venerdì 19 aprile 2024

Io sono il buon pastore

 « … In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,8-12)

«Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.» (1Gv 3,1-2)

«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.» (Gv 10,11-18)

​Questa domenica, quarta di Pasqua, è detta “Domenica del Buon Pastore” perché nella pagina di Vangelo Gesù si autorivela come il “Bel Pastore” (letteralmente): il pastore ideale, quello vero, contrapposto al mercenario per il quale le pecore che gli sono affidate sono solo un mezzo per “pascere se stesso” (Cfr. Ez 34).

La differenza tra il vero (bello/buono) pastore e coloro che lo sono solo in apparenza, è la capacità di donare la vita per le “pecore”. Il mercenario è interessato solo a se stesso e al proprio guadagno, non conosce le pecore, non gli interessa di loro. Il Pastore, invece, conosce coloro che gli appartengono, è interessato a loro.

Nella pericope evangelica di oggi, inoltre, Gesù manifesta pienamente la Sua libertà: «io do la mia vita … Nessuno me la toglie: io la do da me stesso». Il dono della vita in obbedienza al Padre è l’atto di più grande libertà di Gesù.

«Conosco le mie (pecore) e le mie (pecore) conoscono me» In questo versetto 14 il testo greco non usa il termine “pecore”, ma soltanto l’aggettivo “mie” che diventa in tal modo ciò che ci identifica: gli apparteniamo.

«… come il Padre conosce me e io conosco il Padre». Dopo avere detto che gli apparteniamo e che ci conosce, oggi il Signore specifica pure il modo in cui ci conosce: «Come il padre conosce me». Vale la pena allora di chiedersi in che modo il Padre conosce il Figlio: con una comunione d’amore inscindibile che li rende “una cosa sola”. È questo il modo in cui il Buon Pastore ci conosce: con una “conoscenza d’amore” che ci unisce a Lui; nel battesimo, infatti, siamo stati uniti inscindibilmente a Lui, nella Comunione Lui ci unisce alla Sua passione morte e resurrezione … Lui ci conosce, ha unito la Sua vita alla nostra, ci ama per quello che siamo, non per quello che appariamo o che dobbiamo essere. Lui ci vuole felici. I mercenari che sono nel mondo, invece, non ci “conoscono”, non ci amano, non possono renderci felici e ci costringono troppo spesso ad essere ciò che non siamo.

Nella prima lettura di oggi S. Pietro è chiaro: «In nessun altro c’è salvezza». Solo Gesù è il vero/buon Pastore.  Non seguiamo quindi altri “pastori” che non vogliono (e non potrebbero) darci la Vita.

«Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore». Fin qui abbiamo visto ciò che contraddistingue il Buon Pastore. Ora vorrei soffermarmi brevemente sulla caratteristica distintiva di chi gli appartiene (“le mie”): l’ascolto obbediente e la comunione reciproca. Ecco ciò che ci deve caratterizzare se Gli apparteniamo. Ecco da cosa possiamo riconoscere se siamo Suoi: se ascoltiamo la Sua Parola e viviamo da figli di Dio secondo la grazia del nostro Battesimo.

Oggi per volontà di S. Paolo VI, è anche la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Come ci ricorda Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exultate, tutti siamo chiamati alla santità (la vocazione universale), ma a questa ciascuno è chiamato per una “via” personalissima. La nostra piena realizzazione, la nostra felicità, dipende dalla capacità di comprendere e realizzare questo personale progetto d’amore.

Questa domenica vorrei invitarvi a pregare in maniera particolare per i presbiteri, che il Signore chiama ad essere suoi collaboratori nel ministero pastorale, e per le persone di vita consacrata, frati e suore, che sono chiamati ad essere segno profetico della totale dedizione al Regno. A ogni cristiano, ma a loro in maniera particolare, il Signore chiede di fare della propria vita un dono giorno per giorno, di dimenticarsi di sé (rinnegare se stessi), per amore di Dio e dei fratelli. Tutto ciò, lo sperimentiamo, non è facile, ma è l’unica strada che conduce alla piena realizzazione, alla Gloria eterna. Sosteniamoci reciprocamente in questo cammino perché ciascuno di noi, restando fedele alla vocazione che ha ricevuto, possa giungere alla Pienezza della Vita per l’eternità.

Fr. Marco

venerdì 12 aprile 2024

Da questo sappiamo di averlo conosciuto

 « … Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni … Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».(At 3,13-15.17-19).

«Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità.» (1Gv 2,1-5)

«… i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus narravano … ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. … Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture …». (Lc 24,35-48)

La pagina di Vangelo di oggi, terza domenica di Pasqua, ci fa ascoltare la terza e ultima apparizione del Risorto raccontata dall’evangelista Luca. Manifestandosi alle donne (Lc 24,1-12) e ai “discepoli di Emmaus” (Lc 24,13-35), il Signore ha radunato la Chiesa nascente e ora, mentre i discepoli si scambiano i racconti dei loro personali incontri con il Risorto, Gesù “sta” in mezzo a loro e, ancora una volta, dona loro la Pace, il dono pasquale per eccellenza, la piena riconciliazione con Dio grazie alla quale è possibile la riconciliazione con i fratelli e il creato.

Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Mi colpisce quanto spesso i vangeli sottolineino la difficoltà nel credere realmente alla risurrezione. Nonostante i discepoli riuniti si stiano raccontando reciprocamente le loro esperienze (Gv 24,34), forse non riescono a crederci veramente: l’apparizione del Risorto provoca turbamento. La resurrezione gloriosa di Cristo, infatti, sconvolge ogni logica umana, non può essere “incasellata”; non si può assimilare a nessuna esperienza precedente: è qualitativamente diversa dalle “rivitalizzazioni” operate durante il ministero pubblico di Gesù. Il Risorto non è semplicemente tornato in vita, ma ha iniziato un “nuovo livello di esistenza”.

… credevano di vedere un fantasma. Anche noi possiamo cadere in questo errore: la resurrezione di Cristo è talmente sconvolgente ed ha implicazioni tali, che facilmente anche noi la releghiamo ai “confini del reale”; Gesù diventa così per noi “un’ombra”, qualcuno vissuto nel passato, di cui ci ricordiamo, magari, la domenica durante la Messa, ma che poco ha a che fare con la nostra quotidianità.

… Sono proprio io! Il Maestro oggi ci ricorda che è reale, che si fa nostro compagno di cammino, che vuole “stare in mezzo” a noi. Viene a mostrarci ciò che in quel pane spezzato, mediante il quale i discepoli di Èmmaus lo hanno riconosciuto, è rappresentato sacramentalmente: mostra ai discepoli i segni della Passione, il Suo Corpo spezzato per noi. Per vincere l’incredulità dei discepoli, infine, apre le loro menti alla comprensione delle Scritture. Parola di Dio e Pane Spezzato: ecco il modo in cui anche noi oggi, durante la celebrazione eucaristica domenicale possiamo fare esperienza del Risorto!

«Convertitevi e cambiate vita!» Perché sia possibile l’incontro con il Risorto, tuttavia, è necessario accogliere l’invito che Pietro ci fa nella prima lettura. Bisogna convertirsi, lasciare le vie dell’egoismo e percorrere la via dell’Amore. Bisogna cambiare il nostro modo di pensare e di vivere per potere accogliere l’inedito, la novità assoluta della Vita Nuova che Cristo è venuto a regalarci. Bisogna riconoscere i nostri peccati e prenderne la distanza, se vogliamo accogliere in noi la Gioia che viene dall’incontro con il Risorto, una gioia che il mondo non conosce e non può donarci. 

«Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti» Nella seconda lettura di oggi, infine, Giovanni ci indica il criterio per scoprire se realmente “conosciamo” il Risorto, se, cioè, lo abbiamo incontrato e ne abbiamo fatto esperienza: l’obbedienza alla logica del Vangelo, ai comandamenti che, lo sappiamo bene, hanno la loro radice e il loro spirito nel duplice comandamento dell’Amore di Dio e dei fratelli.

«Di questo voi siete testimoni». L’invito a testimoniare ciò che il Signore ha compiuto nella nostra vita conclude la pericope evangelica. Siamo invitati non solo all’annuncio, ma alla testimonianza, a renderlo presente. Il Vangelo ci mostra che Gesù Risorto è riconosciuto nello “spezzare il pane”, nel Suo farsi pane spezzato per noi. Questo è il modo in cui noi possiamo renderlo visibile ai fratelli: nutriti di Cristo, anche noi facciamoci pane spezzato per loro.

A questo punto è bene domandarci: siamo capaci di Amare Dio concretamente e non “a parole e con la lingua”, dandogli il primo posto nella nostra vita? O abbiamo altri idoli a cui sacrifichiamo tempo ed energie? Siamo capaci di Amare i fratelli anche quando ci fanno del male (perdonandoli e pregando per loro), o li consideriamo solo in funzione utilitaristica al nostro benessere? Ricevendo il Corpo di Cristo, facciamo comunione con Lui che “si spezza”, si fa dono, per Amore del Padre e dei fratelli. Viviamo nella quotidianità la dimensione dello “spezzarci per amore”? Da questo dipende la nostra possibilità di incontrare Gesù Risorto e di sperimentare la vita da risorti, quella “Vita eterna” qualitativamente differente che comincia già qui.

Fr. Marco

venerdì 5 aprile 2024

Non essere incredulo, ma credente!

 «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.» (At 4,32-35)

«Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.» (1Gv 5,1-6)

«“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”». (Gv 20, 19-31)

Per volere di San Giovanni Paolo II, la seconda domenica di Pasqua celebriamo la Festa della Divina Misericordia. La pagina di Vangelo ci colloca alla sera di quel “primo giorno della settimana” in cui la morte è stata sconfitta e la Vita ha vinto. Il sepolcro è aperto, Maria Maddalena ha portato agli apostoli l’annuncio della resurrezione ed essi stessi hanno visto il sepolcro vuoto.

Il contesto descritto all’inizio della pericope evangelica di oggi, tuttavia, è un contesto di chiusura causata dalla paura: la tomba è stata aperta, ma la porta del cuore degli apostoli è ancora chiusa ed essi sono timorosi. Il Signore si fa presente in questo contesto di chiusura e paura e mostra la sua Misericordia donando loro quella Pace che sola è capace di suscitare una gioia che il mondo non conosce e che nulla può toglierci.

«Pace a voi!». Il saluto del Signore Risorto non è un semplice augurio, ma è il dono pasquale per eccellenza, il frutto della redenzione: la riconciliazione con Dio non più visto come un padrone tirannico, ma come un Padre amoroso. La pace che viene a portare il Gesù, non è semplicemente “non belligeranza”, è lo shalom ebraico, la somma di ogni pace e bene che riempie la vita.

«… mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli» Il Signore ha già aperto il sepolcro e sconfitto la morte e, con essa, ogni paura; solo noi però possiamo aprire la porta del nostro cuore alla Sua Misericordia che viene a donarci la Grazia e la Gioia perché possiamo uscire dalle nostre paure e annunziare la Sua resurrezione. 

«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati». Dopo avere donato loro la Pace, il Risorto dona ai suoi apostoli anche lo Spirito Santo e con esso l’autorità di trasmettere il perdono e la Pace (citati nella formula dell’assoluzione): dona lo Spirito per la remissione dei peccati e costituisce i suoi apostoli ministri della Sua Misericordia.

Anche il racconto della vicenda riguardante l’apostolo Tommaso penso si possa inquadrare in un’ulteriore manifestazione della Misericordia del Signore. Tommaso, forse, è rimasto talmente scandalizzato dalla passione, da non riuscire a credere nella resurrezione; d’altra parte si tratta di un evento così inedito che anche gli altri discepoli, come abbiamo ascoltato in questa settimana, fanno fatica a credere.  Gesù ha misericordia di Lui e di noi e gli concede la prova che aveva richiesto. 

«Mio Signore e mio Dio!» La tradizione e l’arte (penso per esempio al dipinto di Caravaggio “Incredulità di san Tommaso”) ci tramandano l’immagine di Tommaso che tocca le piaghe. Pur se non è escluso che sia avvenuto così, l’evangelista non lo specifica. Ci è lecito supporre, quindi, che a Tommaso sia bastato sperimentare la Pace donata da Gesù e ascoltare la Sua voce per riconoscere il Maestro ed esprimere, lui “l’incredulo”, la più completa professione di fede nella divinità di Gesù chiamandolo Signore e Dio.

Proprio grazie alla incredulità di Tommaso, inoltre, il Signore formula quella beatitudine che ci riguarda in prima persona: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Una beatitudine che raggiunge anche noi nella misura in cui abbiamo quella fede che vince il mondo (II lettura); quella fede che diventa fiducia, confidenza, e che, per questo, vince ogni paura e ci rende capaci di amare i fratelli.

Fidandoci di Lui, infatti, confidando nel Suo Amore Misericordioso e Provvidente, non avremo più paura della morte, non avremo più bisogno di difendere la nostra vita e di accaparrare cose come se da esse possa venirci la Vita: saremo capaci di usare misericordia verso i nostri fratelli e di condividere (I lettura). Raggiunti dalla Sua misericordia attraverso i Sacramenti e riconciliati con il Padre, inoltre, saremo ricolmi di una gioia tale da renderci capaci di affrontare qualsiasi prova nell’attesa dell’incontro finale con Lui. Auguri.

fr. Marco

sabato 30 marzo 2024

Cristo è risorto. La morte è sconfitta. Accogliamo la Vita

 «Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.» (Rom 6,3-11)

​Oggi celebriamo la Pasqua di resurrezione del Signore Nostro Gesù Cristo, il centro dell’anno liturgico e della nostra fede. Nel contesto di questa solenne liturgia, ricca di simboli e già in sé significativa,voglio oggi soffermarmi sulla simbologia battesimale della luce e dell’acqua che dominano la veglia e il giorno di Pasqua e che sono all’origine di ogni vita cristiana: il cero pasquale, simbolo eminente del Cristo Risorto, e l’acqua lustrale, in cui siamo rinati a nuova vita nel Battesimo, e dalla quale durante la veglia siamo stati aspersi.

La luce e l’acqua: elementi indispensabili alla vita naturale che, trasfigurati, diventano anche elementi indispensabili alla vita soprannaturale, quella Vita in Cristo che trova la sua origine proprio nella resurrezione del nostro Signore.

Il Battesimo, infatti, è l'inizio della nostra risurrezione. Con Cristo siamo sepolti e Risorti! È l’inizio di Vita Nuova: il Signore cambia le nostre logiche, le nostre abitudini, i nostri rapporti.

A Pasqua, non celebriamo un evento folcloristico, né un evento relegato al passato; celebriamo un memoriale che riattualizza l’evento principale della nostra salvezza: Cristo ha sconfitto il peccato e la morte! Non siamo più schiavi del peccato che ci separava da Dio e dai fratelli. La pietra che ci imprigionava nel sepolcro è stata rotolata via: la Vita è libera.

