venerdì 30 giugno 2023

Chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà

 «Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Facciamo una piccola stanza superiore, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere; così, venendo da noi, vi si potrà ritirare». (2Re 4,8-11.14-16)

«… anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.» (Rm 6,3-4.8-11)

«Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.» (Mt 10,37-42)

La Parola di Dio della XIII domenica del TO, ci invita ad accogliere e amare il Signore perché nella nostra esistenza possa entrare la Vita. Nella prima lettura, tratta dal Secondo Libro dei Re, infatti, la donna che accoglie il profeta Eliseo intende accogliere “un uomo di Dio”; nella persona di Eliseo, vuole accogliere Dio e questo porta la Vita nella sua sterile esistenza.

La pagina di Vangelo, inoltre, ci presenta la serietà esigente di questa accoglienza che diventa sequela. Seguire Cristo, infatti, significa lasciarsi plasmare da Lui, morire al peccato per vivere con Lui, perdere “la propria vita” per trovare la Vita in Cristo. San Paolo lo esprime bene nella lettera ai Romani (seconda lettura): «Per mezzo del battesimo … siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.»

«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me …» Il Signore, che ci ama più di quanto noi possiamo immaginare, è “un Dio geloso”, per dirla alla maniera dell’Antico Testamento, un Dio che tutto si dà a noi e tutto ci chiede. A differenza della gelosia umana, però, la gelosia di Dio non nasce dalla insicurezza, ma dalla consapevolezza di essere l’unico a poterci dare la Vita che desideriamo. Per questo, perché ci ama e non vuole che sprechiamo la vita, ci chiede che la Viviamo pienamente.

«… chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me». Il segreto della “Vita in abbondanza” (Cfr Gv 10,10), la Vita Piena ed Eterna che Gesù è venuto a donarci, sta proprio in questi due verbi: prendere e seguire. Il Maestro, infatti, non ci ha insegnato a subire la croce, a rassegnarci ad essa, ma a prenderla, ad abbracciarla. La Croce, non è quella sofferenza che subiamo nostro malgrado. La Croce è “il modo” con il quale facciamo della nostra vita un dono d’amore a Dio e ai fratelli sull’esempio di Cristo. Croce salvifica, allora, è quella persona alla quale faccio dono della mia vita morendo a me stesso; può essere mia moglie o mio marito; può essere una particolare “missione” … Può anche essere una malattia; non, però, quando viene subita, ma quando viene accolta e abbracciata per Amore di Cristo in obbedienza al Padre. Perché la Croce sia salvifica, inoltre, bisogna che seguiamo Gesù: che scegliamo Lui come unico Maestro e non andiamo dietro ad altri maestri; che obbediamo alla Sua Parola e non agli insegnamenti del mondo.

Solo prendendo la nostra croce ogni giorno e seguendo Gesù, saremo suoi discepoli, degni di Lui. Solo perdendo la vita per amore, ne troveremo il senso pieno. Agli occhi del mondo, di quanti non conoscono Gesù, questo potrà apparire pazzia, uno spreco, ma i santi che ci hanno preceduto in questa strada testimoniano che solo in essa si trova il senso Pieno della Vita.

Se saremo riconosciuti uomini e donne di Dio, discepoli di Cristo, non mancheranno coloro i quali ci accoglieranno e soccorreranno meritando così la ricompensa e dimostrando di essersi anch’essi messi alla sequela di Colui che è passato beneficando tutti (At 10,38). Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

sabato 24 giugno 2023

Non abbiate paura!

 «Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere» (Ger 20,10-13)

«… se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.» (Rm 5,12-15)

«E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima;  … chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,26-33)

La Parola di Dio della XII domenica del Tempo ordinario ci esorta a non avere paura e a confidare nel Signore nostro custode e difensore. Nella prima lettura, tratta dal libro di Geremia, infatti, ascoltiamo la vicenda del profeta minacciato dai suoi avversari a causa di ciò che il Signore gli chiede di annunziare e siamo esortati ad imparare da lui a fidarci del Signore: i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere.

La vittoria finale è del Signore che ha sconfitto anche il peccato e la morte: di cosa dunque dobbiamo avere paura? La nostra vita è nelle mani amorevoli del Padre e persino i nostri capelli sono tutti contati.

Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima. Nel Vangelo il Maestro esorta i suoi discepoli ad annunciare con coraggio la Verità senza preoccuparsi della persecuzione degli uomini.

«Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini …» È ciò che hanno fatto i martiri di tutti i tempi: vivendo la loro vita davanti a Dio, alla sua presenza, non hanno avuto paura degli uomini, e hanno reso testimonianza davanti a loro anche quando questo è costato loro persecuzione e morte (l’evangelista Matteo scrive avendo presente la persecuzione dei primi secoli).

Probabilmente non a tutti noi sarà richiesto il martirio cruento, ma sicuramente a tutti noi è chiesto di testimoniare la nostra fede dinanzi al mondo. Una testimonianza che al “mondo” dà fastidio. Nella società occidentale contemporanea, per esempio, si vorrebbe relegare la fede, quella cristiana in particolare, alla sfera privata. Oggi, magari in nome di un malinteso senso di pacifica convivenza, si vorrebbe che i cristiani non manifestassero in alcun modo la loro fede in pubblico. Manifestazione di questa tendenza sono le campagne periodiche per togliere i crocefissi dai luoghi pubblici, la tendenza a non fare i presepi nelle scuole ecc.

Un malinteso desiderio di libertà, inoltre, porta, in altri ambiti, a rifiutare ogni verità oggettiva, persino quella del proprio corpo, percepita come limitante la libertà. Si vive come limite alla propria libertà, per esempio, il fatto che due uomini non possano concepire un bambino e si vorrebbe ovviare “affittando” una donna che porti a termine la gravidanza e venga poi privata del bambino. Pratica inaccettabile (e attualmente illegale) perché riduce le persone a cose da usare a pagamento o addirittura da “comprare”. In questo contesto, i cristiani siamo invitati a dare testimonianza, a vivere pubblicamente la nostra fede, a non avere paura di annunziare la Verità.

Come cristiani, chiamati dalla Carità custodire la dignità dei fratelli e sorelle e ad annunziare la Verità del progetto d’amore del Padre, non possiamo tacere che tutto questo sia sbagliato. Da qui l’ostracismo e la persecuzione, incruenta – almeno nella maggior parte dei casi -  ma non per questo meno violenta, di chi difende la “famiglia tradizionale” formata da un uomo e una donna che si aprono alla vita (l’unica famiglia contemplata nella Rivelazione: Gen 1,27-28).

«Abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo» Ecco di chi dobbiamo avere paura: della seduzione del maligno che, facendoci concentrare sul nostro limite creaturale, ci fa dubitare dell’Amore del Padre e ci fa ribellare a Lui. Lontano dalla Vita che è Dio, infatti, sperimenteremo la morte, la nostra vita sarà sprecata (la Geènna era la discarica ai tempi di Gesù)

Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. Chiediamo il dono del Timor di Dio che ci faccia realmente temere di essere rinnegati da Cristo. Finche siamo con Lui, finché lo riconosciamo – coi fatti e nella verità – nostro Signore, la nostra vita è al sicuro nelle Sue mani. Se invece lo rinnegheremo, allora sì che saremo in balia delle potenze del mondo e avremo motivo di avere paura!

Restando uniti a Cristo, nostra Vita e nostra Salvezza, allora, testimoniamo la nostra fede e riconosciamo senza vergogna dinanzi agli uomini il nostro Signore Gesù Cristo. «Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!»

Fr. Marco

sabato 17 giugno 2023

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date

 «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa». (Es 19,2-6)

«Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.» (Rm 5,6-11)

«Vedendo le folle, ne sentì compassione, … Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.» (Mt 9,36 – 10,8)

La Parola di Dio di questa XI domenica del Tempo Ordinario ci presenta il mistero della chiamata gratuita di Dio. Abbiamo da poco celebrato la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù che ci ha fatto contemplare l’Amore gratuito e fedele di Dio. È su quest’Amore e su nient’altro che si fonda la chiamata. Un amore che diventa compassione per quanti sono perduti come pecore che non hanno pastore.

Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto … Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza …. La prima cosa che vorrei sottolineare è che la chiamata e la salvezza precedono ogni merito da parte nostra: Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Dio viene incontro all’umanità bisognosa offrendo per primo e con liberalità la Sua salvezza. Il Suo Amore gratuito, tuttavia, chiede di essere accolto: si propone, non si impone. «Chi ti ha formato senza di te, non ti renderà giusto senza di te.» così si esprime S. Agostino (Discorso 169). Il Signore ci chiede di accoglierlo con i fatti e nella verità come Signore della nostra vita ascoltando e obbedendo alla Sua Parola. Solo così sperimenteremo la salvezza e la libertà dei figli di Dio.

