sabato 28 maggio 2022

Mentre li benediceva, si staccò da loro per entrare in cielo

 

«Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”» (At 1,1-11)

«… abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.» (Eb 9,24-28;10,19-23)

«… alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.» (Lc 24,46-53)

​​Questa domenica, festa dell’ Ascensione, contempliamo il Signore Gesù Cristo che porta nel seno del Padre la nostra umanità glorificata. Il Verbo eterno del Padre, che incarnato nel grembo della Vergine Maria ha assunto la nostra natura umana ed è nato a Betlemme; Gesù, che ha vissuto in mezzo a noi condividendo le nostre miserie (tranne il peccato); che ha offerto la sua vita sulla croce per amore, adesso, dopo la resurrezione e dopo avere istruito i suoi, ascende al Cielo.

Per questo motivo oggi, nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei ci invita ad avere fiducia: abbiamo “nella casa di Dio” un Sommo Sacerdote che ha sperimentato e quindi conosce e compatisce le nostre miserie e i nostri condizionamenti. Siamo invitati, quindi, ad avere Fede, a vivere con “il Cuore puro”, a testimoniare la nostra Speranza.

La Fede, infatti, si manifesta in una vita “con il Cuore puro”, “unificato”, non diviso tra vari “amori”, ma tutto rivolto a Dio e, quindi, ai fratelli; una vita all’insegna della Carità, animata dalla Speranza certa che il nostro destino è nei cieli dove raggiungeremo il nostro Signore Gesù Cristo. La Speranza cristiana fondata sulla Fede non è la speranza aleatoria di cui solitamente si  afferma: “Chi di speranza vive, disperato muore”; non è una speranza incerta e senza fondamento, la speranza degli illusi. La Speranza Cristiana è la Speranza Certa (come la chiama S. Francesco) di chi sa che è degno di fede colui che ha promesso: Cristo che è la Via la Verità e la Vita.

Ordinò loro … di attendere l’adempimento della promessa del Padre. La Parola di Dio di oggi sottolinea l’atteggiamento di attesa: attesa dell’adempimento della Promessa, del dono dello Spirito; l’attesa del ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi quando il Signore «verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Gli angeli ricordano ai discepoli che la loro deve essere un’attesa operosa. La virtù della Speranza, infatti, non è ciò che Marx chiamava “l’oppio dei popoli”, ma ci rimanda ad un impegno concreto perché questo mondo si trasformi nel Regno dei Cieli.

Mentre li benediceva, si staccò da loro … Il brano del Vangelo, infine, ci fa conoscere che tutta la nostra vita, se lo vogliamo, è sotto la benedizione del Nostro Signore: Gesù entra in Cielo, nell’eternità di Dio, senza concludere la sua benedizione. La benedizione di Cristo, quindi, continua a riversarsi sui suoi discepoli disposti a “prostrarsi”, a riconoscerlo Signore della loro vita.

Il Vangelo di Luca si conclude nel Tempio e nella lode, lì dove era iniziato (Cfr Lc 1,5ss), con la sottolineatura della grande gioia che pervade gli apostoli. Una gioia dovuta sicuramente all’esperienza misteriosa della costante presenza del Signore: «l’Ascensione – infatti – non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi.» (Papa Francesco)

Tornando alla nostra quotidianità, allora, viviamo la nostra vita tenendo sempre presente le nostra meta, confidando nella Benedizione eterna del nostro Signore, perché il mondo attorno a noi, anche grazie alla nostra testimonianza, si trasformi nel Regno di Dio.

Fr. Marco

sabato 21 maggio 2022

Il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.


