domenica 31 dicembre 2023

Nella pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna


 « … porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (Nm 6, 22-27)

«Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.» (Gal 4,4-7)

«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.» (Lc 2,16-21)

​Il primo giorno di ogni anno, che per Volere di S. Paolo VI è anche la giornata mondiale della Pace,  la Chiesa celebra la solennità di Maria santissima Madre di Dio. La Parola di Dio di questa solennità si apre con la benedizione del Signore che, attraverso la sua santissima Madre, fa splendere il suo volto sui suoi consacrati. Trovo veramente confortante che l’anno civile si apra nel segno della benedizione del Signore: il tempo, tutto il nostro tempo, è un dono del Padre ed è sotto la Sua benedizione!

In questo ottavo giorno dopo il Natale, inoltre, la pagina evangelica ci conduce ancora una volta, insieme ai pastori, davanti la mangiatoia in cui è adagiato Gesù, il principe della Pace, che viene nel fragile segno di un bambino. Come i pastori, anche noi, siamo invitati a lasciarci prendere dallo stupore.

Forse oggi abbiamo perso la capacità di stupirci: assistiamo continuamente e con atteggiamento indifferente alle più alte manifestazioni di grandezza della nostra umanità e alle più abbiette miserie del genere umano. La globalizzazione ci ha anestetizzati di fronte a grandi scoperte e immani tragedie. La Parola di oggi ci invita a riscoprire il sentimento di stupore che prese i pastori dinanzi la gloria di Dio manifestata nel bambino Gesù. Come i pastori, fidiamoci del Signore e lasciamo che continui a meravigliarci, a mostrarci le sue meraviglie!

Per poterci stupire, però, è importante apprendere l’atteggiamento di Maria che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore»:  meditava la povertà della stalla, la visita dei pastori mandati da un angelo, il canto delle schiere celesti degli angeli. Meditava soprattutto il mistero del suo figlio, Dio fatto uomo ed era consapevole della sua divina maternità. Quel bambino piccolo, debole e bisognoso di tutto era il suo Dio ed era suo figlio! L'infinita tenerezza della maternità di Maria è un riflesso della paternità di Dio.

Iniziando un nuovo anno civile, oggi impariamo, inoltre, dalla nostra santissima Madre a mettere Gesù al centro della nostra vita. Maria, infatti, in quanto Madre di Dio, è costantemente rivolta al Figlio con lo sguardo, il pensiero, il cuore e tutta se stessa. Ha contemplato Gesù fin dalla sua nascita in costante atteggiamento di stupore e di adorazione.

Credo sia bello oggi pregare il Signore, con le parole di quella che forse è la più antica preghiera mariana (III sec.), perché ci conceda la pace per intercessione della Madre di Dio: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.

Alla materna intercessione di Maria, affidiamo le vittime delle guerre che ancora incendiano il mondo; delle guerre a noi più vicine, quella in Ucraina e in Palestina, ma anche dei numerosi conflitti che mietono vittime innocenti. Alla Madre di Dio affidiamo le vittime della violenza e dell'odio, specialmente i bambini e i cristiani vessati, sradicati, perseguitati e uccisi; alla sua potente intercessione affidiamo anche tutti gli ammalati, gli operatori sanitari e le vittime delle catastrofi naturali.

Guidati dalla Parola e resi figli nel Figlio, impariamo da Maria Santissima a custodire nel cuore e trasformare in vita la Parola di Dio. Lasciamoci raggiungere dalla benedizione divina e, affidandoci al Cristo Signore cui appartengono i giorni i secoli e il tempo, lasciamo che il Suo volto risplenda su di noi e attraverso di noi perché, anche attraverso la nostra obbedienza alla Sua Parola, il mondo conosca quella Pace vera che il Signore è venuto a portare. Auguri di un Buon 2024

Fr. Marco

sabato 30 dicembre 2023

La famiglia riflesso vivente della Trinità

 «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande» (Gen 15,1-6; 21,1-3)

«Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso.» (Eb 11,8.11-12.17-19)

«Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore” – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.» (Lc 2,22-40)

La pagina di Vangelo della festa della Santa Famiglia​ ci presenta il nucleo fondamentale della Chiesa: la famiglia secondo il progetto del Padre.

