sabato 29 giugno 2019

Gesù si mise in cammino verso Gerusalemme

«Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: “Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò”. Elìa disse: “Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te”» (1Re 19,16.19-21)

«Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.» (Gal 5,1.13-18)

«Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme …» (Lc 9,51-62)

La Parola di Dio della XIII Domenica del TO ci invita a fare memoria di ciò che il Signore ha compiuto per noi e a comportarci di conseguenza.
… sai che cosa ho fatto per te Già nella prima lettura, infatti, con le parole del profeta Elia, il Signore ci ricorda che ben più che Eliseo noi siamo stati riempiti dallo Spirito; siamo stati unti Re, Sacerdoti e Profeti; siamo stati conformati a Cristo morto e risorto; siamo stati liberati dalla schiavitù del peccato e delle passioni (II lettura). Siamo invitati, quindi, a comportarci da uomini liberi.
La libertà, però, lo sappiamo bene, non consiste nel fare “ciò che ci passa per la testa”, ma nel fare ciò che è Bene, nel fare “ciò che è da fare”. La vera libertà è quella che ci mostra il Maestro oggi nel Vangelo: Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme.

Solo chi si possiede pienamente ed è quindi veramente libero, può fare della sua vita un dono. È questo, infatti, che Gesù va a compiere a Gerusalemme: va a donare la sua vita in obbedienza al Padre e per amore.
A tanta libertà fanno da contrasto gli incontri avuti da Gesù lungo i cammino. Il primo è un “incontro mancato”: i Samaritani non vogliono accoglierlo. Sono ancora schiavi del loro pregiudizio. La motivazione riportata dall’evangelista, però, («era chiaramente in cammino verso Gerusalemme») potrebbe essere letta “spiritualmente” e riguardare qualcosa di molto vicino a noi: la paura della croce. Può capitare anche a noi, infatti, di rifiutare certe occasioni di incontro con il Signore, certe occasioni per compiere la Sua Volontà, perché chiaramente orientate alla croce che ancora ci è di scandalo. Dinanzi il rifiuto, Gesù non si impone: passa oltre. Chissà se quei samaritani avranno mai capito chi hanno rifiutato! Chissà se noi capiremo mai ciò che abbiamo perso ogniqualvolta abbiamo detto “no” a Gesù per paura della Croce!
«Ti seguirò dovunque tu vada» Dopo il rifiuto dei Samaritani, l’evangelista ci presenta un discepolo entusiasta. Noi non conosciamo le motivazioni di quest’uomo, ma la risposta di Gesù ci ammonisce a non cercarLo per avere un “posto al sole”; per “sistemarci”, per avere un ruolo che ci faccia stare tranquilli: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
«… permettimi di andare prima a seppellire mio padre» Nel terzo incontro, è Gesù a chiamare un uomo che, però, rimanda la risposta. È il modello di tutti quelli che non si decideranno mai, che posticiperanno sempre la scelta: “Da domani … !” Un domani che non verrà mai! Gesù ci invita a prendere oggi la ferma decisione di seguirlo, di diventare suoi discepoli.
«Ti seguirò … però …» Infine, abbiamo l’incontro con il tentativo di “compromesso”. Quante volte anche noi ci comportiamo così: “Sono cristiano, però non è che posso perdonare sempre chi mi fa del male!”; “Sono cattolico, però la domenica ho altro da fare, non posso venire sempre a Messa!”; “Sono cristiano, però non è che posso pagare tutte le tasse …” Quanti “sì, però” nella nostra vita! Oggi Gesù ci ammonisce: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». Niente compromessi! Siamo stati liberati dalla “schiavitù della carne”, siamo invitati a vivere non più per noi stessi, ma per Dio che ci ha chiamati. Accogliamo l’invito di Gesù e seguiamolo con ferma decisione: «camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne
Fr. Marco.

giovedì 27 giugno 2019

Mi ha amato e ha dato se stesso per me!


«Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» (Ez 34,11-16)

«Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.» (Rm 5,5-11)

«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? … “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”»

Nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù la Parola di Dio ci mostra alla contemplazione il gratuito e fedele amore di Dio per noi.
Nella prima lettura, infatti, Dio si manifesta come il Pastore amorevole che ama, custodisce e nutre il suo gregge. Alle pecore non viene chiesto nient’altro che di riconoscere e seguire il Pastore. Non hanno altro “merito” che l’essere amate.
Può capitare di pensare di “meritare” l’amore di Dio. Credo che l’invito di questa solennità a compiere “atti di riparazione al Cuore di Gesù”, ci aiuti a capire che, come ci ricorda san Francesco, di nostro abbiamo solo il peccato: «E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te. E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati. Di che cosa puoi dunque gloriarti?» (FF 154; Amm. V).
È questa gratuità che ci viene ricordata da S. Paolo nella seconda lettura: «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi»
Gesù nel Vangelo richiama ancora l’immagine del pastore. Un pastore “illogico” che lascia le novantanove pecore per andare in cerca dell’unica smarrita. Tale è l’amore gratuito di Cristo per noi, che sarebbe morto in croce anche per salvare solo uno di noi. Gesù non guarda alla maggioranza, non fa calcoli statistici, ci vuole tutti salvi. Anzi sembra avere a cuore maggiormente la salvezza dei “lontani”, di quelli che si sono smarriti. Veramente questo è “vangelo”, “buona notizia”: chi infatti può affermare con sicurezza di essere salvo? La pecora smarrita siamo ciascuno di noi. A tutti Gesù ha insegnato a pregare: «Rimetti a noi i nostri debiti». Tutti quindi siamo invitati a riconoscerci nella pecora smarrita salvata da Gesù. Con san Paolo possiamo affermare «Mi ha amato e ha dato se steso per me» (Gal 2,20)
 Uno dei versetti alleluiatici proposti dalla liturgia di oggi ci invita: « … imparate da me, che sono mite e umile di cuore.» Il primo tratto distintivo dell’umiltà di cuore che siamo invitati ad imparare dal Maestro, è avere una giusta conoscenza di sé e saper apprezzare gli altri. Il superbo, infatti, non ha una giusta conoscenza di sé e non è capace di stimare gli altri: o si stima superiore agli altri, o non riconosce ciò che il Signore ha operato nella sua vita perché pretende di essere più grande di quello che è. Anche Padre Pio, grande devoto del Sacro Cuore, raccomanda ai suoi figli spirituali: «Non ti meraviglierai affatto delle tue debolezze ed imperfezioni ma riconoscendoti per quello che tu sei, ti arrossirai della tua incostanza ed infedeltà a Dio, ed in Lui proponendo e confidando, ti abbandonerai tranquillamente sulle braccia del celeste Padre come un tenero bambino su quelle materne» (Epist. IV, 257). Ed ancora: «Tenetevi sempre sull’ultimo luogo tra gli amanti del Signore, stimando tutti migliori di voi; rivestitevi di umiltà verso gli altri, poiché Dio resiste ai superbi e da la grazia agli umili.» (Epist. III, 50)
Questa conoscenza di sé e delle proprie debolezze, però non è compiacenza o rassegnazione, ma pazienza con i propri limiti nel continuo impegno, con l’aiuto di Dio, per migliorarsi. È ancora a questo che Padre Pio ci esorta: «Conviene sopportare pazientemente la nostra imperfezione per potere arrivare alla perfezione; dico sopportarla con pazienza e non già di amarla e accarezzarla; l’umiltà si nutre in questa sofferenza.» (Epist. IV, 365)
Contemplando quest’oggi l’amore gratuito e fedele di Dio per noi, prendiamo umilmente atto delle tante nostre in corrispondenze a questo amore e umilmente chiediamogli Perdono e la Grazia di amarLo imitando la Sua mitezza e umiltà e portando ogni giorno su di noi il Suo giogo – la Croce abbracciata per amore – rinnegando noi stessi per dare a Lui il primo posto nella nostra vita.
Fr. Marco


sabato 22 giugno 2019

«Voi stessi date loro da mangiare»

