venerdì 26 maggio 2023

Pace a voi! Ricevete lo Spirito Santo.

 «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.» (At 2,1-11)

«Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.» (1Cor 12, 3b-7.12-13)

«Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20, 19-23)

Con la solennità della Pentecoste giunge a compimento il tempo pasquale. È per questo motivo che la pagina di Vangelo, come in un’inclusione con la domenica di Pasqua, oggi ci riporta ancora in quel “primo giorno della settimana”: l’effusione dello Spirito sulla Chiesa nascente completa l’opera salvifica di Cristo. D’ora in poi, infatti, la Chiesa sarà inviata a rendere partecipe il mondo intero della redenzione operata da Cristo. Ecco perché gli apostoli ricevono il dono dello Spirito Santo per la remissione dei peccati. A causa del peccato l’uomo era incapace di vivere l’Alleanza, di amare Dio e i fratelli; dominato dal proprio egoismo, vedeva in Dio un rivale e attorno a sé soltanto dei nemici.

Con l’effusione dello Spirito nei nostri cuori, si compie pienamente la Nuova Alleanza annunciata dai profeti: «Scriverò la mia legge nei loro cuori» (Cfr. Ger 31, 31-34). Dio stesso, la Terza Persona della Santissima Trinità, si è donato a noi rendendoci capaci di compiere la “Legge nuova”. L’uomo è “riconciliato”, guarito, dall’Amore stesso di Dio, dall’Amore che è Dio (il Dono e il Donatore coincidono!); è reso capace di Amare, di dire “Padre” rivolgendosi a Dio e di riconoscere che ha attorno dei fratelli.

Per questo il primo dono pasquale è la Pace: la Pace/riconciliazione con il Padre che ci rende capaci di riconciliarci con i fratelli. È possibile adesso superare tutte le divisioni e incomprensioni; le differenze non sono più ostacolo alla comunione (I lettura). Lo Spirito Santo, l’Amore effuso nei nostri cuori, crea Unità, ci rende un solo corpo: la Chiesa in cui ciascuno è “per” l’altro, rivolto verso l’altro, come le Persone divine sono l’Una per l’Altra. È questo ciò che San Paolo sottolinea nella seconda lettura.

Tradizionalmente la Chiesa ha individuato sette doni dello Spirito (sette è il numero della “pienezza”) che guidano i cristiani nella Vita Nuova in Cristo: Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e Timor di Dio. La Sapienza fa gustare e vedere quanto è buono il Signore. L’Intelletto dà il senso delle realtà della fede, ce ne dà una sicurezza amorosa e ce ne fa percepire la bellezza. Il Consiglio è l’amore che ci rende attenti a capire come comportarci per essere riconosciuti figli di Dio. La Fortezza è la sopportazione e la calma fermezza nelle prove; è la mitezza dell’Agnello immolato e vincitore. La Scienza ci rende capaci di distinguere il bene e il male, percependo la nostra piccolezza e che tutto è nelle mani di Dio. La Pietà ci dice fino a che punto Dio è nostro Padre e va amato al di sopra di tutto; indica la nostra appartenenza a Dio e il nostro legame profondo con Lui, un legame che dà senso a tutta la nostra vita. Il Timor di Dio è la percezione della nostra piccolezza dinanzi alla Sua maestà e ci rende docili spingendoci nelle sue braccia: è lo “spirito d’infanzia” di cui scrive santa Teresa di Gesù Bambino.

Lo Spirito con i suoi doni è effuso nei nostri cuori fin dal Battesimo e la Sua Grazia è continuamente rinnovata in noi dai sacramenti. Dio, però, non ci fa violenza e vuole da noi la disposizione a consegnarci nelle Sue mani, a lasciarci modellare per divenire sempre più conformi al Figlio e così realizzare la nostra fondamentale vocazione la Santità.

