sabato 29 febbraio 2020

Nel deserto per essere tentato


«… Ma il serpente disse alla donna: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male”. Allora la donna … prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi» (Gen 2, 7-9. 3, 1-7)

«Fratelli, … se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.» (Rm 5, 12-19)

« … “Se tu sei Figlio di Dio, … “Sta scritto …”. … Allora Gesù gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”. Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.» (Mt 4, 1-11)

La Parola di Dio della prima domenica di quaresima ci presenta la realtà della tentazione e del peccato perché, con Cristo, possiamo uscirne vittoriosi. 
La prima lettura, tratta dal libro della Genesi, infatti, ci presenta la radice di ogni peccato: il sospetto su Dio, il dubbio che veramente Dio ami l’uomo. È questo ciò che il serpente insinua affermando: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». È “l’anti parola”, la menzogna secondo la quale Dio, non volendo la piena realizzazione dell’uomo, avrebbe mentito. Disobbedendo a Dio, però l’uomo scopre che ad avere mentito non è Dio, bensì il serpente, padre della menzogna. Il frutto della disobbedienza, infatti, è tutt’altro che l’essere come Dio: «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi». Slegato dal vitale rapporto con il suo Creatore, l’uomo scopre drammaticamente la propria “nudità”, il proprio essere “limitato” e, non riuscendo più a guardare al Padre con fiducia, sperimenta la paura.
Il racconto del peccato delle origini ci mostra pure il “fascino del peccato”, l’attrattiva che esercita su di noi: buono da mangiaregradevoledesiderabile per acquistare saggezza. È quello che S. Giovanni nella sua prima lettera chiama: «la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita» (1Gv 2,16). Dopo la disobbedienza, l’uomo scopre di non essere libero, ma schiavo dei propri bisogni: i bisogni fisici, della “carne”; il bisogno di apparire; il bisogno di potere. Tutti gli uomini siamo soggetti a queste tentazioni, e, come ci dice oggi S. Paolo, tutti abbiamo peccato. Il peccato delle origini, la prima ribellione, è come un pugno di neve che si stacca dalla montagna; ad esso, lungo la caduta, si aggiunge altra neve (i nostri peccati) diventando una valanga. Un processo inarrestabile cui solo Gesù può porre fine.
Con la sua opera redentrice, infatti, Gesù ristabilisce il vitale rapporto con il Padre che è l’unica via per resistere alla tentazione. È questo il senso delle risposte che dà a satana nella pagina evangelica. Tre risposte che possiamo sintetizzare in tre fondamentali atteggiamenti da assumere.
Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Il primo atteggiamento che ci viene raccomandato potremmo chiamarlo “povertà”, riconoscimento della nostra dipendenza: la consapevolezza, cioè, che l’unica cosa veramente necessaria e di cui non possiamo fare a meno è la relazione con il Padre dal quale viene la nostra vita.
Non metterai alla prova il Signore Dio tuo. Il secondo atteggiamento è “l’umiltà”, cioè lo “stare al proprio posto” davanti a Dio, senza metterlo alla prova e senza pretendere di “insegnargli a fare Dio”, ma fidandoci di Lui e della Sua volontà.
Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto. Il terzo atteggiamento, infine è la “purezza di cuore” cui è legata beatitudine (Cfr. Mt 5,8), avere, cioè, un cuore “uno”, non diviso, tutto rivolto al Padre e che, quindi non ha spazio per gli idoli che promettono una felicità che non possono dare.
Il tempo di quaresima appena iniziato è per noi come il deserto percorso da Israele e  nel quale Gesù è stato condotto subito dopo il battesimo: il luogo in cui mettersi in dialogo con Dio per scoprire, come direbbe S. Francesco, «Chi sei tu? e chi sono io?» (Cfr. FF 1915). Anche noi siamo invitati ad una più intima relazione con il Padre per scoprire cosa abbiamo nel cuore e purificare il nostro rapporto con Lui. Fuggiamo la tentazione che nasce dal dubbio e dalla paura, e fidiamoci del Padre che solo può saziare la nostra fame di Vita e felicità.
Fr. Marco.

sabato 22 febbraio 2020

Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste

«Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui.» (Lv 19,1-2. 17-18)

«Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio.» (1Cor 3,16-23)

«… amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; … se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». (Mt 5,38-48)