«In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo» (Gen 14,18-20)

​«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”». (1Cor 11,23-26)

«In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. … Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci …” … Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.» (Lc 9,11-17)

​Nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo la liturgia della Parola ci presenta, già dalla prima lettura, il tema di Gesù Sacerdote, Vittima ed Altare. Melchìsedek, infatti, “re di Salem” che offre il pane ed il vino, è un typos, una figura, di Gesù Vero e Sommo sacerdote che offre l’unico e definitivo sacrificio della Nuova ed eterna Alleanza: il Suo Corpo e il Suo Sangue in cui il pane e il vino vengono transustanziati (II lettura).
Oltre al “tema sacerdotale”, però, la liturgia di oggi ci presenta anche Gesù come il Buon Pastore che si prende cura dei suoi, li guida e li nutre. È così infatti che lo invochiamo nella sequenza: «Buon pastore, vero pane, / o Gesù, pietà di noi: / nutrici e difendici, / portaci ai beni eterni / nella terra dei viventi.». Il Vangelo insiste su questo tema: si apre con la figura di Gesù che insegna alle folle indicando loro il Regno dei Cieli, l’unica cosa necessaria per sperimentare la Pienezza della Vita. Il Vangelo continua con Gesù intento a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il Medico viene per gli ammalati, Gesù è venuto a cercare i peccatori per condurli alla salvezza.
Ancora nel contesto del “ministero pastorale” di Gesù, il Vangelo ci presenta la moltiplicazione dei pani come ulteriore modalità con cui il Buon Pastore si prende cura di coloro che hanno messo da parte tutto il resto per seguirlo. Sappiamo che l’evangelista, ben compreso dalla liturgia odierna, intende presentarci in questo racconto un’anticipazione dell’istituzione dell’Eucarestia nell’Ultima Cena.
Due cose mi colpiscono immediatamente contemplando la scena evangelica: una riguarda le condizioni per partecipare al banchetto, l’altra riguarda i discepoli. La prima cosa che noto è che l’unica condizione prevista per partecipare a questo banchetto è l’avere seguito Gesù, l’averlo ascoltato ed avere messo Lui al di sopra e prima di tutti gli altri bisogni (e non è poco!). È questa, infatti, l’unica cosa veramente necessaria per potersi accostare degnamente al Banchetto Eucaristico: avere messo Gesù al centro della nostra vita, l’impegnarsi nell’ascolto e nella conversione. In quest’ottica va compreso anche il Sacramento della Riconciliazione: non un “arrifriscarisi l’anima” per potere fare la comunione (magari senza un adeguato esame di coscienza e quindi con la convinzione di non avere peccati), ma chiedere e accogliere la Grazia per impegnarsi nella propria conversione. La seconda cosa che mi colpisce, è la volontà da parte dei discepoli di deresponsabilizzarsi nei confronti della folla: «congedali … vadano …». A questi discepoli Gesù risponde: «Voi stessi date loro da mangiare». Penso sia da  sottolineare come questo comando apra ad una “dimensione eucaristica” della vita del cristiano e soprattutto del sacerdozio ministeriale: il farsi “pane spezzato”, il dare da “mangiare” noi stessi.
Oggi però voglio sottolineare particolarmente come questo comando coinvolga i discepoli più vicini a Gesù e li inviti a prendersi cura dei loro fratelli più bisognosi: troppo spesso, anche tra i cristiani, si è sempre pronti a “puntare il dito”, a richiamare gli altri alle loro responsabilità, ad accusare chi dovrebbe fare … cercando in tal modo di deresponsabilizzarsi. Certo, quello della denuncia e del richiamo al dovere sociale delle Istituzioni è un ruolo importante dei discepoli, ma non può essere l’unico. Il Beato Pino Puglisi, che il bisogno delle persone l’ha toccato da vicino, è famoso per la frase “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”. Unendoci a Cristo, allora, impariamo anche noi a farci “pane spezzato” per i fratelli. Prendiamoci cura gli uni degli altri e camminiamo insieme verso quella Vita Piena ed Eterna che Solo Gesù ci può donare.
Fr. Marco

sabato 15 giugno 2019

L'Amante, l'Amato e l'Amore


«Così parla la Sapienza di Dio: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra.» (Pr 8,22-31)