Voglio concludere questa riflessione con una preghiera di Don Tonino Bello, Vescovo e terziario francescano: «Spirito Santo, che riempivi di luce i profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca, torna a parlarci con accenti di speranza. Dissipa le nostre paure. Liberaci dalla tristezza di non saperci più indignare per i soprusi consumati sui poveri. E preservaci dalla tragedia di dover riconoscere che le prime officine della violenza e dell’ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori. Donaci la gioia di capire che Tu non parli solo dai microfoni delle nostre chiese. Che nessuno può menar vanto di possederti. E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, è anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani e nella rettitudine degli atei. Se dobbiamo attraversare i mari che ci distanziano dalle altre culture, soffia nelle nostre vele, perché, sciolte le gomene che ci legano agli ormeggi del nostro piccolo mondo antico, un più generoso slancio missionario ci solleciti a partire»

Fr. Marco.

sabato 20 maggio 2023

Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo

 «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (At 1, 1-11)

«… il Dio del Signore nostro Gesù Cristo … illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.» (Ef 1, 17-23)

«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Mt 28, 16-20)

Questa domenica celebriamo la solennità dell’Ascensione del Signore al Cielo: in Gesù, vero Dio e vero uomo, l’umanità, che a causa del peccato aveva perso la comunione con Dio, è introdotta nel seno del Padre. Il Verbo del Padre, infatti, dopo avere assunto la nostra natura umana, aver vissuto in mezzo a noi condividendo le nostre miserie – eccetto il peccato - e avere offerto la sua vita per amore sulla Croce, è Risorto e ha istruito i suoi; ora ascende al Cielo portando nel seno del Padre la nostra umanità glorificata.

San Paolo, nella seconda lettura, ci invita ad accogliere lo Spirito di sapienza che viene dal Padre, perché la Fede illumini gli occhi del nostro cuore e possiamo testimoniare la nostra Speranza: il nostro destino è nei Cieli dove raggiungeremo il nostro Signore Gesù Cristo.

La Speranza cristiana, infatti, non è la speranza di cui un detto popolare afferma: «Chi di speranza vive, disperato muore»; non ha niente a che fare con la “speranza” aleatoria di vincere il superenalotto; la Speranza cristiana non è la speranza degli illusi, una speranza “incerta” e senza fondamento. La Speranza Cristiana è la “Speranza Certa” (come la chiama S. Francesco) di chi sa a chi ha creduto: Cristo che è la Via la Verità e la Vita, il perfetto compimento di tutte le cose. Questa Speranza siamo chiamati a coltivare e a mantenere salda, testimoniandola con una vita tesa a raggiungere il nostro Maestro e Signore che oggi contempliamo ascendere glorioso, ma che un giorno «verrà nella Gloria per giudicare i vivi e i morti e il Suo regno non avrà fine», come diciamo rinnovando la nostra professione di Fede.

Oggi, però, celebrando la solennità dell’Ascensione, non facciamo soltanto memoria della “partenza” di Gesù dalla nostra realtà terrena, ma ricordiamo anche l’inizio del tempo della Chiesa. Già nella prima lettura vediamo tratteggiata la Chiesa nei suoi tratti essenziali: gli apostoli, testimoni della passione, morte e resurrezione di Gesù; lo Spirito promesso, il testimone per eccellenza che rivelerà ogni cosa (cfr. Gv 14, 26 e 15, 26); e il campo della missione: fino ai confini della terra. Nel Vangelo, inoltre, è presentato il momento in cui Gesù dona il mandato missionario alla Chiesa nascente: «fate discepoli tutti i popoli».

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Penso vada notato che la Chiesa cui Gesù consegna il mandato è “mancante” fin dalla sua origine: è macchiata dal peccato reso evidente dall’assenza di Giuda e dal “dubbio” degli apostoli. È a questa Chiesa, tuttavia, che il Signore promette l’assistenza dello Spirito, ed è questa Chiesa che manda ad annunziare il Vangelo. Il luogo che Gesù sceglie per incontrare i suoi e dare inizio al tempo della Chiesa, inoltre,  è la “Galilea delle genti” (Cfr. Mt 4,12-16), luogo di confine abitato da popoli pagani: fin dalle sue origini, la Chiesa è destinata ad essere luce per tutte le genti, ad essere “cattolica” (universale).

