sabato 25 febbraio 2023

L'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca del Padre

                                                             «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gen 2, 7-9. 3, 1-7)

«Fratelli, … se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.» (Rm 5, 12-19)

« … “Se tu sei Figlio di Dio, … “Sta scritto …”. … Allora Gesù gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”. Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.» (Mt 4, 1-11)

Nella prima domenica di quaresima di ogni anno la Parola di Dio ci presenta la realtà della tentazione e del peccato perché, entrando con Cristo nel deserto, con Lui possiamo uscirne vittoriosi.

La prima lettura, tratta dal libro della Genesi ci presenta la radice di ogni peccato: il sospetto su Dio, il dubbio che veramente Dio ami l’uomo. È questo ciò che il serpente insinua affermando: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». È “l’anti parola”, la menzogna secondo la quale Dio, non volendo la piena realizzazione dell’uomo, avrebbe mentito. Disobbedendo a Dio, però l’uomo scopre che ad avere mentito non è Dio, bensì il serpente, padre della menzogna. Il frutto della disobbedienza, infatti, è tutt’altro che l’essere come Dio: «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi». Slegato dal vitale rapporto con il suo Creatore, l’uomo scopre drammaticamente la propria “nudità”, il proprio essere “limitato” e, non riuscendo più a guardare al Padre con fiducia, sperimenta la paura.

Il racconto del peccato delle origini ci mostra pure il “fascino del peccato”, l’attrattiva che esercita su di noi: buono da mangiare, gradevole, desiderabile per acquistare saggezza. È quello che S. Giovanni nella sua prima lettera chiama: «la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita» (1Gv 2,16). Dopo la disobbedienza, l’uomo scopre di non essere libero, ma schiavo dei propri bisogni: i bisogni fisici, della “carne”; il bisogno di apparire; il bisogno di potere. Tutti gli uomini siamo soggetti a queste tentazioni, e, come ci dice oggi S. Paolo, tutti abbiamo peccato. Il peccato delle origini, la prima ribellione, è come un pugno di neve che si stacca dalla montagna; ad esso, lungo la caduta, si aggiunge altra neve (i nostri peccati) diventando una valanga. Un processo inarrestabile cui solo Gesù può porre fine.

Con la sua opera redentrice, infatti, Gesù ristabilisce il vitale rapporto con il Padre che è l’unica via per resistere alla tentazione. È questo il senso delle risposte che dà a satana nella pagina evangelica. Tre risposte che possiamo sintetizzare in tre fondamentali atteggiamenti da assumere.

«Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.» Il primo atteggiamento che ci viene raccomandato potremmo chiamarlo “creaturalità”, riconoscimento della nostra dipendenza da Dio: la consapevolezza, cioè, che l’unica cosa veramente necessaria e di cui non possiamo fare a meno è la relazione con il Padre dal quale viene la nostra vita.

«Non metterai alla prova il Signore Dio tuo.» Il secondo atteggiamento è “l’umiltà”, cioè lo “stare al proprio posto” davanti a Dio, senza metterlo alla prova e senza pretendere di “insegnargli a fare Dio”, ma fidandoci di Lui e della Sua volontà.

«Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto.» Il terzo atteggiamento, infine è la “purezza di cuore” cui è legata la beatitudine (Cfr. Mt 5,8), avere, cioè, un cuore “unificato”, non diviso, tutto rivolto al Padre e che, quindi non ha spazio per gli idoli che promettono una felicità che non possono dare.

Il tempo di quaresima appena iniziato è per noi come il deserto percorso da Israele e  nel quale Gesù è stato condotto subito dopo il battesimo: il luogo in cui mettersi in dialogo con Dio per scoprire, come direbbe S. Francesco, «Chi sei tu? e chi sono io?» (Cfr. FF 1915). Anche noi siamo invitati ad una più intima relazione con il Padre per scoprire cosa abbiamo nel cuore e purificare il nostro rapporto con Lui. Fuggiamo la tentazione che nasce dal dubbio e dalla paura, e fidiamoci del Padre che solo può saziare la nostra fame di Vita e felicità.

Fr. Marco

martedì 21 febbraio 2023

Ritornate al Signore, vostro Dio. Ecco ora il momento favorevole!