«Fratelli, … ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. » (Rm 5,1-5)

«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, … Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». (Gv 16,12-15)

​Nella solennità di Pentecoste, domenica scorsa, affermavo che lo Spirito Santo ci inserisce nella circolarità d’amore all’interno della Santissima Trinità. Questa domenica la Chiesa ci propone alla riflessione proprio questo Mistero centrale della nostra fede: L’unico Dio, Creatore del cielo e della Terra, è Uno e Trino. Un solo Dio in tre Persone: il Padre (Amante) che dall’eternità genera il Figlio (Amato) donandosi totalmente a Lui e tutto ricevendo da Lui nello Spirito Santo (Amore).
Elemento fondamentale dell’annuncio salvifico del nostro Signore Gesù Cristo è la piena rivelazione di Dio agli uomini («Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato …» Gv 17,6). Gesù ci ha rivelato l’eterna processione d’amore in cui le tre Persone divine hanno tutto in comune tranne la loro identità personale (l’essere rispettivamente Padre, Figlio e Spirito). Il nostro Dio è, quindi, già al suo interno, relazione d’amore.
Cosa significa per noi il fatto che il Dio Vivo e Vero è Uno e Trino, Eterna relazione d’Amore? Significa che l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è costitutivamente relazione, è fatto per la relazione ed è felice/realizzato solo nella relazione. L’uomo è immagine del Dio trinitario e come tale si realizza solo quando permette all’amore-relazione che è in lui di manifestarsi. Citando fr. Alberto Neglia (O. Carm.), mio docente di Spiritualità: «Come il Padre è nell’amore sorgività pura, così Egli dona alla creatura umana di essere nel tempo sorgente di amore. Questo significa che l’uomo è costitutivamente capace di amare.  Amato dall’eternità egli è fatto per amare. … amando, l’uomo riproduce in qualche modo la creatività del Padre. L’amore fa sbocciare la vita. L’uomo è ancora immagine del Dio Trinitario perché è stato creato per mezzo del Figlio, in vista di Lui ed in Lui (Col  1,15-17). Come in forza dell’accoglienza pura … il Figlio è immagine perfetta del Padre, così l’uomo è immagine di “Dio Figlio”, in quanto si fa  recettività, cavità capace di accogliere, fino alla trasparenza, l’amore eternamente amante. Nel Figlio amato l’uomo è costitutivamente oggetto di amore, apertura radicale, “uditore della Parola”. Chi non riceve l’amore, non esisterà mai veramente: la povertà che accoglie è la condizione dell’amore … Chi non sa accogliere, non sa dire grazie, non sarà mai veramente e pienamente umano. … Nel più profondo del suo essere creaturale … l’uomo ha bisogno dell’altro. … Lo Spirito Santo imprime nella creatura umana un certo riflesso di quello che Egli è nel mistero di Dio. Come fra l’Amante e l’Amato Egli è l’eterno legame di unità ed insieme Colui che fonda l’apertura infinita del loro amore, lo Spirito è la fantasia di Dio. L’uomo creato ad immagine di “Dio Spirito” è unità vivente di questo duplice movimento dell’amore: amando, egli si fa amare; lasciandosi amare, egli ama. … Lo Spirito, presente nell’uomo, lo spinge continuamente a spezzare il cerchio dell’amante e dell’amato, a fuggire la cattura dell’esclusività, per andare verso il bisogno di amore dell’altro, di tutti gli altri
Il cristiano santificato dallo Spirito, conformato a Cristo, porta quindi in sé il mistero della Trinità d’Amore e lo manifesta al mondo. Il Signore ci conceda, contemplando il suo Amore Trinitario e ciò che esso è capace di compiere in chi lo accoglie, di realizzare pienamente la nostra vocazione all’amore per potere giungere a quella pienezza di vita per la quale siamo stati pensati fin dall’eternità.
Fr. Marco.