Domenica scorsa la Parola ci ammoniva: «se la vostra giustizia non supererà quella di scribi e farisei, non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 5,20). Questa domenica, settima del Tempo ordinario, si spinge oltre: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»!
Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. Misura di questa perfezione è la capacità di amare anche il nemico, di non opporre violenza alla violenza. Diciamolo chiaramente: per molti di noi ciò è assurdo, impossibile. Per tanti di noi comportarsi come chiede questa pagina evangelica è pazzia, “stoltezza”. Nella seconda lettura, però, San Paolo ci ha messi in guardia: Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente. Ciò che per il mondo è stoltezza, è sapienza per Dio.
La vera “stoltezza”, la pazzia, è pensare di potere sconfiggere il male con il male, la violenza con la violenza. La “sapienza del mondo” ci insegna ad agire così. Dove porti questo modo di fare è cronaca quotidiana: guerre fra Stati; faide interminabili tra famiglie i cui membri si odiano quasi senza più ricordarne il motivo; famiglie disgregate al loro interno … Oggi Gesù ci invita convertirci, a cambiare mentalità, ad assumere il punto di vista del Padre; ci invita ad accogliere il perdono del Padre e ad imparare a perdonare a nostra volta.
Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Il Maestro oggi ci chiede di non opporre male a male, ma di “dare un taglio” ai motivi di contesa. Porgere l’altra guancia a chi ti ha colpito non significa solo e principalmente farsi colpire ancora; significa soprattutto relazionarsi con il fratello o con la sorella, in modo nuovo, dandogli una nuova possibilità. Il fratello che mi colpisce lascia il segno sulla mia guancia. A questo punto (come spesso facciamo) possiamo relazionarci con lui/lei dicendo “guarda cosa mi hai fatto”; oppure possiamo “mostrare l’altra guancia” cioè cercare di recuperare la relazione partendo dalla guancia non segnata, senza cercare soddisfazione al nostro io offeso. Ciò non significa essere passivi e conniventi di fronte all’ingiustizia e al male, la prima lettura, infatti, afferma l’esigenza di rimproverare apertamente chi sbaglia. Porgere l’altra guancia significa cercare quella giustizia superiore necessaria per entrare nel Regno, una giustizia che salvi il fratello.
Amate i vostri nemici. È un’esigenza evangelica altissima, ma irrinunciabile. Vale la pena, tuttavia, soffermarci un attimo sul “tipo di amore” che Gesù ci chiede. Il Vangelo usa qui il verbo greco agapao per indicare l’amore da donare al nemico. Sappiamo che il greco conosce almeno tre verbi per esprimere l’amore: erao (da cui eros) è “l’amore passionale”, di chi “ha bisogno dell’altro”; fileo esprime un amore più paritario, l’amore/amicizia in cui il soggetto porta l’altro nella propria intimità; il verbo agapao, infine, esprime un amore “centrifugo”, l’amore con cui ci ama Dio, cioè un amore in cui il soggetto dona o si dona. Comprendere questa prospettiva, se in un certo senso può confortarci (non si tratta di portare il nemico nella nostra intimità- non viene usato il verbo fileo), ci dà anche la giusta misura dell’amore: si tratta di non chiudere il cuore, di donare anche al nemico; siamo chiamati ad imitare il modo con cui Dio ci ama: facendo piovere la sua misericordia sui giusti e sugli ingiusti, arrivando a donare tutto se stesso fino alla morte senza chiedere nulla in cambio.
Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Oggi Gesù ci esorta ad imparare dal Padre la perfezione dell’Amore misericordioso, che mai si chiude all’altro e sempre dà la possibilità di risollevarsi dalla propria miseria, di ricominciare. Oggi il maestro ci invita a perdonare coloro che ci hanno fatto del male. Pregando il Padre Nostro, diciamo: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Gesù, nel Vangelo di Mt, sottolinea questa equivalenza affermando «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.» (Mt 6, 14-15): se (e come) perdoniamo, saremo perdonati. Rendiamoci disponibili, allora, ad accogliere il Perdono del Padre, imparando da lui l’amore misericordioso.
Fr. Marco.

sabato 15 febbraio 2020

La nostra giustizia


«Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.» (Sir 15, 16-21)

«Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla.» (1Cor 2,6-10)

«Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.» (Mt 5, 17-37)