Conformato al Risorto, infatti, ogni battezzato vive in comunione con Gesù nel corpo di Cristo che è la Chiesa: «uno in Cristo» (Gal 3, 28). Noi non siamo più uno accanto all'altro o uno contro l'altro. Il Risorto congiunge la Sua vita con la nostra, tenendoci dentro al suo amore. Noi battezzati diventiamo un'unità, una cosa sola con Lui e una cosa sola tra di noi.

Accogliere il dono, però, è nostra responsabilità. Cristo ha sconfitto il peccato e la morte e ci ha regalato una Vita Nuova e Piena che è iniziata in noi nel Battesimo, ma non si sostituisce a noi. Lui ci ha donato la libertà dalla schiavitù del peccato, ma siamo noi a doverne fare buon uso e scegliere di servire il Signore della Vita perché la libertà non diventi un pretesto per continuare ad asservirci alle opere della carne. Con il Battesimo, infatti, Gesù ha fatto iniziare in noi una Vita Nuova ed eterna, ma ci ha lasciato la libertà e la responsabilità di coltivare questa Vita o lasciarla appassire.

Perché questa Vita Nuova che è iniziata in noi possa crescere e svilupparsi, il Signore ci ha lasciato ciò che è essenziale: la luce e l’acqua. Ci ha lasciato la Luce della Resurrezione, che si irradia nella Sua Parola proclamata dalla Chiesa, la quale nutre la nostra Fede perché possa illuminare ogni ambito della nostra vita. Ci ha lasciato l’acqua del Battesimo (e tutti i sacramenti, segni efficaci della Grazia) che ci ha introdotti nella vita sacramentale permettendoci di nutrire, purificare e rafforzare la nostra Vita perché cresca e porti frutto. Ecco perché durante la santa veglia rinnoviamo i nostri impegni battesimali e veniamo ancora una volta aspersi con l’acqua lustrale: siamo chiamati a ravvivare sempre il dono della vita cristiana perché non venga soffocata dalle spine del mondo.

Il Signore Risorto oggi ancora una volta regala a tanti nostri fratelli che riceveranno il Battesimo una Vita nuova e Piena, una Vita bella che, anche nelle immancabili difficoltà quotidiane, non soccombe al nonsenso, una Vita destinata a durare per l’eternità. Questa stessa Vita oggi la rinnova in noi che già l’abbiamo ricevuta. A noi però la responsabilità di farla sviluppare, di portare frutto.

La pietra è rotolata, il sepolcro è aperto, non siamo più schiavi del peccato e della morte. Vogliamo Vivere la Vita vera o continueremo a restare nei nostri sepolcri?

Il Signore Risorto ci conceda di morire ogni giorno al peccato per potere vivere “per Dio in Cristo Gesù” e mostrare al mondo la gioia della resurrezione. Auguri.

Fr. Marco

sabato 23 marzo 2024

Davvero quest’uomo è Figlio di Dio!

«Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.» (Is 50,4-7).

La domenica delle palme contempliamo la Passione di nostro Signore Gesù Cristo che quest’anno è tratta dal Vangelo secondo Marco (14,1-15,47). La prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia ed in particolare dal Terzo Canto del Servo del Signore, mi fornisce una chiave di lettura per accostarmi al lungo racconto evangelico in cui ci viene mostrato il modo in cui Gesù abbraccia il mistero della Croce. Un mistero salvifico in cui anche noi siamo invitati ad entrare.

A volte chiamiamo “croce” una malattia, una disgrazia, … qualcosa che, non avendo un responsabile immediatamente identificabile, ci sembra venire direttamente da Dio. Ciò nonostante, non di rado facciamo fatica ad accettarla; convincendoci che è la volontà di Dio, però, se proprio non arriviamo ad abbracciarla, almeno ci rassegniamo alla “croce”.

Più difficile, sicuramente, è riconoscere la volontà di Dio e abbracciare la croce quando essa ci viene caricata addosso dalla cattiveria degli uomini. È questo ciò che fa Gesù e che oggi la Parola di Dio presenta alla nostra contemplazione perché anche noi possiamo seguire il Maestro.

L’evangelista Marco, infatti, nel suo racconto evidenzia come attorno a Gesù si va raccogliendo il peggio dell’umanità. A cominciare dall’unzione di Betania in cui si manifesta l’avarizia ipocritamente mascherata da interesse per i poveri: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!».

Segue il tradimento interessato di Giuda, uno dei dodici, che mette la mano nel piatto con Gesù; forse Giuda voleva piegare Gesù alla sua visione messianica (così alcuni hanno letto il suo gesto), ma certamente non  disdegna di guadagnarci: «promisero di dargli del denaro».

Che dire dell’indifferenza mostrata dai discepoli, e soprattutto dai tre “testimoni privilegiati”, Pietro Giacomo e Giovanni, per l’angoscia del loro Maestro? «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora?»

«Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!» Quanta amarezza sento in queste parole di Colui che passava beneficando tutti e che ora si vede trattato come un brigante.

Anche Pietro, che fino a poco prima aveva professato la sua assoluta fedeltà, dinanzi i servitori del sommo sacerdote cede alla paura e rinnega il Maestro per salvarsi la vita: «cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quest’uomo di cui parlate”». È sempre così: se non rinneghiamo noi stessi per seguire il Maestro, finiamo per rinnegare Gesù.

Attorno a Gesù si raccoglie la menzogna dei falsi testimoni, la malizia e l’invidia da parte dei capi del popolo, il vigliacco calcolo politico di Pilato che lo consegna perché sia crocifisso pur riconoscendolo innocente («Che male ha fatto?»).

Non è risparmiato a Gesù neanche il dileggio di quanti fino a poco prima lo avevano accolto festanti: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce! … Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!»

Veramente Gesù si è caricato delle nostre miserie e le ha inchiodate alla Croce perché potessimo liberamente seguirlo! Quanto spesso, però, la passione di Gesù continua nelle sue membra sofferenti, in quei piccoli di cui Gesù ha detto: «Tutto quello che avete fatto a loro, l’avete fatto a me» (Cfr. Mt 25,40).

Fatto salvo il dovere di opporsi all’ingiustizia - soprattutto quando colpisce i nostri fratelli - oggi il Maestro, mentre ci mostra quanto ci ama, ci insegna anche come si abbraccia la croce: rimanendo fedeli alla Verità, non rispondendo male a male, perdonando i propri nemici, pregando per i propri persecutori (cfr. Mt 5,38-48).

Qualcuno sicuramente penserà: «Io non sono Gesù! Questo modo di fare non è umano!». Voglio ricordare, però, a quanti la pensassero così, che nel Battesimo siamo stati conformati a Cristo, nella Comunione riceviamo Gesù vivo e vero per crescere nella piena statura di Cristo, nella Cresima riceviamo la pienezza dello Spirito Santo perché possiamo compiere le opere dei figli di Dio. I Sacramenti ci uniscono a Cristo e ci conformano a Lui, siamo chiamati a rendere visibile questa conformità: chi vede un cristiano dovrebbe riconoscervi i tratti del Figlio di Dio.

È vero, il cammino della sequela è difficile e Gesù non l’ha mai nascosto: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23). Spesso facciamo esperienza della nostra debolezza e cadiamo. Ma il Signore è sempre pronto a rialzarci perché possiamo riprendere il cammino e giungere con lui, attraverso la Croce, alla Pasqua eterna. Auguri.

