sabato 29 agosto 2020

Se qualcuno vuole venire dietro a me ...

 


«Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.» (Ger 20,7-9)

«Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare.» (Rm 12,1-2)

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.» (Mt 16,21-27)

​ La Parola di Dio della XXII domenica del tempo ordinario ci chiede di “convertirci”, di rinnovare il nostro modo di pensare, di non conformarci al modo di pensare del “mondo”, per metterci alla sequela di Gesù. La logica del mondo, infatti, è inconciliabile con la logica di Dio. Penso sia evidente che la Scrittura intende per “mondo” tutto ciò che in noi si oppone a Dio.
La “logica del mondo” mi insegna che “tutto gira intorno a me”, che “io valgo”, che “devo stare bene”. Per quanto riguarda la sofferenza, poi, come Pietro, afferma: «Questo non ti accadrà mai!».

È questo il motivo per cui la sequela di Cristo richiede il rinnegamento di sé: se scegliamo di seguire Cristo, dobbiamo smettere di seguire il nostro io. 

Se seguo la “logica del mondo”, gli altri trovano posto solo finché “mi servono”, finché mi gratificano. È la logica dell’egoismo e dell’edonismo: un disordinato amore di sé che cerca sempre ciò che mi fa “stare bene”, piuttosto che ciò che è Bene. Una ricerca destinata al fallimento. Facciamo l’esperienza, infatti, che più mettiamo il nostro io al centro cercando di essere felici, magari a scapito di qualcun altro, più scopriamo di essere degli infelici.

I “potenti di questo mondo” ce ne danno la dimostrazione: uomini insaziabili (e quindi “poveri” a prescindere da quanti beni possano avere), affannati ad inseguire l’eterna giovinezza e l’immortalità. Dei poveracci che rischiano di fallire la vita. Possono pensare di avere tutto, ma non hanno l’essenziale, l’unica cosa che conta: Amare ed essere Amato. Spesso, infatti, scoprono che accanto a loro non hanno fratelli che amano e dai quali si sentono amati, ma persone che usano e che, a loro volta, vogliono usarli. Avendo posto nella bellezza, nel potere e nella ricchezza la loro vita, quando verrà il momento di lasciare questo mondo - un momento che prima o poi viene per tutti! -, se ne andranno infelici e maledetti da coloro che prendono il loro posto: “poteva lasciare di più!” (vedi S. Francesco nella Lettera ai fedeli, FF 205).

Opposta a questa logica che pone nel proprio io il centro dell’esistenza, la logica del Vangelo mi insegna a mettere il Tu di Dio e del fratello al centro della mia vita; mi insegna a cercare al di sopra di tutto il Regno dei Cieli, cioè a fare regnare Dio nella mia vita; mi insegna che una vita vissuta “per me” è una vita sprecata e che solo una vita vissuta “per te” è degna di essere vissuta e risulta essere una vita bella e piena di senso. Se, egoisticamente, inseguiamo la nostra felicità, infatti, non la raggiungeremo mai; se, però, ci impegniamo a fare felice chi ci sta accanto, allora sì che otterremo anche la nostra vera felicità. 

Rinnegare se stesso, quindi, significa imparare a fare spazio in noi alla logica del Vangelo, alla volontà di Dio; significa imparare a fare spazio ai bisogni di chi ci sta accanto, imparare la logica dell’amore che non rifiuta di soffrire, di salire sulla croce, per colui che ama. Gesù ci ha mostrato questa via; ci ha mostrato che la croce non ha l’ultima parola.

Impariamo a fare della nostra vita, un’offerta a Dio e ai fratelli; impariamo ad offrire a Dio anche le inevitabili sofferenze che la vita porta con se, a viverle per amore Suo. Impariamo, infine, a perdere la nostra vita per Dio, amando Lui e i fratelli più del nostro io: solo questa è la via per Vivere veramente.

Fr. Marco

Le lacrime di Maria


Dal 29 agosto all’1 settembre del 1953 a Siracusa, in una casetta in via degli Orti n. 11, un capezzale in gesso raffigurante il Cuore Immacolato di Maria ha lacrimato. 