Il primo dato che emerge è l’obbedienza alla Legge del Signore: la consacrazione al Signore del figlio primogenito e la purificazione rituale della Madre. L’altro dato, che apprendiamo dalle parole del giusto Simeone, è che neanche a Maria Santissima, la benedetta fra le donne, verrà risparmiata la sofferenza: « … anche a te una spada trafiggerà l’anima». L’inno delle Lodi mattutine, inoltre, definisce la sacra famiglia “esperta nel soffrire”. La Pace che viene a portare Gesù, infatti, non è assenza di tribolazioni, ma la capacità di affrontarle con l’obbedienza fiduciosa animata dall’Amore; quell’Amore che vince il mondo e che ci permette di affrontare le invitabili tempeste della vita senza soccombere.

È proprio l’obbedienza fiduciosa come risposta alla fedeltà di Dio, la tematica fondamentale che attraversa le letture di oggi. La prima e la seconda lettura, infatti, ci presentano la figura di Abramo che obbedisce e si mette in cammino per strade sconosciute e, proprio quando pensa di avere perso tutto, fa l’estremo atto di fiducia (credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia) e riceve quella discendenza che umanamente gli era preclusa.

Nella famiglia obbediente al progetto di Dio, nella comunione d’amore che si apre alla fecondità, si manifesta la fedeltà di Dio all’uomo; quella fedeltà che diventa speranza di un futuro e pienezza di vita. Oggi, però, la crisi economica e le tendenze sociali e politiche minacciano la famiglia fin dal suo nascere tanto che si ha sempre più paura di sposarsi e fare figli. L’avere esteso il concetto di famiglia ad ogni relazione affettiva, perfino a quella col proprio animale domestico, inoltre, ha svuotato di senso il termine stesso

Nella cultura edonistica in cui siamo immersi, il piacere individuale, lo “stare bene”, è divenuto l’unico criterio delle scelte della nostra vita. Questa esigenza, che nei giusti limiti ha la sua legittimità, estremizzata ci porta spesso a fare scelte che ci rovinano la vita: inseguiamo un miraggio, magari convinti che “quest’uomo”, “questa donna” o finanche “questo figlio” sono la causa del malessere. Alla fine soffriamo e siamo causa di sofferenza. Quanti innocenti sacrificati al nostro egoismo, alla nostra egolatria alla nostra pretesa di benessere!

La Parola di Dio di oggi ci presenta il modo per salvare la famiglia: l’obbedienza fiduciosa che si mette in cammino, non confidando sulle proprie forze e nelle proprie certezze, ma sulla fedeltà di Dio che non viene mai meno.

È nella famiglia, infatti, come ci ricorda Papa Francesco, nell’enciclica Amoris Laetitia, che si riscopre l’autentica immagine di Dio: «I due grandiosi capitoli iniziali della Genesi ci offrono la rappresentazione della coppia umana nella sua realtà fondamentale. In quel testo iniziale della Bibbia brillano alcune affermazioni decisive. La prima, citata sinteticamente da Gesù, afferma: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (1,27). Sorprendentemente, l’“immagine di Dio” ha come parallelo esplicativo proprio la coppia “maschio e femmina”. […] Si preserva la trascendenza di Dio, ma, dato che è al tempo stesso il Creatore, la fecondità della coppia umana è “immagine” viva ed efficace, segno visibile dell’atto creatore. La coppia che ama e genera la vita è la vera “scultura” vivente (non quella di pietra o d’oro che il Decalogo proibisce), capace di manifestare il Dio creatore e salvatore. Perciò l’amore fecondo viene ad essere il simbolo delle realtà intime di Dio […] In questa luce, la relazione feconda della coppia diventa un’immagine per scoprire e descrivere il mistero di Dio, fondamentale nella visione cristiana della Trinità che contempla in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore. Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente.» (AL 10-11).