Parlando di Chiesa, però, è importante sottolineare ancora una volta che questa non è composta solo dal clero: tutti i battezzati componiamo la Chiesa, il corpo di Cristo di cui siamo membra. Ciascuno ha una missione, una vocazione particolare all’interno di questo corpo; ma a tutto il corpo, quindi anche a ciascuno di noi, è dato il mandato di annunziare e soprattutto di testimoniare la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Nessun battezzato può sentirsi estraneo alla Chiesa cattolica o può esimersi dalla sua missione.

Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Alla Chiesa nascente, oltre l’assistenza delle Spirito Santo (I lettura), il Signore promette anche la sua continua presenza. Avendo raggiunto l’eternità di Dio, Gesù è adesso presente, ovunque e in ogni tempo: dove due o tre sono riuniti nel suo nome (Cfr. Mt 18,20). 

Con questa Speranza e animati dallo Spirito, cominciamo oggi la nostra missione per instaurare il Regno di Dio. Cominciamo da noi permettendo a Cristo di essere sempre più il Signore della nostra vita.

Fr. Marco

venerdì 12 maggio 2023

Se mi amate, il Padre vi darà lo Spirito

 «In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo … gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo» (At 8, 5-8.14-17)

«Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.» (1Pt 3,15-18).

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce.» (Gv 14, 15-21)

​Questa domenica, VI del tempo di Pasqua, la Parola di Dio comincia a prepararci per accogliere il dono dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è Dio, la terza Persona della Santissima Trinità. S. Agostino ne parla come dell’Amore tra l’Amante (il Padre) e l’Amato (il Figlio). Un Amore che è “persona”. Così diciamo nella nostra professione di fede: “Credo nello Spirito Santo che è il Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato  per mezzo dei profeti”.

Durante il primo discorso d’addio ai suoi discepoli, da cui è tratta la pericope evangelica di oggi, Gesù, prima di donare la vita sulla croce, promette la venuta di un altro Paràcilto, una parola che la traduzione precedente rendeva con “Consolatore”. Paràclito, in realtà, indica una precisa figura giuridica della società giudaica, quasi un avvocato difensore. È anche “consolatore”, ma è soprattutto “soccorritore”: era la persona (spesso un parente) che pagava il debito di coloro che erano stati venduti perché incapaci di restituire il dovuto.

Il Maestro promette ai suoi che manderà «un altro Paràclito»; è Lui, infatti, che per primo si fa nostro soccorritore: donando la sua vita per noi, ci restituisce la possibilità di riconoscere il Padre e ci libera dalla schiavitù del peccato.

La Parola di oggi, inoltre, ci presenta alcune condizioni da realizzare in noi per prepararci all’incontro con lo Spirito. Nella prima lettura ascoltiamo che i Samaritani prestavano attenzione alle parole di Filippo: hanno avuto fede nell’annuncio del Vangelo. Ecco, quindi le prime “condizioni”: l’ascolto attento della Parola e la fede. Venendo a conoscenza di questa fede, gli apostoli impongono loro le mani perché ricevano lo Spirito. Il “luogo proprio” per ricevere lo Spirito, infatti, è la Chiesa, che conserva la “successione apostolica”. È la Chiesa il “canale privilegiato” attraverso cui ci giunge lo Spirito tramite le persone che il Signore ha scelto perché siano suoi ministri. Solo rimanendo in comunione con la Chiesa e i suoi pastori a cui il Signore ha promesso l’assistenza dello Spirito, quindi, abbiamo la garanzia di essere assistiti e guidati dallo Spirito.