L’episcopato Siciliano nella persona del Card. Ernesto Ruffini, emise rapidamente il suo giudizio (13.12.1953) dichiarando autentica la Lacrimazione di Maria a Siracusa:

«I Vescovi di Sicilia, riuniti per la consueta Conferenza in Bagheria (Palermo), dopo aver ascoltato l’ampia relazione dell’Ecc.mo Mons. Ettore Baranzini, Arcivescovo di Siracusa, circa la “Lacrimazione” della Immagine del Cuore Immacolato di Maria, avvenuta ripetutamente nei giorni 29-30-31 agosto e 1 settembre di quest’anno, a Siracusa (via degli Orti n. 11), vagliate attentamente le relative testimonianze dei documenti originali, hanno concluso unanimemente che non si può mettere in dubbio la realtà della Lacrimazione. Fanno voti che tale manifestazione della Madre Celeste ecciti tutti a salutare penitenza ed a più viva devozione verso il Cuore Immacolato di Maria, auspicando la sollecita costruzione di un santuario che perpetui la memoria del prodigio».

Il 6 Novembre 1994, Giovanni Paolo II, in visita pastorale alla città di Siracusa, durante l’omelia per la dedicazione del Santuario alla Madonna delle Lacrime, ha così detto:

 «Le lacrime di Maria appartengono all’ordine dei segni: esse testimoniano la presenza della Madre nella Chiesa e nel mondo. Piange una madre quando vede i suoi figli minacciati da qualche male, spirituale o fisico.

Santuario della Madonna delle Lacrime, tu sei sorto per ricordare alla Chiesa il pianto della Madre. Qui, tra queste mura accoglienti, vengano quanti sono oppressi dalla consapevolezza del peccato e qui sperimentino la ricchezza della misericordia di Dio e del suo perdono! Qui li guidino le lacrime della Madre.

 Sono lacrime di dolore per quanti rifiutano l’amore di Dio, per le famiglie disgregate o in difficoltà, per la gioventù insidiata dalla civiltà dei consumi e spesso disorientata, per la violenza che tanto sangue ancora fa scorrere, per le incomprensioni e gli odi che scavano fossati profondi tra gli uomini e i popoli.

Sono lacrime di preghiera: preghiera della Madre che dà forza ad ogni altra preghiera, e si leva supplice anche per quanti non pregano perché distratti da mille altri interessi, o perché ostinatamente chiusi al richiamo di Dio.

 Sono lacrime di speranza, che sciolgono la durezza dei cuori e li aprono all’incontro con Cristo Redentore, sorgente di luce e di pace per i singoli, le famiglie, l’intera società».

«Comprenderanno gli uomini l’arcano linguaggio di queste lacrime?», si chiedeva Papa Pio XII, nel Radiomessaggio del 1954. Maria a Siracusa non ha parlato come a Caterina Labouré a Parigi (1830), come a Massimino e Melania a La Salette (1846), come a Bernadette a Lourdes (1858), come a Francesco, Giacinta e Lucia a Fatima (1917), come a Mariette a Banneux (1933).

Le lacrime sono l’ultima parola, quando non ci sono più parole. Le lacrime di Maria sono il segno dell’amore materno e della partecipazione della Madre alle vicende dei figli. Chi ama condivide.

Le lacrime sono espressione dei sentimenti di Dio verso di noi: un messaggio di Dio all’umanità.

L’invito pressante alla conversione del cuore e alla preghiera, rivoltoci da Maria nelle sue apparizioni, ci viene ancora una volta ribadito attraverso il linguaggio silenzioso ma eloquente delle lacrime versate a Siracusa.  Maria ha pianto da un umile quadretto di gesso; nel cuore della città di Siracusa; in una casa vicina ad una chiesa cristiana evangelica; in una abitazione molto modesta abitata da una giovane famiglia; su una mamma in attesa del suo primo bambino ammalata di tossicosi gravidica. Per noi, oggi, tutto ciò non può essere senza significato …

Dalle scelte fatte da Maria per manifestarci le sue lacrime è evidente il tenero messaggio di sostegno e di incoraggiamento della Madre: Ella soffre e lotta insieme a coloro che soffrono e lottano per difendere il valore della famiglia, l’inviolabilità della vita, la cultura dell’essenzialità, il senso del Trascendente di fronte all’imperante materialismo, il valore dell’unità. Maria con le sue lacrime ci ammonisce, ci guida, ci incoraggia, ci consola.

sabato 22 agosto 2020

Ma voi, chi dite che io sia?