Chiamati a sé i suoi dodici discepoli. Il mistero della gratuità dell’Amore e della chiamata, naturalmente, riguarda anche coloro che sono chiamati ad essere ministri (servi) della Chiesa facendosi mediatori di quella salvezza gratuita che per primi essi hanno sperimentato: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

I nomi dei dodici apostoli sono … Mi consola sempre ascoltare i nomi degli apostoli. Uomini concreti, con le loro peculiarità caratteriali, con le loro difficoltà a comprendere, con le loro miserie umane. Uomini, tuttavia, che sentendosi chiamare si pongono alla sequela e resteranno con Gesù fino alla fine. Scelti liberamente dal Signore, rispondono come meglio possono. A loro Gesù dà l’autorità di annunziare il Regno e di operare per la salvezza dei fratelli. Per questo li ha chiamati: perché stessero con Lui e per mandarli a predicare (Cfr Mc 3,14-15).

Anche noi, ciascuno nella sua vocazione, siamo stati amati e chiamati gratuitamente dal Signore. Anche a noi il Gesù chiede di restare con Lui, di metterci alla sua sequela, riconoscendolo, con i fatti e nella verità, Signore della nostra Vita. Anche noi, facendo memoria dei prodigi che Egli ha compiuto nella nostra vita, siamo chiamati ad ascoltare la Sua Parola e a custodire la Sua alleanza.

Forse, però, non è facile per noi credere di essere amati gratuitamente. Abituati a doverci meritare l’amore di chi ci sta accanto, magari sentendoci sempre giudicati da quanti vivono con noi, ci riesce difficile credere che Dio possa amarci senza nostro alcun merito; e così siamo sempre a pronti a giudicare anche i nostri fratelli. Avvelenati dal sussurro del maligno che insinua il dubbio su Dio, abbiamo difficoltà a vedere i prodigi che continuamente Egli opera a nostro favore.

Eppure Gesù ci ama e ci ha salvati; e non smette di chiamarci alla Vita bella dei figli di Dio. Facciamo questo atto di fede, crediamo all’amore di Dio. Come Maria, che pur non comprendendo a pieno custodiva tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2,51), anche noi custodiamo in noi la Parola di Dio, ruminiamola con l’aiuto dello Spirito Santo. Sperimenteremo la Vita piena che solo Lui può donarci.

Fr. Marco

giovedì 15 giugno 2023

Imparate da me, che sono mite e umile di cuore

 

«Tu sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio: il Signore, tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra. Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli –, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri» (Dt 7,6-11)

«In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.» (1Gv 4,7-16)

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita.» (Mt 11, 25-30)

In questa solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù la liturgia della Parola ci fa contemplare l’Amore gratuito e fedele di Dio per noi.

Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti. Nella prima lettura, infatti, si afferma che Dio ama il suo popolo gratuitamente ed in maniera fedele. Il popolo non ha alcuna caratteristica per la quale possa meritare l’amore di Dio: «… non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli …, ma perché il Signore vi ama». L’unico “merito” del Popolo è l’essere amato da Dio.

Può capitare anche a noi di pensare di meritare l’amore di Dio. Credo che l’invito di questa solennità a compiere “atti di riparazione al Cuore di Gesù”, ci aiuti a capire che, come ci ricorda san Francesco, di nostro abbiamo solo il peccato: «E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te. E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati. Di che cosa puoi dunque gloriarti?» (FF 154; Amm. V) e ancora continua il Serafico Padre: «in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità  e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo.» (Ibid.).

«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore». Gesù ci esorta ad andare a Lui e ad imitarlo in una virtù fondamentale: l’umiltà senza la quale non può esistere la vera Carità, il vero amore di Dio e del prossimo. Senza umiltà, infatti, non vi può essere alcuna virtù in un’anima. Il mondo cerca l’apparenza, i gesti eclatanti; Dio, al contrario ama e sceglie per sé la via dell’umiltà.

Il primo tratto distintivo dell’umiltà di cuore, è avere una giusta conoscenza di sé e saper apprezzare gli altri. Il superbo, infatti, non ha una giusta conoscenza di sé: o si stima superiore agli altri, o non riconosce ciò che il Signore ha operato nella sua vita perché pretende di essere più grande di quello che è.