sabato 8 giugno 2019

Furono colmati di Spirito Santo e … ciascuno li udiva parlare nella propria lingua

«Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. » (At 2, 1-11)

« … voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,8-17)

«Se mi amate osserverete i miei comandamenti … il Paràclito, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14, 15-16. 23-26)

​Con la solennità di Pentecoste giunge al suo culmine il Tempo Pasquale; il nuovo patto, la Nuova Alleanza, profetizzata da Ger 31, 31-34, giunge a pienezza : la Legge Nuova di Dio è effusa nei nostri cuori rendendoci capaci di osservarla.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, l’evangelista Luca ci narra l’effusione dello Spirito sulla Chiesa riunita nel cenacolo come un’“Anti-Babele” (Cf. Gen 11). Si realizza il miracolo della comunione d’amore che non è confusione.
Il “peccato di Babele” è volersi “fare un nome” senza Dio, anzi piuttosto contro Dio (una città e una torre che tocchi il Cielo). Una sorta di “regno degli uomini” che si oppone al Regno di Dio. Eliminato Dio dalle loro esistenze, eliminate le radici della loro esistenza, gli uomini cadono in una confusione che non è comunione; dimenticano chi sono e quindi non sono più in grado di comprendersi.
Con il mistero Pasquale che culmina nella Pentecoste, a causa della redenzione dal peccato e della Legge Nuova effusa nei cuori, lo Spirito santo Terza Persona della Santissima Trinità, Dio torna ad occupare il posto centrale nella esistenza dell’Umanità Nuova: gli uomini tornano a comprendersi e per l’umanità è possibile tornare a vivere la comunione immagine della Comunione Trinitaria, quella che il Servo di Dio Mons. Tonino Bello chiama “convivialità delle differenze”.
… ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Le differenze non sono annullate. Ciascuno mantiene propria identità, ma questo non è ostacolo alla comunione d’amore. Ciò che permette la comunione è l’Amore, l’avere accolto l’Amore di Dio nella propria vita e alla luce di questo amare il proprio prossimo così com’è senza annullare la propria identità. L’amore, infatti non annulla le differenze. Al contrario le esalta perché ognuno è amato per ciò che è, per le sue peculiarità proprie.
Ecco perché il primo e più alto dono pasquale, che a Pentecoste giunge alla pienezza, è la Pace. La piena riconciliazione con Dio che porta alla riconciliazione tra gli uomini.
Lo Spirito è, quindi, il compimento della Nuova Alleanza. È Colui che rende possibile vivere secondo la Legge di Dio. Nel Vangelo Gesù afferma: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti». Solo se abbiamo in noi l’Amore, infatti, possiamo osservare i comandamenti. È lo Spirito, l’Amore di Dio effuso nei nostri cuori, che ci rende capaci di osservare i comandamenti.
Nella seconda lettura, poi, San Paolo ci dice che lo Spirito effuso nei nostri cuori ci rende “figli adottivi”, non schiavi, capaci di rivolgerci a Dio chiamandolo “Papà”, e ci libera da ogni paura.
Lo Spirito, infatti, lo sappiamo bene, è la Terza Persona della Santissima Trinità; è “Signore e da la vita”, come diciamo nel Credo. Non è “un’energia”, ma una Persona divina, uno col Padre e il Figlio. Ricevendo lo Spirito Santo entriamo nel mistero della SS. Trinità. Mi piace la “spiegazione” che della trinità fa S. Agostino: l’Amante (il Padre), l’Amato (il Figlio) e l’Amore (lo Spirito). Lo Spirito è, quindi, l’Amore tra Padre e Figlio, la reciproca e continua donazione di sé che il Padre fa al Figlio e il Figlio al Padre. Oggi, nella Pentecoste, noi celebriamo il nostro inserimento in questa circolarità d’amore.
Ecco, allora, che comprendiamo come diventa possibile ciò che la Parola di Dio ci ha detto oggi: l’Amore che è Dio è effuso nei nostri cuori! Allora non esistono più barriere insormontabili: nulla può separare coloro che si amano; la comprensione è possibile perché si vuole comprendere, perché si ascolta davvero; spinti dall’Amore, non sentiremo come gravosa l’osservanza dei comandamenti, ma come figli amati e amanti non desidereremo altro che fare felice il Padre realizzando pienamente la nostra vita.
Fratelli e sorelle, tutto questo è già presente, lo Spirito che il Padre ha effuso nei nostri cuori per l’opera del Figlio, attende solo che noi diamo la nostra disponibilità perché la nostra vita possa giungere alla pienezza.
Fr. Marco

