venerdì 19 aprile 2024

Io sono il buon pastore

 « … In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,8-12)

«Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.» (1Gv 3,1-2)

«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.» (Gv 10,11-18)

​Questa domenica, quarta di Pasqua, è detta “Domenica del Buon Pastore” perché nella pagina di Vangelo Gesù si autorivela come il “Bel Pastore” (letteralmente): il pastore ideale, quello vero, contrapposto al mercenario per il quale le pecore che gli sono affidate sono solo un mezzo per “pascere se stesso” (Cfr. Ez 34).

La differenza tra il vero (bello/buono) pastore e coloro che lo sono solo in apparenza, è la capacità di donare la vita per le “pecore”. Il mercenario è interessato solo a se stesso e al proprio guadagno, non conosce le pecore, non gli interessa di loro. Il Pastore, invece, conosce coloro che gli appartengono, è interessato a loro.

Nella pericope evangelica di oggi, inoltre, Gesù manifesta pienamente la Sua libertà: «io do la mia vita … Nessuno me la toglie: io la do da me stesso». Il dono della vita in obbedienza al Padre è l’atto di più grande libertà di Gesù.

«Conosco le mie (pecore) e le mie (pecore) conoscono me» In questo versetto 14 il testo greco non usa il termine “pecore”, ma soltanto l’aggettivo “mie” che diventa in tal modo ciò che ci identifica: gli apparteniamo.

«… come il Padre conosce me e io conosco il Padre». Dopo avere detto che gli apparteniamo e che ci conosce, oggi il Signore specifica pure il modo in cui ci conosce: «Come il padre conosce me». Vale la pena allora di chiedersi in che modo il Padre conosce il Figlio: con una comunione d’amore inscindibile che li rende “una cosa sola”. È questo il modo in cui il Buon Pastore ci conosce: con una “conoscenza d’amore” che ci unisce a Lui; nel battesimo, infatti, siamo stati uniti inscindibilmente a Lui, nella Comunione Lui ci unisce alla Sua passione morte e resurrezione … Lui ci conosce, ha unito la Sua vita alla nostra, ci ama per quello che siamo, non per quello che appariamo o che dobbiamo essere. Lui ci vuole felici. I mercenari che sono nel mondo, invece, non ci “conoscono”, non ci amano, non possono renderci felici e ci costringono troppo spesso ad essere ciò che non siamo.

Nella prima lettura di oggi S. Pietro è chiaro: «In nessun altro c’è salvezza». Solo Gesù è il vero/buon Pastore.  Non seguiamo quindi altri “pastori” che non vogliono (e non potrebbero) darci la Vita.

«Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore». Fin qui abbiamo visto ciò che contraddistingue il Buon Pastore. Ora vorrei soffermarmi brevemente sulla caratteristica distintiva di chi gli appartiene (“le mie”): l’ascolto obbediente e la comunione reciproca. Ecco ciò che ci deve caratterizzare se Gli apparteniamo. Ecco da cosa possiamo riconoscere se siamo Suoi: se ascoltiamo la Sua Parola e viviamo da figli di Dio secondo la grazia del nostro Battesimo.

Oggi per volontà di S. Paolo VI, è anche la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Come ci ricorda Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exultate, tutti siamo chiamati alla santità (la vocazione universale), ma a questa ciascuno è chiamato per una “via” personalissima. La nostra piena realizzazione, la nostra felicità, dipende dalla capacità di comprendere e realizzare questo personale progetto d’amore.

Questa domenica vorrei invitarvi a pregare in maniera particolare per i presbiteri, che il Signore chiama ad essere suoi collaboratori nel ministero pastorale, e per le persone di vita consacrata, frati e suore, che sono chiamati ad essere segno profetico della totale dedizione al Regno. A ogni cristiano, ma a loro in maniera particolare, il Signore chiede di fare della propria vita un dono giorno per giorno, di dimenticarsi di sé (rinnegare se stessi), per amore di Dio e dei fratelli. Tutto ciò, lo sperimentiamo, non è facile, ma è l’unica strada che conduce alla piena realizzazione, alla Gloria eterna. Sosteniamoci reciprocamente in questo cammino perché ciascuno di noi, restando fedele alla vocazione che ha ricevuto, possa giungere alla Pienezza della Vita per l’eternità.