Contemplando la santa Famiglia di Nazareth siamo spinti a cercare il criterio del successo della vita familiare nell’obbedienza alla Parola, nel continuo superamento del nostro egoismo, nell'esercizio dell'amore. Un amore che ben conosce il sacrificio personale, la spada che ti trapassa l'anima. La profezia di Simeone a Maria si avvererà sotto la croce, dove Maria, stava, in piedi, a nome di tutta l'umanità.

Quest’oggi, allora, preghiamo insieme perché ogni famiglia trovi la forza di vivere ogni giorno l’Amore vero che viene da Dio e, superando le difficoltà che la vita non risparmia a nessuno, costruisca ogni giorno la comunione e la pace.

Fr. Marco

 

domenica 24 dicembre 2023

Il Figlio si è fatto uomo per renderci figli di Dio

 

«Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”.» (Is 52,7-10)

«Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.» (Eb 1,1-6)

«Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,1-18)

La solennità del Natale, ci invita a gioire perché è avvenuto l’impossibile: il Verbo di Dio si è fatto Carne, l’Eterno è entrato nel tempo, Dio si è fatto uomo; il Figli eterno del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, si è fatto creatura nel grembo della Vergine per fare di noi, sue creature, figli di Dio. Guardando al fragile segno del Bambino posto nella mangiatoia esultiamo di gioia. Una gioia che, tuttavia, purtroppo non raggiunge tutti.

Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. Ad accoglierlo, lo abbiamo sentito nella liturgia della messa della notte, sono solo i pastorelli che vegliavano le greggi. I “grandi della terra” non si accorgono nemmeno della sua venuta. Il popolo che Dio si è scelto e ha condotto nella Terra Promessa, “i suoi”, sono troppo concentrati sulle loro certezze e le loro attese per riconoscerlo e accoglierlo. Tra qualche giorno, inoltre, scopriremo che, tutt’altro che accoglierlo, “i suoi” vogliono eliminarlo.

Non c’era posto per loro nell’alloggio, così abbiamo sentito stanotte. Maria e Giuseppe sono costretti a trovare rifugio in una stalla e la prima culla del Figlio Eterno del Padre fatto uomo è una mangiatoia. Il mondo non lo ha riconosciuto e purtroppo ancora non lo riconosce. Quanti festeggiano un natale senza senso, un natale in cui non nasce nessuno, in cui non c’è Gesù!

A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Il Figlio eterno del Padre è venuto a renderci figli! Non solo creature, ma figli, capaci di riconoscere il Padre e di entrare in relazione con Lui. Cosa significa accogliere il Verbo Eterno fatto uomo? Significa riconoscerlo Dio, Signore della nostra vita e vivere sotto la Sua signoria; significa ascoltare la Sua Parola e fare la Sua Volontà. Se accolgo Gesù come Signore, è evidente che non sono più io il signore della mia vita e sicuramente non sono il signore di quanti mi stanno accanto. Ecco perché è così difficile accoglierlo: l’uomo figlio di Adamo, vuole essere signore, vuole dominare, vuole decidere ciò che è bene e ciò che è male … e così facendo si rovina la vita. Essendo solo una creatura, infatti, non può donarsi la vita. Le sue scelte senza Dio, che è la Vita, non possono che essere scelte di morte.

A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Il Battesimo, conformandoci a Cristo, ci rende figli di Dio. Una volta questo sacramento, celebrato da adulti, era frutto di una scelta consapevole alla quale ci si preparava per anni: davvero si accoglieva Gesù come Signore. Oggi, con il Battesimo dei bambini amministrato in una società anticristiana, spesso ci si ritrova cristiani senza esserlo mai diventati.

