venerdì 30 luglio 2021

Questa è l'opera di Dio

 


«… la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. … Allora il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge …» (Es 16,2-4.12-15)

«… non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri. Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù …» (Ef 4,17.20-24)

« “… voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà …”. Gli dissero allora: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”. Gesù rispose loro: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”» (Gv 6,24-35)

La pagina evangelica XVIII domenica del Tempo Ordinario ci presenta Gesù che, dopo la moltiplicazione dei pani, inizia il suo “discorso sul pane”: presenta se stesso come il Pane del Cielo, quello vero. Il racconto inizia con la folla in ricerca di Gesù. Il Maestro, però, sa bene che lo cercano con un atteggiamento “da pagani”, che cercano solo il loro interesse materiale: vogliono solo riempirsi la pancia. Sono ben lontani dall’avere visto i segni e riconosciuto in lui il vero e definitivo Profeta che conduce il Popolo di Dio nell’Esodo dal peccato alla libertà dei figli di Dio.

« Che cosa dobbiamo compiere …?» Il Maestro esorta questa folla affamata a cercare il Pane della Vita eterna, quello che solo può saziare la più autentica fame dell’uomo. I suoi ascoltatori, però hanno ancora una mentalità “pagana”: pretendono di potersi “acquistare” questo pane, di potere “compiere opere” che ottengano loro la Vita eterna. Gesù torna a correggerli: una sola è l’opera da compiere, accogliere il Pane del Cielo che il Padre ha inviato; credere in Gesù, fidandosi di Lui, riconoscendo di avere bisogno di Lui.

Anche a noi può capitare di cadere nello stesso errore, di comportarci come i pagani con i loro vani pensieri (II lettura). Accade quando cerchiamo Dio quasi come una “polizza assicurativa”, solo per il nostro interesse materiale immediato. Magari può capitarci di pensare che nel compiere le “opere di religione” facciamo qualcosa per Dio, accumuliamo meriti davanti a Lui e, in qualche modo, lo rendiamo “nostro debitore”.

«Questa è l’opera di Dio: che crediate …» Oggi Gesù ci mette in guardia; una sola è l’opera fondamentale che ci chiede: fidarci di Lui, credere in Lui e riconoscerlo nostro Signore. Le “opere di religione” acquistano così il loro vero senso: non sono qualcosa che noi facciamo per Lui, ma la conseguenza della nostra fede nel Signore che ci ama e ci ha donato tutto se stesso. Non più, quindi, qualcosa che noi facciamo per Dio, ma un dono che il Signore fa a noi perché possiamo giungere a quella Pienezza di vita che solo Lui ci può donare.

«… ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova …» Fondamentale nel nostro rapporto con Dio è l’atteggiamento di fiducia e Speranza che ci deve animare. È questo che YHWH “mette alla prova” quando, nel dare la manna per il nutrimento del popolo, ordina che se ne raccolga solo il necessario per la razione di un giorno; è ancora per questo che Gesù ci ha insegnato a chiedere “il pane quotidiano”.

Fidiamoci di Lui che si prende cura di noi. Smettiamo di pensare di poterci “salvare da soli” accumulando beni quasi che siano essi a darci la vita. Se ci disporremo dinanzi a Lui come anawim (i poveri di YHWH) che, pur facendo la loro parte, sanno di potere contare solo su Dio, vedremo le Sue meraviglie e gusteremo quella Vita Piena ed Eterna che Egli è venuto a regalarci.

Fra Marco

sabato 24 luglio 2021

Che cos’è questo per tanta gente?

