giovedì 31 agosto 2023

Il Pianto della Madre

 Dal 29 agosto all’1 settembre del 1953 a Siracusa, in una casetta in via degli Orti n. 11, un capezzale in gesso raffigurante il Cuore Immacolato di Maria ha lacrimato. 

In questo settantesimo anniversario ripropongo il giudizio emesso il 13 dicembre 1953 dall’episcopato Siciliano nella persona del Card. Ernesto Ruffini che, dichiarando autentica la Lacrimazione di Maria a Siracusa, dichiarava:

«I Vescovi di Sicilia, riuniti per la consueta Conferenza in Bagheria (Palermo), dopo aver ascoltato l’ampia relazione dell’Ecc.mo Mons. Ettore Baranzini, Arcivescovo di Siracusa, circa la “Lacrimazione” della Immagine del Cuore Immacolato di Maria, avvenuta ripetutamente nei giorni 29-30-31 agosto e 1 settembre di quest’anno, a Siracusa (via degli Orti n. 11), vagliate attentamente le relative testimonianze dei documenti originali, hanno concluso unanimemente che non si può mettere in dubbio la realtà della Lacrimazione. Fanno voti che tale manifestazione della Madre Celeste ecciti tutti a salutare penitenza ed a più viva devozione verso il Cuore Immacolato di Maria, auspicando la sollecita costruzione di un santuario che perpetui la memoria del prodigio».

«Comprenderanno gli uomini l’arcano linguaggio di queste lacrime?», si chiedeva Papa Pio XII, nel Radiomessaggio del 1954. Maria a Siracusa non ha parlato come a Caterina Labouré a Parigi (1830), come a Massimino e Melania a La Salette (1846), come a Bernadette a Lourdes (1858), come a Francesco, Giacinta e Lucia a Fatima (1917), come a Mariette a Banneux (1933).

Le lacrime sono l’ultima parola, quando non ci sono più parole. Le lacrime di Maria sono il segno dell’amore materno e della partecipazione della Madre alle vicende dei figli. Chi ama condivide.

Le lacrime sono espressione dei sentimenti di Dio verso di noi: un messaggio di Dio all’umanità.

L’invito pressante alla conversione del cuore e alla preghiera, rivoltoci da Maria nelle sue apparizioni, ci viene ancora una volta ribadito attraverso il linguaggio silenzioso ma eloquente delle lacrime versate a Siracusa.  Maria ha pianto da un umile quadretto di gesso; nel cuore della città di Siracusa; in una casa vicina ad una chiesa cristiana evangelica; in una abitazione molto modesta abitata da una giovane famiglia; su una mamma in attesa del suo primo bambino ammalata di tossicosi gravidica. Per noi, oggi, tutto ciò non può essere senza significato …

Dalle scelte fatte da Maria per manifestarci le sue lacrime è evidente il tenero messaggio di sostegno e di incoraggiamento della Madre: Ella soffre e lotta insieme a coloro che soffrono e lottano per difendere il valore della famiglia, l’inviolabilità della vita, la cultura dell’essenzialità, il senso del Trascendente di fronte all’imperante materialismo, il valore dell’unità. Maria con le sue lacrime ci ammonisce, ci guida, ci incoraggia, ci consola.

Il 6 Novembre 1994, Giovanni Paolo II, in visita pastorale alla città di Siracusa, durante l’omelia per la dedicazione del Santuario alla Madonna delle Lacrime, ha così detto:

 «Le lacrime di Maria appartengono all’ordine dei segni: esse testimoniano la presenza della Madre nella Chiesa e nel mondo. Piange una madre quando vede i suoi figli minacciati da qualche male, spirituale o fisico.

Santuario della Madonna delle Lacrime, tu sei sorto per ricordare alla Chiesa il pianto della Madre. Qui, tra queste mura accoglienti, vengano quanti sono oppressi dalla consapevolezza del peccato e qui sperimentino la ricchezza della misericordia di Dio e del suo perdono! Qui li guidino le lacrime della Madre.

 Sono lacrime di dolore per quanti rifiutano l’amore di Dio, per le famiglie disgregate o in difficoltà, per la gioventù insidiata dalla civiltà dei consumi e spesso disorientata, per la violenza che tanto sangue ancora fa scorrere, per le incomprensioni e gli odi che scavano fossati profondi tra gli uomini e i popoli.