Domenica scorsa la Parola di Dio ci ha ricordato che, in forza del nostro Battesimo, siamo chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo. Questa domenica, sesta del Tempo Ordinario, il Signore, affermando di essere venuto a portare a compimento la Legge, ci esorta ad una giustizia che superi quella di scribi e farisei.
Scribi e Farisei, lo sappiamo bene, erano scrupolosi osservanti della Legge di cui si preoccupavano di mettere in pratica anche il più piccolo precetto; ciò che, però, Gesù rimprovera, è la loro osservanza puramente esteriore, arida, fatta per paura del castigo e per “meritare la salvezza”. Una “giustizia” auto centrata, che non è vista in relazione al tu di Dio e del fratello. Il termine “giustizia” usato dall’evangelista indica le “opere giuste”, le “opere di pietà”, il “culto”; ritengo, tuttavia, che non sia del tutto errato intendere anche la virtù della giustizia da cui queste opere devono scaturire. La virtù cardinale della Giustizia consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto (CCC 1807). È quindi una virtù che ci orienta alla relazione ordinata e “autentica” con l’altro. Scribi e Farisei, come dicevamo, vivono una “giustizia” autocentrata, non in relazione con Dio e con i fratelli. Le loro “opere di giustizia” sono compiute mettendo in pratica scrupolosamente e letteralmente la legge per apparire irreprensibili e “acquistare meriti”. La nostra “giustizia” (le nostre opere buone) non posso essere fatte così! Il Signore “guarda il cuore”, «egli vede ogni cosa» (I lettura). Le nostre opere buone devono essere motivate dall’amore, dalla relazione autentica con Dio e con i fratelli, per essere veramente opere di giustizia.
Purtroppo, anche oggi si può riscontrare in alcuni fratelli un “atteggiamento farisaico”. Capita, per esempio, che si vada alla Celebrazione Eucaristica domenicale solo per adempiere il precetto e non per incontrare il Signore. In tal caso, cercherò una Messa breve, non mi preoccuperò di arrivare puntuale, non mi curerò di ascoltare le letture … Magari penso di avere adempiuto il precetto, ma non ho realmente incontrato il Signore. Ancora: se mi confesso cinque minuti prima della Messa solo perché mi hanno insegnato che bisogna confessarsi per potere ricevere la Comunione, ma non ho fatto un serio esame di coscienza, non ho consapevolezza del mio peccato e, quindi, non intendo cambiare … se magari esordisco affermando: «io non ho peccati …»; oppure: «Le solite cose …»; magari penso di essere un buon cristiano, ma non ho davvero incontrato la Grazia: il Padre vuole darmi la Grazia e una vita più bella, ma io non sono disposto ad accoglierla.
Ricordiamo che il Signore guarda al cuore, all’intenzione con cui agiamo. È li che noi possiamo scegliere la vita o la morte. È dal cuore che scaturisce la bontà o la malizia delle nostre azioni. Ecco allora che l’omicidio, l’adulterio e ogni opera cattiva, prima di consumarsi esternamente si consumano nel cuore.  Se, pur non commettendo un omicidio, chiudo il cuore al fratello nel bisogno, non perdono e medito vendetta, lascio libero sfogo alla mia ira, o distruggo socialmente un mio fratello (facendolo passare per pazzo o stupido), io l’ho ucciso nel mio cuore. Se comincio a coltivare un “desiderio violento” per una donna/uomo sposata/o, un desiderio tale che aspetta solo l’occasione giusta per consumarsi, io nel mio cuore ho già commesso adulterio.
Oggi il Signore ci chiede di vivere autenticamente la nostra relazione con Lui; di non limitarci ad apparire giusti, ma di essere autenticamente ciò che siamo chiamati ad essere in relazione a Lui e ai fratelli: sale e luce del mondo, testimoni del Suo amore misericordioso in cui riponiamo la nostra fiducia. Solo così il nostro culto, le nostre offerte, la nostra vita potrà essergli gradita.
Alziamo, allora, lo sguardo e spingiamolo verso l’eternità che il Padre ha pensato per noi. Relativizziamo le realtà terrene: la loro è un’importanza relativa (che è in relazione) a Dio. Non assolutizziamole, non permettiamo che ci dividano dal Padre, ma usiamone bene in vista dell’eternità.
Fr. Marco