Fr. Marco

sabato 16 marzo 2024

Chi ama la propria vita, la perde

«Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Ger, 31,31-34)

«Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.» (Eb 5,7-9)

«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.» (Gv 12, 20-33)

​In questa quinta domenica di quaresima il Maestro, ancora una volta, ci indica la Via della Vita che passa imprescindibilmente per la Croce accolta e abbracciata per amore. La Via della Vita, infatti, implica l'obbedienza del figlio, di colui che agisce per amore, non l’obbedienza formale ed esteriore del servo: la croce non può essere subita, sopportata, ma va accolta, abbracciata per amore. Solo così le nostre sofferenze, i nostri sacrifici, saranno croce salvifica.

Chi ama la propria vita, la perde... Chi vuole salvare la propria vita, chi vive sempre “in difesa”, pretendendo di proteggersi sempre da questo e da quello, ed ha l’unica preoccupazione di giungere alla propria felicità, andrà incontro al fallimento: la sua vita sarà inutile come un seme sterile, incapace di portare frutto.

Se uno mi vuole servire, mi segua. Quella che oggi il Maestro ci insegna è la via del servizio e della sequela: dietro a Lui siamo invitati a fare della nostra vita un dono d’amore come servizio a Lui gradito. È l’unica via perché la nostra vita possa essere piena e “degna di essere vissuta”. Una via “in salita”: faticosa e difficile; ma l’unica via che conduce alla Vita e non solo alla “sopravvivenza”. 

Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato la promessa di una Nuova ed Eterna Alleanza in cui la Legge di Dio non sarà più “esterna” al popolo, ma scritta nel loro cuore. Questa Legge è lo Spirito, l’Amore tra il Padre e i Figlio, effuso nei nostri cuori per renderci capaci di Amare. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)

Il Comandamento Nuovo, la legge della Nuova ed Eterna Alleanza è questo amore fino al dono di sé. Solo se saremo docili allo Spirito, se ci lasceremo guidare da Lui, saremo capaci amare come Lui ci ha amato, di perdere la vita, di prendere la nostra croce facendo della nostra vita un dono a chi ci sta accanto.

​Spesso, dinanzi la croce, siamo tentati di cercare scorciatoie e vie più comode. Il “mondo” ci insegna che dobbiamo curarci principalmente di “stare bene”. Ogni volta, però, che lasciamo la via della croce sperimentiamo solo una maggiore sofferenza in noi e in chi ci sta accanto. Ogni volta che ci occupiamo di cercare la nostra egoistica felicità, falliamo.

Oggi Gesù ci insegna che per giungere alla Vita dobbiamo fare della nostra esistenza un dono. Occuparci non della nostra egoistica felicità, ma di fare felice chi il Signore ci ha messo accanto.
Oggi ancora siamo invitati a scegliere quale maestro seguire: il Signore e Maestro capace di darci la Vita, o i “maestri”, gli idoli, di questo mondo?

Fr. Marco

sabato 9 marzo 2024

Chiunque crede in lui non va perduto, ma ha la vita eterna

 «In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà … Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora.» (2Cr 36,14-16.19-23)

«Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.» (Ef 2,4-10)

« … Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3,14-21)

​La quarta domenica di quaresima, è detta domenica “Laetare” per la prima parola dell’antifona d’ingresso: «Rallegrati Gerusalemme …». La Parola di Dio di oggi, inoltre, ci indica per che cosa rallegrarci: Dio ci ama!

Nella prima lettura, tratta dal libro delle Cronache, ascoltiamo, infatti, che il Signore aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Dio, che è Amore (Cfr. 1Gv 4,8), ama il suo popolo in maniera “viscerale”, tanto da esserne “geloso”: dopo averlo ammonito senza successo, si allontana per un po’ dal popolo per fargli sperimentare che lontano da Lui non vi è che morte e schiavitù.

San Paolo, nella seconda lettura tratta dalla Lettera agli Efesini, torna a parlarci dell’Amore di Dio come causa della nostra salvezza: siamo stati salvati per il grande amore con il quale ci ha amato. Questo amore salvifico di Dio si manifesta pienamente in Cristo. È mediante la Passione, Morte e Resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, infatti, che siamo passati dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio.

Per grazia siete stati salvati. Non sono le nostre opere ad acquistarci la salvezza, ma è l’essere stati salvati, l’Amore di Dio “effuso nei nostri cuori” (Cfr. Rm 5,5), che ci permette di compiere le opere dei figli di Dio.

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» In questa affermazione del Vangelo la proclamazione dell’amore di Dio per l’umanità raggiunge il suo culmine. Per la nostra salvezza, , per mostrarci la misura del Suo Amore, Dio dà tutto se stesso, si compromette con noi, si consegna nelle nostre mani fino ad essere crocifisso.

Il motivo per cui quest’oggi la liturgia ci invita a rallegrarci, quindi, è l’amore gratuito di Dio per noi; il fatto che siamo salvati per grazia, senza nostro merito.

«… perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» La salvezza che il Signore ci ha acquistato con la Sua Passione, Morte e Resurrezione è rivolta a tutti, tutti il Signore vuole salvare. Tale salvezza per grazia è un dono e come tale comporta la libera accettazione da parte dei destinatari. Per questo oggi Gesù preannunziando il suo Mistero Pasquale, lo paragona all’innalzamento del serpente nel deserto (Cfr. Nm 21,8s). Nel racconto del libro dei Numeri, i serpenti vengono mandati per rendere visibile il “veleno” della mormorazione che allontana il Popolo da Dio. Come Israele nel deserto è chiamato a guardare alla “conseguenza del suo peccato” per essere salvato dalla morte, così anche il popolo della Nuova Alleanza è chiamato volgere lo sguardo “a colui che hanno trafitto” per ottenere la liberazione dal peccato.

Il dono gratuito dell’Amore di Dio ci chiama quindi a responsabilità, ci chiede di accoglierlo e di corrispondervi. La prima cosa che siamo chiamati a fare è, infatti, accogliere questo amore, crederci! Il Vangelo di oggi afferma: «chiunque crede in lui» non va perduto, ma ha la vita eterna. Solo dopo averlo accolto, avere creduto all’amore che Dio ha per noi (Cfr. 1Gv 4,16), potremo corrispondervi.

… chiunque crede in lui. Guardare a Cristo, accogliere il Suo Amore, significa, quindi, in prima istanza, credere a questo amore, avere fiducia in Lui anche quando non “capiamo” e non percepiamo il Suo amore. Una fiducia che non può essere solo esteriore, “verbale” («non chi dice Signore, Signore …»), ma che deve tradursi in gesti concreti, in una vita che, sull’esempio del Maestro, sa farsi dono.

Oggi Gesù ci ha assicurato che chiunque crede in lui non andrà perduto e avrà la Vita eterna. A questo punto, però, è il caso di domandarci: “Io credo in Lui?”. Non rispondiamo frettolosamente, ma guardiamo alla nostra vita, a ciò in cui confidiamo, a ciò di cui siamo convinti di non potere fare a meno … “Io credo in Lui?”

Fr. Marco

venerdì 1 marzo 2024

Non fate della casa del Padre mio un mercato!

 «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile …» (Es 20,1-17)

«Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.» (1Cor 1,22-25)

«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,13-25)

​La Parola di Dio della terza domenica di quaresima ci presenta il tema della vera sapienza e della vera potenza. La prima lettura tratta dal libro dell’Esodo, infatti, ci presenta la promulgazione del Decalogo e, con esso, la memoria di ciò che Dio ha operato per il Suo Popolo. La pagina di Vangelo ci racconta la purificazione del Tempio e con essa l’istituzione del vero culto.