Sono lacrime di preghiera: preghiera della Madre che dà forza ad ogni altra preghiera, e si leva supplice anche per quanti non pregano perché distratti da mille altri interessi, o perché ostinatamente chiusi al richiamo di Dio.

 Sono lacrime di speranza, che sciolgono la durezza dei cuori e li aprono all’incontro con Cristo Redentore, sorgente di luce e di pace per i singoli, le famiglie, l’intera società».

venerdì 25 agosto 2023

Su questa pietra edificherò la mia Chiesa

 «In quel giorno avverrà che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa … Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire.» (Is 22, 19-23)

«O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33-36)

«A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». (Mt 16,13-20)

Nella pagina di Vangelo di questa XXI domenica del tempo ordinario Gesù, dopo essersi informato sul parere della gente nei suoi riguardi, chiede ai discepoli e a noi: «Ma voi, chi dite che io sia?».

Credo sia importante soffermarsi sulla congiunzione avversativa “ma”. Rispondendo riguardo il parere della gente nei confronti del Maestro i discepoli avevano presentato, in terza persona, le “voci” che circolavano: per “quelli di fuori”, per coloro che ne hanno solo sentito parlare, Gesù è un profeta che si inserisce nella linea della profezia veterotestamentaria e parla a nome di Dio. Certamente è vero. Questa, però, non può essere la stessa opinione di coloro che lo hanno conosciuto personalmente, che hanno camminato con lui, che hanno sperimentato la sua presenza. A questa esperienza diretta fa riferimento Gesù passando dalla terza alla seconda e prima persona: «Ma voi, chi dite che io sia?».

Nel riportare il parere della gente, senza esporsi personalmente, la risposta dei discepoli è corale (“risposero”). Alla seconda e più compromettente domanda, invece, risponde solo Pietro illuminato dallo Spirito: «Tu sei il Cristo, il figlio di Dio, il vivente» (trad. letterale).

Con questa risposta Pietro si dimostra docile allo Spirito, disponibile a lasciarsi illuminare dalla fede. È per questo che il Maestro gli affida la potestà vicaria di governare la Sua Casa e lo pone a fondamento della Chiesa: «A te darò le chiavi del regno dei cieli …»

La prima lettura di oggi ci aiuta a capire meglio la consegna delle chiavi del Regno. Come a Pietro nel Vangelo, infatti, anche a Eliakìm, vengono affidate “le chiavi” di un Regno che non gli appartiene, ma del quale è governante: “maggiordomo” del Regno di Dio. Così nel Vangelo, il Regno appartiene al Signore Gesù. Pietro viene posto a governare proprio in ragione della sua docilità a lasciarsi illuminare. Il Signore, nella imperscrutabilità dei suoi giudizi (II lettura), lo ha scelto per essere a capo della Sua Casa. La Roccia, la Pietra d’Angolo, resta il Cristo; Pietro è “pietra di fondamento” nella misura in cui resta unito a Gesù.

A questa pietra, però vanno unite tante altre “pietre vive” per l’edificazione della Chiesa. È ciò che chiediamo nella preghiera colletta, ed è il motivo per cui anche a noi oggi Gesù pone la domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?». Se siamo di quelli che lo hanno incontrato e scelto come Signore della propria vita, Gesù ci chiede un coinvolgimento personale nella risposta. Non possiamo limitarci a riportare risposte “per sentito dire”.

Per quelli di fuori, spesso, Gesù si limita ad essere un grande maestro. Per qualcuno è un “maestro tradito”, del quale è stato travisato il messaggio. Per molti si tratta di un personaggio relegato nel passato alla stregua di un Socrate o di un Platone. La risposta della fede data da Pietro lo riconosce Dio e Vivente: «Tu sei il Cristo, il figlio di Dio, il vivente». Ho voluto riportare la traduzione letterale per evidenziare un articolo che la traduzione CEI perde. Sicuramente Pietro intendeva dire “Dio vivente” riprendendo una nota espressione veterotestamentaria. Ritengo, tuttavia, che l’ultimo articolo possa aprirsi all’ambiguità che permette di vedere nella confessione di Pietro la fede post-pasquale che riconosce in Cristo “il vivente”, colui “che più non muore” e che regna in eterno sulla sua Chiesa.

