sabato 30 maggio 2020

Come il Padre ha mandato me, io mando voi


«Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.» (At 2,1-11)

«Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.» (1Cor 12, 3b-7.12-13)

«Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20, 19-23)

​La solennità della Pentecoste porta a compimento il tempo e il mistero della Pasqua: per la liturgia questi cinquanta giorni sono come un grande giorno in cui facciamo memoriale della nostra redenzione.
Anche il giudaismo conosce la festa di Pentecoste in cui fa memoria dell’alleanza al Sinai ratificata dal dono della Legge (Es 19-20; Nel Cap 2 degli Atti S. Luca sembra alludere proprio alla teofania al Sinai parlando di tuono, terremoto e fuoco dal cielo.) Il fatto che lo Spirito scenda sugli apostoli proprio il giorno in cui il Popolo commemorava l’alleanza e il dono della legge indica nello Spirito la Legge nuova  che suggella la nuova alleanza e che consacra il popolo regale e sacerdotale che è la Chiesa. Si realizza la profezia di Geremia: «Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo.» (Ger. 31, 33).
Questa legge scritta sul cuore è l’Amore, che Egli ha effuso nei nostri cuori nel Battesimo mediante lo Spirito, e che ci rende capaci di mettere in pratica tutte le altre leggi. La legge antica, infatti, ci rende consapevoli del peccato, ma non è in grado di liberarci da esso. Obbedienze e disobbedienza, infatti, osservanza o meno della legge, sono manifestazioni di un movimento del cuore. Ecco perché il “tronco del peccato”, cioè l’egoismo e “l’amore di se spinto fino all’odio di Dio” (secondo la definizione di S. Agostino), non può essere cancellato dall’osservanza di una legge, ma solo se si sarà ristabilito quello stato di Amicizia che c’era tra Dio e l’uomo all’origine.
Gesù sulla Croce ha riconciliato l’uomo a Dio, ha distrutto, il cuore di Pietra. Lo Spirito Santo è dono del Risorto, è Spirito pasquale. Il vangelo di S. Giovanni lega strettamente i due eventi: sulla croce Gesù “spirò”: un termine che ha un doppio significato: “diede l’ultimo respiro” e “emise lo Spirito”. Il giorno della resurrezione, nel Cenacolo, Cristo soffia sui discepoli dicendo “ricevete lo Spirito”.
Quello che abbiamo ricevuto, nel Battesimo come caparra e nella Cresima in pienezza, è quindi lo Spirito del Risorto che ci da la Sua stessa vita, la linfa che attraverso Cristo la vera vite, ci percorre come tralci e ci rende capaci di portare frutto, è lo Spirito che ci rende capaci di vivere da Figli di Dio. Prendendo dimora nel cuore dell’uomo, lo Spirito gli comunica l’Amore di Dio, gli attesta che Dio, lungi dall’ostacolare la sua realizzazione, gli è veramente favorevole. In tal modo l’Uomo diventa Nuovo: un Uomo nuovo che ama Dio e obbedisce volentieri: lo Spirito suscita nell’uomo i sentimenti del Figlio.