 «In quel giorno avverrà che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa … Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire.» (Is 22, 19-23)

«O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33-36)

«A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». (Mt 16,13-20)

Nel Vangelo di questa XXI domenica del tempo ordinario Gesù chiede ai discepoli e a noi: «Ma voi, chi dite che io sia?».

Ritengo che abbia la sua importanza la congiunzione avversativa “ma”. Nei versetti precedenti il Maestro aveva chiesto ai discepoli il parere della gente su di lui ed essi avevano presentato, in terza persona, le “voci” che circolavano: per “quelli di fuori”, per coloro che ne hanno solo sentito parlare, Gesù è un profeta che si inserisce nella linea della profezia veterotestamentaria e parla a nome di Dio. Certamente è vero. Questa, però, non può essere la stessa opinione di coloro che lo hanno conosciuto personalmente, che hanno camminato con lui, che hanno sperimentato la sua presenza. A questa esperienza diretta fa riferimento Gesù passando dalla terza alla seconda e prima persona: «Ma voi, chi dite che io sia?».

Fino a quando si tratta riportare il parere della gente, senza esporsi personalmente, la risposta è corale (“risposero”). Alla seconda e più compromettente domanda, invece, risponde solo Pietro illuminato dallo Spirito: «Tu sei il Cristo, il figlio di Dio, il vivente» (trad. letterale).

Pietro, con questa risposta,  si dimostra docile allo Spirito, a lasciarsi illuminare dalla fede. È per questo che il Maestro gli affida la potestà vicaria di governare la Sua Casa e lo pone a fondamento della Chiesa.

Anche a Eliakìm, come a Pietro nel Vangelo, nella prima lettura di oggi, vengono affidate “le chiavi” di un Regno che non gli appartiene, ma del quale è governante: “maggiordomo” del Regno di Dio. Così nel Vangelo, il Regno appartiene al Signore Gesù. Pietro viene posto a governare proprio in ragione della sua docilità a lasciarsi illuminare. Il Signore, nella imperscrutabilità dei suoi giudizi (II lettura), lo ha scelto per essere a capo della Sua Casa. La Roccia, la Pietra d’Angolo, resta il Cristo; Pietro è “pietra di fondamento” nella misura in cui resta unito a Gesù.
A questa pietra, però vanno unite tante altre “pietre vive” per l’edificazione della Chiesa. È ciò che chiediamo nella preghiera colletta, ed è il motivo per cui anche a noi oggi Gesù pone la domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?». Se siamo di quelli che lo hanno incontrato e scelto come Signore della propria vita, Gesù ci chiede un coinvolgimento personale nella risposta. Non possiamo limitarci a riportare risposte “per sentito dire”.

Per quelli di fuori, spesso, Gesù si limita ad essere un grande maestro. Per qualcuno è un “maestro tradito”, del quale è stato travisato il messaggio. Per molti si tratta di un personaggio relegato nel passato alla stregua di un Socrate o di un Platone. La risposta della fede data da Pietro lo riconosce Dio e Vivente: «Tu sei il Cristo, il figlio di Dio, il vivente». Ho voluto riportare la traduzione letterale per evidenziare un articolo che la traduzione CEI perde. Sicuramente Pietro intendeva dire “Dio vivente” riprendendo una nota espressione veterotestamentaria. Ritengo, tuttavia, che l’ultimo articolo possa aprirsi all’ambiguità che permette di vedere nella confessione di Pietro la fede post-pasquale che riconosce in Cristo “il vivente”, colui “che più non muore” e che regna in eterno sulla sua Chiesa.

