lunedì 31 dicembre 2018

Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore


« … porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (Nm 6, 22-27)

«Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.» (Gal 4,4-7)

«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.» (Lc 2,16-21)

Il primo giorno dell’anno è stato dalla Chiesa consacrato alla solennità di Maria Santissima Madre di Dio: attraverso la sua santissima Madre, il Signore della Storia cui appartengono i giorni, i secoli e il tempo, fa splendere il Suo volto sui suoi consacrati. Ecco il motivo per cui la liturgia della Parola di questa solennità si apre con la benedizione del Signore. Per volere di Papa Paolo VI, inoltre, oggi si celebra la giornata mondiale della Pace.
Il Vangelo ci riporta ancora una volta, insieme ai pastori, davanti la mangiatoia in cui è adagiato Gesù, il principe della Pace, che viene nel fragile segno di un bambino. Anche noi, come i pastori, siamo invitati a lasciarci prendere dallo stupore. In una società come quella attuale dove sembra che niente possa più stupirci, dove assistiamo continuamente e con atteggiamento indifferente alle più alte vette del genere umano e alle più abbiette miserie della nostra umanità, siamo invitati a ricoprire il sentimento di stupore che prese i pastori dinanzi la gloria di Dio manifestata nel bambino Gesù. 
Come i pastori, riconosciamo l’opera del Signore nei fragili segni del tempo e lasciamo che continui a mostrarci le sue meraviglie! Perché questo possa avvenire, però, è importante apprendere l’atteggiamento di Maria che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore»:  meditava la povertà della stalla, la visita dei pastori mandati da un angelo, il canto delle schiere celesti degli angeli. Meditava soprattutto il mistero del suo figlio, Dio fatto uomo. Quel bambino piccolo, debole e bisognoso di tutto era il suo Dio ed era suo figlio! L'infinita tenerezza della maternità di Maria è un riflesso della paternità di Dio.
In questo giorno in cui inizia un nuovo anno civile, impariamo, inoltre, dalla nostra santissima Madre a mettere Gesù al centro della nostra vita. Maria, infatti, in quanto Madre di Dio, è costantemente rivolta al Figlio con lo sguardo, il pensiero, il cuore e tutta se stessa. Ha contemplato Gesù fin dalla sua nascita in costante atteggiamento di stupore e di adorazione. 
Quest’oggi, allora, con le parole di quella che forse è la più antica preghiera mariana (III sec.), siamo invitati a pregare il Signore perché ci conceda la pace per intercessione della Madre di Dio: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.
Alla protezione della Madre di Misericordia, come la invochiamo nel Salve Regina,  affidiamo tutte le vittime della violenza e dell'odio, specialmente i cristiani vessati, sradicati, perseguitati e uccisi.
Guidati dalla Parola e resi figli nel Figlio, lasciamoci raggiungere dalla benedizione divina e lasciamo che il Suo volto Misericordioso risplenda su di noi e attraverso di noi perché il mondo conosca quella Pace che il Signore è venuto a portare. Buon anno 2019!

Fr. Marco 

sabato 29 dicembre 2018

Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?


«Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, “perché – diceva – al Signore l’ho richiesto”». (1Sam 1,20-22.24-28)

«Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato […] Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui.» (1Gv 3,1-2.21-24)

«“Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”» (Lc 2,41-52)

Dopo averci presentato, nelle messe di Natale, Gesù come immagine dell’Amore Misericordioso di Dio che si fa Luce, la Parola di Dio della Solennità della Santa Famiglia, ci presenta come quest’Amore misericordioso si incarna nella quotidianità nel nucleo fondamentale della Chiesa che è la famiglia. Nel Vangelo, infatti, ci viene presentato uno scorcio di quotidianità della famiglia di Nazareth.
La prima cosa che emerge è che si tratta di una famiglia “esperta nel soffrire” (come la definisce l’inno delle Lodi mattutine), a cui non sono risparmiati i travagli e le angosce di ogni giorno. Nella pericope odierna del Vangelo di Luca, Maria e Giuseppe appaiono angosciati per lo smarrimento di Gesù. La liturgia del Natale ci presentava Gesù come principe di pace, la Pace che viene a portare Gesù, però, non è assenza di tribolazioni, ma la capacità di affrontarle in comunione con Lui e tra di noi. Una comunione animata dall’Amore che si accoglie da Dio e che ci permette di accoglierci reciprocamente come dono.
La liturgia della Parola di questa solennità, quest’anno evidenzia come tutto, perfino il dono fondamentale della vita, sia un dono da accogliere con gratitudine da Dio. È ciò che sottolinea la prima lettura presentandoci la gratitudine di Anna per il dono del figlio Samuele. I figli, infatti, sono un dono da impetrare e accogliere con gratitudine, non un diritto da pretendere; né tantomeno un “prodotto” da ordinare a pagamento!
Anche S. Giovanni, nella seconda lettura, manifestando lo stupore per il grande amore del Padre che ci ha resi suoi figli, ci orienta alla gratitudine per la liberalità di Dio. È nella categoria del dono, quindi, che siamo chiamati a leggere la nostra vita: un dono che abbiamo ricevuto e che a nostra volta offriamo ai fratelli. Per poterci comprendere come dono, però, è necessario che riconosciamo il Donatore, che diamo il giusto posto al Padre che ci ha amati fin dall’eternità ed ha progetti di salvezza per noi; infatti: noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.
È a questo riconoscimento che ci orienta il Vangelo in cui Gesù, dinanzi l’angoscia della Madre e di Giuseppe, sottolinea il primato del Padre: Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?
La Santa Famiglia di Nazareth, quindi, ci è presentata oggi come modello di ogni famiglia chiamata a mettere Dio al centro, ad accogliere il Suo amore, perché i membri della famiglia possano accogliersi l’un l’altro nella libertà senza possessi soffocanti o disinteresse deresponsabilizzante. Mettendo Dio al centro, “occupandosi delle cose del Padre”, ciascuno potrà scoprire pienamente se stesso e accogliere l’altro con l’amore autentico che fa crescere e libera.

Stava loro sottomesso. Obbedienti al Padre, sapremo allora essere “sottomessi” gli uni agli altri senza umilianti servilismi, ma in quell’autentico servizio d’amore che il Maestro è venuto a mostrarci come via regale per entrare nel Regno.
Impariamo dalla sacra famiglia a leggere la  nostra vita nella categoria del dono. Accogliamo il Dono dell’Amore misericordioso del Padre, mettiamo Lui al centro della nostra vita e della nostra famiglia. Scopriremo il progetto d’amore che Egli ha per ciascuno di noi, quel progetto realizzando il quale saremo davvero uomini e donne realizzati.
Fr. Marco.

martedì 25 dicembre 2018

La Luce splende nelle tenebre


«Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”». (Is 52,7-10)

«Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente» (Eb 1,1-6)
«Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.» (Gv 1,1-18)
Oggi è il Natale del Signore, non c’è spazio per la tristezza: viene nel mondo il Messaggero dell’amore misericordioso di Dio, irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza,la Luce vera che illumina ogni uomoDalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia!
Il nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio Unigenito del Padre, si è fatto uno di noi, si è consegnato piccolo e fragile nelle nostre mani. L’Onnipotente si è fatto bisognoso dell’amore di una madre, della custodia di un padre, del calore del fieno.