La legge nuova che è lo Spirito è “un’azione”: non si limita più a comandare di fare o non fare, ma fa egli steso con lui le cose che gli comanda.
L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5), la nuova legge, ci induce all’obbedienza con l’attrazione: ci mostra il Bene, la Vita, e noi ne siamo irresistibilmente attratti. Lo Spirito crea nel cristiano un dinamismo che lo porta a fare spontaneamente ciò che Dio vuole, perché, assumendo i sentimenti del Figlio, fa propria la volontà di Dio. Avviene come nell’innamoramento: un decentramento, un mettere l’amato al primo posto, un fare nostri i desideri/le esigenze dell’amato: tutto ciò non è fatto con calcolo o per costrizione, ma spontaneamente e con gioia. Un’immagine che ho trovato illuminante per descrivere il rapporto tra la Grazia e la Legge, è quello della donna incinta: il medico, l’ostetrica, i parenti ecc. saranno sicuramente prodighi di indicazioni su come comportarsi, cosa fare  e cosa non fare. La donna, soprattutto se alla prima esperienza, tutta presa dall’amore per la nuova creatura che porta in grembo, farà attenzione ad osservare tutte quelle “regole” che le vengono date, non le vivrà come imposizioni, costrizioni, anzi sarà grata a coloro che gliele trasmettono. Ciò che la muove all’osservanza delle regole è, quindi, l’amore. Ecco il posto della Legge sotto la Grazia. Tra la Legge e l’Amore vi è una sorta di circolarità: l’uno custodisce l’altra; la legge trova pieno compimento e senso nell’amore e l’Amore è custodito dalla Legge. La Legge, infatti, è data come sostegno alla nostra libertà ancora incerta e vacillante sul bene. Inoltre, assolve una funzione di “discernimento” esprimendo in concreto le esigenze della volontà di Dio verso la quale siamo attratti dall’amore.
Ciò detto va precisato che noi nasciamo “in rivolta contro Dio”, “uomini vecchi” con i desideri della carne e la fiducia nelle opere: nasciamo sotto la legge. Con il Battesimo rinasciamo alla Vita nuova in Cristo, ma durante la nostra esistenza possiamo “narcotizzare”, questa nuova vita e ricadere nell’economia della legge, vivere da “uomini vecchi”. È il pericolo che Paolo denuncia ai Galati: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.» (Gal 5,1).
Vivere nella Nuova alleanza è come nuotare contro corrente: appena si smette di nuotare si viene riportati indietro. Il dato rivelatore è fare attenzione a come percepiamo, esistenzialmente e non solo “nozionalmente”, Dio: guardiamo a lui con l’occhio timoroso e interessato dello schiavo o con quello fiducioso e pieno di amore del Figlio?
Da questa nostra riflessione emerge quindi l’esigenza ad una conversione al Signore: mettere Lui e l’amore per Lui al di sopra di ogni nostro impegno.
Fr. Marco