«Ma voi, chi dite che io sia?» Chi è per me Gesù? È un personaggio storico che ha detto tante belle cose, ma che poco o nulla ha a che fare con la mia vita quotidiana? O è il Vivente, colui che ancora Parla e guida la Chiesa, colui che ho riconosciuto Signore della mia vita? Solo se, docile all’illuminazione dello Spirito, saprò riconoscere con la mia vita, nei fatti, che Gesù è «il Cristo, il figlio di Dio, il vivente» allora, unito a Pietro e fondato su Cristo, sarò pietra viva per l’edificazione della Chiesa.

Fr. Marco

venerdì 18 agosto 2023

Praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire

 «Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.» (Is 56,1.6-7)

«Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!» (Rm 11,13-15.29-32)

«Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri» (Mt 15,21-28)

La buona notizia che ci annunzia la Parola di questa XX domenica del tempo ordinario è che il Signore offre la salvezza a tutti gli uomini di buona volontà.

Già nella prima lettura tratta dal libro del Profeta Isaia, infatti, si afferma il desiderio di Dio: condurre “gli stranieri” sul suo santo monte per colmarli di gioia. Non è l’appartenenza ad un particolare popolo, ad un determinato gruppo o ad un’élite ad essere determinante per essere salvato. Ciò che conta è aderire al Signore, servirlo ed amarlo con tutto il cuore, obbedire alla Sua legge scritta nei nostri cuori. 

La Chiesa è il Popolo della Nuova ed Eterna Alleanza che ha accolto la pienezza della Rivelazione in Gesù Cristo, Via, Verità e Vita, il solo attraverso il quale si giunge al Padre (Cfr. Gv 14,6). La salvezza, tuttavia, è offerta a chiunque, alla sincera ricerca del Vero e del Buono, agisce secondo la propria coscienza. Lo ha ribadito anche il Concilio Vaticano II al n. 16 della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium: «… quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna.» (LG 16 ripreso dal CCC 847). Chi cerca il Vero e il Buono, infatti, anche se non lo sa, cerca Gesù.

Anche la pagina evangelica di oggi ci mostra la chiamata universale alla salvezza: la donna Cananèa è una pagana, non appartiene al popolo eletto. Gesù stesso, secondo la logica giudaica del tempo, ribadisce la sua estraneità al popolo dell’alleanza: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Eppure questa donna pagana riconosce Gesù come Messia (figlio di Davide) e Signore e, con la sua fede umile e perseverante, ottiene ciò che chiede e persino la lode: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».

Per essere salvato, allora, non serve l’appartenenza esteriore ad un popolo o ad un gruppo. Ciò che conta è l’adesione reale (anche se magari non tematizzata) al Signore Gesù, l’umile riconoscimento della propria piccolezza e incapacità di salvarsi da soli; la perseveranza nella preghiera, la fiducia nel Signore che si concretizza nell’amore e nel sevizio ai fratelli. Comportandoci così saremo davvero discepoli del Signore e saremo anche noi condotti sul suo santo monte per esservi colmati di Gioia.

A questo punto penso non sia superfluo per ciascuno di noi domandarsi: io che ascolto la Parola e magari appartengo a un gruppo di preghiera,  ad un itinerario di fede, ad un ordine religioso …, io che sono parte del Popolo della Nuova ed Eterna Alleanza, sono tra quelli che hanno realmente aderito al Signore?

Fr. Marco

lunedì 14 agosto 2023

Un segno grandioso apparve nel cielo

 «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle.» (Ap 11,19; 12,1-6.10)

«Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo.» (1Cor 15,20-26)

«Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,39-56)

Nella solennità di Maria SS. Assunta in Cielo il Vangelo ci propone il viaggio di Maria verso la cugina Elisabetta e il cantico del Magnificat elevato da Maria al saluto della parente.

L’evangelista Luca nel sul racconto segue la traccia della narrazione, fatta nel II libro di Samuele, della salita dell’Arca dell’alleanza a Gerusalemme nella casa di Obed Edom (2Sam 6,1-11). Coperta dallo Spirito Santo e portando nel grembo il Verbo fatto carne, Maria è la Nuova Arca della definitiva Alleanza che Dio ha stipulato con l’uomo. Come l’antica Arca dell’alleanza, che custodiva le tavole della legge e la manna, Maria porta nel suo grembo il Legislatore e il Pane della Vita ed è testimonianza della presenza di Dio in mezzo al popolo, primizia e caparra delle meraviglie che il Signore è capace di compiere.