 «… Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. … È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie … » (At 15,1-2.22-29)

«La città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. … In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. » (Ap 21,10-14.22-23)

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. … il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.» (Gv 14,23-29)

La Parola di Dio della VI domenica di Pasqua, avvicinandosi la solennità della Pentecoste, ci invita a cercare ciò che è essenziale nella nostra vita e a non lasciarci prendere da paura e turbamento. Lo Spirito Santo, l’Amore che è Dio, sarà riversato nei nostri cuori e ci insegnerà ogni cosa, ciò che è essenziale, ciò che è importante. Il “di più”, ciò che è motivo di paura e turbamento, non viene dall’Amore. Dove c’è Amore, infatti, non c’è paura e turbamento.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola. Oggi il Signore ci dona un criterio per scoprire se veramente lo amiamo: osservare la Parola, fidarci di Lui e quindi fare ciò che ci chiede. È questo ciò che conta. Anche a noi può capitare l’esperienza raccontata nella prima lettura: “falsi pastori” che vengono a sconvolgere i nostri animi imponendoci pesi e comportamenti gravosi o chiedendoci l’adesione a questo o quel movimento quasi che la nostra salvezza dipenda da essi.

«È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie». Le parole del primo concilio di Gerusalemme, riportate nella prima lettura, ci invitano a tornare a ciò che è necessario e a non lasciarci opprimere da obblighi e gravami che rendono la nostra vita più pesante e ci distolgono da ciò che realmente conta.

Nella pagina evangelica di questa domenica il Maestro, preparando i discepoli alla sua ascensione al Cielo, ci presenta ciò che veramente è necessario nella vita dei credenti: Amarlo, ascoltare la Sua Parola e vivere la comunione con Lui. Tutto il resto può anche avere il suo posto, purché non sia fonte di turbamento e paura, chiaro sintomo che non viene da Dio.

«… noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.» Questo è ciò che avverrà quando, accostandoci alla Comunione, riceveremo in noi il Signore vivo e vero inseparabile del Padre e dallo Spirito Santo. Ma è anche ciò che avviene ogniqualvolta accogliamo nel nostro cuore lo Spirito Santo e ci lasciamo istruire da Lui su come comportarci.

Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. La presenza in noi del Signore è fonte di una Pace che il mondo non conosce, della Vera Pace che è il dono pasquale per eccellenza. Una pace che non è solo assenza di conflitto, ma vera riconciliazione, perdono, che accolto dal Padre si diffonde anche nelle nostre relazioni. La Pace di Cristo, però non è neanche assenza di tribolazioni. È, invece, forza nelle tribolazioni, consapevolezza che Cristo è più forte del mondo con le sue tribolazioni e che queste quindi non potranno prevalere.

Osserviamo la Parola di Cristo, cerchiamo l’amore di Lui al di sopra di tutto, accogliamo la Sua adorabile presenza nella nostra vita. Sperimenteremo la vera Pace e saremo suoi testimoni nel mondo.

Fr. Marco.

sabato 14 maggio 2022

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli

 «Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede. » (At 14,27)

​«E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” » (Ap 21,5)

«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. » (Gv 13, 31-33.34-35)

In questa quinta domenica di pasqua, la liturgia della Parola è caratterizzata dalla tematica della “novità”: il Signore fa cose nuove, ci dà un comandamento nuovo, ci rende nuovi. L’aggettivo “nuovo” si oppone a “vecchio”, “obsoleto”, aggettivi che identificano qualcosa che ormai non è più efficace. Nuovo è, allora, qualcosa di efficace, migliore. L’aggettivo “nuovo”, inoltre, ci apre alla speranza, accende le nostre attese: da qui la gioia che accompagna l’inizio di un nuovo anno.

Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Nella seconda lettura abbiamo sentito che Signore fa cose nuove, inedite. Non a caso il “comandamento nuovo” ci viene consegnato nell’ultima Cena, dopo che Gesù avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (cf. Gv 13, 1); dopo che Giuda è uscito nella notte per compiere gli ultimi atti che porteranno Gesù alla donazione totale di sé sulla croce.