sabato 23 maggio 2020

A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra


«Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (At 1, 1-11)

«… il Dio del Signore nostro Gesù Cristo … illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.» (Ef 1, 17-23)

«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Mt 28, 16-20)

​Questa domenica celebriamo la solennità dell’Ascensione del Signore al Cielo: il Verbo del Padre che ha assunto la nostra natura umana, ha vissuto in mezzo a noi condividendo le nostre miserie – eccetto il peccato - e ha offerto la sua vita per amore sulla Croce, dopo la sua Resurrezione e dopo avere istruito i suoi, ascende al Cielo portando nel seno del Padre la nostra umanità glorificata. In Lui, vero Dio e vero uomo, l’umanità, che a causa del peccato aveva perso la comunione con Dio, è introdotta nel seno del Padre.
Nella seconda lettura San Paolo ci invita ad accogliere lo Spirito di sapienza che viene dal Padre, a lasciare che la Fede illumini gli occhi del nostro cuore, a testimoniare la nostra Speranza: il nostro destino è nei Cieli dove raggiungeremo il nostro Signore Gesù Cristo. La Speranza cristiana infatti non è la speranza di cui un detto popolare afferma: «Chi di speranza vive, disperato muore»; non ha niente a che fare con la “speranza” aleatoria di vincere il superenalotto; la Speranza cristiana non è una speranza “incerta” e senza fondamento, la speranza degli illusi. La Speranza Cristiana è la “Speranza Certa” (come la chiama S. Francesco) di chi sa a chi ha creduto: Cristo che è la Via la Verità e la Vita, il perfetto compimento di tutte le cose. Questa Speranza siamo chiamati a coltivare e a mantenere salda, testimoniandola con una vita tesa a raggiungere il nostro Maestro e Signore che oggi contempliamo ascendere glorioso, ma che un giorno «verrà nella Gloria per giudicare i vivi e i morti e il Suo regno non avrà fine», come diciamo rinnovando la nostra professione di Fede.
Celebrando la solennità dell’Ascensione, però, non facciamo soltanto memoria della “partenza” di Gesù dalla nostra realtà terrena, ma ricordiamo anche l’inizio del tempo della Chiesa. Già nella prima lettura, infatti, vediamo tratteggiata la Chiesa nei suoi tratti essenziali: gli apostoli, testimoni della passione, morte e resurrezione di Gesù; lo Spirito promesso, il testimone per eccellenza che rivelerà ogni cosa (cfr. Gv 14, 26 e 15, 26); e il campo della missione: fino ai confini della terra.
Nel Vangelo, inoltre, è presentato il momento in cui Gesù dona il mandato missionario alla Chiesa nascente: fate discepoli tutti i popoli.
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Mi colpisce che la Chiesa cui Gesù consegna il mandato è “mancante”: fin dalla sua origine, è macchiata dal peccato reso evidente dall’assenza di Giuda e dal “dubbio” degli apostoli. È a questa Chiesa, tuttavia, che il Signore promette l’assistenza dello Spirito, ed è questa Chiesa che manda ad annunziare il Vangelo. Il luogo che Gesù sceglie per incontrare i suoi e dare inizio al tempo della Chiesa, inoltre,  è la “Galilea delle genti” (Cfr. Mt 4,12-16), luogo di confine abitato da popoli pagani: fin dalle sue origini, la Chiesa è destinata ad essere luce per tutte le genti, ad essere “cattolica” (universale).
Parlando di Chiesa, però, forse non è superfluo sottolineare ancora una volta che questa non è composta solo dal clero: tutti i battezzati componiamo la Chiesa, il corpo di Cristo di cui siamo membra. Ciascuno ha una missione, una vocazione particolare, all’interno di questo corpo, ma a tutto il corpo, quindi anche a ciascuno di noi, è dato il mandato di annunziare, ma ancor meglio, di testimoniare la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Nessun battezzato può sentirsi estraneo alla Chiesa cattolica o può esimersi dalla sua missione.
Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Alla Chiesa nascente, oltre l’assistenza delle Spirito Santo (I lettura), il Signore promette anche la sua continua presenza. Avendo raggiunto l’eternità di Dio, Gesù è adesso presente, ovunque e in ogni tempo, dove due o tre sono riuniti nel suo nome (Cfr. Mt 18,20). 
Con questa Speranza e animati dallo Spirito, cominciamo oggi la nostra missione per instaurare il Regno di Dio. Cominciamo da noi permettendo a Cristo di essere sempre più il Signore della nostra vita.
Fr. Marco

sabato 16 maggio 2020

Il Padre vi darà un altro Paràclito che rimanga con voi per sempre


«In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo … gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo» (At 8, 5-8.14-17)

«Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.» (1Pt 3,15-18).

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce.» (Gv 14, 15-21)