martedì 11 febbraio 2020

"Io sono l'Immacolata concezione" - B.V. Maria di Lourdes

Nella memoria liturgica della B. V. Maria di Lourdes vi propongo alcuni cenni della spiritualità di S. Massimiliano Maria Kolbe (8/1/1894 – 14/8/1941).
Questo frate Conventuale, Missionario in Giappone per tanti anni, diede vita nel 1917 all’associazione “Milizia dell’Immacolata” che ha come scopo l’espansione del regno di Dio attraverso la consacrazione all’Immacolata. Il “milite” dell’Immacolata si consacra alla Madre di Dio supplicandola di accettarlo come “cosa propria”, di fare di lui/lei ciò che a Lei piace, in un atteggiamento di amore servizievole e “cavalleresco”.
Per S. Massimiliano M. tale consacrazione a Maria Immacolata ha un ambito trinitario: sia l’amore per Maria che quello per Cristo sono indirizzati alla Trinità. Maria Immacolata è vista come particolare frutto dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, infatti, è in Dio “concezione increata ed eterna”. Le creature sono “concezioni contaminate” dal peccato. Unita allo Spirito, Maria diventa anche lei Concezione Immacolata, apice dell’amore che torna a Dio. In un suo scritto P. Massimiliano afferma: 
«L’Immacolata a Lourdes, nella sua apparizione, non dice: “Io sono stata concepita immacolatamente”, ma: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Con ciò Ella determina non solo il fatto dell’Immacolata Concezione, ma anche il modo come questo privilegio Le appartiene. Perciò, non è qualcosa di accidentale, ma fa parte della Sua stessa natura. Ella stessa è la Concezione Immacolata. Di conseguenza, Ella è tale anche in noi e ci trasforma in Se stessa come Immacolati… »(Cfr. Scritti Kolbiani –SK- 486).
Ecco come lo stesso padre Kolbe risponde alla domanda “Chi è l’Immacolata?”:
«Da se stessa non è niente, come le altre creature, ma per opera di Dio è la più perfetta fra le creature. La più perfetta somiglianza dell’essere divino. L’Immacolata non ebbe mai nessuna macchia di peccato, il che vuol dire che il suo amore fu sempre totale, senza alcun impedimento. Amò Dio con tutto il proprio essere e l’amore la unì con Dio in modo così perfetto fin dal primo istante di vita, che nel giorno dell’Annunciazione l’Angelo poté rivolgersi a Lei dicendole: “Piena di grazia, il Signore è con te” (Lc1,28). Ella è, dunque, creatura di Dio, proprietà di Dio, somiglianza di Dio, immagine di Dio, figlia di Dio, nel modo più perfetto possibile ad un essere umano. Ella è strumento di Dio. Con piena consapevolezza si lascia volontariamente condurre da Dio, si conforma alla sua volontà, desidera solo ciò che Egli vuole, opera secondo la sua volontà e ciò nel modo più perfetto possibile, senza il minimo difetto, senza alcuna deviazione della propria volontà dalla volontà di Dio. La sua unione d’amore con Dio giunge fino al punto che ella diviene Madre di Dio. Il Padre le affida il proprio figlio, il Figlio discende nel suo grembo, mentre lo Spirito Santo forma, con il corpo di Lei, il corpo santissimo di Gesù.» (Cfr. SK 1318)
In preparazione della festa dell’Immacolata, così scrive ai membri della Milizia:
«Noi, consacrati in proprietà all’Immacolata nelle schiere della sua Milizia … Ella ci insegnerà il modo di poter – giorno dopo giorno, ora dopo ora, istante dopo istante, nel fedele adempimento dei nostri doveri ordinari e nell’impegno di conformarci alla volontà di Dio – ella  ci insegnerà il modo di poter manifestare il nostro amore verso il Cuore divino: un amore generoso, mediante il compimento della sua volontà, nonostante le difficoltà, i sacrifici e le croci. Allora come preparaci alla festa dell’Immacolata? Come fare per trascorrerla nel modo migliore? Innanzi tutto laviamo la nostra anima nel sacramento della penitenza, per togliere le macchie del peccato: così facendo essa diventa, almeno un poco, simile all’Immacolata. Inoltre, supplichiamo l’Immacolata affinché prepari il nostro cuore ad accogliere in modo degno il suo divin Figlio Gesù, presente nel santissimo sacramento dell’altare … La pregheremo affinché Ella voglia offrire a Gesù la giusta riparazione sia per le nostre attuali infedeltà sia per i numerosi torti che Egli subisce nel mondo intero da parte dei peccatori. Ancora rinnoviamo il nostro atto di Consacrazione all’Immacolata. Infine, riflettiamo un poco per chiederci se finora abbiamo servito l’Immacolata con sufficiente entusiasmo … Gesù ama assai coloro che lo imitano nell’amore verso la sua purissima Madre …» (Cfr. SK 1233-1234).
Il Signore ce lo conceda.
​Fr. Marco