L’antico Popolo dell’Alleanza conosceva la potenza di Dio perché aveva assistito ai prodigi compiuti dal Signore per farlo uscire dall’Egitto: ha visto le piaghe d’Egitto e il passaggio attraverso il Mar Rosso; è stato nutrito e dissetato miracolosamente nel deserto; è stato testimone della Teofania al Sinai, quando il Signore si è manifestato con tuoni e fuoco dal cielo. Il Dio conosciuto da Israele è il “Signore degli eserciti”, un Dio vincitore e operatore di prodigi. Con il passare del tempo, tuttavia, Israele ha dimenticato il suo legame con il  “Dio operatore di prodigi” per guardare esclusivamente ai “prodigi operati da Dio”: il popolo chiede miracoli dimenticandosi la comunione con Dio.

Il Popolo santo di Dio conosce anche la sapienza di Dio: ha ricevuto da Dio le “dieci Parole”, i dieci comandamenti, che manifestano e custodiscono l’Alleanza, il rapporto di reciproca appartenenza, fondata sulla fedeltà di Dio. Israele è quindi chiamato ad essere una luce per le genti pagane: il Popolo che ha accesso alla Sapienza di Dio. Purtroppo, però, dimenticando il rapporto d’alleanza che la Legge mediava, il Popolo eletto ha finito per concentrarsi sulla “lettera della Legge” pretendendo di ottenere “crediti” nei confronti di Dio con un’osservanza scrupolosa, ma formale.

«… non fate della casa del Padre mio un mercato». Gesù reagisce a questa perversione del culto. Israele ha “addomesticato” il suo Signore intraprendendo con Lui una sorta di mercato: osservanza formale scrupolosa in cambio di prodigi; «Io ti servo, tu mi ricompensi». L’amore e la comunione con Dio non trovano più posto in questa logica mercantile. Il Cristo, per come oggi ci viene presentato nel Vangelo, appare quasi irriconoscibile: il più mite degli uomini si scaglia, con una “violenza” che ricorda quella del profeta Elia, contro la “mentalità mercantile” in cui il culto (i sacrifici) e le offerte sono intese come un “accumulare crediti” dinanzi a Dio; non si cerca Dio, ma il proprio interesse; non c’è più posto per la preghiera, il dialogo d’amore cercato da Dio.

«Quale segno ci mostri per fare queste cose?» Alla richiesta di un segno, Gesù anticipa il segno definitivo in cui si manifesteranno “la potenza e la sapienza di Dio”: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere … egli parlava del tempio del suo corpo». È nel mistero pasquale, mistero di morte e resurrezione, che il Cristo manifesta la potenza e la sapienza di Dio.

Quale segno è più eloquente della donazione compiuta da Cristo sulla Croce per mostrarci l’Amore di Dio? Il Figlio di Dio dona tutto se stesso, la sua vita, per la salvezza dell’umanità. Il vero segno della potenza di Dio, non è quindi l’aprirsi delle acque del Mar Rosso, ma l’aprirsi, attraverso il costato trafitto di Cristo, dell’amore di Dio per noi. La potenza dell’Amore che, nell’apparente debolezza, risulta vincitore.

Nella Croce di Cristo si manifesta pienamente anche la Sapienza di Dio, la Nuova Legge, che è lo spirito di quella antica e mai abrogata: accogliere l’Amore del Padre - non confidando più sulle proprie forze, come se queste ci ottenessero meriti e potessimo salvarci da soli - e corrispondere con la nostra vita di figli a questo Amore. La vera sapienza che Cristo manifesta è l’abbandono fiducioso all’amore del Padre. Permettere a Dio di manifestarci il suo amore, accoglierlo come il nostro salvatore. Solo così, ripieni dell’amore di Dio, riconoscendo di essergli debitori di tutto, potremo vivere da figli compiendo le opere del Padre.

La partecipazione alla liturgia eucaristica ci fa diventare contemporanei alla donazione d’amore di Cristo sulla croce. Di più: accostandoci all’Eucaristia, facciamo comunione con la Sua morte e resurrezione. Accogliamo in noi questa potenza e conformiamo la nostra vita a ciò che celebriamo, traducendo in gesti concreti e quotidiani di amore gratuito la nostra partecipazione alla passione di Cristo.

Facciamo nostra, quindi, la sapienza e la potenza di Dio che il mondo non può riconoscere perché rientrano in una logica che gli è estranea. Facciamo nostra la logica evangelica dell’amore. Sperimentiamo anche noi la sapienza di lasciarci amare gratuitamente da Dio; sperimentiamo, infine, la “potenza inerme” di un amore che si dona senza misura, che fa sempre il primo passo, che perdona sempre il fratello che ha sbagliato e che non smette di manifestargli amore. Non preoccupiamoci se il mondo si scandalizzerà di noi e ci riterrà stolti, stupidi: è questa “stoltezza” che è vera sapienza agli occhi di Dio.

Fr. Marco

sabato 24 febbraio 2024

Questi è il Figlio mio, l’amato

 

 «…  Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. L’angelo disse: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito”» (Gen 22,1-2.9.10-13.15-18)

«Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (Rm 8,31-34)

« … E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. … Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.» (Mc 9,2-10)

Continuando il percorso spirituale iniziato domenica scorsa nel deserto della tentazione con Gesù, la pagina di Vangelo di questa domenica, seconda di quaresima, ci conduce sul monte della trasfigurazione sul quale il Maestro ci fa intravedere la fine del cammino: la gloria della Resurrezione.

L’evangelista Marco introduce la pericope odierna con una notazione temporale, omessa dalla liturgia, che collega la trasfigurazione agli eventi che la precedono: «Sei giorni dopo». Nei versetti precedenti l’evangelista aveva raccontato la “confessione” di Pietro, il primo annunzio della passione e l’enunciazione, da parte del Maestro, delle “esigenze del discepolato” (Mc 8, 27-38). Ora, sei giorni dopo questi eventi e in conseguenza di essi, Gesù conduce Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre testimoni privilegiati, su un alto monte e mostra loro la sua gloria.

È il monte a fare da immediato collegamento tra la prima lettura e il Vangelo. Abramo sale sul monte con Isacco, il figlio amato, per sacrificarlo in obbedienza al Signore. Gesù, invece, sul monte è trasfigurato e conversa con Mosè ed Elia (rappresentanti la Legge e i Profeti). L’evangelista Marco non riferisce l’argomento della conversazione. Solo Luca ci dice che «parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,31) cioè della sua Passione, Morte e Resurrezione.

Insieme al tema della glorificazione viene introdotto il tema della Passione: per giungere alla gloria che oggi Gesù ci fa intravedere, è imprescindibile passare per la Croce accolta e abbracciata in obbedienza e per amore. Una donazione d’amore che, contrariamente a ciò che accade per Isacco, giunge fino alla fine (Cfr. Gv 13,1), fino al dono della vita. Come ci ricorda la seconda lettura di oggi, infatti: il Padre non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi.

«Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» La manifestazione della Gloria di Dio giunge al suo culmine con la “nube” e la “voce dal Cielo” che, richiamandosi a quella del battesimo (Mc 1,11), dà inizio alla seconda parte del Vangelo di Marco. La Voce, infatti, conferma e completa la confessione di Pietro (che lo riconosce «il Cristo» cfr. Mc 8,29) ed esorta all’ascolto dell’insegnamento di Gesù e, quindi, alla sua sequela. L’oggetto di tale ascolto è costituito da ciò che precede e segue immediatamente: l’annuncio della Passione e l’esigenza della sequela sulla via della Croce vissuta come donazione d’amore.