 «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». (2Re 4,42-44)

« … comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.» (Ef 4,1-6)

«“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” … erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. … riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.» (Gv 6,1-15)

La Parola di Dio della XVII domenica del Tempo ordinario prosegue il racconto della “cura pastorale” di Gesù verso le folle. Domenica scorsa, nel Vangelo, contemplavamo Gesù, il Vero e Buon pastore che, avendo compassione ha della folla perché erano come pecore che non hanno pastore, si mette a insegnare, dà loro la guida di cui hanno bisogno per giungere ai “pascoli” della Vera Vita. Nei versetti successivi l’evangelista Marco racconta della moltiplicazione dei pani. 
La liturgia di questa domenica continua il racconto scegliendo, però, la versione del vangelo di Gv più ricco di simboli: l’erba su cui viene fatta sedere la folla, simbolo dei pascoli a cui il buon pastore conduce il gregge; la simbologia eucaristica dei gesti e delle parole di Gesù; le dodici ceste avanzate simbolo delle “dodici colonne” del nuovo popolo di Dio.
Centro della Parola odierna, oltre alla presentazione di Gesù come il Vero Pastore, il “profeta” atteso che attualizza i gesti di Mosè nell’esodo (Cfr. Dt 18,18), è la necessità della condivisione. L’indiscusso protagonista del brano evangelico è Gesù: prende l’iniziativa di nutrire la folla; provocatoriamente, pone la domanda: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?»; distribuisce il pane ed il pesce. 
Perché il miracolo si compia, tuttavia, Gesù chiede la collaborazione dei discepoli: si fa consegnare i cinque pani e due pesci, il poco posseduto da un ragazzo presente. Solo a partire da questo gesto di condivisione di chi non tiene per sé il poco che possiede, ma è pronto a donarlo con generosità, è possibile il miracolo che tutti abbiano da mangiare. 
La “logica del mondo”, improntata all’egoismo, insegna: «Meglio uno sazio che cento digiuni!» (e solitamente chi la pensa così è colui che sarà sazio). La logica evangelica, invece, ci insegna a donare con generosità, a “perdere”, per amore. Solo il pane condiviso è capace di saziare quella “fame” che nessun pane potrà mai saziare: la fame di amore, di fraternità, di comunione.
Gesù non ha cessato di prendersi cura del suo popolo: è ciò che avviene ad ogni celebrazione eucaristica in cui veniamo nutriti alla duplice mensa della Parola e dell’Eucarestia. Oggi come allora, però, il Maestro chiede la collaborazione della pochezza umana per potere compiere il suo miracolo. All’offertorio, insieme al pane ed al vino, siamo chiamati a presentare a Gesù ciò che essi significano: il nostro lavoro quotidiano, la nostra stessa vita, “la gioia e la fatica di ogni giorno”. È tutto questo che Lui moltiplica e “trasforma” per donarci se stesso, il Suo Corpo e Sangue che ci nutre per la vita eterna e ci dà la forza per unire la nostra vita alla Sua offerta per la salvezza del mondo.
Lo facciamo sacramentalmente durate la celebrazione, ma siamo poi chiamati a viverlo esistenzialmente uscendo dalle nostre chiese: siamo chiamati, sull’esempio del Maestro, a fare della nostra vita un dono d’amore; a non farci fermare dalla nostra pochezza: fidiamoci del Signore che la farà sovrabbondare. Siamo chiamati, infine, a “sopportarci nell’amore” gli uni gli altri: a sostenere la debolezza del fratello e della sorella che il Signore mi ha messo accanto, a sorreggerlo e a custodirlo.
Come ogni estate, anche in questi giorni stiamo assistendo a numerosi sbarchi sulle coste siciliane. Il “fenomeno migratorio” ci chiama alla solidarietà, a non chiudere il cuore dinanzi a questi fratelli e sorelle che, spinti da sogni e spesso illusi ed ingannati da veri e propri “trafficanti di uomini”, intraprendono un viaggio disperato verso una vita migliore (che spesso non trovano). Ognuno con il suo ruolo, abbiamo il dovere di rispondere a questo fenomeno. Chi ha il ruolo di Governo non può sottrarsi al compito di “governare” il fenomeno: regolamentando gli arrivi perché i fratelli e sorelle accolti possano realmente essere integrati e non buttati in mezzo alla strada a chiedere l’elemosina (o peggio schiavizzati sui marciapiedi o nei campi), come spesso ha ricordato Papa Francesco. L’Europa tutta è chiamata a farsi carico dell’accoglienza. Bisogna, inoltre, impegnarsi perché cessino nelle Terre di origine di questi fratelli e sorelle le condizioni di miseria spesso causate dalle “politiche coloniali” di quei paesi che, oltretutto, con più difficoltà si aprono alla prima accoglienza. Ad ognuno di noi compete, però, aprire realmente il cuore a questi fratelli e sorelle, non solo a parole o con begli slogan, ma concretamente per quanto si può con intelligenza e discernimento ( che sono doni dello Spirito. Se faremo così Vivremo la Vita Piena che il Signore ci ha pensato per noi e il mondo resterà affascinato dal nostro Maestro.
Fr. Marco