Fr. Marco

venerdì 12 aprile 2024

Da questo sappiamo di averlo conosciuto

 « … Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni … Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».(At 3,13-15.17-19).

«Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità.» (1Gv 2,1-5)

«… i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus narravano … ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. … Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture …». (Lc 24,35-48)

La pagina di Vangelo di oggi, terza domenica di Pasqua, ci fa ascoltare la terza e ultima apparizione del Risorto raccontata dall’evangelista Luca. Manifestandosi alle donne (Lc 24,1-12) e ai “discepoli di Emmaus” (Lc 24,13-35), il Signore ha radunato la Chiesa nascente e ora, mentre i discepoli si scambiano i racconti dei loro personali incontri con il Risorto, Gesù “sta” in mezzo a loro e, ancora una volta, dona loro la Pace, il dono pasquale per eccellenza, la piena riconciliazione con Dio grazie alla quale è possibile la riconciliazione con i fratelli e il creato.

Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Mi colpisce quanto spesso i vangeli sottolineino la difficoltà nel credere realmente alla risurrezione. Nonostante i discepoli riuniti si stiano raccontando reciprocamente le loro esperienze (Gv 24,34), forse non riescono a crederci veramente: l’apparizione del Risorto provoca turbamento. La resurrezione gloriosa di Cristo, infatti, sconvolge ogni logica umana, non può essere “incasellata”; non si può assimilare a nessuna esperienza precedente: è qualitativamente diversa dalle “rivitalizzazioni” operate durante il ministero pubblico di Gesù. Il Risorto non è semplicemente tornato in vita, ma ha iniziato un “nuovo livello di esistenza”.

… credevano di vedere un fantasma. Anche noi possiamo cadere in questo errore: la resurrezione di Cristo è talmente sconvolgente ed ha implicazioni tali, che facilmente anche noi la releghiamo ai “confini del reale”; Gesù diventa così per noi “un’ombra”, qualcuno vissuto nel passato, di cui ci ricordiamo, magari, la domenica durante la Messa, ma che poco ha a che fare con la nostra quotidianità.

… Sono proprio io! Il Maestro oggi ci ricorda che è reale, che si fa nostro compagno di cammino, che vuole “stare in mezzo” a noi. Viene a mostrarci ciò che in quel pane spezzato, mediante il quale i discepoli di Èmmaus lo hanno riconosciuto, è rappresentato sacramentalmente: mostra ai discepoli i segni della Passione, il Suo Corpo spezzato per noi. Per vincere l’incredulità dei discepoli, infine, apre le loro menti alla comprensione delle Scritture. Parola di Dio e Pane Spezzato: ecco il modo in cui anche noi oggi, durante la celebrazione eucaristica domenicale possiamo fare esperienza del Risorto!

«Convertitevi e cambiate vita!» Perché sia possibile l’incontro con il Risorto, tuttavia, è necessario accogliere l’invito che Pietro ci fa nella prima lettura. Bisogna convertirsi, lasciare le vie dell’egoismo e percorrere la via dell’Amore. Bisogna cambiare il nostro modo di pensare e di vivere per potere accogliere l’inedito, la novità assoluta della Vita Nuova che Cristo è venuto a regalarci. Bisogna riconoscere i nostri peccati e prenderne la distanza, se vogliamo accogliere in noi la Gioia che viene dall’incontro con il Risorto, una gioia che il mondo non conosce e non può donarci. 

«Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti» Nella seconda lettura di oggi, infine, Giovanni ci indica il criterio per scoprire se realmente “conosciamo” il Risorto, se, cioè, lo abbiamo incontrato e ne abbiamo fatto esperienza: l’obbedienza alla logica del Vangelo, ai comandamenti che, lo sappiamo bene, hanno la loro radice e il loro spirito nel duplice comandamento dell’Amore di Dio e dei fratelli.

«Di questo voi siete testimoni». L’invito a testimoniare ciò che il Signore ha compiuto nella nostra vita conclude la pericope evangelica. Siamo invitati non solo all’annuncio, ma alla testimonianza, a renderlo presente. Il Vangelo ci mostra che Gesù Risorto è riconosciuto nello “spezzare il pane”, nel Suo farsi pane spezzato per noi. Questo è il modo in cui noi possiamo renderlo visibile ai fratelli: nutriti di Cristo, anche noi facciamoci pane spezzato per loro.