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito. Nel Vangelo Gesù ci indica la condizione essenziale: l’amore per Gesù, che si concretizza e dimostra nell’osservanza dei suoi comandamenti, e in maniera particolare del comandamento dell’Amore a Dio e ai fratelli, compendio di tutta la legge e i profeti. Un amore fino all’estremo (Cfr. Gv 13,1) senza limiti.

L’uomo peccatore, tuttavia, si scontra qui con i suoi limiti. Come direbbe S. Agostino, infatti, “La misura dell’Amore è amare senza misura”. Quante volte, invece, il nostro è un amore “condizionato”, limitato: «Gesù, io ti amo, ma non puoi chiedermi questo!»; «Io lo perdono, ma fino ad un certo punto. A tutto c’è un limite!». Altre volte, ancora peggio, il nostro amore è, calcolo, egoismo mascherato: “amiamo” finché ne ricaviamo un vantaggio, finché l’altro “mi serve”. 

Ecco perché abbiamo bisogno del “soccorritore”, dello Spirito: l’Amore di Dio che, effuso nei nostri cuori, ci insegna ad amare in maniera sempre più perfetta, a superare i nostri limiti. È un “circolo virtuoso”: Gesù ci chiede di amare con tutte le nostre forze, per quanto poche possano essere; in tal modo ci disponiamo a ricevere il soccorso dello Spirito e impariamo ad amare sempre meglio, a rispondere meglio alla volontà del Padre; se faremo ciò, incredibilmente, giungeremo a diventare “una cosa sola con Dio”: «In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.»

Vivendo così, non potremo che essere riconosciuti dal mondo come “diversi” e ci chiederanno ragione della nostra speranza: della Vita eterna che è già cominciata in noi permettendoci di sconfiggere ogni paura; Gesù, il nostro Signore, ha sconfitto la morte e il peccato, nulla può più farci paura. Guidati dallo Spirito, anche noi saremo testimoni e annunciatori della Vita vera e contribuiremo alla salvezza del mondo.

Fr. Marco

 

sabato 6 maggio 2023

Abbiate fede. Io sono la Via

 
«… cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». (At 6, 1-7)

«Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo.» (1Pt 2, 4-9)

«Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? … Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto … io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14, 1-12)

Nella quinta domenica di Pasqua il Vangelo ci presenta un messaggio di speranza: nella Casa del Padre (nel Regno e nella Chiesa) c’è un posto per tutti. Il Maestro, inoltre, sollecitato da Tommaso ci dice che di questo posto noi conosciamo la Via: Gesù che è Via, Verità e Vita.

Non sia turbato il vostro cuore … Il Signore ci invita ad avere Fede, a fidarci di Lui e a seguire la Via che Lui ci mostra; l’unica via che corrisponde alla Verità del nostro essere e per la quale possiamo giungere alla Vita: la via dell’Amore che giunge fino alla donazione di sé.

Creati ad immagine del Dio che è Amore, a causa del peccato, purtroppo, siamo diventati incapaci di Amare: spesso, infatti, “il mondo” chiama amore ciò che in realtà è un interesse egoistico, un usare l’altro.

Con la Sua passione morte e resurrezione, però, Gesù ci ha restituito la capacità di Amare: lo Spirito Santo, l’Amore di Dio, effuso nei nostri cuori, che ci fa gridare “Abbà, Padre” (Cfr. Rom 8,15). Senza la Grazia che ci raggiunge nei sacramenti, infatti, non saremo capaci del vero Amore. 

Nella pagina di Vangelo di oggi, Gesù chiama a testimonianza della Sua persona le opere che compie: una vita spesa per Amore del Padre e dei fratelli che culmina nell’offerta di sé sulla croce. Il Maestro ci promette, inoltre, che, credendo a Lui, anche i suoi discepoli compiranno le opere che lui ha compiuto: impareranno ad Amare e a donare la vita.