«Questi è il Figlio mio, l’amato.» Vorrei sottolineare questo amore che il Padre attesta verso il Figlio al quale la Croce non verrà risparmiata. Quante volte, quando ci troviamo nella sofferenza, prestando ascolto alle insinuazioni del maligno, abbiamo dubitato dell’amore del Padre!  Il fatto che il Padre permetta che attraversiamo la sofferenza non deve farci dubitare del Suo amore. La Croce, la donazione della vita per Amore, infatti, è imprescindibile, è l’unica Via per giungere alla gloria della Resurrezione. Chiediamo oggi la grazia di non dubitare dell’Amore del Padre: «Chi di voi al figlio che gli chiede un pane, darà  una pietra? … Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele chiedono!» (Mt 7,9-11).

Ascoltiamo e seguiamo Gesù, il Figlio Amato e nostro Signore. Se anche noi, infatti, sapremo prendere ogni giorno la nostra Croce con il Maestro e donare la vita per amore facendo delle nostre sofferenze un’offerta, allora, divenuti conformi a Cristo, anche per noi il Padre potrà dire «Questi è il Figlio mio, l’amato».

… non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Continuiamo, allora il nostro cammino con la consapevolezza che il nostro Maestro è con noi. Lui è il Signore, il Figlio amato; anche se sceglie di nascondere la Sua divinità, anche nell’ordinarietà della nostra vita, non dubitiamo della Sua vicinanza e percorriamo con Lui la strada che Lui ci ha mostrato e che, passando per la Croce, ci conduce alla Vita.

Fr. Marco

 

venerdì 16 febbraio 2024

Nel deserto dell'intimità per scoprire chi siamo

 «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra.» (Gen 9,8-15)

«Cristo … nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua.» (1Pt 3,18-22)

«In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.» (Mc 1,12-15)

La prima domenica di Quaresima la Parola di Dio ci parla di nuovi inizi e di intimità con Dio. Nella prima lettura tratta dal libro della Genesi, abbiamo ascoltato dell’alleanza che Dio ha stabilito con Noè e, in lui, con l’umanità intera, dopo il diluvio causato dal peccato dell’uomo. È un nuovo inizio, una nuova alba del mondo.

Anche s. Pietro, nella seconda lettura, ci parla di un nuovo inizio: i battezzati, rinati dalle acque di cui quelle del diluvio erano immagine, sperimentano la salvezza che li introduce in una nuova vita.

La pagina del Vangelo, infine, segue immediatamente il racconto del battesimo di Gesù al Giordano. La Voce dal Cielo aveva proclamato Gesù il Figlio prediletto in cui il Padre si è compiaciuto; e subito lo Spirito lo sospinse nel deserto: Gesù ha bisogno di restare in intimità con il Padre. Il deserto, infatti, è il luogo dell’intimità con Dio (Cfr. Os 2,16), ma è anche il luogo della tentazione (Cfr. Dt 8,2). È nel deserto che, sperimentando la propria debolezza, l’uomo può comprendere ciò che è essenziale per la sua vita.

Nel deserto rimase quaranta giorni tentato da Satana. Immediato è il riferimento ai quarant’anni di Israele nel deserto. Quaranta indica il tempo della preparazione attraverso la prova. Israele, messo alla prova, cade nella mormorazione per la mancanza di cibo, di acqua ecc. Anche Gesù nel deserto è tentato, ma, restando unito al Padre e accogliendo pienamente la Sua volontà, vince la tentazione. L’evangelista Marco ci presenta Gesù come il Nuovo Adamo: in armonia con il creato (le bestie selvatiche) e servito dagli angeli perché obbediente al Padre.

Vorrei soffermarmi brevemente sul valore della tentazione. In Deuteronomio 8,2 si parla di Israele condotto nel deserto e messo alla prova per sapere quello che ha nel cuore. Anche nel racconto sapienziale di Giobbe (vedi 1,6-12) al satana (l’avversario, l’accusatore) viene concesso di mettere alla prova Giobbe per scoprire se realmente ama Dio o solo i doni di Dio. La tentazione, allora se da una parte ci mette in pericolo di cadere nel peccato, dall’altra ha il prezioso valore di farci scoprire chi siamo, cosa abbiamo nel cuore, di cosa siamo capaci sia in positivo che in negativo; ci dona la misura del nostro amore a Dio, ci fa scoprire a che punto siamo nel nostro cammino spirituale. È una funzione fondamentale: come il viandante deve fare bene il punto della sua posizione per potere procedere senza perdersi, così noi dobbiamo scoprire cosa abbiamo nel cuore, chi siamo realmente, per potere procedere verso l’incontro con il Padre e realizzare realmente la nostra Vita. Per questo Gesù vero Dio, ma anche vero uomo, ha voluto come noi essere tentato, attraversare la prova.

Dopo che Giovanni fu arrestato. Da notare che l’evangelista Marco, per indicare l’arresto di Giovanni, usa il termine “consegnato” alludendo in maniera profetica, fin dagli inizi del ministero pubblico, alla Passione di Cristo. Gesù, vinta la tentazione e avendo accolto pienamente la volontà del Padre, inizia il suo ministero pubblico: annunzia il “compimento del tempo”, l’adempimento delle promesse, l’avvento del Regno.

Per entrare nel Regno, nell’alleanza definitiva che il Padre vuole stabilire con l’umanità intera, è necessario, però, convertirsi e credere, o meglio: convertirsi per credere alla buona notizia della salvezza; fidarsi del Dio che si è rivelato in Gesù Cristo e rinunciare ai nostri idoli: l’avere, il potere, l’illusione di salvarsi con le proprie forze …

È per questo che all’inizio di questa quaresima anche noi veniamo chiamati ad “entrare nel deserto” con Gesù, a vivere un periodo di più intensa intimità con il Padre e a rinunciare a ciò che ci allontana da Lui o pretende di sostituirlo nel darci la Vita. Siamo chiamati a sperimentare che solo Lui è capace di darci ciò che veramente ci sazia.

Fr. Marco.

martedì 13 febbraio 2024

Ritornate a me con tutto il cuore

 Il tempo della Quaresima, tempo forte di conversione, inizia il Mercoledì delle Ceneri con l’esortazione: «Convertiti e credi al Vangelo». [L’altra formula: «Ricordati che sei polvere e polvere tornerai» invita a guardare al fine ultimo della nostra vita così da orientarla ad esso].

Questo invito alla conversione è ripreso dalla prima lettura tratta dal libro del profeta Gioele: «Ritornate a me con tutto il cuore … laceratevi il cuore e non le vesti» (Gl 2,12). Il verbo ebraico Shub (“Ritornate”), infatti, è il verbo della conversione: veniamo invitati a tornare sui nostri passi, a cambiare strada, ad abbandonare le vie del peccato per tornare sulle strade del Signore. Prendendo coscienza che le strade che abbiamo intrapreso portano lontano dalla Vita, sentiamo la necessità di ritornare sui nostri passi.