A questo punto è bene domandarci: siamo capaci di Amare Dio concretamente e non “a parole e con la lingua”, dandogli il primo posto nella nostra vita? O abbiamo altri idoli a cui sacrifichiamo tempo ed energie? Siamo capaci di Amare i fratelli anche quando ci fanno del male (perdonandoli e pregando per loro), o li consideriamo solo in funzione utilitaristica al nostro benessere? Ricevendo il Corpo di Cristo, facciamo comunione con Lui che “si spezza”, si fa dono, per Amore del Padre e dei fratelli. Viviamo nella quotidianità la dimensione dello “spezzarci per amore”? Da questo dipende la nostra possibilità di incontrare Gesù Risorto e di sperimentare la vita da risorti, quella “Vita eterna” qualitativamente differente che comincia già qui.

Fr. Marco

venerdì 5 aprile 2024

Non essere incredulo, ma credente!

 «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.» (At 4,32-35)

«Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.» (1Gv 5,1-6)

«“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20, 19-31)

Per volere di San Giovanni Paolo II, la seconda domenica di Pasqua celebriamo la Festa della Divina Misericordia. La pagina di Vangelo ci colloca alla sera di quel “primo giorno della settimana” in cui la morte è stata sconfitta e la Vita ha vinto. Il sepolcro è aperto, Maria Maddalena ha portato agli apostoli l’annuncio della resurrezione ed essi stessi hanno visto il sepolcro vuoto.

Il contesto descritto all’inizio della pericope evangelica di oggi, tuttavia, è un contesto di chiusura causata dalla paura: la tomba è stata aperta, ma la porta del cuore degli apostoli è ancora chiusa ed essi sono timorosi. Il Signore si fa presente in questo contesto di chiusura e paura e mostra la sua Misericordia donando loro quella Pace che sola è capace di suscitare una gioia che il mondo non conosce e che nulla può toglierci.

«Pace a voi!». Il saluto del Signore Risorto non è un semplice augurio, ma è il dono pasquale per eccellenza, il frutto della redenzione: la riconciliazione con Dio non più visto come un padrone tirannico, ma come un Padre amoroso. La pace che viene a portare il Gesù, non è semplicemente “non belligeranza”, è lo shalom ebraico, la somma di ogni pace e bene che riempie la vita.

«… mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli» Il Signore ha già aperto il sepolcro e sconfitto la morte e, con essa, ogni paura; solo noi però possiamo aprire la porta del nostro cuore alla Sua Misericordia che viene a donarci la Grazia e la Gioia perché possiamo uscire dalle nostre paure e annunziare la Sua resurrezione. 

«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati». Dopo avere donato loro la Pace, il Risorto dona ai suoi apostoli anche lo Spirito Santo e con esso l’autorità di trasmettere il perdono e la Pace (citati nella formula dell’assoluzione): dona lo Spirito per la remissione dei peccati e costituisce i suoi apostoli ministri della Sua Misericordia.

Anche il racconto della vicenda riguardante l’apostolo Tommaso penso si possa inquadrare in un’ulteriore manifestazione della Misericordia del Signore. Tommaso, forse, è rimasto talmente scandalizzato dalla passione, da non riuscire a credere nella resurrezione; d’altra parte si tratta di un evento così inedito che anche gli altri discepoli, come abbiamo ascoltato in questa settimana, fanno fatica a credere.  Gesù ha misericordia di Lui e di noi e gli concede la prova che aveva richiesto. 

«Mio Signore e mio Dio!» La tradizione e l’arte (penso per esempio al dipinto di Caravaggio “Incredulità di san Tommaso”) ci tramandano l’immagine di Tommaso che tocca le piaghe. Pur se non è escluso che sia avvenuto così, l’evangelista non lo specifica. Ci è lecito supporre, quindi, che a Tommaso sia bastato sperimentare la Pace donata da Gesù e ascoltare la Sua voce per riconoscere il Maestro ed esprimere, lui “l’incredulo”, la più completa professione di fede nella divinità di Gesù chiamandolo Signore e Dio.