Diventare Figli di Dio, infatti, significa entrare nella relazione d'Amore col Padre; significa nutrire la serena consapevolezza di avere un Padre che provvede a noi, sapere che dove non arriviamo noi, arriva il Padre. Essere Figli di Dio significa avere la certezza che la nostra vita è nelle mani del Padre e che alla fine sarà il Suo abbraccio ad accoglierci.

Accogliamo, allora, il Verbo Eterno, la Parola di Dio che si fa uomo; riconosciamo, con i fatti e nella verità, Gesù come Signore della nostra vita per sperimentare la gioia di essere figli di Dio. Buon Natale del Signore.

Fr. Marco

venerdì 22 dicembre 2023

Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te

 « … Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. … io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio”.» (2Sam 7,1-5.8-12.14.16)

«Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo, … a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.» (Rm 16,25-27)

​«Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.» (Lc 1, 26-38)

La liturgia della Parola della quarta domenica di Avvento, facendoci contemplare la figura di Maria, la madre di Gesù attraverso la quale il Signore realizza le Sue promesse a Davide e inizia la Sua opera di redenzione, ci mostra la fedeltà di Dio.

Perché si compiano le meravigliose opere di Dio, però, alla Sua fedeltà deve corrispondere l’obbedienza della nostra fede (II lettura). Solo così, nonostante la nostra piccolezza, il Signore potrà operare grandi cose in noi e attraverso di noi: nulla è impossibile a Dio.

La pagina evangelica di oggi ci presenta Maria come modello di una fede che diventa disponibilità operosa. La prima cosa che sentiamo dire di Maria nel Vangelo è che rimase turbata. Maria conosce le Scritture e si meraviglia si sentirsi appellare come la “figlia di Sion” (Sof 3,14-15 e Zc 2,14), espressione che racchiude il Popolo dell’alleanza in attesa del Messia. Trovandosi alla presenza dell’angelo Gabriele (“forza di Dio”) che manifesta la potenza del Santo dei Santi, inoltre, prende coscienza della propria piccolezza e indegnità. Certo, Maria, concepita immacolata, non era consapevole di peccato alcuno; ciò non toglie, tuttavia, che sperimentando la presenza di Dio percepisca la propria piccolezza e ne resti turbata. Il turbamento, inoltre, è caratteristica comune di tutte le particolari vocazioni nella Scrittura: il chiamato si meraviglia che il Signore abbia posato lo sguardo proprio su di lui e sulla sua piccolezza; si sperimenta indegno della grazia ricevuta ed ha quel santo “timor di Dio” che non è la paura di Dio, ma il timore di non corrispondere pienamente all’amore di cui ci si vede colmati; il timore di rattristare un così eccelso amante.

Soffermandoci ad osservare meglio il versetto evangelico, infatti, notiamo che Maria «rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto». «Rallegrati, riempita della grazia». Così l’aveva salutata l’Angelo riferendosi alla singolarissima Grazia che Dio le aveva concesso. È proprio la consapevolezza della Grazia ricevuta a suscitare in Maria il turbamento, il “timor di Dio”.

Anche noi nei sacramenti veniamo colmati dalla Grazia di Dio. Lui stesso vivo e vero viene in noi. Impariamo dalla nostra santissima madre come corrispondere a questa Grazia. Dinanzi all’amore di cui si vede colmata, Maria, sa abbandonarsi ad un’obbedienza umile e fiduciosa: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». La Madre ci mostra in tal modo la prima cosa da fare in risposta alla Grazia: fidarsi, e lasciare che il Signore compia la Sua opera in noi e per mezzo nostro; donare la nostra disponibilità operosa.