Contemplando Maria Assunta in Cielo, oggi la Chiesa, è invitata a contemplare il destino finale al quale il Signore ha destinato il popolo della nuova alleanza. Così la Costituzione Conciliare Lumen gentium ci invita a guardare a Maria: «La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore». Contemplando Maria, siamo quindi invitati alla Speranza: il Signore ha per noi progetti di salvezza.

Guardando alla vita di Maria e alla sua glorificazione finale, impariamo da questa santissima madre a non dubitare mai dell’amore del Padre. Impariamo a riconoscere con umiltà i prodigi che il Signore compie nella nostra vita e a rendere grazie per essi. Impariamo ad accogliere con fiducia e attenzione la Parola di Dio perché possa portare frutto in noi e conformarci sempre più al nostro Signore Gesù Cristo. Impariamo ad accogliere in noi l’Amore di Dio e ad amare per primi e gratuitamente i fratelli. Guardando al Cuore Immacolato di Maria, ardente di vero Amore, impariamo a perdonarci reciprocamente e a pregare per coloro che ci fanno del male. Impariamo, infine, da questa perfetta discepola a rimanere uniti al Signore anche quando il Maestro ci chiede di seguirlo sulla via della croce.

Solo facendo così potremo anche noi dirci discepoli di Gesù e veri devoti di Maria. Imploriamo l’intercessione di Maria perché il Signore ci conceda la grazia di seguirlo come suoi autentici discepoli. Il mondo possa riconoscere in tutti noi la presenza del Maestro e accogliere la Signoria di Cristo perché possiamo un giorno ritrovarci tutti alla presenza della Gloria di Dio.

Fr. Marco

venerdì 11 agosto 2023

Non abbiate paura!

 « … ecco che il Signore passò. … il sussurro di una brezza leggera.» (1Re 19,9.11-13)

​«Vorrei essere io stesso anàtema, separato da Cristo, a vantaggio dei miei fratelli.» (Rm 9,1-5)

«Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14,22-33)

La Parola di Dio della XIX domenica del TO ci invita ancora una volta a riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita e a non lasciare che la paura ci impedisca di agire.

Nella prima lettura ascoltiamo del profeta Elia che, perseguitato e scoraggiato, sale sull’Oreb dove il Signore lo ha chiamato per ascoltare la Parola. Il vento impetuoso, il terremoto e il fuoco sono manifestazioni solitamente legate alle teofanie, alle manifestazioni divine;  ma “il Signore non era” in esse. È necessario che Elia faccia silenzio perché possa sentire e riconoscere la voce di Dio nel sussurro di una brezza leggera. È il particolare “stile” di Dio, che per manifestare la sua onnipotenza sceglie la debolezza, quasi l’insignificanza, il farsi piccolo per fare posto all’altro.

Nella pagina di Vangelo gli apostoli, costretti dal Maestro a salire sulla barca per sottrarli alla tentazione della gloria per avere sfamato la folla, tutti presi dalla preoccupazione per la tempesta in cui si trovano, quando scorgono Gesù non lo riconoscono e lo scambiano per un fantasma.

Raccontando questo evento, l’evangelista Matteo si rivolge in prima istanza alla sua comunità che attraversa “la tempesta” della persecuzione e forse comincia a chiedersi se non abbia creduto in un “fantasma”, in qualcosa di irreale, in una fantasia. A loro e a noi oggi Gesù dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» È quel “Io Sono” che traduce il tetragramma divino JHWH, il “nome” rivelato a Mosè e che andrebbe meglio tradotto con “Io ci sono”, “io sono presente”. Anche quando attraversiamo le tempeste della vita, Dio non è lontano, non si è dimenticato di noi, ma è lì presente e ci chiede di fidarci di Lui.

Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque. Al comando del Maestro, Pietro, desideroso di una prova della reale presenza di Gesù, tenendo gli occhi fissi su di Lui, si fida, lascia la sicurezza della barca e riesce a camminare sulle acque in tempesta. Quando però permette che la paura per il vento e il mare grosso prendano in sopravvento, comincia ad affondare. Anche allora, tuttavia, Pietro ha un estremo slancio di fiducia: «Signore, salvami!». Prima o poi può accadere a tutti di attraversare le “tempeste della vita” e di non percepire più la presenza del Signore. Anche in quei momenti, però, non lasciamo che il frastuono della tempesta ci impedisca di ascoltare la “voce della brezza leggera”. Non permettiamo che si insinui il dubbio nella nostra vita.

«Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» Pietro comincia ad affondare quando dubita. Ma di cosa dubita? Non di Gesù, che infatti invoca per essere salvato, ma di sé. Dubita forse delle proprie capacità perché ha distolto l’attenzione da Gesù e teme di dovere affrontare da solo la tempesta. Forse dubita di avere capito bene il comando del Maestro. Dubbi nei quali anche noi possiamo facilmente cadere. Il modo di agire di Dio, infatti, è tale che può capitare che ciò che per opera dello Spirito appare chiaro in un istante, non lo sia più in seguito; può capitare che nel cuore si insinui il dubbio: «Avrò capito bene? Non avrò frainteso? È veramente questa la volontà di Dio?».

«Coraggio sono io, non abbiate paura». Avere il coraggio della fede, camminare nella fede, significa non avere altra certezza che la Parola di Dio una volta ascoltata dentro di sé; significa, dopo avere seriamente fatto discernimento, magari lasciandosi aiutare da qualcuno più avanti nel cammino che ci faccia da specchio, richiamare alla memoria quel momento di chiarezza e fidarsi di Dio anche contro ogni evidenza.

Siamo ormai prossimi alla solennità di Maria SS. Assunta in Cielo e tra qualche settimana a Salemi celebreremo la Festa della Madonna della Confusione, impariamo dalla nostra santissima Madre il coraggio della Fede. Per tutta la sua vita Maria ha camminato nella Fede continuando coraggiosamente a seguire il Figlio anche quando non comprendeva le sue azioni, anche quando il suo popolo lo rifiutava. Penso di potere affermare, però, che l’atto più grande del coraggio della Fede, Maria lo compia sul Calvario ai piedi della Croce: come riconoscere nel suo Figlio crocifisso e morente il Messia atteso, il Figlio dell’Altissimo? Eppure Maria è lì e continua a credere. Stando presso la croce di Gesù, è come se Maria continuasse a ripetere in silenzio, con i fatti: «Eccomi! Sono qui, mio Dio; continuo ad avere fiducia». Pietro, invitato dal Signore a seguirlo sulle acque in tempesta, dubita e per questo rischia di affondare. Maria nell’ora delle tenebre è capace di seguire il suo Figlio e Maestro senza dubitare, senza lasciarsi sopraffare dalla paura.

Impariamo dalla nostra Madre Celeste a fidarci di Dio, a non lasciarci vincere dal dubbio e dalla paura. Anche quando ci troviamo “nella tempesta”, quando non comprendiamo dove la volontà di Dio ci stia conducendo, quando il Maestro ci sembra solo “un fantasma”, un sogno  o magari il frutto della nostra immaginazione; anche allora non cediamo alla paura, e, facendo memoria di quei momenti di chiarezza che il Signore ci ha donato, imitiamo il coraggio della nostra Madre celeste.
Maria, la donna coraggiosa, interceda per noi e ci conceda di vincere le nostre paure per riconoscere e compiere sempre più perfettamente la volontà di Dio.

Fr. Marco

giovedì 3 agosto 2023

Alzatevi e non temete

 «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d'uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.» (Dn 7,9-10.13-14)

«Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza.» (2Pt 1,16-19)

«Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”» (Mt 17,1-9)

​La Parola di Dio della festa della Trasfigurazione del Signore ci presenta la gloria di Cristo profetizzata dal profeta Daniele e anticipata ai discepoli. Nella pagina di Vangelo di oggi, infatti, il Signore si manifesta come quel Re, il cui regno non finirà mai, profetizzato dal profeta Daniele (I lettura). Per giungere a questa gloria, però, Gesù dovrà passare attraverso la Croce accolta per amore.