Questa conoscenza di sé, dei propri doni e delle proprie debolezze, però non è compiacenza o rassegnazione, ma pazienza con i propri limiti nel continuo impegno, con l’aiuto di Dio, per migliorarsi.

Contemplando quest’oggi l’amore gratuito e fedele di Dio per noi, prendiamo umilmente atto delle tante nostre incorrispondenze a questo Amore e umilmente chiediamogli il Perdono e la Grazia di amarLo imitando la Sua mitezza e umiltà e portando ogni giorno su di noi il Suo giogo – la Croce abbracciata per amore – rinnegando noi stessi per dare a Lui il primo posto nella nostra vita.

Fr. Marco

sabato 10 giugno 2023

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna

«Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.» (Dt 8, 2-3.14-16)

«Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.» (1Cor 10, 16-17)

«In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.» (Gv 6, 51-58)

In questa ​solennità del Corpo e Sangue del Signore la Parola ci presenta l’Amore misericordioso di Dio che si spinge fino a farsi nostro nutrimento perché abbiamo in noi la Vita.

Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere. Nella prima lettura, tratta dal Deuteronomio, ascoltiamo una rilettura dell’Esodo. Lungo il faticoso cammino attraverso il deserto in cui il Signore lo conduce dopo averlo fatto uscire dall’Egitto, il Popolo farà esperienza della propria debolezza e della propria incapacità a salvarsi la vita. Sperimenterà che il suo unico sostegno, ciò di cui deve nutrirsi, è quanto esce dalla bocca del Signore. Ciò significherà, innanzitutto, obbedienza alla Sua Parola, ma anche accoglienza del “pane dal cielo”: la manna, un cibo prodigioso donato dal Signore che permette ad Israele di rimanere in vita nel deserto.

«Questo è il pane disceso dal cielo …» Pur permettendo la sopravvivenza del Popolo, tuttavia, la manna non poteva dare la Vita, ecco perché Gesù nel Vangelo ci mostra il vero “pane dal cielo”, il solo cibo che dà la Vita Eterna: Lui stesso, Parola definitiva del Padre (il Verbo di Dio), che dona il Suo Corpo e il Suo Sangue come nutrimento.

L’esperienza di Israele nel deserto è paradigmatica per noi: il Signore con la Sua Pasqua ci ha liberati dalla schiavitù del peccato e della morte; il battesimo ci ha inseriti nella Passione e Resurrezione di Cristo, ma la libertà che il Signore ci ha donato, per essere accolta, perché la facciamo veramente nostra, comporta un lungo e faticoso cammino. Anche noi, nel deserto della vita, sperimentiamo l’umiliazione della nostra debolezza: l’incapacità di camminare nella via del Vangelo con le sole nostre forze.

Proprio a partire da questa consapevolezza, scopriamo l’immenso valore che ha per noi il Corpo e Sangue di Cristo. Veramente l'uomo non vive di solo pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore: della Sua Parola e del Suo Verbo fatto carne che per noi si fa pane del cammino, “pane dei pellegrini” dice la sequenza: mangiando questo Pane, possiamo trovare la forza per obbedire alla Parola e per giungere sempre più vicini a quella “terra promessa” che è la piena conformità a Cristo. Una conformità già iniziata nel battesimo, ma che, nutrendoci di Lui, facendo Comunione con Lui, deve crescere fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Cfr Ef 4,13) per divenire sempre più pienamente membra del Suo Corpo che è la Chiesa.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. Penso vada sottolineato che il Maestro usa il presente, non il futuro. La Vita Eterna è una realtà già presente in noi, non qualcosa che verrà. “Vita eterna”, infatti, non significa solo vita “senza fine”, ma anche e soprattutto una vita “qualitativamente” diversa: una vita piena, bella. Una vita che vale la pena di essere vissuta e non solo un infinito trascinarsi di giorni. La Vita Eterna, quindi, è già presente in chi si nutre del Corpo e Sangue del Signore; si tratta, tuttavia, di una presenza, “imperfetta”, non pienamente realizzata (quel “già e non ancora” che caratterizza il tempo della Chiesa); sarà pienamente realizzata alla resurrezione della carne.