​In questa VI domenica del tempo di Pasqua anno A, la Parola di Dio comincia a prepararci per accogliere il dono dello Spirito Santo. Le letture di oggi, infatti, ci parlano della Terza Persona della Santissima Trinità.
Credo nello Spirito Santo che è il Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato  per mezzo dei profeti”. Così diciamo nella nostra professione di fede: lo Spirito Santo è Dio. S. Agostino ne parla come dell’Amore tra l’Amante (il Padre) e l’Amato (il Figlio). Un Amore che è “persona”.
Nella pericope evangelica di oggi Gesù, durante il primo discorso d’addio ai suoi discepoli, prima di donare la vita sulla croce, promette la venuta di un altro Paràcilto, una parola che la traduzione precedente rendeva con “Consolatore”. Paràclito, in realtà, indica una precisa figura giuridica della società giudaica, quasi un avvocato difensore. È anche “consolatore”, ma è soprattutto “soccorritore”: era la persona (spesso un parente) che pagava il debito di coloro che erano stati venduti perché incapaci di restituire il dovuto.
Gesù promette ai suoi che manderà “un altro Paràclito”; è Lui, infatti, che per primo si fa nostro soccorritore/riscattatore: donando la sua vita per noi, ci restituisce la possibilità di riconoscere il Padre e ci libera dalla schiavitù del peccato.
Per prepararci all’incontro con lo Spirito, però, la Parola di oggi ci presenta alcune condizioni da realizzare in noi. Nella prima lettura ascoltiamo che i samaritani prestavano attenzione alle parole di Filippo: hanno avuto fede nell’annuncio del Vangelo. Ecco, quindi le prime “condizioni”: l’ascolto attento della Parola e la fede. Venendo a conoscenza di questa fede, gli apostoli impongono loro le mani perché ricevano lo Spirito. Il “luogo proprio” per ricevere lo Spirito, infatti, è la Chiesa, che conserva la “successione apostolica”. È la Chiesa il “canale privilegiato” attraverso cui ci giunge lo Spirito tramite le persone che il Signore ha scelto perché siano suoi ministri. Solo rimanendo in comunione con la Chiesa e i suoi pastori a cui il Signore ha promesso l’assistenza dello Spirito, quindi, abbiamo la garanzia di essere assistiti e guidati dallo Spirito.
Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito. Nel Vangelo Gesù ci indica la condizione essenziale: l’amore per Gesù, che si concretizza e dimostra nell’osservanza dei suoi comandamenti, e in maniera particolare del comandamento dell’Amore a Dio e ai fratelli, compendio di tutta la legge e i profeti. L’uomo peccatore, però, si scontra qui con i suoi limiti. Come direbbe S. Agostino, infatti, “La misura dell’Amore è amare senza misura”: l’amore non può conoscere limiti. Quante volte, invece, il nostro è un amore “condizionato”, limitato: «Gesù, io ti amo, ma non puoi chiedermi questo!»; «Io lo perdono, ma fino ad un certo punto: a tutto c’è un limite!». Altre volte, ancora peggio, è egoismo, calcolo, mascherato: “amiamo” finché ne ricaviamo un guadagno (spesso è questo che il mondo chiama amore). 
Ecco perché abbiamo bisogno del “soccorritore”, dello Spirito: l’Amore di Dio che, effuso nei nostri cuori, ci insegna ad amare in maniera sempre più perfetta, a superare i nostri limiti. È un “circolo virtuoso”: Gesù ci chiede di amare con tutte le nostre forze, per quanto poche possano essere; in tal modo ci disponiamo a ricevere il soccorso dello Spirito e impariamo ad amare sempre meglio, a rispondere meglio alla volontà del Padre; se faremo ciò, incredibilmente, giungeremo a diventare “una cosa sola con Dio”: «In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.».
Vivendo così,non potremo che essere riconosciuti come “diversi” e ci chiederanno ragione della nostra speranza: della Vita eterna che è già cominciata in noi permettendoci di sconfiggere ogni paura; Gesù, il nostro Signore, ha sconfitto la morte e il peccato, nulla può più farci paura. Guidati dallo Spirito, anche noi saremo testimoni/annunciatori della Vita vera e contribuiremo alla salvezza del mondo.
Fr. Marco

venerdì 15 maggio 2020

Come io ho amato voi

«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,12-17)

