«Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai
fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte,
il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.» (Sir 15,
16-21)
«Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di
una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che
vengono ridotti al nulla.» (1Cor 2,6-10)
«Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli
scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.» (Mt 5, 17-37)
Domenica scorsa la Parola di Dio
ci ha ricordato che, in forza del nostro Battesimo, siamo chiamati ad essere
sale della terra e luce del mondo. Questa domenica, sesta del Tempo Ordinario, il
Signore, affermando di essere venuto a portare a compimento la Legge, ci esorta
ad una giustizia che superi quella di
scribi e farisei.
Scribi e Farisei, lo sappiamo
bene, erano scrupolosi osservanti della Legge di cui si preoccupavano di
mettere in pratica anche il più piccolo precetto; ciò che, però, Gesù
rimprovera, è la loro osservanza puramente esteriore, arida, fatta per paura
del castigo e per “meritare la salvezza”. Una “giustizia” auto centrata, che
non è vista in relazione al tu di Dio e del fratello. Il termine “giustizia”
usato dall’evangelista indica le “opere giuste”, le “opere di pietà”, il “culto”;
ritengo, tuttavia, che non sia del tutto errato intendere anche la virtù della
giustizia da cui queste opere devono scaturire. La virtù cardinale della
Giustizia consiste nella costante e ferma
volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto (CCC 1807). È quindi
una virtù che ci orienta alla relazione ordinata e “autentica” con l’altro. Scribi e Farisei, come
dicevamo, vivono una “giustizia” autocentrata, non in relazione con Dio e con i
fratelli. Le loro “opere di giustizia” sono compiute mettendo in pratica
scrupolosamente e letteralmente la legge per apparire irreprensibili e “acquistare
meriti”. La nostra “giustizia” (le nostre opere buone) non posso essere fatte
così! Il Signore “guarda il cuore”, «egli
vede ogni cosa» (I lettura). Le nostre opere buone devono essere motivate
dall’amore, dalla relazione autentica con Dio e con i fratelli, per essere
veramente opere di giustizia.
Purtroppo, anche oggi si può
riscontrare in alcuni fratelli un “atteggiamento farisaico”. Capita, per esempio,
che si vada alla Celebrazione Eucaristica domenicale solo per adempiere il
precetto e non per incontrare il Signore. In tal caso, cercherò una Messa
breve, non mi preoccuperò di arrivare puntuale, non mi curerò di ascoltare le
letture … Magari penso di avere adempiuto il precetto, ma non ho realmente
incontrato il Signore. Ancora: se mi confesso cinque minuti prima della Messa
solo perché mi hanno insegnato che bisogna confessarsi per potere ricevere la
Comunione, ma non ho fatto un serio esame di coscienza, non ho consapevolezza
del mio peccato e, quindi, non intendo cambiare … se magari esordisco
affermando: «io non ho peccati …»; oppure: «Le solite cose …»; magari
penso di essere un buon cristiano, ma non ho davvero incontrato la Grazia: il
Padre vuole darmi la Grazia e una vita più bella, ma io non sono disposto ad
accoglierla.
Ricordiamo che il Signore guarda
al cuore, all’intenzione con cui agiamo. È li che noi possiamo scegliere la
vita o la morte. È dal cuore che scaturisce la bontà o la malizia delle nostre
azioni. Ecco allora che l’omicidio, l’adulterio e ogni opera cattiva, prima di
consumarsi esternamente si consumano nel cuore. Se, pur non commettendo
un omicidio, chiudo il cuore al fratello nel bisogno, non perdono e medito
vendetta, lascio libero sfogo alla mia ira, o distruggo socialmente un mio
fratello (facendolo passare per pazzo o stupido), io l’ho ucciso nel mio cuore.
Se comincio a coltivare un “desiderio violento” per una donna/uomo sposata/o,
un desiderio tale che aspetta solo l’occasione giusta per consumarsi, io nel
mio cuore ho già commesso adulterio.
Oggi il Signore ci chiede di
vivere autenticamente la nostra relazione con Lui; di non limitarci ad apparire
giusti, ma di essere autenticamente ciò che siamo chiamati ad essere in
relazione a Lui e ai fratelli: sale e luce del mondo, testimoni del Suo amore
misericordioso in cui riponiamo la nostra fiducia. Solo così il nostro culto,
le nostre offerte, la nostra vita potrà essergli gradita.
Alziamo, allora, lo sguardo e spingiamolo verso l’eternità che il Padre ha pensato per noi. Relativizziamo le realtà terrene: la loro è un’importanza relativa (che è in relazione) a Dio. Non assolutizziamole, non permettiamo che ci dividano dal Padre, ma usiamone bene in vista dell’eternità.
Fr. Marco
Alziamo, allora, lo sguardo e spingiamolo verso l’eternità che il Padre ha pensato per noi. Relativizziamo le realtà terrene: la loro è un’importanza relativa (che è in relazione) a Dio. Non assolutizziamole, non permettiamo che ci dividano dal Padre, ma usiamone bene in vista dell’eternità.
Fr. Marco
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