sabato 27 marzo 2021

Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce


 «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.» (Is 50,4-7).

In questa domenica delle palme, anno B, contempliamo la Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco (14,1-15,47). La prima lettura, tratta dal Terzo Canto del Servo del Signore nel libro del profeta Isaia, mi dà una chiave di lettura per accostarmi al lungo racconto evangelico in cui ci viene mostrato il modo in cui Gesù abbraccia il mistero della Croce. Un mistero salvifico in cui anche noi siamo invitati ad entrare.

A volte chiamiamo “croce” una malattia, una disgrazia, … qualcosa che, non avendo un responsabile immediatamente identificabile, ci sembra venire direttamente da Dio. Ciò nonostante, non di rado facciamo fatica ad accettarla; convincendoci che è la volontà di Dio, però, se proprio non arriviamo ad abbracciarla, almeno ci rassegniamo alla “croce”.

Più difficile, sicuramente, è abbracciare una croce che la cattiveria dell’umanità ci carica addosso e leggere in essa la volontà di Dio. È questo ciò che fa Gesù e che oggi la Parola di Dio presenta alla nostra contemplazione perché anche noi possiamo seguire il Maestro.

L’evangelista Marco, infatti, nel suo racconto evidenzia come attorno a Gesù si va raccogliendo il peggio dell’umanità. A cominciare dall’ unzione di Betania in cui si manifesta l’avarizia ipocritamente mascherata da interesse per i poveri: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!».

Segue il tradimento interessato di Giuda, uno dei dodici, che mette la mano nel piatto con Gesù; forse Giuda voleva piegare Gesù alla sua visione messianica (così alcuni hanno letto il suo gesto), ma certamente non  disdegna di guadagnarci: «promisero di dargli del denaro».

Che dire dell’indifferenza mostrata dai discepoli, e soprattutto dai tre “testimoni privilegiati”, Pietro Giacomo e Giovanni, per l’angoscia del loro maestro? «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora?»

«Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!» Quanta amarezza sento in queste parole di Colui che passava beneficando tutti e che ora si vede trattato come un brigante.

Anche Pietro, che fino a poco prima aveva professato la sua assoluta fedeltà, dinanzi i servitori del sommo sacerdote cede alla paura e rinnega il Maestro per salvarsi la vita: «cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quest’uomo di cui parlate”». È sempre così: se non rinneghiamo noi stessi per seguire il Maestro, finiamo per rinnegare Gesù.

Attorno a Gesù si raccoglie la menzogna dei falsi testimoni, la malizia e l’invidia da parte dei capi del popolo, il vigliacco calcolo politico di Pilato che lo consegna perché sia crocifisso pur riconoscendolo innocente («Che male ha fatto?»).

Non è risparmiato a Gesù neanche il dileggio di quanti fino a poco prima lo avevano accolto festanti: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce! … Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!»

Veramente Gesù si è caricato delle nostre miserie e le ha inchiodate alla Croce perché potessimo liberamente seguirlo! Quanto spesso, però, la passione di Gesù continua nelle sue membra sofferenti, in quei piccoli di cui Gesù ha detto «Tutto quello che avete fatto a loro, l’avete fatto a me» (Cfr. Mt 25,40).

Fatto salvo il dovere di opporsi all’ingiustizia - soprattutto quando colpisce i nostri fratelli - oggi il Maestro, mentre ci mostra quanto ci ama, ci insegna anche come si abbraccia la croce: rimanendo fedeli alla Verità, non rispondendo male a male, perdonando i propri nemici, pregando per i propri persecutori (cfr. Mt 5,38-48).

Qualcuno sicuramente penserà: «Io non sono Gesù! Questo modo di fare non è umano!». Voglio ricordare, a quanti la pensassero così, che nel battesimo siamo stati conformati a Cristo e siamo chiamati a rendere visibile questa conformità: chi vede un cristiano dovrebbe riconoscervi i tratti del Figlio di Dio.

È vero, il cammino della sequela è difficile e Gesù non l’ha mai nascosto: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23). Spesso facciamo esperienza della nostra debolezza e cadiamo. Ma il Signore è sempre pronto a rialzarci perché possiamo riprendere il cammino e giungere con lui, attraverso la Croce, alla Pasqua eterna. Auguri.