Il Vangelo di oggi ci riporta all’Ultima Cena e in particolare al secondo discorso di addio di Gesù, il Suo “testamento”, le Sue “ultime volontà”: «Rimanete nel mio amore»; «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi».
« … come io ho amato voi» Oggi vorrei soffermarmi su questo amore che siamo chiamati ad accogliere e a prendere ad esempio per praticarlo. Origine di questo amore è l’amore del Padre: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi» (Gv 15,9). L’amore del Padre per il Figlio è un amore totale: il Padre tutto si dà al Figlio, senza riserve. Così ci ha amati Gesù, dandosi tutto a noi, consegnandoci tutto se stesso. Questo amore totale, inoltre è “gratuito”, non è “meritato”: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. Contrariamente a quanto accadeva (e ancora in qualche modo accade), non sono stati i discepoli a scegliere di seguire il Maestro, a sceglierlo come loro Signore; è stato Gesù che li ha scelti e chiamati quando ancora loro non lo conoscevano; è stato Gesù a liberarci dal peccato e a costituirci perché possiamo portare “frutti di vita eterna”. Gesù, compiendo perfettamente la volontà del Padre, non sceglie in base al merito o alla “simpatia”, ma chiama tutti gli uomini alla salvezza. Dicendolo con uno “slogan”: “Dio non ci ama perché siamo buoni, ma ci chiede di essere buoni perché ci ama”.
Dopo averci rivelato il Suo amore e la sua libera iniziativa, oggi il Maestro ci comanda di amarci gli uni gli altri “come” Lui ci ha amati. Come affermavo più sopra, questo amore è gratuito e “totale”, “fino alla fine” (cfr. Gv 13,1); implica sia la “donazione della vita” («nessuno ha un amore più grande … »), cioè fare della propria vita (di ogni nostro istante e di ogni nostra capacità) un dono per coloro che il Signore ci ha messo accanto, sia la gratuita e libera iniziativa non motivata da alcun merito: non siamo chiamati ad amare solo i fratelli della “nostra cerchia” (fraternità, comunità, gruppo di preghiera ecc.) o solo i fratelli che “se lo meritano”; né, peggio ancora, siamo chiamati ad amare solo coloro che possono contraccambiare al nostro amore (“Ti do per avere”; questo è il tipo di “amore” insegnato dal “mondo”: un amore egoistico che mette sempre al centro il proprio interesse); siamo chiamati, al contrario, ad amare in maniera particolare coloro che non possono contraccambiare al nostro amore: i piccoli, i poveri (cfr Mt 25,31-47); siamo chiamati, ancora ad amare coloro che non se lo meritano ( i “nemici”).
È così che ci ha amati Gesù: ci ha amati (e ci ama) anche quando non ce lo meritavamo: si è consegnato nelle mani dei suoi crocifissori perdonandoli; non ha mai preteso un contraccambio al Suo amore; ci chiede solo di lasciarci amare, lasciarci raggiungere dal Suo Amore per imparare ad amare e giungere alla gioia piena che solo una vita donata per amore può raggiungere.
Gesù ci ha scelti per amici, ci ha colmati del Suo Amore e ci ha rivelato il segreto della gioia piena: vogliamo comportarci da amici e discepoli del nostro Maestro? Siamo disposti ad accogliere il Suo Amore (lo Spirito di Dio che ci guida alla pienezza della Vita) e a lasciarci condurre da Lui?
Fr. Marco

sabato 9 maggio 2020

Gesù Via, Verità e Vita


«… cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». (At 6, 1-7)

«Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo.» (1Pt 2, 4-9)

«Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? … Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto … io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14, 1-12)