Il Creatore del mondo, Colui per mezzo del quale tutto e stato fatto e senza del quale nulla è stato fatto di ciò che esiste, si china sulla miseria degli uomini. L’Eterno entra nella storia. il Signore si fa obbediente e si assoggetta alle leggi umane.
Il Figlio eterno del Padre si fa figlio dell’uomo per renderci figli di Dio. Ci chiede solo di essere accolto, di credere in Lui, per compiere questo miracolo. Che significa però accoglierlo e credere? Significa riconoscerlo Signore delle nostra vita, lasciarci amare, riconoscerci bisognosi della Sua misericordia e lasciarlo operare in noi.
Questa notte, ascoltando il racconto della nascita di Gesù secondo il Vangelo di Luca, abbiamo contemplato la docilità della Sacra Famiglia alla volontà di Dio che si manifestava attraverso le leggi umane: un decreto di Cesare Augusto li mette in movimento, li fa partire dalla loro casa, dalla loro sicurezza, proprio all’approssimarsi del tempo in cui sarebbe nato il Bambino atteso. In tal modo, per Maria si compiono i giorni del parto proprio in quelle condizioni che, immagino, non avrebbe scelto: lontana dalle persone care, fuori casa perché non c’è posto pel loro, costretta a rifugiarsi in una stalla e ad usare una mangiatoia come culla per il Neonato.
È proprio attraverso quest’ “obbedienza agli eventi”, però, che si manifesta la Misericordia di Dio per l’umanità: Colui che è venuto per cercare le pecore perdute della casa d’Israele, nasce in una stalla adorato dai pastori; il Pane del Cielo che viene a saziare la fame dell’umanità, nasce a Betlemme, la “casa del pane”; colui che è il Messia atteso dalla discendenza davidica, nasce nella città di Davide.
Accogliamo docilmente la manifestazione della Misericordia di Dio, lasciamoci condurre da Colui che “sa scrivere dritto nelle righe storte degli uomini”. Crediamo davvero nel suo amore misericordioso e fidiamoci di Lui. Anche noi allora vedremo le meraviglie di Dio e saremo riempiti della Grazia. Auguri.
Fr. Marco.

sabato 22 dicembre 2018

Il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo

«E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1-4)

«“Ecco, io vengo per fare la tua volontà”. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo.» (Eb 10,5-10)

«Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa,  … “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”.» (Lc 1,39-45)

Il Vangelo della quarta domenica di avvento, nell’imminenza del Natale, ci fa contemplare la visitazione di Maria a s. Elisabetta. Il Signore, che sceglie la via della piccolezza per manifestarsi, viene a visitare il suo popolo e a portare la Gioia piena che il mondo non conosce.
Mi colpisce la dinamica del Vangelo: Maria, piena di Spirito santo, portando in grembo il Verbo eterno del Padre, si mette in movimento: «si alzò e andò in fretta». Mi viene facile immaginare la gioia incontenibile che la spinge da colei di cui ha saputo che ha una gioia simile alla sua per condividere la gioia e mettersi al servizio.
L’evangelista Luca, nel descrivere la scena dell’incontro, ha in mente il racconto dell’arrivo dell’Arca dell’Alleanza nella casa di Obed Edom (1Cr 15,25): come Davide danzò di gioia dinanzi l’Arca dell’alleanza, così Giovanni Battista, nel grembo della madre, danza di gioia all’arrivo di Maria, la vera e definitiva Arca dell’Alleanza. Quella antica conteneva una testimonianza della manna del deserto, Maria porta in sé il vero Pane del Cielo; quella conteneva le tavole della Legge, Maria porta in sé il Legislatore divino.
La scena della visitazione, raccontando la gioia dell’incontro tra le due madri e tra i bimbi che portano in grembo, ci mostra, quindi, la gioia che scaturisce dall’accoglienza e dalla condivisione. Maria è piena di gioia perché ha accolto la volontà del Padre e ha generato nel suo grembo, per opera dello Spirito Santo, il Figlio Unigenito. Questa gioia, però, chiede di essere condivisa, la spinge verso la parente nel bisogno presso cui rimane il tempo necessario. Elisabetta, e Giovanni nel suo grembo, sono pieni di gioia per avere accolto Maria. 
Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! Credo che non sia superfluo, infine, evidenziare che la gioia di Elisabetta nasce anche dal sapere scorgere senza invidia l’opera che il Signore sta compiendo in Maria. Quanta tristezza scaturisce, invece, in noi quando con occhi impuri guardiamo con invidia l’opera che Dio compie nei nostri fratelli e attraverso di loro!
Contemplando la scena della visitazione, prepariamoci anche noi ad Accogliere Colui che viene a fare la Volontà del Padre donando tutto se stesso. Sperimentiamo anche noi la gioia accogliendoci reciprocamente, mettendoci gli uni al servizio degli altri. Se sarà vera accoglienza (e non strumentalizzazione dell’altro), se sarà vero servizio (e non ricerca di guadagno), se saremo mossi da vero amore (e non da desiderio di visibilità e approvazione), allora sperimenteremo la Gioia perché nell’altro accoglieremo Gesù. Il Signore ce lo conceda.
Fr. Marco

sabato 15 dicembre 2018

Che cosa dobbiamo fare?


«Rallègrati, figlia di Sion, grida di gioia, … non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,14-18)

«Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-7)
«In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”. … «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. … “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. … “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; …”» (Lc 3,10-18)
La terza domenica di Avvento (domenica gaudete dalla prima parola dell’antifona d’ingresso) è pervasa dalla letizia. È vicino il Signore che viene a salvarci e a rinnovarci con il Suo Amore, che viene a incontrare la sua creazione su cui non cessa di riversare il Suo Amore salvifico e misericordioso. La Speranza si colora di gioia: il popolo che vede revocata la sua condanna e sperimenta l’amore e la vicinanza di Dio. Anche S. Paolo nella seconda lettura ci invita a stare sempre lieti nel Signore perché la nostra gioia diventi testimonianza della salvezza ricevuta.
Per essere raggiunti da questa gioia, però, anche noi, troppo spesso in preda alla tristezza e disperazione, siamo chiamati a fare delle scelte, come i contemporanei del Battista siamo invitati a chiedere: «Che cosa dobbiamo fare?».
Nel Vangelo di Luca la pericope odierna è preceduta dall’invito di Giovanni Battista a “fare frutti degni della conversione”. Rispondendo alla domanda della folla, il Battista, inserendosi nell’insegnamento dei profeti poi ripreso da Gesù, specificherà quali sono questi frutti di conversione: l’amore operoso e misericordioso del prossimo come autenticazione dell’amore per Dio.
Guardando alle risposte che il Battista dà alle richieste della folla, va notato che Giovanni non chiede ai suoi interlocutori di “uscire dal mondo”, di lasciare il loro stato di vita: c’è speranza di salvezza per ogni uomo in ogni stato di vita. La prima indicazione del Battista è quella della condivisione, del prendersi cura del fratello nel bisogno. Anche qui, Giovanni non chiede alle folle di spogliarsi per donare tutto ai poveri (non tutti sono chiamati a questo), ma chiede di condividere ciò che si ha, di non restare indifferenti al bisogno dei fratelli.
La seconda risposta del Battista, rivolta ai pubblicani, invita a rinunciare all’avidità e al disonesto guadagno. Anche per loro, considerati peccatori pubblici, c’è speranza di salvezza se smetteranno di attaccare il cuore e le loro speranze al denaro da procurarsi ad ogni costo, anche con sotterfugi e disonestà. Anche a noi oggi Giovanni chiede di vivere onestamente, di non cercare più di quanto è lecito, di rinunciare al guadagno disonesto, di non vivere la nostra vita andando avanti a forza di inganni e raccomandazioni; di accontentarci di ciò che ci spetta (invito ripreso poi anche nella risposta ai soldati).
Ai soldati il Battista chiede di rinunciare alla violenza gratuita e alla volontà di sopraffazione. Anche per noi oggi è valido l’invito alla “non violenza”: quanta violenza nei nostri rapporti interpersonali! Quante volte abbiamo cercato di sopraffare l’altro con la violenza delle nostre parole e dei nostri atteggiamenti se non addirittura con la violenza fisica! Quest’oggi Giovanni invita anche noi: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno».
«Viene colui che è più forte di me, a cui  non sono degno di sciogliere i lacci dei sandali» Un'ulteriore indicazione su cosa fare la desumo dal comportamento del Battista dinanzi le attese messianiche dei suoi contemporanei: l'umiltà di riconoscere il proprio giusto posto, il non appropriarsi della gloria che non ci appartiene.
È san Paolo, infine, che ci suggerisce un ultimo “frutto” di conversione: la letizia. Convertirsi significa entrare nella logica del Vangelo, della “buona notizia” che il Signore ci ha salvato, che il Signore è vicino. Un vangelo che siamo chiamati a testimoniare prima di tutto con la nostra vita lieta e bella. Siamo ormai prossimi alla festa del Natale, esercitiamoci in questo ultimo tratto dell’Avvento a mostrarci sempre amabili e lieti. Ritengo che sia una “penitenza” non facile e gradita al Signore e che ci renderà testimoni credibili: il Signore è vicino.
Fr. Marco.


venerdì 7 dicembre 2018

La parola di Dio venne su Giovanni nel deserto


«Sorgi, o Gerusalemme … Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio.» (Bar 5,1-9)

« … prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.» (Fil 1,4-6.8-11)

«… la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. … “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! …”» (Lc 3,1-6)
La Parola di Dio della prima domenica di avvento ci invitava all’attesa e alla vigilanza, a stare attenti a noi stessi. Nella seconda domenica la liturgia della Parola dà un contenuto a questa vigilanza: siamo chiamati alla conversione, a preparare la via al Signore che viene. Conversione, lo sappiamo bene, significa fare una “inversione a U”, ritornare sui propri passi abbandonando la strada sbagliata che si sta percorrendo. È quello che siamo chiamati a fare quest’oggi: lasciare le vie di peccato che ci portano in esilio, lontano dalla Vita, per ritornare al Signore.
Oggi, tuttavia, la liturgia ci invita anche di raddrizzare i sentieri, riempire i burroni e abbassare i monti. Anche questo è il contenuto della conversione: preparare la nostra vita ad accogliere la venuta del Signore. Guardando onestamente alla nostra vita lasciandoci illuminare dal Signore, scopriamo quanto bisogno ci sia di queste “grandi opere di ripristino”; scopriamo anche, però, di non essere capaci di compierle.
Ecco intervenire il messaggio di speranza che questa domenica il Signore ci presenta: «Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra» (I lettura). È Dio stesso che compirà quest’opera a condizione che noi glielo permettiamo. Lo strumento con cui il Padre vuole operare nella nostra vita è la sua Parola. Perché questa parola possa essere accolta, però, e produca frutto nella nostra vita, siamo chiamati ad assumere l’atteggiamento di Giovani il Battista: la disponibilità.
Non a caso nella pericope odierna, l’evangelista Luca inizia presentando i potenti del tempo: colloca nella storia concreta dell’umanità l’evento della venuta della Parola su Giovanni. Da notare, tuttavia, è anche il fatto che non sui potenti “viene la Parola”, ma su un uomo semplice e nel deserto. Condizione indispensabile, infatti, perché la Parola venga accolta e produca frutto, è farle spazio rinunciando ad ogni pretesa di autosufficienza e riconoscendo la nostra piccolezza e il nostro bisogno di Dio (cosa che difficilmente i potenti riescono a fare). È necessario, però, anche entrare nel “deserto”, fare tacere i rumori del mondo per potere ascoltare la Voce del Silenzio che manifesta la Parola.
Solo in seguito, come Giovanni, siamo chiamati alla funzione profetica: rimanendo nel silenzio dell’ascolto (nel deserto) siamo chiamati a farci voce di questa parola nell’invitare il mondo ad accogliere Colui che solo può donargli la pace e la gioia di cui è assetato.
Fr. Marco

sabato 1 dicembre 2018

State attenti a voi stessi!


«Ecco, verranno giorni – oràcolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.» (Ger 33,14-16)

«Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti … come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio …» (1Ts 3,12-4,2)

«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli … Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. … Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». (Lc 21,25-28.34-36)