Proprio grazie alla incredulità di Tommaso, inoltre, il Signore formula quella beatitudine che ci riguarda in prima persona: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Una beatitudine che raggiunge anche noi nella misura in cui abbiamo quella fede che vince il mondo (II lettura); quella fede che diventa fiducia, confidenza, e che, per questo, vince ogni paura e ci rende capaci di amare i fratelli.

Fidandoci di Lui, infatti, confidando nel Suo Amore Misericordioso e Provvidente, non avremo più paura della morte, non avremo più bisogno di difendere la nostra vita e di accaparrare cose come se da esse possa venirci la Vita: saremo capaci di usare misericordia verso i nostri fratelli e di condividere (I lettura). Raggiunti dalla Sua misericordia attraverso i Sacramenti e riconciliati con il Padre, inoltre, saremo ricolmi di una gioia tale da renderci capaci di affrontare qualsiasi prova nell’attesa dell’incontro finale con Lui. Auguri.

fr. Marco

sabato 30 marzo 2024

Cristo è risorto. La morte è sconfitta. Accogliamo la Vita

 «Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.» (Rom 6,3-11)

​Oggi celebriamo la Pasqua di resurrezione del Signore Nostro Gesù Cristo, il centro dell’anno liturgico e della nostra fede. Nel contesto di questa solenne liturgia, ricca di simboli e già in sé significativa,voglio oggi soffermarmi sulla simbologia battesimale della luce e dell’acqua che dominano la veglia e il giorno di Pasqua e che sono all’origine di ogni vita cristiana: il cero pasquale, simbolo eminente del Cristo Risorto, e l’acqua lustrale, in cui siamo rinati a nuova vita nel Battesimo, e dalla quale durante la veglia siamo stati aspersi.

La luce e l’acqua: elementi indispensabili alla vita naturale che, trasfigurati, diventano anche elementi indispensabili alla vita soprannaturale, quella Vita in Cristo che trova la sua origine proprio nella resurrezione del nostro Signore.

Il Battesimo, infatti, è l'inizio della nostra risurrezione. Con Cristo siamo sepolti e Risorti! È l’inizio di Vita Nuova: il Signore cambia le nostre logiche, le nostre abitudini, i nostri rapporti.

A Pasqua, non celebriamo un evento folcloristico, né un evento relegato al passato; celebriamo un memoriale che riattualizza l’evento principale della nostra salvezza: Cristo ha sconfitto il peccato e la morte! Non siamo più schiavi del peccato che ci separava da Dio e dai fratelli. La pietra che ci imprigionava nel sepolcro è stata rotolata via: la Vita è libera.

Conformato al Risorto, infatti, ogni battezzato vive in comunione con Gesù nel corpo di Cristo che è la Chiesa: «uno in Cristo» (Gal 3, 28). Noi non siamo più uno accanto all'altro o uno contro l'altro. Il Risorto congiunge la Sua vita con la nostra, tenendoci dentro al suo amore. Noi battezzati diventiamo un'unità, una cosa sola con Lui e una cosa sola tra di noi.

Accogliere il dono, però, è nostra responsabilità. Cristo ha sconfitto il peccato e la morte e ci ha regalato una Vita Nuova e Piena che è iniziata in noi nel Battesimo, ma non si sostituisce a noi. Lui ci ha donato la libertà dalla schiavitù del peccato, ma siamo noi a doverne fare buon uso e scegliere di servire il Signore della Vita perché la libertà non diventi un pretesto per continuare ad asservirci alle opere della carne. Con il Battesimo, infatti, Gesù ha fatto iniziare in noi una Vita Nuova ed eterna, ma ci ha lasciato la libertà e la responsabilità di coltivare questa Vita o lasciarla appassire.

Perché questa Vita Nuova che è iniziata in noi possa crescere e svilupparsi, il Signore ci ha lasciato ciò che è essenziale: la luce e l’acqua. Ci ha lasciato la Luce della Resurrezione, che si irradia nella Sua Parola proclamata dalla Chiesa, la quale nutre la nostra Fede perché possa illuminare ogni ambito della nostra vita. Ci ha lasciato l’acqua del Battesimo (e tutti i sacramenti, segni efficaci della Grazia) che ci ha introdotti nella vita sacramentale permettendoci di nutrire, purificare e rafforzare la nostra Vita perché cresca e porti frutto. Ecco perché durante la santa veglia rinnoviamo i nostri impegni battesimali e veniamo ancora una volta aspersi con l’acqua lustrale: siamo chiamati a ravvivare sempre il dono della vita cristiana perché non venga soffocata dalle spine del mondo.