L’atteggiamento immediatamente successivo in risposta alla Grazia di Dio, è di “rendere grazie”. È ciò che ci invitava a fare la Parola già domenica scorsa, un appello continuo del tempo di Avvento. Alla Grazia di Dio deve far seguito il grazie dell’uomo. Rendere grazie non significa restituire il favore o dare il  contraccambio. Chi potrebbe dare a Dio il contraccambio di qualcosa? Ringraziare significa piuttosto riconoscere la grazia, accettarne la gratuità. Ringraziare significa accettarsi come debitori, come dipendenti; lasciare che Dio sia Dio. Ed è quello che Maria ha fatto con il Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore …, perché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente».

Nell’atteggiamento del rendimento di grazie, infine, è implicita l’attenzione a non sprecare il dono ricevuto: significherebbe svalutare il dono e offendere il donatore. Facciamo attenzione allora a non sprecare la Grazia che il Signore ci dona nei suoi sacramenti: viviamoli con la giusta consapevolezza e preparazione.

Ormai prossimi alla solennità del Natale, disponiamoci, sull’esempio di Maria Santissima, ad accogliere la Grazia. Prepariamoci seriamente alla celebrazione dei sacramenti, viviamoli consapevolmente e impegniamoci, per quanto è possibile, a corrispondere con l’obbedienza della fede all’Amore di cui siamo stati colmati. La nostra piccolezza non ci spaventi: nulla è impossibile a Dio.

Fr. Marco.

venerdì 15 dicembre 2023

In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete

 «Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri …» (Is 61,1-2.10-11)

«Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.» (1Ts 5,16-24)

«Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: “Tu, chi sei?”. Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo. … Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa”» (Gv 1,6-8.19-28)

Nella terza domenica di Avvento, domenica Gaudete, l’antifona di ingresso ci esorta: «Rallegratevi sempre nel Signore … »; è lo stesso invito che per tutto il tempo di Avvento ci siamo sentiti rivolgere nella lettura breve dei secondi vespri della domenica. Anche il motivo per cui rallegrarci è lo stesso: il Signore è vicino.

La liturgia della Parola di questa domenica, inoltre, attraverso i due “testimoni dell’Avvento”, il profeta Isaia e Giovanni il Battista, ci mostra ancora meglio il motivo per cui rallegrarci. Nella prima lettura, infatti, il profeta Isaia ci presenta la venuta del Signore come il lieto annuncio rivolto ai miseri, un tempo di grazia e di liberazione per quanti hanno il cuore spezzato o sono schiavi. È il tempo della liberazione e della consolazione; è il tempo in cui siamo raggiunti dall’amore misericordioso di Dio. Per questo è tempo di gioia vera ed autentica.

«In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Nella pagina di Vangelo, Giovanni il Battista, interrogato dai Giudei, dichiara che il suo compito è di annunciare la Misericordia di Dio che viene nel mondo e di parlare a favore della Luce. Dio è pieno di amore misericordioso per tutta l'umanità.

«Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni.» Il suo stesso nome, Giovanni cioè “Dio fa grazia”, è annunzio di salvezza e il padre, Zaccaria, lo canta nei secoli nel Benedictus. Ecco il motivo per rallegrarsi.

La Parola di oggi, però, ci dà anche alcune indicazioni, per potere essere raggiunti dalla misericordia di Dio ed essere sempre lieti, come ci esorta a fare la seconda lettura.

«In ogni cosa rendete grazie …» ​La prima indicazione la trovo proprio nella seconda lettura tratta dalla prima lettera ai Tessalonicesi. Credo sia fondamentale coltivare il senso di gratitudine, concentrarsi sugli innumerevoli doni che il Signore continuamente ci fa, per evitare che il maligno avveleni la nostra vita e ci tolga la gioia. In quest’ultima parte dell’Avvento, allora esercitiamoci nel ringraziare. Ringraziamo spesso e volentieri il Signore, ma ricordiamoci anche di ringraziarci spesso a vicenda.