La Parola di Dio della prima domenica di Avvento ci presenta la duplice attesa che caratterizza questo tempo della Chiesa: nella prima lettura, infatti, Geremia, rivolgendosi ad un popolo che va verso la deportazione e non vede speranza di salvezza, profetizza la nascita di un germoglio di Davide che avrebbe regnato con giustizia su tutta la terra. Nel Vangelo, invece, Gesù parla delle “cose ultime” che devono accadere, cose che sconvolgeranno e getteranno nel terrore coloro che hanno lasciato che il loro cuore si appesantisca in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, ma che per i discepoli di Cristo sono il segno della liberazione definitiva, dell’avvento finale del Regno.
Ciò che caratterizza la Parola di oggi è quindi la Speranza fiduciosa che, proprio quando sembrerà che tutto sia perduto, allora vedremo il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria per ristabilire la giustizia e ricapitolare tutto in Dio. Colui che nella pienezza del tempo è venuto come Salvatore, tornerà a ricapitolare tutta la Storia e ad instaurare il Regno Eterno.
State attenti a voi stessi … Oggi nel Vangelo il Maestro ci esorta prepararci adeguatamente alla venuta gloriosa non lasciando che le “cose del mondo” appesantiscano i nostri cuori e ci facciano smettere di attendere e sperare. È questo il pericolo da cui oggi ci mette in guardia Gesù: che ci lasciamo “ubriacare” dal mondo e smettiamo di attendere, accontentandoci di una vita piatta e senza speranza. Per scongiurare questo pericolo, il Vangelo di oggi ci invita a “vegliare pregando” cioè a stare vigili, attenti, ben desti rivolgendo sempre il nostro sguardo al Signore che è già venuto nella “pienezza del tempo”, che verrà alla “fine dei tempi” e che è già presente (nei Sacramenti, amministrati dalla Chiesa, e nei fratelli, soprattutto i più “piccoli”).
State attenti a voi stessi … credo sia importante la sottolineatura “a voi stessi”. Troppo spesso, infatti, siamo attenti agli altri: sempre pronti a correggere i loro difetti, ben consapevoli di ciò che loro devono modificare, ma poco attenti a ciò che invece dobbiamo cambiare noi. Un’attenzione che spesso ci rende giudici gli uni degli altri e non fratelli. Oggi il maestro ci esorta a fare attenzione “a noi stessi” prima che agli altri, a vigilare sui “nostri cuori”, sull’intenzione che ci anima nelle azioni che facciamo.
È ancora in quest’ottica, per “rendere saldi i cuori”, che la seconda lettura di oggi ci presenta due atteggiamenti concreti da assumere per restare vigilanti: l’Amore all’interno della Chiesa (“tra voi”) e per i lontani (“verso tutti”), attraverso il quale possiamo realmente essere riconosciuti come discepoli di Cristo; e l’attenzione a comportarci in modo da piacere a Dio conformandoci non al mondo, ma al nostro Signore Gesù Cristo.
Fr. Marco


sabato 24 novembre 2018

Gli furono dati potere, gloria e regno


«Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.» (Dn 7,13-14)

«Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.» (Ap 1,5-8)

«Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?» … «Il mio regno non è di questo mondo …» (Gv 18, 33-37)

​Nella solennità di Cristo Re dell’Universo che conclude l’anno liturgico, nel Vangelo non ci viene presentata una teofania gloriosa, ma uno stralcio dell’ingiusto processo di Gesù dinanzi a Pilato.
Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me? Alla domanda di Pilato sulla sua regalità, Gesù risponde tentando di fargli prendere posizione. Anche noi siamo invitati quest’oggi a prendere posizione: Diciamo che Gesù è il nostro re, il nostro Signore “per sentito dire”, ripetendo qualcosa che ci hanno insegnato, o perché realmente abbiamo scelto di vivere sotto la sua Signoria? Siamo di quelli che dicono “Signore, Signore …”, o di quelli che mettono in pratica la Parola? Sappiamo bene che Gesù ci ha avvertiti: non chiunque dice Signore, Signore, … ma chi fa la volontà del Padre mio entrerà nel Regno.
Il mio regno non è di questo mondo. Gesù afferma chiaramente che il suo regno non è di questo mondo: non possiamo dirci discepoli di Cristo e vivere secondo il mondo. Non si possono servire due padroni. 
Quest’oggi nel Vangelo sono a confronto la regalità del mondo e la regalità di Gesù: Pilato, la “regalità” del mondo, affermerà qualche versetto più sotto di avere il potere di salvare o condannare, ma in realtà, lo sappiamo bene, è schiavo: del suo “potere”, che non vuole perdere; della folla alla quale deve dare soddisfazione; del sinedrio che lo costringe a condannare a morte un uomo in cui, come dice lui stesso, non trova alcuna colpa.
Gesù, invece, è re secondo la verità: è libero e liberamente si dona per amore. Come lui stesso aveva affermato qualche pagina prima, “nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18). Ecco la vera regalità che è libertà e capacità di amare senza condizionamenti e fino alle estreme conseguenze. La Croce, che da sempre ha fatto scandalo al mondo, è il trono da cui Gesù regna sul mondo; il trono in cui si manifesta pienamente l’amore di Dio per noi; il trono su cui Gesù vittorioso ha sconfitto tutto ciò che ci rendeva schiavi, per renderci un regno di “sacerdoti” liberi e capaci di offrire la nostra vita per amore. Liberi di spendere la vita donandole un senso che il mondo non conosce. Gesù è chiaro: il suo Regno non è di questo mondo. Lui è il Re, il sovrano dei re della terra, il Re dei re, come titolava un film di qualche decennio fa, ma la sua regalità si manifesta in un modo assolutamente sconosciuto al mondo: donando la vita per amore!
Se oggi celebriamo questa solennità è perché possiamo prendere posizione. È la nostra vita ad essere in gioco: possiamo metterla sotto la signoria del mondo cercando il potere, il possedere e il piacere; mettendo sempre il nostro io al centro della nostra vita. Al momento della verità, però, scopriremo di essere schiavi come Pilato, dipendenti dall’approvazione degli altri. Scopriremo che una vita così vissuta è vuota, insignificante …
Al contrario possiamo vivere la nostra vita sotto la signoria di Cristo, imparando da Lui a vivere pienamente donando la vita per amore, mettendo il “Tu” di Dio e del fratello al centro della nostra vita: sperimenteremo una gioia e una pienezza di senso della vita che il mondo non conosce e non comprende!
fr. Marco


sabato 17 novembre 2018

Non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga


«In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. … Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.» (Dn 12,1-3)

«Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi.» (Eb 10,11-14.18)

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.» (Mc 13,24-32)

Con la trentatreesima domenica si conclude il Tempo Ordinario (domenica prossima, con la solennità di Cristo Re, si concluderà l’anno liturgico), per questo motivo oggi la Parola ci presenta “le cose ultime” e la Speranza finale.
Là dove una certa “letteratura” e filmografia vedono soltanto catastrofe (la “fine del mondo”), infatti, il cristiano è chiamato a scorgere l’inizio della Vita Piena ed Eterna: la venuta finale del nostro Signore Gesù Cristo e la ricapitolazione della storia che confluisce nell’eternità. Un’eternità di gioia per coloro che hanno saputo attenderla e hanno vissuto tenendo costantemente lo sguardo su questo orizzonte; un’eternità di rovina (la “morte secunda” la chiamerebbe S. Francesco) per coloro che si sono lasciati rinchiudere negli stretti orizzonti del “mondo” ed hanno vissuto secondo la logica egoistica che il mondo insegna.
In quel tempo …”; “In quei giorni …”. Il tempo e i giorni cui si riferiscono la prima lettura e il Vangelo, sono quelli in cui l’iniquità ha raggiunto il suo culmine; umanamente parlando, non si scorge più speranza: la misura è colma, le “tenebre” sembrano averla vinta. Proprio al culmine dell’iniquità, però, quando sembrerebbe che tutto sia perduto, il cristiano sa che si manifesterà la Vittoria di Cristo: le “tenebre”, infatti, sono già sconfitte; il Signore Gesù Cristo ha già vinto il peccato, la morte e il mondo (II lettura). Ora si attende solo la manifestazione finale di questa vittoria.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. È forte la tentazione di riconoscere nei nostri giorni “quei giorni”, il culmine dell’iniquità: gli orrori che quotidianamente ci sono riportati dai telegiornali possono orientare in tal senso il nostro pensiero. Senza cadere in facili millenarismi, oggi Gesù nel Vangelo, con la parabola del fico, ci invita a sapere scorgere i “segni dei tempi”, a fare attenzione a non farci trovare impreparati all’arrivo dell’“estate”. La fine del nostro tempo in questo mondo, infatti, di cui nessuno conosce l’ora eccetto il Padre, coinciderà per noi con la fine del mondo. È oggi, quindi, in questo tempo, che siamo chiamati a scegliere con chi schierarci: se unirci al corteo trionfale di Cristo riconoscendo la sua Signoria e, quindi, obbedendo alla Sua volontà ; o schierarci con ciò che si oppone a Lui e procurarci, quando la vittoria di Cristo sarà manifesta, la rovina eterna. Con il Mistero Pasquale di Cristo sono iniziati gli “ultimi tempi” in cui celebriamo sempre “in attesa della Sua venuta” (vedi il Mistero della Fede). Gli eventi della vita, allora, diventano occasioni perché possiamo riconoscere l’imminenza della Sua venuta. Per questo è importante mantenere un clima di costante vigilanza; non a caso il Signore si rifiuta di rivelare il “quando”: per noi non è importante sapere il “quando”, ma è fondamentale mantenere desta la nostra attesa e il nostro desiderio perché, al momento dell’Incontro Finale, la nostra gioia sia piena.
Fr. Marco