«Ma voi, chi dite che io sia?» Chi è per me Gesù? È un personaggio storico che ha detto tante belle cose, ma che poco o nulla ha a che fare con la mia vita quotidiana? O è il Vivente, colui che ancora Parla e guida la Chiesa, colui che ho riconosciuto Signore della mia vita? Solo se, docile all’illuminazione dello Spirito, saprò riconoscere con la mia vita, nei fatti, che Gesù è «il Cristo, il figlio di Dio, il vivente» allora, unito a Pietro e fondato su Cristo, sarò pietra viva per l’edificazione della Chiesa.

Fr. Marco

sabato 15 agosto 2020

Li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia

 

«Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per   essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.» (Is 56,1.6-7)

«Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!» (Rm 11,13-15.29-32)

«Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri» (Mt 15,21-28)

Il messaggio della Parola di Dio di questa XX domenica del tempo ordinario è che il Signore offre la salvezza a tutti gli uomini di buona volontà.

Già il profeta Isaia nella prima lettura, infatti, afferma il desiderio di Dio: condurre “gli stranieri” sul suo santo monte per colmarli di gioia. Non è l’appartenenza ad un particolare popolo, ad un determinato gruppo o ad un’elite , infatti, ad essere determinante per essere salvato. Ciò che conta è aderire al Signore, servirlo ed Amarlo con tutto il cuore, obbedire alla Sua legge scritta nei nostri cuori.

La salvezza è offerta a chiunque, alla ricerca del Vero e del Buono, agisce secondo la propria coscienza. Lo ha ribadito anche il Concilio Vaticano II al n. 16 della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium: «… quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna.» (LG 16 ripreso dal CCC 847)

Anche la pagina evangelica di oggi illustra questa verità: la donna Cananèa è una pagana, non appartiene al popolo eletto. Gesù stesso, secondo la logica giudaica del tempo, ribadisce la sua estraneità al popolo dell’alleanza: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Eppure questa donna pagana riconosce Gesù come Messia (figlio di Davide) e Signore e, con la sua fede umile e perseverante, ottiene ciò che chiede e persino la lode: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».

Per essere salvato, allora, non serve l’appartenenza esteriore ad un popolo o ad un gruppo. Ciò che conta è l’adesione reale (anche se magari non tematizzata) al Signore Gesù, l’umile riconoscimento della propria piccolezza e incapacità di salvarsi da soli, la perseveranza nella preghiera, la fiducia nel Signore che si concretizza nell’amore e nel sevizio ai fratelli. Comportandoci così saremo davvero discepoli del Signore e saremo anche noi condotti sul suo santo monte per esservi colmati di Gioia.

A questo punto penso non sia superfluo per ciascuno di noi domandarsi: io che ascolto la Parola e magari appartengo a un gruppo di preghiera,  ad un itinerario di fede, ad un ordine religioso …, io che sono parte del Popolo della Nuova ed Eterna Alleanza, sono realmente tra quelli che hanno aderito al Signore?

Fr. Marco

venerdì 14 agosto 2020

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente

 «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle.» (Ap 11,19; 12,1-6.10)

«Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo.» (1Cor 15,20-26)

«Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,39-56)

Nella solennità di Maria SS. Assunta in Cielo il Vangelo ci propone il viaggio di Maria verso la cugina Elisabetta e il cantico del Magnificat elevato da Maria al saluto della parente.

L’evangelista Luca nel sul racconto segue la traccia della narrazione, fatta nel II libro di Samuele, della salita dell’Arca dell’alleanza a Gerusalemme nella casa di Obed Edom (2Sam 6,1-11). Coperta dallo Spirito Santo e portando nel grembo il Verbo fatto carne, Maria è la Nuova Arca della definitiva Alleanza che Dio ha stipulato con l’uomo. Come l’antica Arca dell’alleanza, che custodiva le tavole della legge e la manna, Maria porta nel suo grembo il Legislatore e il Pane della Vita ed è testimonianza della presenza di Dio in mezzo al popolo e primizia e caparra delle meraviglie che il Signore è capace di compiere.

Oggi la Chiesa, contemplando Maria Assunta in Cielo, è invitata a contemplare il destino finale cui il Signore ha destinato il popolo della nuova alleanza. Così la Costituzione Conciliare Lumen gentium ci invita a guardare a Maria: «La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore». Contemplando Maria, siamo quindi invitati alla Speranza: il Signore ha per noi progetti di salvezza.

