«Andrò in cerca della
pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e
curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con
giustizia» (Ez 34,11-16)
«Ora, a stento
qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per
una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che,
mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.» (Rm 5,5-11)
«Chi di voi, se ha
cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in
cerca di quella perduta, finché non la trova? … “Rallegratevi con me, perché ho
trovato la mia pecora, quella che si era perduta”»
Nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù la Parola di
Dio ci mostra alla contemplazione il gratuito e fedele amore di Dio per noi.
Nella prima lettura, infatti, Dio si
manifesta come il Pastore amorevole che ama, custodisce e nutre il suo gregge. Alle
pecore non viene chiesto nient’altro che di riconoscere e seguire il Pastore. Non
hanno altro “merito” che l’essere amate.
Può capitare di pensare di “meritare” l’amore di Dio. Credo
che l’invito di questa solennità a compiere “atti di riparazione al Cuore di
Gesù”, ci aiuti a capire che, come ci ricorda san Francesco, di nostro abbiamo
solo il peccato: «E tutte le creature,
che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono
e obbediscono al loro Creatore meglio di te. E neppure i demoni lo
crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi
quando ti diletti nei vizi e nei peccati. Di che cosa puoi dunque gloriarti?»
(FF 154; Amm. V).
È questa gratuità che ci viene ricordata da S. Paolo nella
seconda lettura: «mentre eravamo ancora
peccatori, Cristo è morto per noi»
Gesù nel Vangelo richiama ancora l’immagine del pastore. Un pastore
“illogico” che lascia le novantanove pecore per andare in cerca dell’unica smarrita.
Tale è l’amore gratuito di Cristo per noi, che sarebbe morto in croce anche per
salvare solo uno di noi. Gesù non guarda alla maggioranza, non fa calcoli
statistici, ci vuole tutti salvi. Anzi sembra avere a cuore maggiormente la
salvezza dei “lontani”, di quelli che si sono smarriti. Veramente questo è “vangelo”,
“buona notizia”: chi infatti può affermare con sicurezza di essere salvo? La pecora
smarrita siamo ciascuno di noi. A tutti Gesù ha insegnato a pregare: «Rimetti a
noi i nostri debiti». Tutti quindi siamo invitati a riconoscerci nella pecora
smarrita salvata da Gesù. Con san Paolo possiamo affermare «Mi ha amato e ha dato se steso per me»
(Gal 2,20)
Uno dei versetti
alleluiatici proposti dalla liturgia di oggi ci invita: « … imparate da me, che sono mite e umile di cuore.» Il primo tratto
distintivo dell’umiltà di cuore che siamo invitati ad imparare dal Maestro, è
avere una giusta conoscenza di sé e saper apprezzare gli altri. Il superbo,
infatti, non ha una giusta conoscenza di sé e non è capace di stimare gli
altri: o si stima superiore agli altri, o non riconosce ciò che il Signore ha
operato nella sua vita perché pretende di essere più grande di quello che è. Anche
Padre Pio, grande devoto del Sacro Cuore, raccomanda ai suoi figli spirituali:
«Non ti meraviglierai affatto delle
tue debolezze ed imperfezioni ma riconoscendoti per quello che tu sei, ti
arrossirai della tua incostanza ed infedeltà a Dio, ed in Lui proponendo e
confidando, ti abbandonerai tranquillamente sulle braccia del celeste Padre come
un tenero bambino su quelle materne» (Epist. IV, 257). Ed ancora: «Tenetevi sempre sull’ultimo luogo tra gli
amanti del Signore, stimando tutti migliori di voi; rivestitevi di umiltà verso
gli altri, poiché Dio resiste ai superbi e da la grazia agli umili.»
(Epist. III, 50)
Questa conoscenza di sé e delle proprie debolezze, però non
è compiacenza o rassegnazione, ma pazienza con i propri limiti nel continuo
impegno, con l’aiuto di Dio, per migliorarsi. È ancora a questo che Padre Pio
ci esorta: «Conviene sopportare
pazientemente la nostra imperfezione per potere arrivare alla perfezione; dico
sopportarla con pazienza e non già di amarla e accarezzarla; l’umiltà si nutre
in questa sofferenza.» (Epist. IV, 365)
Contemplando quest’oggi l’amore gratuito e fedele di Dio per
noi, prendiamo umilmente atto delle tante nostre in corrispondenze a questo
amore e umilmente chiediamogli Perdono e la Grazia di amarLo imitando la Sua
mitezza e umiltà e portando ogni giorno su di noi il Suo giogo – la Croce
abbracciata per amore – rinnegando noi stessi per dare a Lui il primo posto
nella nostra vita.
Fr. Marco
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