«Vi do un comandamento nuovo» I discepoli conoscevano sicuramente il comandamento dell’amore espresso nell’Antico Testamento: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lev. 19,18). Gesù stesso nel Vangelo lo presenta, insieme all’amore per Dio, come compendio di tutta la legge. Amare il prossimo come se stessi è già arduo: sono chiamato a fare al prossimo ciò che vorrei fosse fatto a me: come vorrei essere soccorso nel bisogno, così devo soccorrere il fratello; come vorrei essere accolto, così devo accogliere il fratello; come voglio essere perdonato quando sbaglio, così devo perdonare il fratello. Il comandamento che ci dà oggi Gesù, però, è “nuovo” perché supera l’antico: parametro di confronto non è più l’amore per se stessi, ma l’amore che Gesù ci ha mostrato in tutta la sua vita di donazione che si conclude con l’estrema donazione sulla Croce. L’amore per se stessi non è più il limite all’amore per il fratello: Gesù ci ha donato un amore capace di espropriarsi, di dimenticarsi di se, di donarsi totalmente e gratuitamente.

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore (Gv 15,9).  La novità del comandamento, tuttavia, non è solo nella formulazione, ma anche nella capacità nuova che Gesù ci dà. Perché possiamo Amare come Gesù ci Ama, è necessario accogliere il Suo amore, credere nel Suo Amore, lasciare che questo Amore ci raggiunga nei sacramenti e non opporre resistenze alle mozioni dello Spirito. Come dicevamo, infatti, per l’uomo “carnale”, l’uomo vecchio non vivificato dallo Spirito e non innestato nella morte e resurrezione di Cristo, è già arduo amare il prossimo come se stesso: non è capace di amare come Gesù, espropriandosi, facendosi pane spezzato. L’uomo nuovo, invece, l’uomo “spirituale” morto e risorto con Cristo che ha ricevuto lo Spirito di Dio, costui trova in sé una forza sconosciuta che gli permette di amare come Gesù ci ama. In noi, innestati in Cristo con il Battesimo, questa forza è presente, ma spesso è sopita, come un seme gettato che non può portare frutto senza le condizioni essenziali al suo sviluppo.

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli. Dalla nostra disponibilità ad accogliere la Vita nuova in Cristo e a vivere il comandamento nuovo dell’Amore, dipende non solo la nostra credibilità, ma anche il nostro discepolato: solo amandoci gli uni gli altri come Gesù ci ama possiamo dirci ed essere riconosciuti suoi discepoli. Solo accogliendo realmente Gesù come nostro Maestro e Signore potremo sperimentare la Vita piena ed eterna che Egli ci ha regalato.

Come fare a essere uomini e donne “nuovi” capaci di vivere il comandamento nuovo? Come dicevo la prima cosa è lasciarci Amare e credere nell’Amore di Gesù fidandoci di Lui. Credo possa esserci d’aiuto l’esempio di San Francesco d’Assisi. Il Serafico Padre, infatti, si lascia amare da Gesù, crede veramente nel Suo Amore e lo accoglie come maestro; si pone dinanzi il Vangelo in atteggiamento di estrema obbedienza: compie immediatamente ciò che comprende e, facendo, comprende sempre meglio. La stessa cosa vale per il comandamento dell’Amore, per la vita nuova presente in noi: nutrendoci dei sacramenti, segni efficaci dell’amore di Dio per noi, amiamo come meglio possiamo, amiamo nella misura in cui siamo capaci; ciò ci trasformerà, “dilaterà” la nostra capacità di amare, ci farà sempre più nuovi. Dicendolo con S. Agostino: «È questo amore che ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del Testamento nuovo, cantori del cantico nuovo». Solo così saremo riconoscibili come discepoli del Signore e il nostro annuncio sarà credibile.

Fr. Marco

sabato 7 maggio 2022

Le mie pecore non andranno perdute in eterno

 «Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. ...» (At 13,14.43-52)

«… Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7, 9.14b-17).

«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna … » (Gv 10, 27-30).