 «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male». (Gl 2,12-18)

«Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: «Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso». Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» 2Cor 5,20-6,2

«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.» (Mt 6, 1-6.16-18)

Il cammino della Quaresima inizia il Mercoledì delle Ceneri con l’invito: «Ritornate a me con tutto il cuore … laceratevi il cuore e non le vesti» (Gl 2,12); a questo fa eco l’esortazione che accompagna il gesto della imposizione delle ceneri: “Convertiti e credi al Vangelo” [L’altra formula: “Ricordati che sei polvere e polvere tornerai” invita a guardare al fine ultimo della nostra vita così che essa possa essere tutta orientata ad esso].

“Ritornate”, in ebraico shub, è, infatti, il verbo della conversione: veniamo invitati a cambiare strada, a tornare sui nostri passi, ad abbandonare le vie del peccato per tornare sulle strade del Signore. La necessità del ritorno è data dal fatto che le strade che abbiamo intrapreso portano lontano dalla Vita.

Ciò risulta più chiaro se ci fermiamo a riflettere sulla realtà del peccato come ce la presenta la Parola di Dio: il termine ebraico che traduciamo peccato significa “mancare il bersaglio”, ma anche “sbagliare direzione”; lo stesso termine che indica i peccatori, infatti, indica pure gli smarriti: coloro che, avendo abbandonato le piste carovaniere che vanno da un’oasi all’altra nel deserto, si sono persi e sono destinati a morire di sete. Da qui l’impellente necessità di tornare sui propri passi, di convertirsi, per seguire la via della Vita, la sola che può portarci alla Fonte d’acqua viva.

Tale conversione va fatta “con tutto il cuore”, deve cioè coinvolgere tutta la nostra realtà: troppo spesso viviamo nel compromesso e ci ritroviamo frammentati in molteplici cose; proviamo a seguire più direzioni contemporaneamente cambiando continuamente direzione; siamo abbagliati da molteplici attrattive e in tal modo ci smarriamo. Oggi il Signore ci chiede di unificare tutta la nostra vita ponendola sotto la Sua Signoria.

«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro …» Perché la conversione sia autentica e ci conduca sulle vie della Vita, essa deve essere interiore: libera dalla ricerca del “proprio Io”, deve ricercare solamente la gloria di Dio. È quello cui ci invita il Vangelo di oggi. Nel riproporre i tre pilastri della spiritualità giudaica, Gesù, istruisce i suoi discepoli sul modo in cui praticarli perché portino frutti duraturi.

Elemosina, preghiera e digiuno, infatti, trovano il loro valore più alto nel decentrare colui che le pratica: facendo l’elemosina sono portato ad accorgermi del bisogno del fratello e a dargli, se non la precedenza, almeno la stessa attenzione che darei al mio bisogno. Dando ciò che ho in elemosina, inoltre, mi libero dalla schiavitù delle cose affermando con forza e fattivamente la convinzione che non saranno le cose che accumulo a darmi quella pienezza di vita che desidero.

La preghiera mi porta a decentrarmi perché mi fa riconoscere che non sono solo nella quotidiana fatica, ma ho un Padre che mi ama e che provvede a me; a Lui posso quindi chiedere aiuto e conforto, Lui devo ringraziare per ciò che mi concede ogni giorno e in Lui devo porre la mia filiale fiducia.

Il digiuno, infine, mi decentra liberandomi dalle mie “passioni”: esercitandomi a dire no alla necessità del cibo, mi fortifico per resistere alla spinta delle mie passioni e imparo, passo dopo passo, a rinnegare me stesso mettendo Dio al primo posto.

Queste opere di giustizia, questi esercizi penitenziali, tuttavia, perdono ogni valore se sono fatti al fine di essere ammirati: non ottengono più lo scopo di decentrarmi, ma mi centrano sempre più in me stesso nutrendo il mio Io e la mia Immagine.

Viviamo bene questo “momento favorevole”, l’oggi della salvezza (2 Cor. 6,2),  e torniamo al Signore Dio nostro «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore» (Gl 2,13). Buona Quaresima.

Fr. Marco

sabato 18 febbraio 2023

Amate i vostri nemici. Siate figli del Padre vostro che è nei cieli

«Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui.» (Lv 19,1-2. 17-18)

«Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio.» (1Cor 3,16-23)

«… amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; … Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». (Mt 5,38-48)

Continuando il percorso tracciato dal Discorso della Montagna, dopo averci invitato a superare la giustizia di scribi e farisei andando oltre la lettera della Legge, la Parola di questa VII domenica si spinge oltre: ci invita ad essere santi e perfetti come il Padre! Una perfezione e santità che si misura nella capacità di amare anche il nemico, di non opporre violenza alla violenza.

Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. Diciamolo chiaramente: per molti di noi ciò è assurdo, impossibile. Per tanti di noi comportarsi come chiede questa pagina evangelica è pazzia, “stoltezza”. San Paolo, però, nella seconda lettura ci ha messi in guardia: Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente. Ciò che per il mondo è stoltezza, è sapienza per Dio.

La vera pazzia, “stoltezza”, è pensare di potere sconfiggere il male con il male, la violenza con la violenza. La “sapienza del mondo” ci insegna ad agire così. È cronaca quotidiana, però, dove questo ci sta portando: guerre fra Stati; faide interminabili tra famiglie i cui membri si odiano senza quasi più ricordarne il motivo; famiglie disgregate al loro interno … Oggi il Maestro ci invita a cambiare mentalità, ad accogliere il perdono del Padre e ad imparare a perdonare a nostra volta.

Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Gesù oggi ci chiede di non opporre male a male, ma di “dare un taglio” ai motivi di contesa. Porgere l’altra guancia a chi ti ha colpito non significa solo e principalmente farsi colpire ancora, significa soprattutto relazionarsi con il fratello o sorella dandogli una nuova possibilità. Chi mi colpisce lascia il segno sulla mia guancia. A questo punto (come spesso facciamo) possiamo relazionarci con lui o lei accusando: “guarda cosa mi hai fatto”; oppure possiamo “mostrare l’altra guancia”, cioè cercare di recuperare la relazione partendo dalla guancia non segnata, senza cercare soddisfazione al nostro io offeso. Ciò non significa essere passivi e conniventi di fronte l’ingiustizia e il male (già la prima lettura ci parla dell’esigenza di rimproverare apertamente chi sbaglia e il Vangelo di Mt più avanti parlerà della correzione fraterna); significa, invece, cercare una giustizia che salvi il fratello.

Amate i vostri nemici. È un’esigenza evangelica altissima, ma irrinunciabile. Vale la pena, tuttavia, soffermarci un attimo sul “tipo di amore” che Gesù ci chiede. Il Vangelo usa qui il verbo greco agapao per indicare l’amore da donare al nemico. Sappiamo che il greco conosce almeno tre verbi per esprimere l’amore: erao (da cui eros) è “l’amore passionale”, di chi “ha bisogno dell’altro”; fileo esprime un amore più paritario, l’amore/amicizia in cui il soggetto porta l’altro nella propria intimità; il verbo agapao, infine, esprime un amore “centrifugo”, l’amore con cui ci ama Dio, cioè un amore in cui il soggetto dona o si dona. Comprendere questa prospettiva, se da una parte ci conforta, ci chiama anche a responsabilità: non si tratta di portare il nemico nella nostra intimità, ma si tratta di non chiudergli il cuore, di soccorrerlo nel bisogno, di donare anche al nemico. L’uso del verbo agapao, infatti, ci invita ad imitare il modo con cui Dio ci ama: facendo piovere la sua misericordia sui giusti e sugli ingiusti, arrivando a donare tutto se stesso fino alla morte senza chiedere nulla in cambio.

Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Oggi Gesù ci esorta ad imparare dal Padre la perfezione dell’Amore misericordioso, che mai si chiude all’altro e sempre dà la possibilità di risollevarsi dalla propria miseria, di ricominciare. Oggi il Maestro ci invita a perdonare coloro che ci hanno fatto del male. Pregando il Padre Nostro, diciamo: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Gesù, nel Vangelo di Matteo, sottolinea questa equivalenza affermando «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.» (Mt 6, 14-15). Se (e come) perdoniamo, saremo perdonati. Rendiamoci disponibili, allora, ad accogliere il Perdono del Padre, imparando da lui l’Amore misericordioso.

Fr. Marco

sabato 11 febbraio 2023

Il pieno compimento della Legge è l'Amore

«Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.» (Sir 15, 16-21)

«Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla.» (1Cor 2,6-10)

«Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.» (Mt 5, 17-37)

La Parola di Dio di domenica scorsa ci ha ricordato che, conformati a Cristo nel Battesimo, siamo chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo. Nella pagina evangelica di questa domenica, sesta del Tempo Ordinario, il Signore, affermando di essere venuto a portare a compimento la Legge, ci esorta ad una giustizia che superi quella di scribi e farisei.