Fr. Marco

sabato 20 marzo 2021

Se il chicco di grano muore, produce molto frutto


 «Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Ger, 31,31-34)

«Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.» (Eb 5,7-9)

«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.» (Gv 12, 20-33)

​Siamo giunti ormai alla quinta domenica di quaresima e il Maestro, ancora una volta, ci indica la Via della Vita che passa imprescindibilmente per la croce accolta e abbracciata per amore. La Via che implica l'obbedienza del figlio, di colui che agisce per amore, non l’obbedienza formale ed esteriore del servo. La croce, infatti, non può essere subita, sopportata, ma va accolta, abbracciata per amore. Solo così le nostre sofferenze, i nostri sacrifici, saranno croce salvifica.

Chi ama la propria vita, la perde... Chi vuole salvare la propria vita, chi vive sempre “in difesa”, pretendendo di proteggersi sempre da questo e da quello, ed ha l’unica preoccupazione di giungere alla propria felicità, andrà incontro al fallimento: la sua vita sarà inutile come un seme sterile, incapace di portare frutto.

Se uno mi vuole servire, mi segua. Quella che oggi il Maestro ci insegna è la via del servizio e della sequela: dietro a Lui siamo invitati a fare della nostra vita un dono d’amore come servizio a Lui gradito. È l’unica via perché la nostra vita possa essere piena e “degna di essere vissuta”. Una via “in salita”: faticosa e difficile; ma l’unica via che conduce alla Vita e non solo alla “sopravvivenza”. 

Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato la promessa di una Nuova ed Eterna Alleanza in cui la Legge di Dio non sarà più “esterna” al popolo, ma scritta nel loro cuore. Questa Legge è lo Spirito, l’Amore tra il Padre e i Figlio, effuso nei nostri cuori per renderci capaci di Amare. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34) Il Comandamento Nuovo, la legge della Nuova ed Eterna Alleanza è questo amore fino al dono di sé. Solo se saremo docili allo Spirito, se ci lasceremo guidare da Lui, saremo capaci amare come Lui ci ha amato, di perdere la vita, di prendere la nostra croce facendo della nostra vita un dono a chi ci sta accanto.

​Spesso, dinanzi la croce, siamo tentati di cercare scorciatoie e vie più comode. Il “mondo” ci insegna che dobbiamo curarci principalmente di “stare bene”. Ogni volta, però, che lasciamo la via della croce sperimentiamo solo una maggiore sofferenza in noi e in chi ci sta accanto. Ogni volta che ci occupiamo di cercare la nostra egoistica felicità, falliamo.

Oggi Gesù ci insegna che per giungere alla Vita dobbiamo fare della nostra esistenza un dono. Occuparci non della nostra egoistica felicità, ma di fare felici chi il Signore ci ha messo accanto.
Oggi ancora siamo invitati a scegliere quale maestro seguire: il Signore e Maestro capace di darci la Vita, o i “maestri”, gli idoli, di questo mondo?

Fr. Marco

sabato 13 marzo 2021

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito

«In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà … Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora.» (2Cr 36,14-16.19-23)

«Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.» (Ef 2,4-10)

« … Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3,14-21)

​Questa domenica, quarta di quaresima, è detta domenica “Laetare” per la prima parola dell’antifona d’ingresso: «Rallegrati Gerusalemme …». La Parola di Dio di oggi, inoltre, ci indica per che cosa rallegrarci: Dio ci ama!

Nella prima lettura, tratta dal libro delle Cronache, ascoltiamo, infatti, che Il Signore aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Dio, che è Amore (Cfr. 1Gv 4,8), ama il suo popolo in maniera “viscerale”, tanto da esserne “geloso”: dopo averlo ammonito senza successo, si allontana per un po’ dal popolo per fargli sperimentare quanto ha bisogno di Lui.

Nella seconda lettura tratta dalla Lettera agli Efesini, San Paolo, torna a parlarci dell’Amore di Dio come causa della nostra salvezza: siamo stati salvati per il grande amore con il quale ci ha amato. L’amore salvifico di Dio si manifesta pienamente in Cristo. È mediante la Passione, Morte e Resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, infatti, che siamo passati dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio.