sabato 8 febbraio 2020

Voi siete Sale, voi siete Luce


«Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» (Is 58, 7-10)
«… la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.» (1Cor 2, 1-5)

«Voi siete il sale della terra; … Voi siete la luce del mondo; … Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Lc 5,13-16)

La Parola di Dio della V domenica del Tempo ordinario, ci presenta i simboli del sale e della luce. Due elementi preziosi nella nostra vita, tanto che il sale era anticamente usato come moneta di scambio e fino qualche decennio fa era monopolio di Stato (si possono ancora vedere alcune antiche insegne: “sali e tabacchi”).
Questi due simboli, inoltre, ci rimandano al battesimo che abbiamo ricevuto: un tempo, al momento del battesimo, si metteva un po’ di sale sulla bocca del neo battezzato perché ricevesse la Sapienza che viene da Cristo (la parola sapienza ha a che fare con il latino săpĕre e quindi con sapore); tutt’oggi, come allora, la liturgia prevede che al neofita, nella persona dei genitori, venga consegnata una candela accesa al Cero Pasquale (principale segno del Cristo risorto) come  simbolo della luce della Fede che deve guidarlo nella sua vita; una luce di cui sia il neofita che i genitori sono chiamati a prendersi cura.
Nel Vangelo di oggi Gesù ci rivela una verità che, se da una parte può rallegrarci, dall’altra ci chiama a responsabilità: noi, conformati a Cristo nel Battesimo, siamo il sale della terra e la luce del mondo! Il mondo di oggi sembra avere perso ogni sapienza: non poche persone hanno smarrito il senso (il sapore) del loro vivere e sono abbagliati dalle false luci dell’egoismo, dell’edonismo, del possesso senza condivisione … Ingannandosi, pensano che seguendo queste luci potranno salvarsi la vita. L’inganno, però, si svela presto, giacché più si procede, più si scopre che da una vita così non si ottiene altro che stanchezza, insoddisfazione e inimicizie.
«Io sono la luce del mondo, dice il Signore» (Gv 8,12) Noi siamo luce del mondo, nella misura in cui ci lasciamo illuminare da Cristo. A noi cristiani è affidata, quindi, la responsabilità di portare al mondo la Luce vera che è Cristo! Siamo chiamati ad aiutare i nostri fratelli e sorelle a riscoprire il sapore della Vita; quella vita bella e “saporita/sapiente” che comincia qui e dura per l’eternità.
Il vangelo di oggi, però, ci mette in guardia: badiamo di non perdere anche noi il sapore, di non diventare anche noi "insipidi/insipienti"; badiamo a non fare spegnere o nascondere la luce che Cristo ha acceso in noi. In questo caso, infatti la nostra vita sarà stata inutile, senza senso essa stessa; avremo sprecato la vita!
Come Cristo, Luce del mondo, ha fatto brillare la sua luce dal “candelabro” della Croce, fulgido segno del suo Amore, anche noi, con il coraggio della Fede, impariamo giorno dopo giorno a vivere l’Amore nella nostra quotidianità. Pur senza dimenticare di fare quello che possiamo per i fratelli più bisognosi, cominciamo a vivere l’amore prima di tutto con coloro che ci sono più prossimi: nella nostra casa (cfr. Vangelo) e tra i nostri parenti (cfr. I lettura). Impariamo ad accoglierci e perdonarci nelle nostre debolezze, impariamo a condividere ciò che il Signore ci ha donato … Se cominceremo a vivere così, anche solo nel “nostro piccolo mondo”, la luce della fede e dell’amore che Cristo ha acceso in noi si spanderà, contagerà chi ci sta accanto e pian piano trasformerà il mondo. Il Signore ce lo conceda perché la nostra vita possa essere quel capolavoro che Egli da sempre ha pensato per noi.
Fr. Marco.

sabato 1 febbraio 2020

Entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate

«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; … Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.» (Ml 3,1-4)

«… doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.» (Eb 2,14-18)

«Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». (Lc 2, 22-40)

Questa domenica celebriamo la festa della presentazione del Signore al Tempio. Questa festa si svolgeva già a Gerusalemme nel IV secolo con il nome greco di Hypapante, “festa dell’incontro”. Celebra l’incontro tra la “profezia” rappresentata dal vecchio Simeone, e il suo compimento, il Cristo; tra il popolo redento, rappresentato dalla profetessa Anna, e il Redentore.