Il Signore Risorto oggi ancora una volta regala a tanti nostri fratelli che riceveranno il Battesimo una Vita nuova e Piena, una Vita bella che, anche nelle immancabili difficoltà quotidiane, non soccombe al nonsenso, una Vita destinata a durare per l’eternità. Questa stessa Vita oggi la rinnova in noi che già l’abbiamo ricevuta. A noi però la responsabilità di farla sviluppare, di portare frutto.

La pietra è rotolata, il sepolcro è aperto, non siamo più schiavi del peccato e della morte. Vogliamo Vivere la Vita vera o continueremo a restare nei nostri sepolcri?

Il Signore Risorto ci conceda di morire ogni giorno al peccato per potere vivere “per Dio in Cristo Gesù” e mostrare al mondo la gioia della resurrezione. Auguri.

Fr. Marco

sabato 23 marzo 2024

Davvero quest’uomo è Figlio di Dio!

«Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.» (Is 50,4-7).

La domenica delle palme contempliamo la Passione di nostro Signore Gesù Cristo che quest’anno è tratta dal Vangelo secondo Marco (14,1-15,47). La prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia ed in particolare dal Terzo Canto del Servo del Signore, mi fornisce una chiave di lettura per accostarmi al lungo racconto evangelico in cui ci viene mostrato il modo in cui Gesù abbraccia il mistero della Croce. Un mistero salvifico in cui anche noi siamo invitati ad entrare.

A volte chiamiamo “croce” una malattia, una disgrazia, … qualcosa che, non avendo un responsabile immediatamente identificabile, ci sembra venire direttamente da Dio. Ciò nonostante, non di rado facciamo fatica ad accettarla; convincendoci che è la volontà di Dio, però, se proprio non arriviamo ad abbracciarla, almeno ci rassegniamo alla “croce”.

Più difficile, sicuramente, è riconoscere la volontà di Dio e abbracciare la croce quando essa ci viene caricata addosso dalla cattiveria degli uomini. È questo ciò che fa Gesù e che oggi la Parola di Dio presenta alla nostra contemplazione perché anche noi possiamo seguire il Maestro.

L’evangelista Marco, infatti, nel suo racconto evidenzia come attorno a Gesù si va raccogliendo il peggio dell’umanità. A cominciare dall’unzione di Betania in cui si manifesta l’avarizia ipocritamente mascherata da interesse per i poveri: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!».

Segue il tradimento interessato di Giuda, uno dei dodici, che mette la mano nel piatto con Gesù; forse Giuda voleva piegare Gesù alla sua visione messianica (così alcuni hanno letto il suo gesto), ma certamente non  disdegna di guadagnarci: «promisero di dargli del denaro».

Che dire dell’indifferenza mostrata dai discepoli, e soprattutto dai tre “testimoni privilegiati”, Pietro Giacomo e Giovanni, per l’angoscia del loro Maestro? «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora?»

«Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!» Quanta amarezza sento in queste parole di Colui che passava beneficando tutti e che ora si vede trattato come un brigante.

Anche Pietro, che fino a poco prima aveva professato la sua assoluta fedeltà, dinanzi i servitori del sommo sacerdote cede alla paura e rinnega il Maestro per salvarsi la vita: «cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quest’uomo di cui parlate”». È sempre così: se non rinneghiamo noi stessi per seguire il Maestro, finiamo per rinnegare Gesù.

Attorno a Gesù si raccoglie la menzogna dei falsi testimoni, la malizia e l’invidia da parte dei capi del popolo, il vigliacco calcolo politico di Pilato che lo consegna perché sia crocifisso pur riconoscendolo innocente («Che male ha fatto?»).

Non è risparmiato a Gesù neanche il dileggio di quanti fino a poco prima lo avevano accolto festanti: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce! … Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!»

Veramente Gesù si è caricato delle nostre miserie e le ha inchiodate alla Croce perché potessimo liberamente seguirlo! Quanto spesso, però, la passione di Gesù continua nelle sue membra sofferenti, in quei piccoli di cui Gesù ha detto: «Tutto quello che avete fatto a loro, l’avete fatto a me» (Cfr. Mt 25,40).