Gesù, infatti, non viene ad abolire la legge, ma la compie pienamente andando ben oltre l’osservanza letterale. Scribi e Farisei, lo sappiamo bene, erano scrupolosi osservanti della Legge di cui si preoccupavano di mettere in pratica anche il più piccolo precetto; ciò che, però, il Maestro rimprovera, è la loro osservanza puramente esteriore, arida, fatta per paura del castigo e per “meritare la salvezza”. Una “giustizia” autocentrata, che non è vista in relazione al tu di Dio e del fratello.

Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno. L’autore del Siracide, nella prima lettura, ci ricorda che la funzione della Legge è la custodia dell’Alleanza con Dio. Dalla nostra relazione con Lui viene la nostra salvezza.

«Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei» Il termine “giustizia” usato dall’evangelista indica le “opere giuste”, le “opere di pietà”, il “culto”; ritengo, tuttavia, che non sia del tutto errato intendere anche “la virtù della giustizia” da cui queste opere devono scaturire. La virtù cardinale della Giustizia consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto (CCC 1807). È quindi una virtù che ci orienta alla relazione ordinata e “autentica” con l’altro. Scribi e Farisei, come dicevamo, vivono una “giustizia” autocentrata, non in relazione con Dio e con i fratelli. Le loro “opere di giustizia” sono compiute mettendo in pratica scrupolosamente e letteralmente la legge per apparire irreprensibili e “acquistare meriti”. La nostra “giustizia” non può essere questa! Il Signore “guarda il cuore”, egli conosce ogni opera degli uomini (I lettura). Le nostre opere buone devono essere motivate dall’amore dei figli che vogliono compiacere il Padre, dalla relazione autentica con Dio e con i fratelli, per essere veramente “opere di giustizia”. Abbiamo, infatti, «ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo Abbà! Padre!» (Rm 8, 15).

Anche oggi, purtroppo, si può riscontrare in alcuni fratelli un “atteggiamento farisaico”. Capita, per esempio, che si vada alla Celebrazione Eucaristica domenicale solo per adempiere il precetto e non per incontrare il Signore. In tal caso, cercherò una Messa breve, non mi preoccuperò di arrivare puntuale, non mi curerò di ascoltare le letture … Magari penso di avere adempiuto il precetto, ma non ho realmente incontrato il Signore. Ancora: se mi confesso cinque minuti prima della Messa solo perché mi hanno insegnato che bisogna confessarsi per potere ricevere la Comunione, ma non ho fatto un serio esame di coscienza, non ho consapevolezza del mio peccato e, quindi, non intendo cambiare … se magari esordisco affermando: «io non ho peccati …»; oppure: «Le solite cose …»; magari penso di essere un buon cristiano, ma non ho davvero incontrato la Grazia: il Padre vuole darmi la Grazia e una vita più bella, ma io non sono disposto ad accoglierla.

Ricordiamo che il Signore guarda al cuore, all’intenzione con cui agiamo. È li che noi possiamo scegliere la vita e la morte, il bene e il male. È dal cuore che scaturisce la bontà o la malizia delle nostre azioni. Ecco allora che l’omicidio, l’adulterio e ogni opera cattiva, prima di consumarsi esternamente si consumano nel cuore.  Se, pur non commettendo un omicidio, chiudo il cuore al fratello nel bisogno, non perdono e medito vendetta, lascio libero sfogo alla mia ira, o distruggo socialmente un mio fratello (facendolo passare per pazzo o stupido), io l’ho ucciso nel mio cuore. Se comincio a coltivare un “desiderio violento” per una donna sposata o per un uomo sposato, un desiderio tale che aspetta solo l’occasione giusta per consumarsi, io nel mio cuore ho già commesso adulterio.

Oggi il Signore ci chiede di vivere autenticamente la nostra relazione con Lui; di non limitarci ad apparire giusti, ma di essere autenticamente ciò che siamo chiamati ad essere in relazione a Lui e ai fratelli: sale della terra e luce del mondo, testimoni del Suo Amore Misericordioso in cui riponiamo la nostra fiducia. Solo così il nostro culto, le nostre offerte, la nostra vita potrà essergli gradita.