Per grazia siete stati salvati. Non sono le nostre opere ad acquistarci la salvezza, ma è la salvezza, l’Amore di Dio “effuso nei nostri cuori” (Cfr. Rm 5,5), che ci permette di compiere le opere dei figli di Dio.

La proclamazione dell’amore di Dio per l’umanità raggiunge il suo culmine nel Vangelo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». Per la nostra salvezza Dio dà tutto se stesso, si compromette con noi, si consegna nelle nostre mani fino ad essere crocifisso, per mostrarci la misura del Suo Amore.

Il motivo per cui quest’oggi la liturgia ci invita a rallegrarci, quindi, è l’amore gratuito di Dio per noi, il fatto che siamo salvati per grazia, senza nostro merito.

Per grazia siete salvati. La salvezza che il Signore ci ha acquistato con la Sua Passione, Morte e Resurrezione è rivolta a tutti, tutti il Signore vuole salvare. Tale salvezza per grazia è un dono e come tale comporta la libera accettazione da parte dei destinatari. Per questo oggi Gesù preannunziando il suo Mistero Pasquale, lo paragona all’innalzamento del serpente nel deserto (Cfr. Nm 21,8s). Nel racconto del libro dei Numeri, i serpenti vengono mandati per rendere visibile il “veleno” della mormorazione che allontana il Popolo da Dio. Come Israele nel deserto è chiamato a guardare alla “conseguenza del suo peccato” per essere salvato dalla morte, così anche il popolo della Nuova Alleanza è chiamato volgere lo sguardo “a colui che hanno trafitto” per ottenere la liberazione dal peccato.

Il dono gratuito dell’Amore di Dio ci chiama quindi a responsabilità, ci chiede di accoglierlo e di corrispondervi. La prima cosa che siamo chiamati a fare è, infatti, accogliere questo amore, crederci! Il Vangelo di oggi afferma: «chiunque crede in lui» non va perduto, ma ha la vita eterna. Solo dopo averlo accolto, avere creduto all’amore che Dio ha per noi (Cfr. 1Gv 4,16), potremo corrispondervi. Nella Prima lettera di Giovanni possiamo trovare un’indicazione su “come” corrispondere all’amore di Dio: «Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11).

chiunque crede in lui. Guardare a Cristo, accogliere il Suo Amore, significa, quindi, in prima istanza, credere a questo amore, avere fiducia in Lui anche quando non “capiamo” e non percepiamo il Suo amore. Una fiducia che non può essere solo esteriore, “verbale” (non chi dice Signore, Signore …), ma che deve tradursi in gesti concreti, in una vita che, sull’esempio del Maestro, sa farsi dono.

Oggi Gesù ci ha assicurato che chiunque crede in lui non andrà perduto e avrà la Vita eterna. A questo punto, però, è il caso di domandarci: “Io credo in Lui?”. Non rispondiamo affrettatamente, ma guardiamo alla nostra vita, a ciò in cui confidiamo, a ciò di cui siamo convinti di non potere fare a meno … “Io credo in Lui?”

Fr. Marco

sabato 6 marzo 2021

Cristo potenza e sapienza di Dio


 «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile …» (Es 20,1-17)

«Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.» (1Cor 1,22-25)

«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,13-25)

​Nella terza domenica di quaresima il Vangelo ci presenta la purificazione del Tempio e il tema della vera sapienza e della vera potenza. La prima lettura tratta dall’Esodo, infatti, ci presenta la promulgazione del Decalogo e, con esso, la memoria di ciò che Dio ha operato per il Suo Popolo.

L’antico Popolo dell’Alleanza conosceva la potenza di Dio perché aveva assistito ai prodigi compiuti dal Signore per farlo uscire dall’Egitto: ha visto le piaghe d’Egitto e il passaggio al Mar Rosso; è stato nutrito e dissetato miracolosamente nel deserto; è stato testimone della Teofania al Sinai, quando il Signore si è manifestato con tuoni e fuoco dal cielo. Il Dio conosciuto da Israele è il “Signore degli eserciti”, un Dio vincitore e operatore di prodigi. Con il passare del tempo, tuttavia, Israele ha dimenticato il suo legame con il  “Dio operatore di prodigi” per guardare esclusivamente ai “prodigi operati da Dio”: il popolo chiede miracoli dimenticandosi la comunione con Dio.