Fatto salvo il dovere di opporsi all’ingiustizia - soprattutto quando colpisce i nostri fratelli - oggi il Maestro, mentre ci mostra quanto ci ama, ci insegna anche come si abbraccia la croce: rimanendo fedeli alla Verità, non rispondendo male a male, perdonando i propri nemici, pregando per i propri persecutori (cfr. Mt 5,38-48).

Qualcuno sicuramente penserà: «Io non sono Gesù! Questo modo di fare non è umano!». Voglio ricordare, però, a quanti la pensassero così, che nel Battesimo siamo stati conformati a Cristo, nella Comunione riceviamo Gesù vivo e vero per crescere nella piena statura di Cristo, nella Cresima riceviamo la pienezza dello Spirito Santo perché possiamo compiere le opere dei figli di Dio. I Sacramenti ci uniscono a Cristo e ci conformano a Lui, siamo chiamati a rendere visibile questa conformità: chi vede un cristiano dovrebbe riconoscervi i tratti del Figlio di Dio.

È vero, il cammino della sequela è difficile e Gesù non l’ha mai nascosto: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23). Spesso facciamo esperienza della nostra debolezza e cadiamo. Ma il Signore è sempre pronto a rialzarci perché possiamo riprendere il cammino e giungere con lui, attraverso la Croce, alla Pasqua eterna. Auguri.

Fr. Marco

sabato 16 marzo 2024

Chi ama la propria vita, la perde

«Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Ger, 31,31-34)

«Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.» (Eb 5,7-9)

«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.» (Gv 12, 20-33)

​In questa quinta domenica di quaresima il Maestro, ancora una volta, ci indica la Via della Vita che passa imprescindibilmente per la Croce accolta e abbracciata per amore. La Via della Vita, infatti, implica l'obbedienza del figlio, di colui che agisce per amore, non l’obbedienza formale ed esteriore del servo: la croce non può essere subita, sopportata, ma va accolta, abbracciata per amore. Solo così le nostre sofferenze, i nostri sacrifici, saranno croce salvifica.

Chi ama la propria vita, la perde... Chi vuole salvare la propria vita, chi vive sempre “in difesa”, pretendendo di proteggersi sempre da questo e da quello, ed ha l’unica preoccupazione di giungere alla propria felicità, andrà incontro al fallimento: la sua vita sarà inutile come un seme sterile, incapace di portare frutto.

Se uno mi vuole servire, mi segua. Quella che oggi il Maestro ci insegna è la via del servizio e della sequela: dietro a Lui siamo invitati a fare della nostra vita un dono d’amore come servizio a Lui gradito. È l’unica via perché la nostra vita possa essere piena e “degna di essere vissuta”. Una via “in salita”: faticosa e difficile; ma l’unica via che conduce alla Vita e non solo alla “sopravvivenza”. 

Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato la promessa di una Nuova ed Eterna Alleanza in cui la Legge di Dio non sarà più “esterna” al popolo, ma scritta nel loro cuore. Questa Legge è lo Spirito, l’Amore tra il Padre e i Figlio, effuso nei nostri cuori per renderci capaci di Amare. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)

Il Comandamento Nuovo, la legge della Nuova ed Eterna Alleanza è questo amore fino al dono di sé. Solo se saremo docili allo Spirito, se ci lasceremo guidare da Lui, saremo capaci amare come Lui ci ha amato, di perdere la vita, di prendere la nostra croce facendo della nostra vita un dono a chi ci sta accanto.

​Spesso, dinanzi la croce, siamo tentati di cercare scorciatoie e vie più comode. Il “mondo” ci insegna che dobbiamo curarci principalmente di “stare bene”. Ogni volta, però, che lasciamo la via della croce sperimentiamo solo una maggiore sofferenza in noi e in chi ci sta accanto. Ogni volta che ci occupiamo di cercare la nostra egoistica felicità, falliamo.

Oggi Gesù ci insegna che per giungere alla Vita dobbiamo fare della nostra esistenza un dono. Occuparci non della nostra egoistica felicità, ma di fare felice chi il Signore ci ha messo accanto.
Oggi ancora siamo invitati a scegliere quale maestro seguire: il Signore e Maestro capace di darci la Vita, o i “maestri”, gli idoli, di questo mondo?