Trovo che sia interessante, a questo riguardo, soffermarci sul “compiacimento” di cui ci parla la “Voce dalla nube”. Il riferimento immediato è al “Primo canto del Servo del Signore” (Is 42, 1). Ritengo, tuttavia, che non sia errato richiamare anche il “quarto canto” in cui si dice che “al Signore è piaciuto (letteralmente: si è compiaciuto) prostrarlo nei dolori” (Is 53, 10); il compiacimento qui è dovuto alla solidarietà del servo innocente con il popolo colpevole per il quale subisce il castigo. Una solidarietà che giunge fino alle estreme conseguenze. Gesù realizza pienamente questa profezia accettando tutto il male dell’umanità su di sé, lui l’unico innocente, per mostrarci lo sconfinato amore di Dio per ciascuno di noi.

Alzatevi e non temete. Nella pagina evangelica Gesù chiede ai suoi discepoli di “alzarsi”, di lasciare le mediocri sicurezze in cui li confina la loro paura, per intraprendere con lui il cammino che li porterà ad attraversare il deserto della sofferenza per giungere alla pienezza della vita. La pericope evangelica di Matteo comincia con l’indicazione temporale (Sei giorni dopo) con la quale l’evangelista richiama il primo annunzio della passione (Mt 16,21), e si conclude con il riferimento alla resurrezione dai morti. Lo scopo della trasfigurazione, quindi, è fare intravedere ai discepoli, spaventati dalla prospettiva della sofferenza del Maestro, l’esito finale del cammino di sequela cui sono chiamati (Mt 16, 24). Gesù, annunziato dalla Legge e dai Profeti (Mosè ed Elia), fa intravedere ai discepoli la sua glorificazione che sarà pienamente rivelata nella Resurrezione. 

San Pietro, testimone oculare della trasfigurazione, nella seconda lettura di oggi la richiama proprio a riprova del fatto che possiamo fidarci: obbedendo al Vangelo non andiamo dietro a favole artificiosamente inventate come vorrebbe farci credere il mondo. Obbediamo, invece, alla Verità che corrisponde alla verità del nostro essere e conseguiamo la piena realizzazione della nostra vita entrando anche noi nella compiacenza del Padre. Non è il Vangelo che ci inganna, ma “il principe di questo mondo”, il “padre della menzogna”, che vuole farci credere che non abbiamo bisogno di Dio, che Dio non ci ama. Le sue insinuazioni menzognere, volte a farci smarrire la via della Vita, assumono varie forme e giungono ai due estremi mostrandoci, da una parte, un Dio che, in sostanza, si disinteressa di noi: possiamo fare quello che vogliamo, tanto Lui, alla fine, perdonerà tutti e ci accoglierà nel suo Regno. È un’immagine deformata del Padre Misericordioso, un Dio del tutto irrispettoso della nostre scelte e della nostra libertà. Il Padre Misericordioso vuole tutti salvi, tutti ci ha creati per il Suo Regno e di esso ci ha mostrato la via. Rispetta, tuttavia, la nostra terribile libertà di non accoglierlo, di dirgli con la nostra vita: «Faccio da solo», «So io ciò che è giusto». Il Padre non manda nessuno all’inferno, siamo noi, con le nostre scelte, che ci autoescludiamo dal Suo Regno e dalla comunione con Lui.

All’estremo opposto, il diavolo ci insinua che Dio è un tiranno pronto a castigarci per ogni nostra piccola mancanza; un Dio spietato pronto a schiacciarci per ogni nostra mancanza; un tiranno così tremendo, da farci sentire il bisogno di liberarcene finendo per accontentarci di vivere la nostra vita nella mediocrità.

Alzatevi e non temete. Mostrandoci la Sua Gloria e l’Amore di Dio che accoglie la sofferenza della Croce per la nostra salvezza, oggi Gesù chiede anche a noi di alzarci e di non temere; di lasciare le nostre “mediocri sicurezze”, le nostre “mezze misure” che ci fanno dire “fin qui, ma non oltre”, per seguirlo nella follia dell’amore che non si risparmia, che non accetta compromessi. Solo chi prende la sua croce e segue il Maestro nella via dell’Amore senza riserve potrà giungere a quella Vita eterna e piena che il Padre ha pensato per noi.

Fr. Marco