«Io non sono il Cristo … a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». L’altro fondamentale atteggiamento che ci permette di partecipare alla gioia messianica lo troviamo nel Vangelo ed è l’umiltà di Giovanni. L’umiltà infatti è la verità di noi stessi. Non lo sminuirci, ma il riconoscere ciò che siamo ed i nostri limiti. Troppo spesso, invece, ci costruiamo un’idea troppo alta di noi stessi (Cfr. Rm 12,16) e ci affanniamo per mantenerla dinanzi a noi e al mondo. Spesso questa fatica e gli inevitabili fallimenti di questi sforzi ci tolgono la gioia. Io non sono il Cristo. Quanto è liberante ricordarmi che non sono io il Salvatore del mondo! Il mondo è già stato salvato. Gesù Cristo è il Signore della Storia e, se glielo lascio fare, è capace di condurre la mia vita e quella dei miei fratelli a pienezza. Io ho le mie responsabilità, il mio compito; ma io non sono il Cristo.

«Pregate ininterrottamente».  Quest'ultima indicazione dataci da s. Paolo, infine, compendia entrambe le condizioni su esposte: siamo invitati a pregare ringraziando continuamente il Signore per i suoi innumerevoli doni. Consapevoli dei nostri limiti, però, siamo anche invitati a pregare per chiedere al Signore di intervenire in quelle situazioni che superano le nostre possibilità. 

Rallegriamoci, allora, nel Signore, lasciamoci possedere dalla gioia messianica liberandoci, con la gratitudine, dal veleno dell’invidia e della cupidigia. Accogliendo umilmente i nostri limiti confidiamo nel Signore che viene a donarci la Gioia piena. Così facendo, saremo anche noi, come Giovanni, testimoni della presenza del Signore.

Fr. Marco

venerdì 8 dicembre 2023

Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri

 «Consolate, consolate il mio popolo … Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede» (Is 40,1-5.9-11)

« … Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia.» (2Pt 3,8-14)

«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Mc 1,1-8)

La liturgia della Parola della seconda domenica di Avvento si apre con l’imperativo: Consolate. Nelle fatiche della vita, nelle difficoltà che quotidianamente siamo chiamati ad affrontare, siamo invitati a ricordare la consolante notizia: viene il Signore della Vita, Colui che si prende cura di ciascuno di noi. Perché la Sua venuta possa essere fonte gioia e consolazione, tuttavia, è necessario prepararci.

La Parola della prima domenica di Avvento ci invitava all’attesa e alla vigilanza. Questa seconda domenica, la liturgia dà un contenuto a questa vigilanza: siamo chiamati alla conversione, a preparare la via al Signore che viene.

Conversione, lo sappiamo bene, significa cambiare la direzione in cui va la nostra vita, ritornare sui nostri passi abbandonando la strada sbagliata che stiamo percorrendo. È quello che siamo chiamati a fare quest’oggi: lasciare le vie di peccato che ci portano in esilio, lontano dalla Vita, per ritornare al Signore.

La liturgia di oggi, però, ci parla anche di raddrizzare i sentieri, riempire i burroni e abbassare i monti. Conversione, infatti, significa anche questo: preparare la nostra vita ad accogliere il Signore che viene a darci la consolazione che attendiamo.

Se esaminiamo onestamente alla nostra vita, scopriamo quanto abbiamo bisogno di queste “grandi opere di ripristino”. Abbassare i monti del nostro orgoglio, colmare i fossi delle mancanze nei nostri doveri, raddrizzare le strade tortuose che stiamo percorrendo. Purtroppo, però, se siamo onesti con noi stessi dobbiamo anche prendere atto di non essere capaci di compiere queste opere. Ecco la buona notizia di questa domenica: sarà il Padre stesso, con la Sua Parola accolta nella nostra vita, a trasformare le nostre vie perché possiamo accogliere il Signore che viene.

Perché la Parola possa essere accolta e produca frutto nella nostra vita, tuttavia, siamo chiamati ad assumere l’atteggiamento di Giovani il Battista: l’attesa operosa e la disponibilità; siamo chiamati all’intimità del deserto in cui sperimentiamo la presenza del Signore senza il quale non possiamo fare nulla.

Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. Condizione indispensabile perché la Parola venga accolta e produca frutto, è farle spazio rinunciando ad ogni pretesa di autosufficienza e riconoscendo la nostra piccolezza e il nostro bisogno di Dio. È necessario, quindi, anche entrare nel “deserto”, fare tacere i rumori del mondo per potere ascoltare il mormorio della brezza leggera, la Voce del Silenzio, che manifesta la Parola.

Solo dopo avere ascoltato la Parola ed averla lasciata operare in noi, come Giovanni, potremo svolgere la funzione profetica: rimanendo nel silenzio dell’ascolto (nel deserto) siamo chiamati anche noi a farci voce di questa Parola nell’invitare il mondo ad accogliere Colui che solo può donargli la consolazione, pace e la gioia di cui ogni uomo e donna è assetato.

Fr. Marco

giovedì 7 dicembre 2023

Ecco la serva del Signore

 «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,9-15.20)

«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,3-6.11-12)

«Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te … Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.» (Lc 1,26-38)

Nella solennità dell’Immacolata concezione di Maria la Liturgia della Parola si apre con il racconto delle conseguenze immediate del peccato dei progenitori: la rottura di ogni rapporto di amicizia tra l’uomo e Dio (“Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”), tra l’uomo e la donna (“La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”) e tra l’uomo e il creato (“Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”).

Con il peccato entra nel mondo la paura e la morte: l’uomo diventa incapace di vedere Dio come il Padre che lo ama al di là di ogni nostra immaginazione; diventa incapace di riconoscere i fratelli e il creato come un dono d’amore; consapevole della propria nudità, l’uomo diventa bramoso di una vita che non può darsi. Questa conseguenza del peccato originale si tramanda per ogni generazione. La prima lettura però, si conclude con quello che viene chiamato il “proto-vangelo”: l’annuncio che la stirpe della donna avrebbe schiacciato il serpente antico.

È quello che avviene in Maria la quale, in vista dei meriti di Cristo, è da Lui redenta fin dal grembo materno e quindi resa capace, con la sua obbedienza fiduciosa al progetto del Padre, di essere “aurora della redenzione”, colei attraverso la quale è giunto nel mondo il Redentore.

In questa solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, però, vorrei che riflettessimo su ciò che questo dogma dice a noi per la nostra salvezza. Maria oggi ci viene presentata come “modello di santità e avvocata di grazia” (prefazio). Siamo chiamati a guardare Maria come modello di risposta alla Grazia. L’opera redentrice di Cristo, infatti, che ci raggiunge nei sacramenti, compie in noi ciò che ha operato in Maria fin dal concepimento: Maria è immacolata fin dal grembo materno, noi diventiamo immacolati con il Battesimo.

A differenza di Maria, però, noi raramente, purtroppo, corrispondiamo pienamente a questa Grazia rendendoci colpevoli con i nostri peccati volontari (mai compiuti da Maria) e non aderendo al progetto d’amore del Padre. Per questo il Signore, che ci vuole “santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (seconda lettura), ha istituito il sacramento della riconciliazione: se ben celebrato (con un vero pentimento e un sincero proposito di non peccare più), la confessione ci restituisce la santità battesimale. Con il sacramento della comunione, inoltre, riceviamo in noi Gesù Cristo vivo e vero: la Grazia di Dio apparsa nel mondo, come lo chiama S. Paolo scrivendo a Tito (Cfr. Tt 2,11); anche noi, quindi, siamo pieni di Grazia!

Non sprechiamo tali doni d’amore, ma impegniamoci a corrispondere alla Grazia di cui Dio vuole colmarci e a compiere la volontà del Padre nella nostra vita.