Alziamo, allora, lo sguardo e spingiamolo verso l’eternità che il Padre ha pensato per noi. Relativizziamo le realtà terrene: la loro è un’importanza relativa (che è in relazione) a Dio. Non assolutizziamole, non permettiamo che ci dividano dal Padre, ma usiamone bene in vista dell’eternità.

Fr. Marco

venerdì 3 febbraio 2023

Risplenda la vostra luce perché rendano gloria al Padre vostro

«Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» (Is 58, 7-10)

«… la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.» (1Cor 2, 1-5)

«Voi siete il sale della terra; … Voi siete la luce del mondo; … Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Lc 5,13-16)

La pagina evangelica di questa domenica, V del Tempo ordinario, ci presenta i simboli del sale e della luce. Due elementi preziosi nella nostra vita, tanto che il sale era anticamente usato come moneta di scambio e fino qualche decennio fa era monopolio di Stato (si possono ancora vedere alcune antiche insegne: “sali e tabacchi”).

Questi due simboli, inoltre, ci rimandano al battesimo che abbiamo ricevuto: un tempo, al momento del battesimo, si metteva un po’ di sale sulla bocca del neo battezzato perché ricevesse la Sapienza che viene da Cristo (la parola sapienza ha a che fare con il latino săpĕre e quindi con sapore); la liturgia battesimale, inoltre, oggi come allora, prevede che al neofita, nella persona dei genitori, venga consegnata una candela accesa al Cero Pasquale (principale segno del Cristo risorto) come  simbolo della luce della Fede che deve guidarlo nella sua vita; una luce di cui sia il neofita che i genitori sono chiamati a prendersi cura.

Il mondo di oggi sembra avere perso ogni sapienza: non poche persone hanno smarrito il senso (il sapore) del loro vivere e sono abbagliati dalle false luci dell’egoismo, dell’edonismo, del possesso senza condivisione … Ingannandosi, pensano che seguendo queste luci potranno salvarsi la vita. L’inganno, però, si svela presto, giacché più si procede, più si scopre che da una vita così non si ottiene altro che stanchezza, insoddisfazione e inimicizie. Oggi il Maestro ci rivela una verità che, se da una parte ci riempie di gioia, dall’altra ci chiama a responsabilità: conformati a Cristo nel Battesimo, noi siamo il sale della terra e la luce del mondo! 

«Io sono la luce del mondo, dice il Signore» (Gv 8,12) É Gesù la Luce. Noi siamo luce, nella misura in cui ci lasciamo illuminare da Cristo. A noi cristiani è affidata, quindi, la responsabilità di portare al mondo la Luce vera che è Cristo! Siamo chiamati ad aiutare i nostri fratelli e sorelle a riscoprire il sapore della Vita; quella vita bella e “saporita/sapiente” che comincia qui e dura per l’eternità.

«… ma se il sale perde il sapore …» Il vangelo di oggi, però, ci mette in guardia: badiamo di non diventare anche noi "insipidi/insipienti"; badiamo a non fare spegnere o nascondere la luce che Cristo ha acceso in noi. In questo caso, infatti la nostra vita sarà stata inutile, senza senso essa stessa; avremo sprecato la vita!

Come Cristo, Luce del mondo, ha fatto brillare la sua luce dal “candelabro” della Croce, fulgido segno del suo Amore, anche noi, con il coraggio della Fede, impariamo giorno dopo giorno a vivere l’Amore nella nostra quotidianità. Pur senza dimenticare di fare quello che possiamo per i fratelli più bisognosi, cominciamo a vivere l’amore prima di tutto con coloro che ci sono più prossimi: nella nostra casa (cfr. Vangelo) e tra i nostri parenti (cfr. I lettura). Impariamo ad accoglierci e perdonarci nelle nostre debolezze, impariamo a condividere ciò che il Signore ci ha donato … Se cominceremo a vivere così, anche solo nel “nostro piccolo mondo”, la luce della fede e dell’amore che Cristo ha acceso in noi si spanderà, contagerà chi ci sta accanto e pian piano trasformerà il mondo. Il Signore ce lo conceda perché la nostra vita possa essere quel capolavoro che Egli da sempre ha pensato per noi.

Fr. Marco.