sabato 10 novembre 2018

Il Signore non chiede tanto, chiede tutto!


«Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.» (1Re 17,10-16)

«… Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso.» (Eb 9,24-28)

«In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». (Mc 12,38-44)

Domenica scorsa Gesù, rispondendo allo scriba che lo interrogava, ci ha indicato il primo e fondamentale comandamento: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza […] Amerai il tuo prossimo come te stesso». Questa domenica, trentaduesima del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci presenta un modello di applicazione del duplice comandamento dell’amore.
Nella prima lettura, infatti, ascoltiamo di una vedova poverissima che, in tempo di carestia, non rifiuta per amore di Dio di condividere con il Profeta il poco che ha. Si fida della parola di Dio annunciata da Elia: il Signore provvederà. Ecco che l’amore e la fiducia in Dio diventano concretamente amore del prossimo e capacità di condividere con lui il poco che si possiede.
Nel Vangelo è ancora una vedova che viene presentata dal Maestro come modello di comportamento. Una vedova capace di amare Dio con tutto se stessa: non tiene per sé il poco che possiede, ma dona tutto quanto aveva per vivere. Non importa se ciò che possiamo dare sia tanto o poco: il Signore non chiede tanto, chiede tutto! Ciò che conta è che doniamo con tutto il cuore, che doniamo con un amore pieno per Lui, che gli consegniamo tutta la nostra vita.
Quanto spesso, invece, noi ci comportiamo come i ricchi che donano parte del loro superfluo. Tratteniamo per noi, vogliamo “salvarci la vita” e ci guardiamo bene dal consegnarla al Signore. Per Dio abbiamo solo i ritagli di tempo, misuriamo il dono della nostra vita: « … fin qui, ma non oltre». Lui, Amore illimitato, accoglie ciò che noi vogliamo dargli, ma finché non gli consegneremo tutto, non potrà fare della nostra vita il capolavoro che vorrebbe.
«Guardatevi dagli scribi […] Essi riceveranno una condanna più severa». Oltre l’esempio positivo dell’amore totale della vedova e l’esempio negativo dell’amore parziale dei ricchi, quest’oggi il Vangelo, nella sua versione estesa, si apre con l’ammonizione di Gesù a guardarsi dall’ipocrisia di quanti, sotto un’apparenza religiosa, non amano per niente Dio, ma solo il proprio Io e usano per la propria gloria persino le cose sante. L’amore per Dio e l’amore per l’Io, infatti, si escludono a vicenda e se l’Io non viene messo al servizio di Dio, si finisce per mettere Dio al servizio dell’Io. Di loro dice Gesù che riceveranno una condanna più severa.
Sull’esempio della vedova del Vangelo, guardiamo, allora, Gesù che, sacrificando se stesso per redimerci dal peccato, tutto si è donato a noi e niente ha tenuto per sé e impariamo anche noi a donare a Dio “tutto quanto abbiamo per vivere”. Vedremo come il Signore sarà capace di moltiplicare il poco che noi gli consegniamo facendo delle nostre vite quel capolavoro per le quali le ha create. Il Signore ce lo conceda.
Fr. Marco

sabato 3 novembre 2018

Il Signore nostro Dio è l’unico Signore

«Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. … Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.» (Dt 6,2-6)

«Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.» (Eb 7,23-28)

«Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». (Mc 12,28-34)

In questa trentunesima domenica del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci presenta il fondamento di tutta la legge e i profeti: la relazione con Dio. Ascolta … Amerai …
Il primo e fondamentale comandamento, infatti, è vivere la relazione d’amore con l’unico Signore, l’unico vivo e vero, l’unico capace di salvarci, di donarci la Vita. Mi ha colpito, meditando questa Parola, la sottolineatura dell’unicità di Dio. Lui è l’unico Signore.
Quante volte mettiamo la nostra vita sotto altre “signorie”: il lavoro, il benessere, la casa … Non di rado, per queste realtà elevate ad idoli sacrifichiamo noi stessi e ciò che di più prezioso abbiamo (tempo, affetti …). Da questi idoli cerchiamo una Vita che però non possono darci. Più spesso ancora è il nostro Io a volersi ergere a signore: abbiamo la pretesa di essere signori della nostra vita, di decidere da soli ciò che è bene e ciò che è male. A volte vogliamo che anche i fratelli si pieghino alla nostra signoria: vogliamo comandare, sottomettere gli altri a noi. Nessuno, tuttavia, può darsi da solo la Vita che cerca («… chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?» Mt 6,27).
Solo il Signore nostro Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, può darci la Vita. Ecco allora l’esigenza di vivere sotto la sua Signoria, di ascoltare e mettere in pratica i suoi comandamenti. Non da schiavi, però, ma da figli che si sanno amati dal Padre e che corrispondono a questo amore. Un amore “assoluto”, pieno, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza, che non lascia spazio ad altri idoli, che detronizza il nostro Io.
Come è possibile però corrispondere all’immenso e gratuito amore di Dio? Un Amore che ci ha pensati e voluti dall’eternità, che ci ha chiamati all’esistenza, che ci ha salvati donando tutto se stesso sulla croce, che ogni giorno si consegna nelle nostre mani nell’Eucarestia … Nessuno può dare a Dio il corrispettivo per i suoi immensi doni. Ecco perché Gesù oggi aggiunge una seconda parte al comandamento dell’amore: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Solo amando i fratelli che il Signore mi mette accanto, amandoli come “un altro me stesso”, è possibile amare il Dio vivo e vero. Amando i fratelli che mi stanno accanto, infatti, amo il Padre che li ha pensati e creati per amore; amo il Figlio che li ha salvati dando se stesso per ciascuno di essi e ha voluto identificarsi con i più piccoli e fragili (« … l’avete fatto a me» Cfr. Mt 25,40); amo lo Spirito Santo che tutti ci pervade e ci rende un solo corpo (così preghiamo durante la liturgia eucaristica).
Se faremo così, attingeremo alla Sorgente della Vita, avremo una Vita che il  mondo non conosce e non può darci: vivremo la Vita dei risorti e non avremo più alcun timore. Il Signore ce lo conceda.
Fr. Marco

mercoledì 31 ottobre 2018

Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre!


«Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”». (Ap 7,2-4.9-14)

​«Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.» (1Gv 3,1-3)

«Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». (Mt 5,1-12)

Ogni anno l’1 novembre la Chiesa celebra tutti i santi, anche quelli anonimi e non canonizzati, e ci ricorda che tutti siamo chiamati alla santità.
Forse a volte pensiamo che essere santi significhi fare miracoli o avere il dono della bilocazione ecc.; queste, però, sono solo manifestazioni esterne che il Signore può concedere per il bene della Chiesa e che in se stesse non sono garanzia di santità. Essere santo significa principalmente e fondamentalmente vivere il proprio Battesimo cioè vivere la Fede, la Speranza e la Carità.
Vivere la Fede non significa credere che Dio esiste: questo lo credono anche i filosofi. Avere la Fede, dono dello Spirito, significa credere che Dio è il Padre che ci ama dall’eternità; che Gesù Cristo, Figlio eterno del Padre, si è fatto uomo ed è morto in croce per la nostra salvezza; che lo Spirito Santo, uno con il Padre e il Figlio, è stato effuso nei nostri cuori e ci guida alla Vita eterna. Avere fede significa fidarsi del Signore e riconoscere la Sua Signoria nella nostra vita.
La Speranza cristiana ha poco a che fare con la “speranza incerta” di chi “spera” di vincere il super enalotto. Come direbbe S. Francesco, la speranza cristiana è “Speranza Certa”: è la consapevolezza, fondata sulla fede che il Padre ci ha salvati e ci ha destinati alla Vita eterna. Come dice S. Giovanni nella seconda lettura di oggi: «noi fin d’ora sappiamo di essere Figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato …» La Carità, infine, ha poco a che fare con il superfluo che ogni tanto diamo in elemosina: è l’amore stesso di Dio che arde nei nostri cuori e che ci spinge ad Amare Dio e i fratelli più di noi stessi. È la capacità di amare gratuitamente, di donare amore anche quando non siamo contraccambiati.

Le Beatitudini che oggi il Vangelo ci presenta come progetto di vita per ogni cristiano, possono essere vissute solo accogliendo in noi la Fede, la Speranza e la Carità di Cristo (l’unico che vive pienamente le beatitudini). Potremo essere realmente “poveri in spirito”, quindi, perché sapremo che la nostra vita non dipende da ciò che possediamo, ma è nelle mani di un Padre che si prende cura di noi. Potremo essere misericordiosi perché avremo fatto esperienza della misericordia del Padre che nel suo Figlio ci ha liberati dai peccati … ecc.
Come si fa ad avere la Fede, la Speranza e la Carità? Bisogna forse impegnarsi? No! Non è questione di sforzo personale autocentrato. Ma di attenzione alla corrispondenza all’opera dello Spirito Santo in noi. Come ci insegna Papa Francesco, per essere santi è importante la docilità, lasciare operare Dio nella nostra vita, abbandonarsi a Lui. È Lui che ci ha conformati a sé e che ci ha donato Fede, Speranza e Carità come dono gratuito di Dio che ci è stato consegnato al momento del Battesimo: ogni battezzato, conformato a Cristo, ha in sé il seme della Fede che produce i frutti della Speranza e della Carità.
Questo dono però ci chiama alla responsabilità: se ci regalano una pianta che fa fiori meravigliosi, ma noi non la concimiamo, non la innaffiamo, non togliamo le erbacce e magari la teniamo al buio in un angolo nascosto della nostra casa, è forse colpa della pianta se non potrà fare fiori?
Così è della nostra Fede: il Padre ce la dona con il Suo Spirito al momento del Battesimo, sta a noi però coltivarla, nutrirla, purificarla. Il Padre ce ne dà pure l’occasione con i Sacramenti. Nutriamo allora la nostra Fede, procuriamo di farla crescere e senza nostro “sforzo” vedremo nascere nella nostra vita i frutti della Speranza e della Carità. Diventeremo così realmente ciò che siamo chiamati ad essere: santi che con la loro vita saranno capaci di testimoniare al mondo la Bellezza di Dio perché il mondo possa trasformarsi ogni giorno di più nel Regno di Dio. Il Signore ce lo conceda anche per l’intercessione dei suoi santi che contemplano già la Sua Gloria.

Auguri di santità. Fr. Marco​

sabato 27 ottobre 2018

Coraggio! Àlzati, ti chiama!

«“Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il  cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla.» (Ger 31,7-9)

«Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: “Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek”». (Eb 5,1-6)

«Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.» (Mc 10,46-52)

Questa domenica, trentesima del tempo ordinario, la liturgia della Parola si apre con un messaggio di speranza: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Oggi infatti Gesù ci viene presentato ancora una volta come il salvatore, colui che viene a cercare e salvare il cieco e lo zoppo, quanti sono ridotti a mendicare la vita. Il Salvatore viene a radunare tutta l’umanità per farla entrare nella pienezza della Vita.
Nel Vangelo, Gesù sta recandosi a Gerusalemme, la città santa simbolo della comunione con Dio, e attraversa Gerico, la città della resistenza a Dio (Cf. Gs 6,1-21), consegnata da Dio a Giosuè. Penso che si possa interpretare Gerico come la città dell’autoaffermazione contro Dio. Non è un caso se nella parabola “del buon samaritano” il tale incappato nei briganti sta scendendo da Gerusalemme a Gerico (Lc 10,25-37). Mentre Gesù sta uscendo dalla città, Bartimeo, cieco e ridotto a mendicare lungo la strada, lo riconosce e comincia a chiamarlo con il titolo messianico di Figlio di Davide.
Bartimeo è simbolo dell’umanità che, volendo affermare se stessa resistendo a Dio, si trova cieca, lontana dalla Luce della Vita, e mendicante. Tuttavia, nella sua cecità, quest’uomo riconosce in Gesù l’unico che può salvarlo, che può strapparlo dalla sua miseria e restituirgli la Luce che aveva perduto (« … che io veda di nuovo!»).
«Coraggio! Àlzati, ti chiama!» Se Bartimeo può riconoscere Gesù, però è perché per primo Gesù è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, come dirà Luca nel racconto di Zaccheo (Lc 19,1-10). All’uomo nella miseria Gesù chiede di farsi coraggio e, lasciando le proprie misere sicurezze (la coperta), rispondere alla chiamata per lasciarsi risollevare dalla propria condizione e vivere la vita dei risorti (alzarsi è il verbo della resurrezione)
«Che cosa vuoi che io faccia per te?» Ancora una volta Gesù si mostra come colui che non è venuto per farsi servire ma per servire con quel servizio regale che è proprio di Dio perché proprio dell’Amore. Con questa domanda, però, Gesù vuole anche che Bartimeo completi la sua “confessione di fede”: solo Dio, infatti, avrebbe potuto restituirgli la vista. Chiedere a Gesù di farlo tornare a vedere, equivale quindi a riconoscerlo Dio e manifestare fiducia in lui.
A questo punto, guarito, Bartimeo che ha incontrato la Luce vera che viene nel mondo (cf. Gv 1,9), non può che mettersi gioiosamente alla sequela.
Anche noi siamo invitati quest’oggi a fare lo stesso percorso: riconoscendoci bisognosi della misericordia del Padre, siamo chiamati a lasciare le nostre misere sicurezze a cui tanto facilmente attacchiamo il cuore, e fidandoci di Gesù, metterci alla Sua sequela e vivere la Vita dei Risorti. Il Signore ce lo conceda.
Fr. Marco