Nella seconda lettura san Pietro parla di “pietre” dell’“edificio spirituale” e di “sacerdozio” per offrire “sacrifici spirituali”: ciascuno di noi battezzati, nella misura in cui si stringe a Cristo Pietra angolare, è parte dell’edificio spirituale della Chiesa e ha in essa un ruolo insostituibile. Ognuno badi di essere pietra utile a questa costruzione: stabile nella Grazia di Dio e aderente a Cristo. Il Signore provvederà a rigettare le “pietre di scandalo” che minacciano di fare crollare i fratelli.

La prima lettera di Pietro, inoltre, ci dà la possibilità di soffermarci sul sacerdozio battesimale che accomuna tutti i membri della Chiesa. Nel Battesimo, infatti, lo sappiamo bene, conformati a Cristo, tutti siamo stati unti Re, Sacerdoti e Profeti. Tutti i battezzati, quindi, siamo sacerdoti, chiamati ad offrire sacrifici spirituali graditi a Dio mediante Gesù Cristo.

Per comprendere meglio cosa siano questi sacrifici spirituali, ci viene incontro san Paolo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.» (Rom 12, 1); cioè: «Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio.» (1Cor 10,31). Fate tutto per la gloria di Dio. Offrite i vostri corpi (voi stessi). Tutto questo è possibile solo mettendo Amore per il Padre e per i fratelli in quello che facciamo.

Restando nell’ottica del sacerdozio regale comune a tutti i battezzati e dell’offerta spirituale di sè, mi voglio soffermare oggi su una particolare categoria di pietre scartate dal mondo, ma scelte e preziose davanti a Dio: i sofferenti nel corpo e nello spirito. Il mondo, dominato dalla logica dell’efficientismo, spesso giudica come inutili questi fratelli e sorelle. Proprio loro, invece, nella misura in cui accolgono la loro “croce” e accettano di vivere la sofferenza (cioè scelgono non di subirla, ma di viverla) trasformandola in offerta d’amore per Cristo, con Cristo e in Cristo, possono vivere in maniera speciale il sacerdozio battesimale diventando pietre preziose per la costruzione dell’edificio spirituale della Chiesa.

Fr. Marco.

venerdì 28 aprile 2023

Seguiamo il Buon Pastore

 «… Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: “Salvatevi da questa generazione perversa!”». (At 2, 14.36-41)

«… anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, … Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime.» (1Pt 2, 20-25)

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. … Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». (Gv 10, 1-10)

Il Vangelo della quarta domenica di Pasqua ci presenta Gesù come la “porta” dalla quale si accede alla Vita e il Pastore che si prende cura delle sue pecore. A questo si unisce, nella prima e seconda lettura, l’invito dell’apostolo Pietro a “salvarci” da questa generazione e a seguire il pastore e custode delle nostre anime.

Spesso nell’Antico Testamento viene presentata l’idea del Dio-Pastore per manifestare la cura amorosa di Dio verso il suo popolo. Una cura che si rendeva concreta anche attraverso i re che “pascevano” il popolo in nome di Dio.

Oggi, tuttavia, l’idea del popolo come pecore pasciute da Dio facilmente viene interpretata come offensiva: dire ad una persona che è “come una pecora”, spesso significa dire che è incapace di decidere, che non è una persona autonoma e libera, e la libertà, giustamente, è considerata una caratteristica irrinunciabile della persona.

Cosa significa, però, essere liberi? Una risposta potrebbe essere: “decidere autonomamente che cosa fare”; espresso in termini più semplici: “fare quello che si vuole”. Ma cosa significa “fare quello che si vuole”? Significa fare quello che ci passa per la testa in un dato momento, o fare ciò che soddisfa il nostro desiderio profondo di la felicità? Mi sembra evidente che, se facessimo sempre tutto ciò che “ci passa per la testa”, in poco tempo ci rovineremmo la vita. Non credo, inoltre, che potremmo essere definiti liberi, ma schiavi delle nostre passioni e del desiderio del momento che ci impediscono di realizzare la nostra felicità.