Contemplando Maria la nostra madre immacolata, anche noi impegniamoci ogni giorno per dire a Dio la nostra risposta di obbedienza fiduciosa: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Fr. Marco

venerdì 1 dicembre 2023

Non sapete quando il Signore ritornerà. Vegliate!

 «Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto a noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani.» (Is 63,16-17.19;64,2-7)

«Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, … la testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo.» (1Cor 1,3-9)

«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.» (Mc 13,33-37)

Oggi inizia il tempo liturgico dell’Avvento con il quale la Chiesa si prepara ad incontrare il Signore che viene. La pagina del Vangelo di questa prima domenica ci esorta con l’imperativo «Fate attenzione, vegliate». L’Avvento, infatti, è un tempo caratterizzato dall’attesa che dà il tono a tutto l’anno liturgico e a tutto il Tempo della Chiesa che sempre celebra “nell’attesa della Tua venuta”. 

I Padri della Chiesa ci parlano di una triplice venuta del Signore cui fare attenzione e prepararsi: Egli viene oggi in mezzo a noi nella liturgia, perché è già venuto nella nostra natura umana nella pienezza dei tempi ed alla fine del Tempo verrà nella gloria.

Vegliate. A questo verbo possiamo dare almeno tre accezioni che indicano altrettanti atteggiamenti che siamo chiamati ad assumere: stare svegli, stare attenti (vigili) e fare vigilia.

Siamo invitati a “stare svegli”, a non lasciarci prendere dal torpore spirituale nel quale il mondo vorrebbe indurci. La prima lettura lamenta: nessuno si risvegliava per stringersi a te. Il mondo e la vita di ogni giorno possono fare “assopire” la nostra attesa, facendoci rassegnare a ciò che viviamo senza aspettarci più niente, senza speranza. Stare svegli significa, quindi, non lasciare spegnere la Speranza e l’attesa del Regno. Lo stare svegli, inoltre, significa l’essere pronti a riconoscere e accogliere il Signore quando viene a visitarci nel povero o nel malato.

Siamo invitati a fare attenzione, ad “essere vigili”, per non cadere nelle trappole del diavolo che come leone ruggente va in giro cercando chi divorare (Cfr. 1Pt 5,8). Tra queste trappole, la più pericolosa è l’insinuazione, soprattutto nei momenti di sofferenza e tribolazione, che il Padre non ci ama, che ci ha abbandonati, che dobbiamo salvarci la vita da soli perché nessuno si prende cura di noi. Facciamo attenzione ad usare bene del dono della vita e del tempo che il Signore ci concede - ne dovremo rendere conto - non dubitiamo mai, però, dell’amore del nostro Padre celeste che non ci ha abbandonati, ma si prende cura di noi, anche in modi misteriosi e non sempre comprensibili.

Siamo invitati, infine, a “fare vigilia”, a vivere questo tempo come un tempo di attesa gioiosa e piena di entusiasmo: viene il Signore della Vita, viene a incontrarci e ad introdurci nella comunione piena con Lui! La gioia deve caratterizzare la nostra attesa: un’attesa piena di speranza che non resterà delusa. Il tempo della vigilia, però, oltre che dalla gioia è caratterizzato dalla necessità di prepararsi all’incontro, perché possiamo entrare con Lui nella Gloria del Padre. È questo il senso della penitenza cui ci richiama il Tempo liturgico dell’Avvento: convertirci, cambiare la direzione della nostra vita, decentrarci per fare spazio a Colui che viene.

Proprio nel contesto della penitenza, vi ripropongo un piccolo esercizio cui mi richiama la Parola di Dio che, nei secondi vespri delle domeniche di Avvento, ci rivolgerà questo appello: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). Credo che il modo più immediato di mettere in pratica questa Parola, sia quello di avere sempre un volto sorridente per tutti, disporci sempre ad accogliere l’altro. Un esercizio di “conversione”, di decentramento. Non credo che sarà semplice, ma … il Signore è vicino!

Fr. Marco