Per meglio comprendere questa necessità è bene soffermarci brevemente a riflettere sulla realtà del peccato come ce la presenta la Parola di Dio. In ebraico esistono vari termini che traduciamo “peccato”, ma la parola  più comunemente tradotta con “peccato” – khata – letteralmente significa “smarrirsi”, “sbagliare direzione” (anche “fallire” o “mancare il bersaglio”). Lo stesso termine che indica i peccatori, infatti, indica pure gli smarriti: coloro che avendo abbandonato le piste carovaniere, che vanno da un’oasi all’altra nel deserto, si sono persi e sono destinati a morire di sete. Da qui l’urgenza di tornare sui propri passi, di convertirsi, per seguire la via della Vita, la sola che può portarci alla Fonte d’acqua viva.

Ritornate a me con tutto il cuore. La conversione che ci chiede il Signore, infatti, non può essere solo esteriore, apparenza, ma deve coinvolgere tutta la nostra realtà. Troppo spesso viviamo nel compromesso e ci ritroviamo frammentati in molteplici cose: proviamo a seguire più direzioni contemporaneamente cambiando continuamente direzione; siamo abbagliati da molteplici attrattive e in tal modo ci smarriamo. Oggi il Signore ci chiede di unificare tutta la nostra vita ponendola sotto la Sua Signoria. Perché tale conversione sia autentica e ci conduca sulle vie della Vita, essa deve essere libera  dalla ricerca del “proprio Io”, deve ricercare solamente la gloria di Dio.

È quello cui ci invita il Vangelo di oggi: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro …» (Mt 6,1). Nel riproporre i tre pilastri della spiritualità giudaica, Gesù, istruisce i suoi discepoli sul modo in cui praticarli perché portino frutti duraturi. Elemosina, preghiera e digiuno, infatti, trovano il loro valore più alto nel decentrare colui che le pratica.

Nel praticare l’elemosina sono portato ad accorgermi del bisogno del fratello, a usargli misericordia, dandogli, se non la precedenza, almeno la stessa attenzione che darei al mio bisogno. Praticando l’elemosina, inoltre, affermo con forza e fattivamente la convinzione che non saranno le cose che accumulo a darmi quella pienezza di vita che desidero; un’affermazione che è al contempo una liberazione dalla schiavitù delle cose.

La preghiera mi porta a decentrarmi perché mi fa riconoscere che non sono solo nella quotidiana fatica, ma ho un Padre che mi ama e che provvede a me; a Lui posso quindi chiedere aiuto e conforto, Lui devo ringraziare per ciò che mi concede ogni giorno e in Lui devo porre la mia filiale fiducia.

Il digiuno, infine, mi decentra liberandomi dalla schiavitù delle “passioni”: esercitandomi a dire no alla necessità del cibo, mi fortifico per resistere alla spinta delle mie disordinate passioni e imparo, passo dopo passo, a rinnegare me stesso mettendo Dio al primo posto.

Queste opere di giustizia, questi esercizi penitenziali, tuttavia, perdono ogni valore se sono fatti al fine di essere ammirati: non ottengono più lo scopo di decentrarmi, ma mi centrano sempre più in me stesso nutrendo il mio Io e la mia Immagine.

Viviamo bene questo “momento favorevole”, l’oggi della salvezza (cfr. 2 Cor. 6,2),  e torniamo al Signore Dio nostro «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore» (Gl 2,13).

Buona Quaresima. fr. Marco

 

sabato 10 febbraio 2024

Ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!»

 «Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento» (Lv 13,1-2.45-46)

​« … mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.» (1Cor 10,31-11,1)

«Venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.» (Mc 1,40-45)

​In questa sesta domenica del tempo ordinario, la pagina di Vangelo ci presenta Gesù come il compimento delle attese messianiche e lo fa raccontandoci la guarigione di un lebbroso. Guarire la lebbra, infatti, era uno dei segni per riconoscere il Messia: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5).

Come ci ricorda la prima lettura tratta dal libro del Levitico, la lebbra ha un forte valore simbolico: non è una malattia come le altre, ma è considerata una “piaga mandata da Dio” a causa dei peccati e, per questo, è una malattia che esclude dalla comunione col popolo di Dio. La lebbra ci presenta visibilmente l’effetto del peccato: l’esperienza della morte in vita; il malato di lebbra sperimenta la perdita del senso del tatto, del dolore e della temperatura, debolezza muscolare che può portare a deformità e lesioni deturpanti della cute e della mucosa nasale.

Proprio perché così strettamente legata al peccato, solo Dio può guarire dalla lebbra e solo i sacerdoti possono attestare l’avvenuta guarigione. Il lebbroso, inoltre, era obbligato a gridare “impuro, impuro!” e ogni pio israelita si guardava bene dall’avvicinarsi ad uno di essi dato che avere qualsiasi contatto con un lebbroso era causa di impurità.

Venne da Gesù un lebbroso. Nel Vangelo di oggi sia il lebbroso che Gesù contravvengono alla norma rituale: il lebbroso, testimoniando una grande fede, si inginocchia davanti a Gesù riconoscendolo come il Signore che, se vuole, può purificarlo. Gesù, senza fare alcun conto della propria incolumità o del fatto che sarebbe diventato ritualmente “impuro”, osa toccare il lebbroso. Anche in questo comportamento il Vangelo di oggi ci svela chi è Gesù: è il Messia atteso, ma è soprattutto il Signore misericordioso che “non è venuto per i sani, ma per i malati”; è il Signore che si muove a compassione per le miserie dell’umanità.

Gesù ci è mostrato, inoltre,   come il “Servo di YHWH” che si è «caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori» (Is 53, 4). Dopo la guarigione del lebbroso, infatti, la situazione iniziale appare rovesciata: inizialmente Gesù è il maestro che va nei villaggi e insegna, mentre il lebbroso è escluso dal consesso umano e costretto a tenersi lontano dai villaggi. Alla fine della pericope, invece, il lebbroso guarito va in giro annunziando la gloria di Dio, mentre Gesù è costretto a restare fuori dai villaggi e in luoghi deserti.

«Se vuoi, puoi purificarmi!» Facendo nostra la preghiera del lebbroso del Vangelo, impariamo da lui a riconoscerci anche noi bisognosi di purificazione e a riporre la nostra fiducia nel Signore che può e vuole purificarci, liberarci dal nostro peccato. Impariamo dal Signore, come ci invita a fare S. Paolo nella seconda lettura, a mettere da parte, se necessario il nostro interesse, per andare incontro al fratello bisognoso. Il mondo è da poco uscito da un periodo di pandemia che ha instillato in noi il timore dei contatti umani. Credo sia concreto in questo contesto il pericolo che, spinti dalla paura che ci fa preoccupare solo di noi, permettiamo al nostro peccato di chiudere il nostro cuore al bisogno del fratello.

Guardiamo a S. Francesco d’Assisi che seppe davvero seguire le orme del Maestro nell’atteggiamento di misericordia verso le miserie umane e soprattutto verso i lebbrosi. È noto, dalle biografie il “bacio al lebbroso”. Nel suo Testamento lo stesso Francesco ci spiega cosa lo ha mosso: « … quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia». Parafrasando S. Paolo nella seconda lettura di oggi, oso dire: facciamoci imitatori di S. Francesco come lui lo fu di Cristo. Così facendo, anche noi, lebbrosi guariti e peccatori purificati, diventeremo annunziatori e testimoni della gloria di Dio e contribuiremo alla venuta del Regno.

 Fr. Marco

 

venerdì 2 febbraio 2024

Tutto io faccio per il Vangelo

«L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario? … Ricòrdati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene» (Gb 7,1-4.6-7)

« … pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.» (1Cor 9,16-19.22-23)

«La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. … Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni … Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. … andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.» (Mc 1,29-39)

La pagina di Vangelo delle domeniche scorse ci ha invitati alla conversione e ad accogliere Gesù come maestro e liberatore. La Parola di Dio di questa quinta domenica ci presenta il motivo per fare tutto ciò: perché la  nostra vita abbia un senso pieno.