La vera libertà , allora, è nel fare ciò che soddisfa la nostra sete profonda di felicità. Questo, però, comporta avere una considerazione più a lungo termine della vita: sapere fare oggi delle scelte, magari costose, per ottenere un risultato migliore domani. Anche in questo, però, scopriamo che non siamo “assolutamente liberi”; sono tanti i “progetti di felicità” che ci vengono messi davanti e sono numerosi coloro che si professano “pastori” promettendo serenità, giustizia ecc. e che tentano di condizionare le nostre scelte. Penso di potere affermare, quindi, che la nostra vera libertà consista solo nello scegliere quale “pastore” seguire.

«Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere». Oggi, forse più che al tempo di Gesù, sono veramente tanti i falsi pastori che non hanno interesse a “pascere le pecore”, ma che vogliono solo “pascere se stessi”. Tra esperti di marketing, pubblicitari, politici ecc. siamo continuamente contesi: come scegliere? Nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, da cui è tratta la pagina odierna, Gesù stesso ci dà un criterio per distinguere il Pastore dai mercenari: il Buon Pastore (quello vero) dà la vita per le pecore (Gv. 10,11). Nel vangelo di oggi, inoltre, il Maestro evidenzia una caratteristica del vero Pastore: «egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome». Solo il Pastore, infatti, ci conosce e ama intimamente e singolarmente; solo Lui sa quale sia la nostra strada per giungere alla felicità cui aneliamo; solo Lui è venuto a donarci la Vita in abbondanza.

Se ci guardiamo attorno, non sono pochi, purtroppo, coloro che vivono una vita che non li soddisfa; condizionati da qualche falso pastore, hanno fatto scelte che si sono rivelate insoddisfacenti per loro e adesso si trovano a vivere una vita che non è la loro, a “pedalare una bicicletta che non volevano” (“Ma è vita questa?” Quante volte ci capita di sentire affermazioni del genere!).

La IV domenica di Pasqua è anche la Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni. Quanto è importante pregare perché i nostri giovani, ciascuno di noi, trovi la giusta Via della Vita, passi per la Porta, e seguendo il Pastore, giunga a quella Vita in abbondanza che Lui solo ci può donare.

Preghiamo allora, perché ancora oggi, Gesù, che ci ha liberato dal condizionamento del peccato e delle nostre passioni, continui a pascere il Suo popolo illuminandolo con la Sua Parola, nutrendolo con il Suo Corpo e il Suo Sangue e guidandolo con pastori che Lui ha scelto e consacrato. Saremo sufficientemente liberi da seguire il Buon Pastore?

Fr. Marco

venerdì 21 aprile 2023

Gesù in persona camminava con loro

«Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret […] voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,14.22-33)

«Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.» (1Pt 1,17-21)

«In quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.» (Lc 24,13-35)

Nella III domenica di Pasqua la pagina evangelica ci riporta ancora a quel primo giorno della settimana, giorno glorioso della resurrezione, presentandoci il racconto dei “Discepoli di Emmaus” che, delusi e col volto triste, tornano al loro villaggio.

«Noi speravamo …» I due discepoli che scoraggiati scendono da Gerusalemme ad Emmaus,  dal monte santo alla loro quotidianità, allontanandosi così dalla Comunità dei discepoli, sono molto vicini ai cristiani nostri contemporanei che non sentono più la gioia di vivere, che sono delusi da tutto … che non hanno più speranza.