Il dono della liberazione che ci è stato fatto nel battesimo, questa Vita Eterna già presente in noi che siamo morti e risorti con Cristo, è un dono che fa appello alla nostra responsabilità: siamo chiamati ad accogliere e custodire questo dono obbedendo sempre più perfettamente al Vangelo con la forza che riceviamo dall’Eucarestia. Ricorriamo con frequenza, allora, a questo “farmaco di immortalità”. Soprattutto quando sperimentiamo la nostra debolezza, quando ci sentiamo oppressi dalla nostra miseria; ricorriamo a questo “pane dei pellegrini” e riprendiamo a camminare fino alla piena realizzazione della nostra conformità a Cristo.

Fr. Marco

 

sabato 3 giugno 2023

Dio è Amore e relazione

«Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”». (Es 34,4-6.8-9)

«… La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.» (2Cor 13,11-13)

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3, 16-18)

Questa domenica, solennità della Santissima Trinità, la  Chiesa ci propone alla riflessione il Mistero centrale della nostra fede: l’unico Dio, Creatore del cielo e della Terra, è un solo Dio in tre Persone: il Padre (l’Amante) che dall’eternità genera il Figlio (l’Amato) donandosi totalmente a Lui e tutto ricevendo da Lui nello Spirito Santo (l’Amore). Il Nostro Signore Gesù Cristo è venuto fare conoscere agli uomini il vero volto di Dio: questa eterna processione d’amore in cui le tre Persone divine hanno tutto in comune tranne la loro identità personale (l’essere rispettivamente Padre, Figlio e Spirito).

La prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, ci porta sul monte Sinai con Mosè che, dopo il peccato di idolatria del popolo (il vitello d’oro), sale per la seconda volta sul monte a ricevere le tavole della Legge. In questo contesto, quasi a “correggere” l’errore del popolo che confondeva JHWH con uno degli idoli dell’Egitto, il Signore proclama il Suo Nome, rivela la Sua identità: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».

Anche noi, purtroppo, corriamo il pericolo di cadere nell’idolatria, di “farci un dio” in cui credere, un dio che risponda alla nostra esigenza di “ragionevolezza”; spesso è un dio a “nostra immagine”: esigente, pronto a condannare e a punire i nostri peccati; o, al contrario, un dio “senza pretese”, “bonaccione”, che, alla fine,  perdona tutti. Si tratta comunque di un “dio” fatto da noi e che quindi condivide i nostri limiti ed è incapace di salvarci.

«Dio ha tanto amato il mondo …» Queste parole mi colpiscono. Nel linguaggio dell’evangelista Giovanni, infatti, “mondo” indica generalmente ciò che nella Creazione rifiuta Dio. In questo senso, per esempio, lo usa Gesù in Gv 17,25: «Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto …». Tuttavia Dio ha tanto amato il mondo. Il Dio vivo e vero rivelato da Gesù Cristo è Amore, un Dio che Ama: misericordioso e pronto al perdono, ma che non tace la verità e corregge il peccato; un Dio che non rifiuta di camminare in mezzo al suo popolo, che si compromette con noi, che è pronto a scommettere su di noi. Il nostro Dio è il Padre che per salvarci ha inviato il Figlio nel mondo perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Lo stesso Padre che ha effuso il Suo Spirito che dentro di noi grida “Abbà, Padre”.

Il Dio di Gesù Cristo, il Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, è Agape, Amore che si dona, Amore e Comunione dall’eternità. È proprio a questo mistero di comunione che ci rimanda S. Paolo nella seconda lettura invitandoci a vivere in comunione tra noi.

La rivelazione del Dio Uno e Trino, però, non si limita a rivelare su Dio ciò che nessun filosofo con la sua sapienza poteva raggiungere, ma rivela qualcosa anche sull’Uomo: creato ad immagine e somiglianza della Santissima Trinità, l’Uomo è costitutivamente relazione, è fatto per la relazione, per amare ed essere amato, ed è felice e pienamente realizzato solo nella relazione. L’uomo è immagine del Dio trinitario e come tale si realizza solo quando permette all’amore-relazione che è in lui di manifestarsi. Il Signore ci conceda, contemplando il suo Amore Trinitario e ciò che esso è capace di compiere in chi lo accoglie, di realizzare pienamente la nostra vocazione all’amore per giungere a quella pienezza di vita per la quale siamo stati pensati fin dall’eternità.

Fr. Marco