Guardando alla vita di Maria e alla sua glorificazione finale, impariamo da questa santissima madre a non dubitare mai dell’amore del Padre. Impariamo a riconoscere con umiltà i prodigi che il Signore compie nella nostra vita e a rendere grazie per essi. Impariamo ad accogliere con fiducia e attenzione la Parola di Dio perché possa portare frutto in noi e conformarci sempre più al nostro Signore Gesù Cristo. Impariamo ad accogliere in noi l’Amore di Dio e ad amare per primi e gratuitamente i fratelli. Guardando al Cuore Immacolato di Maria, ardente di vero Amore, impariamo a perdonarci reciprocamente e a pregare per coloro che ci fanno del male. Impariamo, infine, da questa perfetta discepola a rimanere uniti al Signore anche quando il Maestro ci chiede di seguirlo sulla via della croce.

Solo facendo così potremo anche noi dirci discepoli di Gesù e veri devoti di Maria. Imploriamo l’intercessione di Maria perché il Signore ci conceda la grazia di seguirlo come suoi autentici discepoli. Il mondo possa riconoscere in tutti noi la presenza del Maestro e accogliere la Signoria di Cristo perché possiamo un giorno ritrovarci tutti alla presenza della Gloria di Dio.

Fr. Marco

giovedì 13 agosto 2020

San Massimiliano M. Kolbe - cenni di spiritualità

 

Nella memoria liturgica di S. Massimiliano Maria Kolbe (8/1/1894 – 14/8/1941) vi propongo alcuni cenni della sua spiritualità.

Questo frate Conventuale, Missionario in Giappone per tanti anni, diede vita nel 1917 all’associazione “Milizia dell’Immacolata” che ha come scopo l’espansione del regno di Dio attraverso la consacrazione all’Immacolata. Il “milite” dell’Immacolata si consacra alla Madre di Dio supplicandola di accettarlo come “cosa propria”, di fare di lui/lei ciò che a Lei piace, in un atteggiamento di amore servizievole e “cavalleresco”.

Per S. Massimiliano M. tale consacrazione a Maria Immacolata ha un ambito trinitario: sia l’amore per Maria che quello per Cristo sono indirizzati alla Trinità. Maria Immacolata è vista come particolare frutto dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, infatti, è in Dio “concezione increata ed eterna”. Le creature sono “concezioni contaminate” dal peccato. Unita allo Spirito, Maria diventa anche lei Concezione Immacolata, apice dell’amore che torna a Dio. In un suo scritto P. Massimiliano afferma: «L’Immacolata a Lourdes, nella sua apparizione, non dice: “Io sono stata concepita immacolatamente”, ma: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Con ciò Ella determina non solo il fatto dell’Immacolata Concezione, ma anche il modo come questo privilegio Le appartiene. Perciò, non è qualcosa di accidentale, ma fa parte della Sua stessa natura. Ella stessa è la Concezione Immacolata. Di conseguenza, Ella è tale anche in noi e ci trasforma in Se stessa come Immacolati… »(Cfr. Scritti Kolbiani –SK- 486).

Ecco come lo stesso padre Kolbe risponde alla domanda “Chi è l’Immacolata?”: 
«Da se stessa non è niente, come le altre creature, ma per opera di Dio è la più perfetta fra le creature. La più perfetta somiglianza dell’essere divino. L’Immacolata non ebbe mai nessuna macchia di peccato, il che vuol dire che il suo amore fu sempre totale, senza alcun impedimento. Amò Dio con tutto il proprio essere e l’amore la unì con Dio in modo così perfetto fin dal primo istante di vita, che nel giorno dell’Annunciazione l’Angelo poté rivolgersi a Lei dicendole: “Piena di grazia, il Signore è con te” (Lc1,28). Ella è, dunque, creatura di Dio, proprietà di Dio, somiglianza di Dio, immagine di Dio, figlia di Dio, nel modo più perfetto possibile ad un essere umano. Ella è strumento di Dio. Con piena consapevolezza si lascia volontariamente condurre da Dio, si conforma alla sua volontà, desidera solo ciò che Egli vuole, opera secondo la sua volontà e ciò nel modo più perfetto possibile, senza il minimo difetto, senza alcuna deviazione della propria volontà dalla volontà di Dio. La sua unione d’amore con Dio giunge fino al punto che ella diviene Madre di Dio. Il Padre le affida il proprio figlio, il Figlio discende nel suo grembo, mentre lo Spirito Santo forma, con il corpo di Lei, il corpo santissimo di Gesù.» (Cfr. SK 1318)