I due discepoli del racconto evangelico sicuramente conoscono le Scritture: è probabile che, in quanto israeliti, abbiano imparato a leggere sulla Torah. Da quello che dicono, sembra che abbiano conosciuto da vicino Gesù; magari hanno ascoltato la Sua predicazione e assistito a qualche segno prodigioso. Nella pericope si legge pure che hanno sentito l'annuncio della resurrezione di Gesù portato dalle donne. Tutto questo, però, non basta a dare loro gioia e speranza, a fare ardere il loro cuore. Neanche quando lo stesso Cristo Risorto si fa loro compagno di viaggio, in loro si affaccia la gioia: i loro occhi sono impediti a riconoscerlo. Hanno “occhi carnali”, desiderosi del “successo”, magari di vendetta: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele». Sono incapaci di vedere lo “Spirituale”, per questo non possono riconoscere il corpo glorioso di Cristo.

Anche per tanti cristiani nostri contemporanei l’annuncio che Cristo è risorto non è più motivo di gioia e speranza, ha perso significato. Mi torna in mente un fatto successo circa venti anni fa, ma che mi ha colpito: passeggiavo per il centro di Palermo e venni accostato da un artista di strada (non ricordo cosa facesse) il quale, prima di chiedermi dei soldi, forse volendo essere originale, mi chiese: «Puoi darmi una buona notizia?». Dopo qualche istante risposi: «Cristo è Risorto!». E lui, con la faccia delusa: «Tutto qui? Ma questa non è una novità.»  Il fatto è in sé banale, ma mi è subito tornato in mente pensando a come la Resurrezione di Cristo non sia più fonte di gioia, non incide sulle nostre vite.

Come gli occhi dei discepoli di Emmaus, anche i nostri occhi sono impediti a riconoscere Gesù che cammina accanto a noi; per questo i nostri cuori non ardono. Penso a quante volte anch’io non vedo l’opera che Dio sta compiendo perché i miei occhi sono impediti, sono “carnali”: pieni di desiderio di rivalsa, di brama di successo, di concupiscenza (cfr. 1Gv 2,16). Quante volte a causa dei miei occhi impediti, non vedendo l’opera di Cristo, non sono nella gioia!

« … spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui … prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». L’evangelista Luca, nella costruzione di questo racconto, traccia gli elementi essenziali della celebrazione eucaristica: l’ascolto della Parola e lo spezzare il pane. È lì, infatti, che possiamo fare esperienza del Cristo Risorto. Solo allo “spezzare il pane”, nel miracolo dell'amore che si fa dono senza misura, i discepoli di tutti i tempi sentiranno ardere il loro cuore e diverranno testimoni della gioia. Perché i nostri occhi si aprano e i nostri cuori ardano di gioia, è necessario l’incontro con il Risorto, è necessario nutrirci alla duplice mensa della Parola e del Corpo di Cristo. Gesù Risorto è rimasto con noi fino alla fine dei tempi e continua ad operare e a donare Gioia e Speranza: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20)

Chiediamo al Signore di purificare i nostri occhi e di aprire le nostre menti alla comprensione delle Scritture; chiediamoGli di concederci di vivere realmente l’Eucarestia sia nel suo segno sacramentale, sia nella sua traduzione esistenziale: facendoci “pane spezzato” per i fratelli. Allora i nostri cuori torneranno ad ardere e saremo testimoni credibili della gioia della resurrezione.

Fr. Marco

sabato 15 aprile 2023

Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi

 «Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.» (At 5,12-16)

«Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi.» (Ap 1,9-11.12-13.17-19)

«La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco.  … “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20,19-31)

​La Parola di Dio della seconda domenica di Pasqua ci colloca ancora al giorno della Resurrezione: la Pasqua è un evento talmente unico e meraviglioso, che la Chiesa sente il bisogno di dilatarlo in otto giorni per contemplarlo.

Nei primi tempi della Chiesa, questa domenica era detta “in albis (deponendis)”: i neofiti, battezzati da adulti a Pasqua, che per tutta la settimana avevano portato la veste bianca dei risorti, deponevano la veste battesimale. Per volere di San Giovanni Paolo II, oggi la Chiesa celebra anche la Festa della Divina Misericordia.

