontrare Gesù Risorto e di sperimentare la vita da risorti, quella “Vita eterna” qualitativamente differente che comincia già qui.

Fr. Marco

venerdì 5 aprile 2024

Non essere incredulo, ma credente!

 «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.» (At 4,32-35)

«Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.» (1Gv 5,1-6)

«“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20, 19-31)

Per volere di San Giovanni Paolo II, la seconda domenica di Pasqua celebriamo la Festa della Divina Misericordia. La pagina di Vangelo ci colloca alla sera di quel “primo giorno della settimana” in cui la morte è stata sconfitta e la Vita ha vinto. Il sepolcro è aperto, Maria Maddalena ha portato agli apostoli l’annuncio della resurrezione ed essi stessi hanno visto il sepolcro vuoto.

Il contesto descritto all’inizio della pericope evangelica di oggi, tuttavia, è un contesto di chiusura causata dalla paura: la tomba è stata aperta, ma la porta del cuore degli apostoli è ancora chiusa ed essi sono timorosi. Il Signore si fa presente in questo contesto di chiusura e paura e mostra la sua Misericordia donando loro quella Pace che sola è capace di suscitare una gioia che il mondo non conosce e che nulla può toglierci.

«Pace a voi!». Il saluto del Signore Risorto non è un semplice augurio, ma è il dono pasquale per eccellenza, il frutto della redenzione: la riconciliazione con Dio non più visto come un padrone tirannico, ma come un Padre amoroso. La pace che viene a portare il Gesù, non è semplicemente “non belligeranza”, è lo shalom ebraico, la somma di ogni pace e bene che riempie la vita.

«… mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli» Il Signore ha già aperto il sepolcro e sconfitto la morte e, con essa, ogni paura; solo noi però possiamo aprire la porta del nostro cuore alla Sua Misericordia che viene a donarci la Grazia e la Gioia perché possiamo uscire dalle nostre paure e annunziare la Sua resurrezione. 

«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati». Dopo avere donato loro la Pace, il Risorto dona ai suoi apostoli anche lo Spirito Santo e con esso l’autorità di trasmettere il perdono e la Pace (citati nella formula dell’assoluzione): dona lo Spirito per la remissione dei peccati e costituisce i suoi apostoli ministri della Sua Misericordia.

Anche il racconto della vicenda riguardante l’apostolo Tommaso penso si possa inquadrare in un’ulteriore manifestazione della Misericordia del Signore. Tommaso, forse, è rimasto talmente scandalizzato dalla passione, da non riuscire a credere nella resurrezione; d’altra parte si tratta di un evento così inedito che anche gli altri discepoli, come abbiamo ascoltato in questa settimana, fanno fatica a credere.  Gesù ha misericordia di Lui e di noi e gli concede la prova che aveva richiesto. 

«Mio Signore e mio Dio!» La tradizione e l’arte (penso per esempio al dipinto di Caravaggio “Incredulità di san Tommaso”) ci tramandano l’immagine di Tommaso che tocca le piaghe. Pur se non è escluso che sia avvenuto così, l’evangelista non lo specifica. Ci è lecito supporre, quindi, che a Tommaso sia bastato sperimentare la Pace donata da Gesù e ascoltare la Sua voce per riconoscere il Maestro ed esprimere, lui “l’incredulo”, la più completa professione di fede nella divinità di Gesù chiamandolo Signore e Dio.

Proprio grazie alla incredulità di Tommaso, inoltre, il Signore formula quella beatitudine che ci riguarda in prima persona: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Una beatitudine che raggiunge anche noi nella misura in cui abbiamo quella fede che vince il mondo (II lettura); quella fede che diventa fiducia, confidenza, e che, per questo, vince ogni paura e ci rende capaci di amare i fratelli.

Fidandoci di Lui, infatti, confidando nel Suo Amore Misericordioso e Provvidente, non avremo più paura della morte, non avremo più bisogno di difendere la nostra vita e di accaparrare cose come se da esse possa venirci la Vita: saremo capaci di usare misericordia verso i nostri fratelli e di condividere (I lettura). Raggiunti dalla Sua misericordia attraverso i Sacramenti e riconciliati con il Padre, inoltre, saremo ricolmi di una gioia tale da renderci capaci di affrontare qualsiasi prova nell’attesa dell’incontro finale con Lui. Auguri.

fr. Marco