Israele conosce anche la sapienza di Dio: ha ricevuto da Dio le “dieci Parole”, i dieci comandamenti, che manifestano e custodiscono l’Alleanza, il rapporto di reciproca appartenenza, fondata sulla fedeltà di Dio. Israele è quindi chiamato ad essere una luce per le genti pagane: il Popolo che ha accesso alla Sapienza di Dio. Purtroppo, però, dimenticando il rapporto d’alleanza che la Legge mediava, il Popolo eletto ha finito per concentrarsi sulla “lettera della Legge” pretendendo di ottenere “crediti” nei confronti di Dio con un’osservanza scrupolosa, ma formale.

«… non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». Il Maestro reagisce a questa perversione del culto. Israele ha “addomesticato” il suo Signore intraprendendo con Lui una sorta di mercato: osservanza formale scrupolosa in cambio di prodigi; «Io ti servo, tu mi ricompensi». L’amore e la comunione con Dio non trova più posto in questa logica mercantile. Gesù, per come oggi ci viene presentato nel Vangelo, appare quasi irriconoscibile: il più mite degli uomini si scaglia, con una “violenza” che ricorda quella del profeta Elia, contro la “mentalità mercantile” in cui il culto (i sacrifici) e le offerte sono intese come un “accumulare crediti” dinanzi a Dio; non si cerca Dio, ma il proprio interesse; non c’è più posto per la preghiera, il dialogo d’amore cercato da Dio.

«Quale segno ci mostri per fare queste cose?» Alla richiesta di un segno, Gesù anticipa il segno definitivo in cui si manifesteranno “la potenza e la sapienza di Dio”: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere … egli parlava del tempio del suo corpo». È nel mistero pasquale, mistero di morte e resurrezione, che Cristo manifesta la potenza e la sapienza di Dio.

Il popolo di Dio vuole un segno e quale segno è più eloquente dell’amore che Dio ha per noi? Quale più che la donazione compiuta da Cristo? Il Figlio di Dio dona tutto se stesso, la sua vita, fino a morire in croce, per la salvezza dell’umanità. Il vero segno della potenza di Dio, non è quindi l’aprirsi delle acque del Mar Rosso, ma l’aprirsi, attraverso il costato trafitto di Cristo, dell’amore di Dio per noi. La potenza dell’Amore che, nell’apparente debolezza, risulta vincitore.

Nella Croce di Cristo si manifesta pienamente anche la Sapienza di Dio, la Nuova Legge, che è lo spirito di quella antica e mai abrogata: accogliere l’Amore del Padre - non confidando più sulle proprie forze, come se queste ci ottenessero meriti e potessimo salvarci da soli - e corrispondere con la nostra vita di figli a questo Amore. La vera sapienza che Cristo manifesta è l’abbandono fiducioso all’amore del Padre. Permettere a Dio di manifestarci il suo amore, accoglierlo come il nostro salvatore. Solo così, ripieni dell’amore di Dio, riconoscendo di essergli debitori di tutto, potremo vivere da figli compiendo le opere del Padre.

Partecipando alla liturgia eucaristica, diventiamo contemporanei alla donazione d’amore di Cristo sulla croce. Di più: accostandoci all’Eucaristia, facciamo comunione con la Sua morte e resurrezione. Accogliamo in noi questa potenza e conformiamo la nostra vita a ciò che celebriamo, traducendo in gesti concreti e quotidiani di amore gratuito la nostra partecipazione alla passione di Cristo.

Accogliamo, quindi, la sapienza e la potenza di Dio che il mondo non può riconoscere perché rientrano in una logica che gli è estranea. Facciamo nostra questa logica evangelica. Sperimentiamo anche noi la sapienza di lasciarci amare gratuitamente da Dio; sperimentiamo, infine, la “potenza inerme” di un amore che si dona senza misura, che fa sempre il primo passo, che perdona sempre il fratello che ha sbagliato e che non smette di manifestargli amore. Non preoccupiamoci se il mondo si scandalizzerà di noi e ci riterrà stolti, stupidi: è questa “stoltezza” che è vera sapienza agli occhi di Dio.

Fr. Marco