In questa quinta domenica del tempo di Pasqua, la Parola di Dio ci dona un messaggio di speranza: nel Regno dei Cieli c’è un posto per tutti. Di questo Regno, inoltre, noi conosciamo la Via: Gesù che è Via, Verità e Vita.
Non sia turbato il vostro cuore …  la parola greca usata dall’evangelista per esprimere il turbamento indica uno sconvolgimento profondo: siamo nel contesto dell’ultima cena, Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli invitandoli a fare altrettanto reciprocamente, ha annunciato il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, ha detto ai suoi discepoli che li sta per lasciare … tutto ciò ha scosso profondamente i discepoli i quali vedono vacillare ogni loro speranza. In questo contesto il Maestro invita loro e anche noi oggi, a continuare ad avere Fede, anche quando tutto intorno a noi sta crollando, anche quando ci viene a mancare ogni fondamento umano; Gesù ci invita a continuare a fidarci di Lui e a seguire la Via che Lui ci mostra, l’unica via che corrisponde alla Verità del nostro essere e per la quale possiamo giungere alla Vita: la via dell’Amore che giunge fino alla donazione di sé. Purtroppo, a causa del peccato, siamo diventati incapaci di questo Amore ad immagine del quale l’uomo è creato: non di rado “il mondo” chiama amore ciò che in realtà è un interesse egoistico, un usare l’altro per il proprio piacere. Gesù, però,con la Sua passione morte e resurrezione ci ha restituito la capacità di Amare: lo Spirito Santo, l’Amore di Dio, che, effuso nei nostri cuori, ci fa gridare “Abbà, Padre” (Cfr. Rom 8,15). Senza la Grazia che ci raggiunge nei sacramenti, infatti, non saremo capaci del vero Amore. Nel Vangelo di oggi, Gesù chiama a testimonianza della Sua persona le opere che compie: una vita spesa per Amore del Padre e dei fratelli che culmina nell’offerta di sé sulla croce. Il Maestro ci promette, inoltre, che, credendo a Lui, anche i suoi discepoli compiranno le opere che lui ha compiuto: impareranno ad Amare e a donare la vita.
È ciò che ha fatto, tra gli altri, San Francesco di Paola, di cui oggi, seconda domenica di maggio tradizionalmente celebriamo la festa. S. Francesco ha saputo amare coi fatti e nella verità, ha percorso realmente la Via della Vita facendo di se stesso un dono ad imitazione del Maestro. L’amore per Dio e per i fratelli lo ha guidato in tutte le sue scelte: dalla vita eremitica iniziata in giovane età, alla vita di quaresima perpetua ritenuta impossibile dai più; «A chi ama Dio tutto è possibile» ripeteva nei momenti cruciali. Nel vangelo di Oggi Gesù afferma: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre». Possiamo vedere in San Francesco di Paola la realizzazione di questa Parola: ponendo in Gesù la sua Fede e Amandolo con tutto il cuore, con tutte le forze e con tutta la mente, sono talmente tanti i prodigi attenuti per la sua intercessione da essere stato definito «Il Santo dei Miracoli».
Da discepoli di Cristo e devoti di San Francesco di Paola, allora, accogliamo l’invito a continuare ad avere Fede, a percorrere la Via della Vita, abbracciando la Croce che il Signore pone sulla nostra strada, salendo sulla Croce nella consapevolezza che è essa, la vita donata per amore, la Via per raggiungere il nostro posto nel Regno.
Nella seconda lettura di oggi san Pietro parla di “pietre” dell’“edificio spirituale” e di “sacerdozio” per offrire “sacrifici spirituali”: ciascuno di noi battezzati, nella misura in cui si stringe a Cristo Pietra angolare, è parte dell’edificio spirituale della Chiesa e ha in essa un ruolo insostituibile. Ognuno badi di essere pietra utile a questa costruzione: stabile nella Grazia di Dio e aderente a Cristo. Il Signore provvederà a rigettare le “pietre di scandalo” che minacciano di fare crollare i fratelli. Questo brano della prima lettera di Pietro, inoltre, ci dà la possibilità di soffermarci sul sacerdozio battesimale che accomuna tutti i membri della Chiesa. Nel Battesimo, infatti, lo sappiamo bene, conformati a Cristo, tutti siamo stati unti Re, Sacerdoti e Profeti. Tutti i battezzati, quindi, siamo sacerdoti, chiamati ad offrire sacrifici spirituali graditi a Dio mediante Gesù Cristo.
Per comprendere meglio che cosa siano questi sacrifici spirituali, ci viene incontro san Paolo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.» (Rom 12, 1); altrove specifica: «Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio.» (1Cor 10,31). Fate tutto per la gloria di Dio. Offrite i vostri corpi (voi stessi). Tutto questo è possibile solo mettendo Amore per il Padre e per i fratelli in quello che facciamo.
Ancora nell’ottica del sacerdozio comune dei fedeli e dell’offerta spirituale, mi voglio soffermare oggi su una particolare categoria di pietre scartate dal mondo, ma scelte e preziose davanti a Dio: i sofferenti nel corpo e nello spirito. Il mondo, dominato dalla logica dell’efficientismo, non di rado giudica come inutili questi fratelli e sorelle. Proprio loro, invece, nella misura in cui accolgono la loro Croce e accettano di vivere la sofferenza (cioè scelgono non di subirla, ma di viverla) trasformandola in offerta d’amore per Cristo, con Cristo e in Cristo, possono vivere in maniera speciale il sacerdozio battesimale diventando pietre preziose per la costruzione dell’edificio spirituale della Chiesa.
Fr. Marco.