sabato 20 ottobre 2018

«Che cosa volete che io faccia per voi?»

«Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,vedrà una discendenza, vivrà a lungo,si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.» (Is 53,10-11)

« … non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.» (Eb 4,14-16)

«Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,35-45)
La liturgia della Parola della XXIX domenica del Tempo Ordinario, ci rivela qualcosa del nostro Maestro, ci fa crescere nella conoscenza di Cristo, perché noi possiamo conformarci a Lui.
La prima lettura, tratta da libro del Profeta Isaia, ci fa ascoltare un passaggio fondamentale del Carme del Servo Sofferente: un uomo che accoglie in sé la volontà divina e si fa solidale con i peccatori assumendo su di sé la conseguenza del loro peccato. In conseguenza di ciò ottiene la salvezza per sé e per coloro che per i quali intercedeva (per le sue piaghe siamo stati guariti). È facile per noi vedere in quest’uomo una profezia di Cristo: è Lui il Servo che fa della Sua vita un offerta, che accoglie su di sé tutto il male del mondo inchiodandolo ad una croce perché a noi possa venire la Vita.

« … vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo» Nel Vangelo, Gesù si sta dirigendo a Gerusalemme e istruisce i discepoli su quello che dovrà subire. In questo contesto si colloca la “vanagloriosa” richiesta di Giacomo e Giovanni: incapaci di comprendere ciò che Gesù sta annunciando, chiedono con forza al Maestro un posto di gloria. Davanti a tale richiesta, contrariamente agli altri dieci (forse altrettanto “vanagloriosi”), Gesù non si scandalizza, ma insegna ancora una volta prima con l’esempio e poi con la parola, che il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire …: «Che cosa volete che io faccia per voi?». La risposta del Maestro è quella di chi, pienamente libero, si mette al servizio in maniera regale.
Il Maestro non resta scandalizzato dal desiderio di grandezza che emerge dal cuore dell’uomo, ma lo orienta correttamente: veramente grande non è chi siede per farsi servire, chi domina i fratelli soggiogandoli, chi viene apertamente ricoperto di onori; veramente grande è, invece, colui che si pone al servizio dei suoi fratelli, che ama gratuitamente, che è capace di accogliere e perdonare le miserie dei propri fratelli facendosi solidale con loro. Veramente grande, quindi, è colui che imita il Maestro il quale «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Un’offerta che ancora si perpetua nel sacramento dell’Eucarestia: Gesù si fa pane spezzato per noi e ci invita ad unire la nostra vita alla Sua nell’offerta per la salvezza del mondo.
La “grandezza” proposta secondo la logica del Vangelo è una grandezza che il mondo non può capire. Una grandezza ardua: ci chiede di morire a noi stessi, di anteporre al nostro Io l’amore per Dio e per fratelli. Per questo oggi l’autore della Lettera agli Ebrei viene a confortarci: il nostro Maestro conosce per le nostre debolezze e ci chiede solo di attingere alla Sua forza, alla Grazia che ci raggiunge nei sacramenti, per conformarci a Lui e giungere a quella gloria che da sempre ha preparato per noi.
Fr. Marco

venerdì 12 ottobre 2018

Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse … vieni! Seguimi!

«Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto» (Sap 7,7-11)

«Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.» (Eb 4,12-13)

«Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” … “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.» (Mc 10,17-30)

Avvicinandoci alla conclusione dell’anno liturgico, la parola di Dio della XXVIII Domenica del Tempo ordinario, comincia a indirizzare i nostri cuori verso le cose eterne che sole possono saziare la nostra “fame di vita”.
Protagonista della pericope evangelica di questa domenica, infatti, è un “Tale” che, pur possedendo molti beni, non è un uomo felice, realizzato. Dal racconto evangelico, infatti, veniamo a sapere che questo tale ha apparentemente tutto ciò che si potrebbe desiderare: abbondanza di beni materiali ed una vita “ricca di virtù” («queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza»). Eppure sente che gli manca qualcosa: cerca la “Vita eterna”, quella Vita Piena che non avrà mai fine e che sa di dovere attendere come un dono (parla di “ereditare”).
Penso se non sia un caso se l’evangelista non dà un nome a questo “tale”: incarna le attese di ogni uomo la cui speranza ha bisogno di orizzonti ampi e non può ridursi al solo orizzonte materiale.
Quelle stesse attese che ispirarono l’autore sapienziale a implorare il dono della Sapienza (I lettura): una guida sicura nella vita che ci dia le giuste coordinate per Vivere veramente.

Al popolo di Israele questa sapienza viene donata sotto forma della Legge: le Dieci Parole destinate a guidare il comportamento del popolo eletto e a custodire l’Alleanza con Dio. È a questa sapienza che Gesù inizialmente rimanda il suo interlocutore. Il “Tale”, però, non è soddisfatto: sa di avere dinanzi il “Maestro Buono” capace di indicargli la via migliore.
«Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse …» È a questo punto che Gesù lo invita alla sequela nell’Amore, a “perdere” la vita abbandonando ogni sicurezza precedente, per vivere la Vita lasciandosi guidare dalla Luce della Fede, dalla fiducia nel Maestro Buono. La sapienza antica, infatti, pur non essendo mai stata abrogata, è adesso superata dalla “Sapienza personificata”: è Gesù adesso che noi siamo chiamati a seguire per giungere alla Pienezza della vita.
Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. È il triste esito di quest’incontro: il Tale “possedeva molti beni”, o meglio era posseduto da molti beni, quindi, pur con la morte nel cuore, torna alla misera vita di prima.