​La quarta domenica di pasqua, detta domenica del Buon Pastore, nel Vangelo ci presenta Gesù come il Pastore che conosce e ama le sue pecore e dà loro la vita eterna. Nei versetti precedenti a quelli proclamati nella liturgia odierna (Gv 10 12-13) Gesù fa una chiara distinzione tra se stesso, il Pastore che è dà la vita per le sue pecore, e i mercenari che vogliono solo trarre un profitto per loro stessi e scappano appena vedono arrivare il lupo.

«Io le conosco».  Trovo consolante questa affermazione: il Signore della vita ci conosce, singolarmente, uno per uno, e ci ama. Ci garantisce la vita eterna: la nostra vita non sarà perduta. Tutto ciò, però, a condizione di essere Sue pecore, cioè di riconoscere la Sua voce e seguire il nostro Pastore.

«Le mie pecore ascoltano la mia voce» Ciò che ci identifica come appartenenti a Lui, infatti, è l’ascolto della Sua Voce, della Sua Parola, e il fatto di seguirlo. Quanti appartengono a Gesù, seguono Lui e obbediscono alla Sua Parola vivendo nella logica del Vangelo e da Lui ottengono Vita. Quanti seguono i “falsi pastori”, i “mercenari”, e vivono nella logica del mondo alla ricerca del potere, dell’avere, del piacere, non appartengono a Gesù e non hanno in sé la Vita.

«Io do loro la vita eterna» Credo sia il caso di soffermarci brevemente a riflettere sulla vita eterna che il Signore quest’oggi ci promette usando il tempo presente. La vita eterna non è quella “futura”, che segue questa vita terrena; non è un’utopia che ci fa “stringere i denti” nelle tribolazioni del mondo in vista di una felicità futura di cui non abbiamo altra certezza che la Fede. Una vita eterna che fosse solo questo, può a ragione essere definita “oppio dei popoli”. La vita eterna comincia qui: comincia con il nostro battesimo, nel momento in cui veniamo innestati in Cristo, nella Sua morte e resurrezione. Qui, in questa vita terrena cominciamo a sperimentare la Vita eterna come una vita piena di senso. Una vita che non è “perduta”, cioè che non è sprecata. L’unico modo per sperimentare questa vita, però, è seguire il nostro Pastore sulla via della donazione d’amore. Perché la nostra vita non sia perduta, sprecata, siamo chiamati a spenderla bene! Il modo per non sprecare la vita è donarla per amore. Solo allora sperimenteremo quella pienezza di senso che nessun altro potrà darci, sperimenteremo che stiamo vivendo veramente. «Meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita» è un aforisma che ci invita a vivere veramente. Nella vita, infatti, non è importante il numero di attimi o anni che si susseguono, ma l’intensità con la quale questi attimi sono vissuti.

«… esse mi seguono» La via percorsa da Gesù, lo sappiamo, passa dalla croce, dalla donazione della vita per amore. Seguendo il nostro Maestro e Pastore, anche noi passeremo per le tribolazioni, ma esse non saranno subite passivamente, stringendo i denti, ma accolte e valorizzate come occasioni per fare della nostra vita una donazione d’amore. Al versetto 18 del capitolo 10 di Giovanni, lo stesso da cui è tratta la pericope odierna, Gesù chiarisce: «Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso» (cfr. Gv 10,18). Il nostro Maestro non subisce gli eventi e l’ingiustizia che scatenano contro di Lui, ma li assume, li vive pienamente, e li trasforma in occasione per donare la vita.

Certamente, in tutto ciò non può mancare il volgere lo sguardo “in alto”, alle cose di lassù dove Cristo è assiso alla destra del Padre (cfr Col 3,1): è necessario sapere che la nostra vita è destinata ad un’ulteriorità che ci permette di dare il giusto valore alle tribolazioni presenti.

Oggi la Chiesa intera prega per le vocazioni di speciale consacrazione. Permettetemi di concludere con l’appello ad ascoltare la voce del Buon Pastore: accogliamo il suo progetto d’amore per ciascuno di noi e la nostra vita non andrà perduta, ma andrà di pienezza in pienezza per l’eternità.

Fr. Marco