venerdì 16 luglio 2021

Ebbe compassione perché erano come pecore senza pastore

 «Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una.» (Ger 23,1-6)

«Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini.» (Ef 2,13-18)

«“Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. … Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.» (Mc 6,30-34)

Questa domenica, XVI del tempo ordinario, la Parola di Dio ci mostra Gesù come il Pastore che si prende cura delle pecore sbandate, senza pastore, dei "vicini" e dei "lontani" (seconda lettura): che prova compassione sia per la stanchezza dei suoi, sia per le folle di cui nessuno si cura.

Nella prima lettura, il profeta Geremia riporta il rimprovero che Dio rivolge ai pastori che non si prendono cura del gregge loro affidato, ma che lo sfruttano e allontanano i più bisognosi. Il Signore promette la punizione dei pastori che fanno perire e disperdono il gregge; soprattutto, promette che Lui stesso si prenderà cura delle sue pecore e susciterà un Pastore che si prenderà cura e salverà il suo popolo. 

La pagina di Vangelo, ci mostra appunto il Pastore che si preoccupa per i suoi. Domenica scorsa ascoltavamo che Signore aveva inviato i Dodici ad annunciare (Mc 6, 7-13); ora essi tornano entusiasti, ma stanchi. Il Maestro ha compassione di loro e li invita a ritirarsi per recuperare le forze: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Il loro “ritiro”, però, non dura che il tempo della traversata del lago in cui sicuramente si saranno attardati a riposare e pescare (tanto che le folle li possono precedere a piedi sull’altra riva).

Appena sbarcati, infatti, scorgono una grande folla. Le pecore hanno riconosciuto la voce del Pastore e lo seguono. Gesù ha compassione di questa folla e dà loro ciò ci cui hanno veramente bisogno: la Parola prima ancora del pane (la moltiplicazione dei pani sarà raccontata nei versetti immediatamente successivi).

La Parola oggi, quindi, si rivolge in prima istanza ai pastori, collaboratori del Pastore, per esortarli a prendersi cura delle pecore loro affidate; si rivolge, però, anche alle “pecore”, a coloro i quali hanno riconosciuto la voce del Pastore e intendono seguirlo. Ad entrambi insegna uno “stile pastorale” fatto di tempi di attività, ma anche di tempi di riposo in cui vivere una maggiore intimità con il Pastore; ad entrambi insegna che ciò di cui c’è veramente bisogno, prima ancora del pane, è la Parola che dia senso e gusto alla vita; diversamente non ci sarà pane capace di saziare la “fame di vita” del popolo di Dio.

La Parola di oggi, inoltre, esorta tutti, pastori e pecore, alla “compassione”, ad avere “viscere di misericordia” per coloro i quali hanno perso il senso del vivere e, allontanati da tutti, brancolano alla ricerca della Vita e spesso incontrano il non senso e la morte.