È una festa che “fa da ponte” tra il Natale, cui è legata per i quaranta giorni trascorsi (periodo rituale dopo il quale la donna che aveva partorito poteva entrare nel Tempio) e la Pasqua, richiamata dalle parole del santo Simeone.

«Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» Il santo Simeone, guidato dallo Spirito, riconosce in quel bambino che viene portato al Tempio per presentarlo al Signore, il Salvatore del mondo e lo addita come “segno di contraddizione”: è lui il discrimine. Il criterio con cui il mondo verrà giudicato è il modo in cui avrà accolto il Signore che viene. Soltanto accogliendo il Cristo come nostro Signore, Egli sarà per noi risurrezione e vita. Tale accoglienza, però, non può avvenire solo a parole (“non chi dice Signore, Signore …”), ma deve esprimersi in una vita vissuta nella Signoria di Cristo, in obbedienza alla Sua volontà.
Quest’oggi è anche la giornata della vita consacrata, il giorno dedicato a quanti hanno risposto alla chiamata del Signore ad una vita consacrata in maniera particolare ed esclusiva a Lui. Se dico  “in maniera particolare ed esclusiva” è perché tutti i battezzati siamo in realtà consacrati al Signore, conformati a Lui, innestati in Lui. Alcuni battezzati, però, siamo chiamati a vivere questa consacrazione in maniera più radicale dedicandoci esclusivamente alla causa del Regno per essere così, in maniera, particolare portatori della luce di Cristo ai fratelli (il modo in cui riesco realmente a vivere questa missione, lo affido alla misericordia del Signore. NdR).
Il simbolo delle candele, infatti, richiama da vicino il Cristo risorto (di cui il cero Pasquale è il simbolo per eccellenza) in cui anche noi, battezzati, siamo risorti. Al nostro battesimo abbiamo ricevuto una candela accesa al cero Pasquale: è il simbolo della Fede alla luce della quale siamo chiamati a vivere. Tale Fede è una luce che non possiamo “mettere sotto il moggio”, che non possiamo nascondere. Una luce della quale siamo responsabili, che dobbiamo alimentare con la grazia dei sacramenti e l’ascolto assiduo della Parola, perché non si spenga. Come Cristo, “luce delle genti” e “segno di contraddizione”, anche noi siamo chiamati a “non conformarci alla mentalità di questo mondo” (Cfr. Rm 12) per portare, ai fratelli che sono nelle tenebre, la luce di Cristo.
«Gesù disse di essere venuto a portare il fuoco sulla terra (Lc. 12, 49); non era, certo, il fuoco materiale che brucia e che distrugge, ma il fuoco che riscalda: l’amore. Esso doveva operare il grande disgelo del mondo attanagliato dal gelo dell’egoismo e dell’odio. […] La luce che ci ha affidato era, dunque, null’altro che il precetto dell’amore: Amatevi gli uni gli altri; amate anche i vostri nemici. È questa la luce che dobbiamo portare con noi, ogni volta di nuovo, dalla chiesa, per far luce “a tutti quelli che sono nella casa”, a quelli con cui viviamo la nostra giornata. È, in senso evangelico, una luce posta sul candelabro il cristiano che si sforza di essere comprensivo con le persone, a cominciare dalle più vicine, che non ha parole amare di critica e di disapprovazione per tutti, che sa incoraggiare un piccolo sforzo di bene negli altri.» (P. Raniero Cantalamessa)
Auguri, dunque, a tutti noi consacrati nel battesimo: che la luce dell’Amore che Cristo ha acceso nei nostri cuori possa ardere in noi ed essere luce che purifica la nostra vita e illumina e riscalda la vita dei nostri fratelli.

Fr. Marco