Fr. Marco

sabato 9 marzo 2024

Chiunque crede in lui non va perduto, ma ha la vita eterna

 «In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà … Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora.» (2Cr 36,14-16.19-23)

«Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.» (Ef 2,4-10)

« … Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3,14-21)

​La quarta domenica di quaresima, è detta domenica “Laetare” per la prima parola dell’antifona d’ingresso: «Rallegrati Gerusalemme …». La Parola di Dio di oggi, inoltre, ci indica per che cosa rallegrarci: Dio ci ama!

Nella prima lettura, tratta dal libro delle Cronache, ascoltiamo, infatti, che il Signore aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Dio, che è Amore (Cfr. 1Gv 4,8), ama il suo popolo in maniera “viscerale”, tanto da esserne “geloso”: dopo averlo ammonito senza successo, si allontana per un po’ dal popolo per fargli sperimentare che lontano da Lui non vi è che morte e schiavitù.

San Paolo, nella seconda lettura tratta dalla Lettera agli Efesini, torna a parlarci dell’Amore di Dio come causa della nostra salvezza: siamo stati salvati per il grande amore con il quale ci ha amato. Questo amore salvifico di Dio si manifesta pienamente in Cristo. È mediante la Passione, Morte e Resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, infatti, che siamo passati dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio.

Per grazia siete stati salvati. Non sono le nostre opere ad acquistarci la salvezza, ma è l’essere stati salvati, l’Amore di Dio “effuso nei nostri cuori” (Cfr. Rm 5,5), che ci permette di compiere le opere dei figli di Dio.

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» In questa affermazione del Vangelo la proclamazione dell’amore di Dio per l’umanità raggiunge il suo culmine. Per la nostra salvezza, , per mostrarci la misura del Suo Amore, Dio dà tutto se stesso, si compromette con noi, si consegna nelle nostre mani fino ad essere crocifisso.

Il motivo per cui quest’oggi la liturgia ci invita a rallegrarci, quindi, è l’amore gratuito di Dio per noi; il fatto che siamo salvati per grazia, senza nostro merito.

«… perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» La salvezza che il Signore ci ha acquistato con la Sua Passione, Morte e Resurrezione è rivolta a tutti, tutti il Signore vuole salvare. Tale salvezza per grazia è un dono e come tale comporta la libera accettazione da parte dei destinatari. Per questo oggi Gesù preannunziando il suo Mistero Pasquale, lo paragona all’innalzamento del serpente nel deserto (Cfr. Nm 21,8s). Nel racconto del libro dei Numeri, i serpenti vengono mandati per rendere visibile il “veleno” della mormorazione che allontana il Popolo da Dio. Come Israele nel deserto è chiamato a guardare alla “conseguenza del suo peccato” per essere salvato dalla morte, così anche il popolo della Nuova Alleanza è chiamato volgere lo sguardo “a colui che hanno trafitto” per ottenere la liberazione dal peccato.

Il dono gratuito dell’Amore di Dio ci chiama quindi a responsabilità, ci chiede di accoglierlo e di corrispondervi. La prima cosa che siamo chiamati a fare è, infatti, accogliere questo amore, crederci! Il Vangelo di oggi afferma: «chiunque crede in lui» non va perduto, ma ha la vita eterna. Solo dopo averlo accolto, avere creduto all’amore che Dio ha per noi (Cfr. 1Gv 4,16), potremo corrispondervi.

… chiunque crede in lui. Guardare a Cristo, accogliere il Suo Amore, significa, quindi, in prima istanza, credere a questo amore, avere fiducia in Lui anche quando non “capiamo” e non percepiamo il Suo amore. Una fiducia che non può essere solo esteriore, “verbale” («non chi dice Signore, Signore …»), ma che deve tradursi in gesti concreti, in una vita che, sull’esempio del Maestro, sa farsi dono.

Oggi Gesù ci ha assicurato che chiunque crede in lui non andrà perduto e avrà la Vita eterna. A questo punto, però, è il caso di domandarci: “Io credo in Lui?”. Non rispondiamo frettolosamente, ma guardiamo alla nostra vita, a ciò in cui confidiamo, a ciò di cui siamo convinti di non potere fare a meno … “Io credo in Lui?”

Fr. Marco