« Pace a voi!». La pagina di Vangelo di oggi ci fa contemplare Gesù Risorto che entra a porte chiuse nel luogo in cui i discepoli si nascondono per timore dei Giudei. In questo contesto di paura, Gesù viene portando il dono pasquale per eccellenza: lo Shalom (Pace-Felicita-Pienezza), una parola che significa molto più di pace. È questo il dono che fa anche a noi qui ed ora. Se glielo permettiamo, Gesù vuole entrare nel più profondo delle nostre angosce e paure per portare la Pace che solo Lui ci può donare. Anche noi, spesso angosciati dai nostri fallimenti, tradimenti, incoerenze, paure e fragilità, siamo chiamati a gioire nel vedere il Signore.

« Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» Solo dopo avere accolto in noi la Pace che il Risorto e venuto a donarci, anche noi come i discepoli siamo mandati quest’oggi per essere testimoni. Non annunciatori di un “sentito dire”, ma testimoni capaci di annunciare ciò che hanno sperimentato, ciò che il Signore ha compiuto nella loro vita. È per questo che, subito dopo aver donato la Pace, Gesù dona alla Chiesa lo Spirito insieme al “potere” di rimettere i peccati. La Chiesa è mandata così a continuare l’opera di riconciliazione e guarigione compiuta da Cristo. Se sapremo accogliere il perdono e la misericordia che Gesù viene a portarci, allora potremo donare il perdono e vivere la Pace.

La Pace pasquale che Gesù viene a donarci, infatti, non è “non belligeranza”, reciproca indifferenza, ma reciproca accoglienza e perdono. Il perdono capace di creare una Nuova Vita in colui che lo riceve. Ecco il senso della festa della divina Misericordia: accogliere nella nostra vita il perdono del Padre che ci giunge per la Passione del Figlio e per opera dello Spirito. Avendo accolto questa Misericordia, siamo chiamati a implorarla per il mondo intero a farci intercessori per la salvezza del mondo. Siamo chiamati, però, soprattutto a farci operatori di misericordia eliminando in noi ogni giudizio di condanna dei fratelli.

Chiarisco il mio pensiero: se vediamo il fratello o la sorella che sbaglia, per amore di verità non possiamo negare l’oggettività dell’errore. Siamo chiamati tuttavia, non a condannare e magari divulgare l’errore, ma a comprendere, giustificare e, con vero amore fraterno, correggere il fratello. Siamo chiamati ad usare misericordia, cioè ad avere un cuore rivolto verso i miseri.

«… mostrò loro le mani e il fianco …» È significativo che proprio questa domenica la Parola accentui l’attenzione sulle Piaghe del Risorto: è da quelle piaghe che sgorga la sorgente della Misericordia. È per questo che la festa della Divina Misericordia è preparata da una novena che inizia il venerdì santo: dalle Sue piaghe siamo stati guariti. Il Risorto porta addosso le ferite inflittegli dalla cattiveria degli uomini, ma proprio a partire da esse usa Misericordia al mondo. Anche noi siamo piagati dal nostro peccato e dal peccato dei fratelli, ma è proprio a partire dal contemplare le piaghe di Cristo e dall’unire le nostre sofferenze alle Sue, che siamo chiamati ad usare misericordia divenendo, ognuno nello stato a cui il Signore lo ha chiamato, ministri del perdono.

Tutto ciò non è facile, la nostra natura ferita si ribella. Da ciò, però, dipende l’autenticità della nostra fede. Se davvero crediamo che Gesù è Risorto e che noi, nel battesimo, siamo risorti con lui, lasciamo che lo Spirito ci insegni a vivere da risorti che non temono più la morte e le ferite che il peccato altrui potrà infliggerci e preghiamo con le parole rivelate a Santa Faustina e che la Chiesa ha accolto e tramandato: Eterno Padre, ti offro il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità del tuo dilettissimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero!

Fr. Marco