giovedì 7 maggio 2020

Sarete beati se le metterete in pratica

<<Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. >> Gv 13,16-20

Il verso immediatamente precedente insegna che << un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato>>. Sembrerebbe questo, quindi ciò che deve essere messo in pratica (fatto) per essere beati. La Bj afferma che il V. 16 sia una indebita interpolazione tra il 15 e il 17. In questo caso l’insegnamento da mettere in pratica per essere beati sarebbe il lavarsi i piedi reciprocamente a imitazione del Maestro. In entrambi i casi la beatitudine viene dal mettere in pratica (fare) l’umiltà - servizio- obbedienza-amore.
Il rimando a margine è a Gc 1,25: << Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla. >>. La felicità verrebbe quindi dal praticare la << legge perfetta>> legge di libertà, cioè, secondo Mt 5, 17-19, la legge portata a pieno compimento: l’amore, la “giustizia” che supera quella di scribi e farisei (cfr. Mt 5,20). 
È l’imitazione del Maestro a renderci beati. Fondamentale è però l’accettazione che il nostro Dio sia un Dio “umile” che si fa servo per amore. 
<<imparate da me, che sono mite e umile di cuore>> Mt 11,29 Gesù addita se stesso invitandoci ad imparare da lui l’umiltà/docilità/obbedienza d’amore al Padre.

sabato 2 maggio 2020

Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza


«… Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: “Salvatevi da questa generazione perversa!”». (At 2, 14.36-41)

«… anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, … Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime.» (1Pt 2, 20-25)

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. … Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». (Gv 10, 1-10)

In questa IV domenica di Pasqua nel Vangelo Gesù si presenta come la “porta” dalla quale si accede alla Vita e il Pastore che si prende cura delle sue pecore. A questo si unisce, nella prima e seconda lettura, l’invito dell’apostolo Pietro a “salvarci” da questa generazione e a seguire il pastore e custode delle nostre anime.
Varie volte nell’Antico Testamento si fa ricorso al paragone popolo-pecore e Dio-Pastore per manifestare la cura amorosa di Dio verso il suo popolo. Una cura che si rendeva concreta anche attraverso i re che “pascevano” il popolo in nome di Dio.
Il paragone popolo pecore, però, dai nostri contemporanei facilmente viene interpretato come offensivo: dire ad una persona che è “come una pecora”, spesso vuole significare che è incapace di decidere, che non è una persona autonoma e libera, e la libertà, giustamente, è considerata una caratteristica irrinunciabile della persona.
Fermiamoci, però, brevemente a considerare cosa significa essere liberi e se esista una “libertà assoluta”. Cosa significa essere liberi? Una risposta potrebbe essere: “decidere autonomamente che cosa fare”; espresso in termini più semplici: “fare quello che si vuole”. Ma cosa significa “quello che si vuole”? È “quello che ci passa per la testa” in un dato momento, o è ciò che soddisfa il nostro desiderio profondo di la felicità? Mi sembra evidente che, se facessimo sempre tutto ciò che “ci passa per la testa”, in poco tempo ci rovineremmo la vita. Non credo, inoltre, che potremmo essere definiti liberi, ma schiavi delle nostre passioni e del desiderio del momento che ci impediscono di realizzare la nostra felicità.
La vera libertà , allora, sta nel fare ciò che soddisfa la nostra sete profonda di felicità. Questo, però, comporta avere una considerazione più a lungo termine della vita: sapere fare oggi delle scelte, magari costose, per ottenere un risultato migliore domani. Anche in questo, però, scopriamo che non siamo “assolutamente liberi”; sono tanti i “progetti di felicità” che ci vengono messi davanti e sono numerosi coloro che si professano “pastori” promettendo serenità, giustizia ecc. e che tentano di condizionare le nostre scelte. Penso di potere affermare, quindi, che la nostra vera libertà consista solo nello scegliere quale “pastore” seguire.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere. Oggi, forse più che al tempo di Gesù, sono veramente tanti i falsi pastori che non hanno interesse a “pascere le pecore”, ma che vogliono solo “pascere se stessi”. Tra esperti di marketing, pubblicitari, politici ecc. siamo continuamente contesi: come scegliere? Proprio in questo capitolo 10 di Giovanni che oggi stiamo iniziando a leggere, Gesù ci dà un criterio per distinguere il Pastore dai mercenari: il Buon Pastore (quello vero) dà la vita per le pecore (Gv. 10,11). Nel vangelo odierno, inoltre, il Maestro evidenzia una caratteristica del Pastore, quello vero: «egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome». Solo il Pastore, infatti, ci conosce e ama intimamente e singolarmente; solo Lui sa quale sia la nostra strada per giungere alla felicità cui aneliamo; solo Lui è venuto a donarci la Vita in abbondanza.
Se ci guardiamo attorno, non sono pochi, purtroppo, coloro che vivono una vita che non li soddisfa; condizionati da qualche falso pastore, hanno fatto scelte che si sono rivelate insoddisfacenti per loro e adesso si trovano a vivere una vita che non è la loro, “a pedalare una bicicletta che non volevano” (“Ma è vita questa?” Quante volte ci capita di sentire affermazioni del genere!).
Oggi è la 57° Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni. Quanto è importante pregare perché i nostri giovani, ciascuno di noi, trovi la giusta Via della Vita, passi per la Porta, e seguendo il Pastore, giunga a quella Vita in abbondanza che Lui solo ci può donare.
Preghiamo allora, perché ancora oggi, Gesù, che ci ha liberato dal condizionamento del peccato e delle nostre passioni, continui a pascere il Suo popolo illuminandolo con la Sua Parola, nutrendolo con il Suo Corpo e il Suo Sangue e guidandolo con pastori che Lui ha scelto e consacrato. Saremo sufficientemente liberi da seguire il Buon Pastore?
Fr. Marco.