Oggi noi siamo invitati a non fare la stessa scelta. Anche noi, infatti, che ne siamo consapevoli o meno, come il tale del Vangelo, abbiamo bisogno di sperare e di allargare i nostri orizzonti di speranza: anche noi aneliamo alla Vita Eterna. Troppo spesso soffochiamo il bisogno di Vita accumulando beni che, in fin dei conti, non sono capaci di soddisfare le nostre attese (tanto che non ci bastano mai). Anche a noi il Maestro chiede di abbandonare le nostre fallaci sicurezze per abbandonarci al Suo Amore e metterci alla Sua sequela, divenendo Suoi discepoli e lasciandoci guidare la Lui. Se sceglieremo di rispondere alla Sua chiamata, sperimenteremo anche noi quel centuplo che il Maestro promette, insieme all’incomprensione da parte del mondo, a coloro che lo seguono.
Fr. Marco

sabato 6 ottobre 2018

Non è bene che l’uomo sia solo


«Il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”»(Gen 2,18-24)

«Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.» (Eb 2,9-11)

«In quel tempo, … domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. …  Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne.» (Mc 10,2-16)

La liturgia della Parola di questa domenica XXVII del tempo ordinario, si apre con una solenne dichiarazione di Dio: « Non è bene che l’uomo sia solo». L’uomo, infatti, creato a immagine e somiglianza del Dio Amore che è in se stesso relazione, è creato per la relazione e solo nella relazione trova la sua realizzazione.
Una relazione, però, con qualcuno che gli corrisponda (letteralmente “come di fronte”) e con il quale vivere una comunione vitale: i due diventeranno una carne sola. Una relazione, quindi, “paritaria” e non “strumentale” come potrebbe essere quella con gli animali che l’uomo concorre a “creare” stappandoli dall’anonimato, ma che non gli corrispondono. Ecco allora la creazione della donna e il grido di giubilo dell’uomo: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne.»
Purtroppo, a causa del peccato, l’uomo ha perso di vista la verità sulla relazione a tutti i livelli, con Dio, con la donna e con la creazione, e ha reso i doni di Dio “oggetto di rapina” di cui appropriarsi anche con la violenza. Anche il tu della relazione, viene così reificato, reso un oggetto da possedere. Da qui la pretesa di “prendere” moglie, “pagandola” al padre, e lasciarla quando non soddisfa più. Ai tempi di Gesù si dibatteva se l’uomo potesse ripudiare la moglie “per qualsiasi motivo” (Cfr. Mt 19,3). Oggi il dibatto è stato tristemente risolto con l’unico progresso che sia la moglie che il marito possono lasciarsi per qualsiasi motivo.
Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Il Maestro, nel vangelo, oggi è chiaro nel denunciare la durezza di cuore di chi si pone la questione la ripudio. Una questione che assume tutta un’altra prospettiva nel momento in cui si realizza la profezia di Ezechiele: «toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.» (Ez 36,26). Se l’Amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (Cfr. Rm 5,5), se Egli adesso Ama in noi, allora siamo chiamati a realizzare il progetto originario del Padre al quale oggi Gesù ci rinvia: una relazione autentica, libera e paritaria con un tu che mi corrisponda (non che mi sia uguale); una relazione che rende i due una sola carne. Da sempre la tradizione ha visto qui il duplice richiamo all’indissolubilità del matrimonio e all’apertura feconda verso la vita (la carne) di cui più immediata, ma non esclusiva, manifestazione sono i figli.
La relazione autentica, però, l’Amore, ci porta ad uscire da noi, a non porre più in noi il nostro centro, a rinnegare se stessi (cfr. Mt 16,24). Credo sia per questo che oggi la seconda lettura richiama il sacrificio salvifico di Cristo sulla croce. Dalla croce, infatti, dalla piena manifestazione dell’amore di Dio per l’uomo, siamo stati redenti. Dalla croce siamo anche invitati a imparare ad Amare prendendo anche noi ogni giorno la nostra croce, facendo della nostra vita un dono d’amore a chi il Signore ci ha messo accanto. Solo in questa autentica relazione d’amore, che ha il suo centro fuori di noi, troveremo la nostra piena realizzazione: «chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25).
Fr. Marco

sabato 29 settembre 2018

Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene


«“Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento”. … Ma Mosè gli disse: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!”». (Num 11,25-29)

«Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente.» (Giac 5,1-6)

«“Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”.» (Mc 9,38-43.45.47-48)

 La Parola di Dio della XXVI domenica del tempo ordinario ci parla della gelosia e dell’ invidia degli uomini nei confronti dei doni che con liberalità Dio elargisce ai loro fratelli: Giosuè è geloso dei due anziani rimasti all’accampamento, l’apostolo Giovanni è geloso dell’uomo che, pur non seguendo Gesù, scaccia demòni nel suo nome. In realtà, dinanzi alla liberalità di Dio dovremmo rallegrarci e fare attenzione al modo in cui usiamo i doni che sono stati concessi a noi.
Come ci ricorda il serafico padre S. Francesco di cui ci appressiamo a celebrare la festa, Dio è “il datore ci ogni bene”; «Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene» esclama nelle Lodi di Dio Altissimo. Troppo spesso, però noi assolutizziamo i beni di Dio facendone degli idoli, attaccando loro il cuore, volendoli possedere. Facciamo “oggetto di rapina” ciò che Dio vuole concederci. Ubriacati dal desiderio di affermare il nostro io, arriviamo ad essere invidiosi anche delle capacità dei nostri fratelli.
Oggi la Parola di Dio ci invita ancora una volta a conversione, a cambiare il nostro modo di pensare e la direzione del nostro sguardo. Alziamo gli occhi dai beni di Dio al Datore di ogni bene e ricordiamo che è il Padre che si prende cura dei suoi figli. Prendiamo consapevolezza che ogni bene, ogni capacità, nostra e dei nostri fratelli, è data dal Padre per il bene della Chiesa. Per questo motivo siamo invitati a rallegrarci per i beni e le capacità dei nostri fratelli e a fare attenzione a come usiamo i beni e le capacità che sono state date a noi. Ciascuno riceverà la giusta ricompensa per il modo in cui è stato capace di condividere i doni che gli sono stati affidati, fosse anche solo “un bicchiere d’acqua”.
La Parola di oggi, però, ci invita soprattutto a ricentrare la nostra vita su ciò che veramente va cercato al di sopra di ogni bene: la comunione con Dio. Per fare questo siamo invitati ad abbandonare ogni relazione con gli idoli, a cominciare dal nostro Io che continuamente vuole ergersi contro Dio. È per questo che oggi nel Vangelo il Maestro ci invita a “tagliare” ciò che ci dà scandalo, che ci è d’inciampo nel nostro cammino verso il Sommo Bene. Recuperiamo, allora, la centralità di Dio e dei nostri fratelli nella nostra vita. Viviamo concretamente il comandamento dell’amore condividendo con i fratelli, per amore di Dio, ciò che il Signore ci ha concesso. “Restituiamo” a Dio, secondo ciò che insegna il serafico padre san Francesco, il bene che ci ha affidato non attribuendolo al nostro io, ma usandolo per i fratelli e lodando il Datore di ogni Bene. Il Signore ce lo conceda.
Fr. Marco