Penso che valga la pena di sottolineare, infine, che nel Vangelo di questa domenica, stranamente, non è il Pastore ad andare in cerca delle “pecore smarrite”, ma sono queste ultime che, avendone riconosciuto la voce, vanno in cerca del Pastore. Ritengo questo particolare istruttivo per noi oggi. Quando ci smarriamo, siamo invitati anche noi a non restare in passiva attesa che il Pastore ci venga a cercare. Sicuramente il Pastore, che ci ama più di quanto noi possiamo immaginare, ci cerca; i pastori suoi collaboratori sicuramente non possono omettere la ricerca dei lontani; anche questi ultimi, tuttavia, sono invitati alla ricerca del Pastore che solo può saziare la loro fame e dare loro la pace di cui ci parla oggi san Paolo.

Fr. Marco

sabato 10 luglio 2021

Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo!

 «Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele». (Am 7,12-15)

«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità …» (Ef 1,3-14)

«Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.» (Mc 6,7-13)

In questa XV domenica del Tempo Ordinario la Parola di Dio ci invita a riflettere sul nostro essere chiamati alla missione. Per il nostro battesimo, infatti, conformati a Cristo Re, Sacerdote e Profeta, siamo chiamati alla profezia, ad annunziare il Regno dei Cieli, per ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. Una chiamata gratuita, che non abbiamo cercato né meritato, in cui è il Signore con la Sua liberalità ad avere l’iniziativa. A noi solo la responsabilità della risposta.

… mi prese, mi chiamò … Il Signore mi disse. Nella prima lettura ascoltiamo il profeta Amos che riconosce la gratuità della scelta del Signore. Così nel Vangelo: è il Signore che chiama e manda. È Lui che prende l’iniziativa ed è ancora il Signore che dona la grazia per compiere la missione.  La seconda lettura, inoltre, ci ricorda che tutti noi siamo stati scelti e chiamati ad essere santi e immacolati nella carità.

L’evangelista S. Marco nel capitolo 3 del suo Vangelo, aveva annotato che Gesù «chiamò a sé quelli che egli volle … perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni.» (Mc 3,13-15). Dopo avere descritto lo stare con Lui, nei capitoli che precedono la pericope odierna, questa Domenica l’evangelista ci racconta l’invio in missione. Una missione in cui i Dodici, capostipiti del Nuovo Israele, sono invitati a non fare affidamento sulle loro forze o su “sicurezze mondane”: possono prendere con se solo il bastone, simbolo del loro essere pellegrini e forestieri (Cfr 1Pt 2,11) che si affidano solo alla potenza di Colui che li invia e del Vangelo che annunciano.

Prese a mandarli a due a due. Fondamentale è rimanere nella comunione con il Maestro e quindi con i fratelli. Ecco perché il Signore li invia a due a due: perché lì dove due o tre sono riuniti nel Suo nome, Lui è in mezzo a loro (Mt 18,20) e perché solo se avranno amore l’uno per l’altro saranno riconoscibili come discepoli del Cristo (Cfr. Gv 13,35)

… proclamarono che la gente si convertisse … Prima ancora dello scacciare i demòni e dell’operare guarigioni, l’evangelista nota l’appello alla conversione, a lasciare, cioè, le proprie vie e la via del peccato, per accogliere il Vangelo. Convertirsi è ciò che altrove san Paolo descrive esortando «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.» (Rm 12,2). È a partire da questo che è possibile entrare nella Signoria di Cristo ed essere guariti e liberati.

Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero … La missione, tuttavia, comporta anche il rischio del rifiuto. Coloro che vivono nella logica del mondo, asserviti alla ideologia dominante, mal sopportano l’annuncio della Parola. Ne fa l’esperienza Amos nella prima lettura, ma ne fanno esperienza anche i profeti di tutti i tempi. Dinanzi al rifiuto, il Maestro comanda agli apostoli un gesto profetico: «andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». È il gesto di chi prende le distanze, di chi non vuole mischiarsi con certe logiche e rimanda tutto al Giudizio divino (i passi paralleli citano la punizione di Sodoma e Gomorra).