Questa parola è dura ...

« Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». » (Gv 6,60-69)


«Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Così reagiscono gli ascoltatori di Gesù al discorso sul pane che abbiamo ascoltato in questi giorni, e forse proprio alla affermazione: «… chi mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). Rinunciare alle proprie certezze, ad un culto relegato al tempio e, che tutto sommato, scomoda poco la mia vita; vivere per qualcun altro e non per sé stesso ... Parole dure, difficili da accettare nella società in cui ci troviamo a vivere, in un contesto in cui la propria libertà individuale viene idolatrata; in cui ciò che conta è solo il piacere personale ed immediato; in cui il sacrificio viene visto solo con accezione negativa; una società in cui siamo bombardati da messaggi del tipo «Tutto attorno a te … perché tu vali!». In questo contesto l’unico “servizio” che si accetta è quello offerto per avere un contraccambio, un "servizio" in cui al centro c’è sempre il nostro io.

«Volete andarvene anche voi?». Dinanzi la durezza delle parole di Gesù, dinanzi le esigenze del messaggio evangelico, non pochi discepoli restano scandalizzati e se ne vanno. Forse avevano frainteso il messaggio del Maestro. L’amore che ci insegna Gesù, infatti, non è “volemose bene”, non è “cuoricini e fiorellini” … l’Amore che ci insegna Gesù è la Croce, è “morire” per colui che amo, rinnegare se stesso, è servizio gratuito e disinteressato.

La domanda che Gesù pone ai Dodici, quest’oggi è posta anche a noi. Pensiamo sia impossibile vivere il Vangelo? Ci sembra troppo gravoso servire il Signore? Vogliamo Amare il Signore e i fratelli? Le mogli sono disposte ad amare il proprio marito come la Chiesa ama Cristo, cioè facendo ruotare la propria esistenza attorno a lui? I mariti sono disposti ad amare la propria moglie come Cristo ama la Chiesa, cioè fino a donare a lei ogni istante della propria la vita? 

Certo servire è difficile e senza di Lui non possiamo fare nulla (Cfr. Gv 15, 5), ma solo servire con amore e per amore dà senso alla nostra vita, la riempie. Diversamente tutta la vita sarà percepita come una schiavitù da cui cercare di evadere (vedi la società contemporanea). È proprio per venire incontro alla nostra incapacità di servire che il Signore ci ha donato se stesso come pane della vita (il vangelo di oggi conclude il “discorso sul pane”). È nella Sua Parola, infatti, che troviamo la luce e la sapienza della vita. È nei sacramenti che troviamo la forza per Vivere pienamente di quella vita che dura in eterno.

«Volete andarvene anche voi?» Chiediamo la grazia di rispondere come Pietro, di riconoscere come lui: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».

Fr. Marco