In preparazione della festa dell’Immacolata, così scrive ai membri della Milizia: 
«Noi, consacrati in proprietà all’Immacolata nelle schiere della sua Milizia … Ella ci insegnerà il modo di poter – giorno dopo giorno, ora dopo ora, istante dopo istante, nel fedele adempimento dei nostri doveri ordinari e nell’impegno di conformarci alla volontà di Dio – ella  ci insegnerà il modo di poter manifestare il nostro amore verso il Cuore divino: un amore generoso, mediante il compimento della sua volontà, nonostante le difficoltà, i sacrifici e le croci. Allora come preparaci alla festa dell’Immacolata? Come fare per trascorrerla nel modo migliore? Innanzi tutto laviamo la nostra anima nel sacramento della penitenza, per togliere le macchie del peccato: così facendo essa diventa, almeno un poco, simile all’Immacolata. Inoltre, supplichiamo l’Immacolata affinché prepari il nostro cuore ad accogliere in modo degno il suo divin Figlio Gesù, presente nel santissimo sacramento dell’altare … La pregheremo affinché Ella voglia offrire a Gesù la giusta riparazione sia per le nostre attuali infedeltà sia per i numerosi torti che Egli subisce nel mondo intero da parte dei peccatori. Ancora rinnoviamo il nostro atto di Consacrazione all’Immacolata. Infine, riflettiamo un poco per chiederci se finora abbiamo servito l’Immacolata con sufficiente entusiasmo … Gesù ama assai coloro che lo imitano nell’amore verso la sua purissima Madre …» (Cfr. SK 1233-1234).

Il Signore ce lo conceda.

​Fr. Marco

sabato 8 agosto 2020

Coraggio, sono io.

« … ecco che il Signore passò. … il sussurro di una brezza leggera.» (1Re 19,9.11-13)

​«Vorrei essere io stesso anàtema, separato da Cristo, a vantaggio dei miei fratelli.» (Rm 9,1-5)

«Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14,22-33)

In questa XIX domenica del TO la Parola di Dio ci invita a non lasciarci paralizzare dalla paura e a riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita.

Nella prima lettura ascoltiamo del profeta Elia che, perseguitato e scoraggiato, sale sull’Oreb dove il Signore lo ha chiamato per ascoltare la Parola. Il vento impetuoso, il terremoto e il fuoco sono solitamente manifestazioni legate alle teofanie, alle manifestazioni divine;  ma “il Signore non era” in esse. È necessario che Elia faccia silenzio perché possa sentire e riconoscere la voce di Dio nel sussurro di una brezza leggera (letteralmente: la voce del silenzio). È il particolare “stile” di Dio, che per manifestare la sua onnipotenza sceglie la debolezza, quasi l’insignificanza, il farsi piccolo per fare posto all’altro.

Nel Vangelo gli apostoli, tutti presi dalla preoccupazione per la tempesta in cui si trovano, quando scorgono Gesù non lo riconoscono e lo scambiano per un fantasma.  Raccontando questo evento, l’evangelista Matteo si rivolge in prima istanza alla sua comunità che attraversa “la tempesta” della persecuzione e forse comincia a chiedersi se non abbia creduto in un “fantasma”, in qualcosa di irreale, in una fantasia. 

A loro e a noi oggi Gesù dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» È quel “Io Sono” che traduce il tetragramma divino JHWH, il “nome” rivelato a Mosè e che andrebbe meglio tradotto con “Io ci sono”, “io sono presente”. Anche quando attraversiamo le tempeste della vita, Dio non è lontano, non si è dimenticato di noi, ma è lì presente e ci chiede di fidarci di Lui.

Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque. Al comando del Maestro, Pietro, desideroso di una prova della reale presenza di Gesù, tenendo gli occhi fissi su di Lui, si fida, lascia la sicurezza della barca e riesce a camminare sulle acque in tempesta. Quando però permette che la paura per il vento e il mare grosso prendano in sopravvento, comincia ad affondare. Anche allora, tuttavia, Pietro ha un estremo slancio di fiducia: «Signore, salvami!».

Credo che tutti noi possa accadere, se non è già accaduto, di attraversare le “tempeste della vita” e di non percepire più la presenza del Signore. Anche in quei momenti, non lasciamo che il frastuono della tempesta ci impedisca di ascoltare la “voce della brezza leggera”. Non permettiamo che si insinui il dubbio nella nostra vita.

Il modo di agire di Dio, infatti, è tale che può capitare che ciò che appare chiaro in un istante per opera dello Spirito, non lo sia più in seguito; può capitare che nel cuore si insinui il dubbio. Magari non il dubbio su Dio, ma su se stessi: «Avrò capito bene? Non avrò frainteso? È veramente questa la volontà di Dio?».

Coraggio sono io, non abbiate paura. Avere il coraggio della fede, camminare nella fede, significa non avere altra certezza che la Parola di Dio una volta ascoltata dentro di sé; significa richiamare alla memoria quel momento di chiarezza e fidarsi di Dio anche contro ogni evidenza.

Siamo ormai prossimi alla solennità di Maria SS. Assunta in Cielo e tra qualche settimana a Salemi celebreremo la Festa della Madonna della Confusione, impariamo dalla nostra santissima Madre il coraggio della fede. Per tutta la sua vita Maria ha camminato nella fede continuando coraggiosamente a seguire il Figlio anche quando non comprendeva le sue azioni, anche quando il suo popolo lo rifiutava. Penso di potere affermare, però, che l’atto più grande del coraggio della fede, Maria lo compie sul Calvario ai piedi della Croce: come riconoscere nel suo Figlio crocifisso e morente il Messia atteso, il Figlio dell’Altissimo? Eppure Maria è lì e continua a credere. Stando presso la croce di Gesù, è come se Maria continuasse a ripetere in silenzio, con i fatti: «Eccomi! Sono qui, mio Dio; continuo ad avere fiducia». Umanamente parlando, Maria avrebbe avuto tutti i motivi di gridare a Dio: «Mi hai ingannata!» e scappare giù per il Calvario. Alcuni discepoli lo fecero convinti di essersi ingannati seguendo quel Maestro: «noi credevamo che fosse lui il Messia» (Lc 24, 21). Maria, invece, non scappò: rimase «in piedi», in silenzio, e così facendo è divenuta, in modo tutto speciale, martire della fede, testimone suprema della fiducia in Dio, dietro il Figlio. Pietro, invitato dal Signore a seguirlo sulle acque in tempesta, dubita e per questo rischia di affondare: è il suo dubbio, la sua poca fede, la sua paura a trascinarlo nel caos delle acque in tempesta. Maria nell’ora delle tenebre è capace di seguire il suo Figlio e Maestro senza dubitare, senza lasciarsi sopraffare dalla paura.

Impariamo dalla nostra Madre Celeste a fidarci di Dio, a non lasciarci vincere dal dubbio a dalla paura. Anche quando ci troviamo “nella tempesta”, quando non comprendiamo dove la volontà di Dio ci stia conducendo, quando il Maestro ci sembra solo “un fantasma”, un sogno  o magari il frutto della nostra immaginazione; anche allora non cediamo alla paura, e, facendo memoria di quei momenti di chiarezza che il Signore ci ha donato, imitiamo il coraggio della nostra Madre celeste.
Maria, la donna coraggiosa, interceda per noi e ci conceda di vincere le nostre paure per riconoscere e compiere sempre più perfettamente la volontà di Dio.

Fr. Marco

sabato 1 agosto 2020

Perché spendete il vostro guadagno per ciò che non sazia?


«Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?» (Is 55, 1-3)

«Fratelli, chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rm 8, 35.37-39)

«Gesù disse loro: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”. Gli risposero: “Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!”. Ed egli disse: “Portatemeli qui”». (Mt 14, 13-21)

La Parola di Dio della XVIII domenica del TO ci esorta a non sprecare la vita per acquistare ciò che non sazia, ciò che non può darci quella realizzazione che cerchiamo. Il Signore, infatti, vuole saziarci gratuitamente, vuole riempire di senso e felicità la nostra vita. Perché ciò avvenga, però, ci chiede di ascoltarlo, di mettere Lui e la Sua parola al centro della nostra vita.
Perché spendete … il vostro guadagno per ciò che non sazia? Quante volte abbiamo fatto l’esperienza di cui ci parla la prima lettura? Quante volte abbiamo speso “il nostro guadagno”, abbiamo investito la nostra vita, e siamo rimasti delusi, profondamente insoddisfatti? Se ciò è capitato, è perché abbiamo pensato di trovare Vita in ciò che non può darci la Vita, in ciò che non può saziarci: soldi, terreni, case …; siamo caduti nell’inganno di credere che possedendo queste cose la nostra vita sarebbe stata felice. Se questo è ciò che pensiamo, è normale che per ottenere e difendere queste cose siamo disposti a spendere tutto: il nostro tempo, gli affetti … a volte perfino la nostra dignità. Nel mondo ci sono fratelli, lo sappiamo bene, che per il denaro sono disposti anche a fare del male.
È un inganno! Per quanta ricchezza possiamo accumulare, ne vorremo sempre altra, non ci basterà mai. Non riuscirà mai a riempire il vuoto di senso che abbiamo dentro. Non di rado, al contrario, queste cose finiranno per avvelenarci la vita.
Oggi il Signore ci invita: «Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti.» Ascoltare la Parola del Signore, però, lo sappiamo bene, significa disporci all’obbedienza, fidarci di Lui. Significa assumere la logica del Vangelo, la logica dell’amore gratuito. Ascoltare il Signore, infine, significa mettere Lui e la sua volontà in cima alle nostre priorità; in un altro punto del Vangelo Gesù ci invita: Cercate anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. (Mt 6,33).
Tutto ciò si concretizza nell’Amore capace di fare posto ai bisogni del fratello nella propria vita; un Amore capace di condividere anche il poco che si ha, sicuri che non ne verrà a mancare per nessuno.
Nel Vangelo di oggi il Maestro ci dà l’esempio: Gesù, rattristato per la morte di Giovanni il Battista, vorrebbe ritirarsi in solitudine, ma la folla bisognosa non glielo permette. Invece di infastidirsi per questa indiscrezione della folla, Gesù ne prova compassione: mette da parte le sue esigenze per andare incontro a quelle dei fratelli. Alla sera, però, sopravviene un altro bisogno: non hanno da mangiare. I discepoli, secondo la logica del mondo, propongono a Gesù di congedare la folla perché vada a comprarsi da mangiare. Gesù, invece, realizza pienamente ciò che è stato annunciato nella prima lettura: coloro che lo hanno ascoltato, che si sono preoccupati solo di restare con Lui, vengono sfamati gratuitamente. Per compiere questo miracolo, però, il Signore chiede la collaborazione dei discepoli, un atto di fede da parte loro: devono essere disposti a condividere quel poco che hanno: i cinque pani e due pesci.
È richiesto un atto di fede perché, umanamente, è impossibile che questo basti e la logica del mondo insegna: “meglio uno sazio che cento digiuni”. La logica del Vangelo, invece, insegna che la condivisione è capace di compiere il miracolo: Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene.
Può capitare anche a noi di sperimentare la nostra insufficienza, di pensare: “Come posso io risolvere il problema di questo fratello?”; “Che posso fare io che a stento riesco a bastare a me stesso?”. Anche a noi oggi Gesù chiede un atto di fede, chiede di condividere il poco che abbiamo, a volte il poco che siamo, facendo spazio nella nostra vita alle esigenze del fratello, senza chiudere il cuore. Se faremo così anche noi sperimenteremo il miracolo: le nostre risorse risulteranno moltiplicate e vedremo che, dovesse anche mancarci tutto, non ci mancherà mai l’unica cosa veramente capace di saziare la nostra vita: l’amore di Cristo (cfr. II lettura).
Fr. Marco