Prendendo consapevolezza del fatto che siamo stati amati e chiamati fin da prima della creazione del mondo, uniamoci a S. Paolo nel benedire il Padre del Signore nostro Gesù Cristo e impariamo a corrispondere a tanto amore, rendendo la nostra testimonianza, lì dove il Signore ci ha voluti, confidando non sulle nostre capacità o su i mezzi che sapremo procurarci, ma sul Fatto che Colui che ci ha chiamati ed inviati non ci lascia soli e opera anche attraverso di noi.

Fr. Marco

sabato 3 luglio 2021

La forza si manifesta pienamente nella debolezza.


 «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me.» (Ez 2,2-5)

«Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». ( 2Cor 12,7-10)

​«“Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo.» (Mc 6,1-6)

La Parola di questa XIV Domenica tratta ancora di fede e incredulità, di obbedienza e ribellione. La prima lettura, infatti, racconta della vocazione del profeta Ezechiele che viene inviato ad annunciare ad una razza di ribelli, che non vuole ascoltare la Parola di Dio. Nella pagina del Vangelo, i conterranei di Gesù si “scandalizzano” nel sentire la Parola di Dio annunciata dal falegname, il figlio di Maria, di cui conoscono tutta la parentela.

Non è costui il falegname …? Anche a noi può capitare di volere insegnare a Dio non solo “cosa” rivelare, ma anche “come” rivelarsi. Forse pensiamo che Dio per rivelarsi dovrebbe scegliere mezzi “alti”, “straordinari”: che parli solo attraverso i sacerdoti (meglio ancora se si presentano austeri, lontani dalla nostra quotidianità), o i veggenti; magari immaginiamo che adoperi un “linguaggio arcano”. Lo Spirito di profezia, invece, viene nel quotidiano, scende nella mia casa e nella casa del mio vicino, entra là dove la vita celebra la sua mite e solenne liturgia, la trasfigura da dentro. Il Dio onnipotente sceglie la via della debolezza per accostarsi a noi e farsi conoscere. Trovo che questo sia di conforto per noi tutti suoi discepoli chiamati alla testimonianza: ogniqualvolta facciamo esperienza della nostra debolezza, sperimentiamo la nostra insufficienza, siamo chiamati a ricordarci che Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti (1Cor 1,28) e che la forza si manifesta pienamente nella debolezza.

Ed era per loro motivo di scandalo. L'umanità di Gesù, la prossimità di Dio, scandalizza. È  proprio questa, però, la buona notizia del Vangelo: Dio ha un volto d'uomo, è venuto in mezzo a noi. Il Dio Amore annunziato e testimoniato da Gesù Cristo non è rimasto nell’impassibilità del Cielo, ma si è chinato sulle miserie dell’umanità: impariamo a riconoscerlo inginocchiato a terra con una brocca in mano e un asciugamano ai fianchi o piagato e crocifisso; impariamo a riconoscerlo nei piccoli e sofferenti: di loro Gesù ci ha detto che qualunque cosa avremmo fatto a uno solo dei suoi fratelli o delle sue sorelle più piccole, l'avremmo fatta a lui (cfr. Mt 25,40).

E si meravigliava della loro incredulità. Dinanzi al rifiuto dei compaesani, come dinanzi al nostro rifiuto, Gesù non si scandalizza. Si meraviglia, ma non si arrende. Il Dio che ordina a Ezechiele di annunciare ascoltino o non ascoltino, non rinuncia ad annunziare la Misericordia del Padre e l’avvento del Regno.

Concludendo il racconto della visita di Gesù a Nazareth, l’evangelista Marco annota: «Non vi poté operare nessun prodigio»; subito, però, aggiunge: «Solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L'amante respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo. L'amore non è stanco: è solo stupito. Così è il nostro Dio: non nutre mai rancori, continua a manifestare il Suo Amore che chiede solo di essere corrisposto. Se solo sapremo abbandonarci alla Sua Grazia, il Signore non tarderà a manifestare la Sua potenza salvifica.

Fr. Marco