sabato 1 giugno 2019

Abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio


«Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”» (At 1,1-11)
«… abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.» (Eb 9,24-28;10,19-23)

«… alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.» (Lc 24,46-53)
Nella festa dell’ Ascensione contempliamo il Signore Gesù Cristo che porta nel seno del Padre la nostra umanità glorificata. Quel Gesù che ha assunto la nostra natura umana ed è nato a Bethlehem; che ha vissuto in mezzo a noi condividendo le nostre miserie (tranne il peccato); che ha offerto la sua vita per amore sulla croce, adesso, dopo la sua resurrezione e dopo avere istruito i suoi, ascende al Cielo.
Per questo motivo oggi l’autore della lettera agli Ebrei ci invita ad avere fiducia: abbiamo nel “santuario del Cielo” un Sommo Sacerdote che ha sperimentato e quindi conosce e compatisce le nostre miserie e i nostri condizionamenti. Come ci ha ricordato il santo Padre Francesco: «Egli è il nostro avvocato … che ci difende sempre, ci difende dalle insidie del diavolo, ci difende da noi stessi, dai nostri peccati
Siamo invitati, quindi, ad avere Fede, a vivere con “il Cuore puro”, a testimoniare la nostra Speranza. La Fede, infatti, si manifesta in una vita “con il Cuore puro”, una vita all’insegna della Carità, animata dalla Speranza certa che il nostro destino è nei cieli dove raggiungeremo il nostro Signore Gesù Cristo. La Speranza cristiana, infatti, non è la speranza aleatoria di cui solitamente si  afferma: “Chi di speranza vive, disperato muore”; non è una speranza incerta e senza fondamento, la speranza degli illusi. La Speranza Cristiana è la Speranza Certa (come la chiama S. Francesco) di chi sa a chi ha creduto: Cristo che è la Via la Verità e la Vita.
La Parola di Dio di oggi, infatti, sottolinea l’atteggiamento di attesa: attesa dell’adempimento della Promessa, del dono dello Spirito; l’attesa del ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi quando il Signore verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo.
«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Gli angeli ricordano ai discepoli che la loro deve essere un’attesa operosa. La nostra Speranza, infatti, non è ciò che Marx chiamava “l’oppio dei popoli”, ma ci rimanda ad un impegno concreto perché questo mondo si trasformi nel Regno dei Cieli.
Mentre li benediceva, si staccò da loro … Questa vita, infine, è tutta sotto la benedizione del Nostro Signore. Gesù entra in Cielo, nell’eternità di Dio, senza concludere la sua benedizione. La benedizione di Cristo, quindi, continua a riversarsi sui suoi discepoli disposti a “prostrarsi”, a riconoscerlo Signore della loro vita. «l’Ascensione – infatti – non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi.» (Papa Francesco)
Tornando alla nostra quotidianità, allora, viviamo la nostra vita tenendo sempre presente le nostra meta, confidando nella Benedizione eterna del nostro Signore, perché il mondo attorno a noi, anche grazie alla nostra testimonianza, si trasformi nel Regno di Dio.
Fr. Marco