Nella prima lettura, infatti, ascoltiamo Giobbe che lamenta la mancanza di senso di una vita tutta dedita ad un “servizio mercenario” il cui salario risulta sempre insufficiente. Una vita vana che si riduce ad un soffio: breve, inconsistente e che non lascia traccia. Ha senso vivere una vita così?

Nella pagina evangelica, tratta  dall’ultima parte di quella sezione del Vangelo di Marco che potremmo chiamare il “sabato di Cafarnao”, il Signore Gesù è presentato come colui che è venuto a donarci una vita abbondante e una gioia piena (cfr. Gv 10,10 e Gv 15, 11), a liberarci dalla schiavitù del peccato e delle passioni che ci costringono a spendere i nostri giorni per ciò che non è capace di “saziarci”. Lo fa principalmente offrendoci se stesso come esempio di colui che si prende cura della vita in tutte le sue espressioni: insegnando, guarendo, liberando dai demoni; dando a tutti la Speranza perché gli uomini passino dalla schiavitù di un servizio fatto per costrizione (prima lettura) alla libertà del servizio dei figli, un servizio fatto per amore.

La suocera di Simone era a letto con la febbre … Nei primi versetti della pagina evangelica ascoltiamo il racconto della guarigione della suocera di Pietro che viene liberata dalla schiavitù della malattia e fatta “alzare”. Da notare che il Vangelo usa qui lo stesso verbo della resurrezione: la suocera di Pietro viene fatta “risorgere” dalla schiavitù della malattia; adesso può liberamente “servire”, fare della propria vita un dono sull’esempio di Colui che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Cfr Mc 10,45).

È di questo stesso servizio che ci parla S. Paolo nella seconda lettura: tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io. È evidente che per Vangelo qui si intende l’opera della redenzione di Cristo e il Regno che Egli è venuto ad instaurare. L’apostolo non serve come un mercenario, in funzione della ricompensa, ma per amore di Cristo e desiderando solo di partecipare a quel Regno che contribuisce ad instaurare. Quanta differenza con coloro che, ancora schiavi della logica del mondo e del peccato, si dicono cristiani e vivono la loro religiosità per ottenere da essa la protezione dalle intemperie della vita! O peggio, con coloro che usano del loro ministero nella Chiesa per ottenerne benefici!

… si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. L’esempio del Maestro, infine, ci insegna anche l’importanza della preghiera. Perché il nostro servizio possa essere un servizio filiale, perché possiamo riconoscerci ed essere riconosciuti come figli di Dio, è fondamentale la relazione con il Padre: l’ascolto della Sua Parola e il dialogo con Lui.  Una vita che non abbia un orizzonte di trascendenza, che trascuri il suo legame con il Padre, difficilmente sarà una vita piena di senso, ma facilmente cadrà nella inconsistenza lamentata da Giobbe.  

Accogliamo, allora, questo invito di Cristo a farci ministri (servi) della vita in tutte le sue espressioni tutelandola soprattutto dove è più debole. Impariamo a dare un senso alla nostra vita facendone un dono a Dio e ai fratelli: è l’unico modo perché essa cessi di essere “come un soffio”, e diventi invece Vita piena che dura per l’eternità.

Fr. Marco

sabato 27 gennaio 2024

Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?

 «Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto.» (Dt 18,15-20)

«Fratelli, io vorrei che foste senza preoccupazioni … Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.» (1Cor 7,32-35)

« … nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”. E Gesù gli ordinò severamente: ”Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui “… Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”». (Mc 1,21-28)

​La pagina di Vangelo della quarta domenica del Tempo ordinario ci fa contemplare ancora gli inizi del ministero pubblico di Gesù: il “sabato di Cafarnao” (Mc 1-21-34), in cui il Cristo si manifesta come Maestro e Liberatore, colui che realizza le attese di Israele.

La prima lettura tratta dal libro del Deuteronomio ci fa ascoltare la promessa che Dio fa al Popolo per bocca di Mosè: susciterà un profeta che dirà loro quanto Egli comanderà. Nella Sinagoga di Cafarnao Gesù, la Parola definitiva di Dio all’uomo, realizza pienamente questa promessa e si presenta ai suoi fratelli come Maestro il cui insegnamento ha un’autorità che nessuno prima di Lui aveva.

Il brano evangelico ci informa, tuttavia, che in mezzo al popolo riunito con Gesù nella Sinagoga per ascoltare la Parola vi è un uomo posseduto da uno spirito impuro. La traduzione letterale sarebbe “in uno spirito impuro”: quell’uomo non solo era posseduto dallo spirito impuro, ma si muoveva, dimorava, in un contesto di “impurità”. Collegandoci a domenica scorsa potremmo dire che si muoveva nello “schema di questo mondo” (1Cor 7,29-31) indicando con ciò un sistema di vita diametralmente opposto al Vangelo.

«Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?» Quest’uomo si sente minacciato dall’insegnamento di Gesù che, in effetti, è venuto a scardinare lo “schema di questo  mondo” per inaugurare il Regno di Dio e liberare  l’umanità dalla tirannia del demonio. Non sorprende che lo spirito impuro si trovi anche all’interno del luogo di culto: anche la religiosità trova posto nello “schema di questo mondo”; certamente si tratta di una “religiosità perversa”: un culto teso a ingraziarsi la divinità, e guadagnare meriti; un culto in cui si ha una visione distorta di Dio e il cui centro è il nostro io che si gonfia di meriti. Questo spirito impuro viene disturbato dalla presenza di Gesù che mostra il vero volto del Padre e riporta il culto al suo vero senso: la relazione d’amore e dipendenza dal Padre che è la nostra origine e il nostro fine. Ecco perché S. Paolo oggi, nella seconda lettura, ci esorta a preoccuparci di piacere al Signore, di vivere la nostra vita mettendo al centro la relazione con Lui.

«Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!» Letteralmente:  «Cosa abbiamo in comune con te?». Quante volte, purtroppo, mi è capitato di sentire espressioni del genere quando esorto qualcuno a vincere le proprie debolezze sull’esempio di Gesù: «Cosa c’entra Gesù? io mica sono Gesù!?» Non dobbiamo dimenticare che i cristiani nel Battesimo siamo stati conformati a Cristo, innestati in Lui e chiamati a mostrare Lui al mondo. Nell’Eucarestia, inoltre, uniamo la nostra vita alla Sua per la salvezza del mondo. Siamo chiamati, quindi a imparare da Gesù come comportarci e ad amare come Lui il Padre e i fratelli.

Anche a noi, tuttavia, può capitare di vivere “in uno spirito impuro”; inseriti in un sistema di vita in cui di cristiano c’è solo l’apparenza (non a caso l’uomo indemoniato si trovava nella sinagoga per la liturgia del sabato). Viviamo una sorta di doppia vita: in chiesa ci diciamo cristiani, ma nella vita quotidiana seguiamo altri maestri e altre logiche che, per nostra disgrazia, non saranno mai capaci di darci la Vita.

Oggi la Parola ci esorta a lasciare questi falsi maestri e a metterci alla sequela dell’unico Maestro che parla con autorità, l’unico capace dai darci la libertà dalle schiavitù e la Vita vera.

L’autorità di Gesù, infatti, coniuga verità e misericordia: non ci “schiaccia” costringendoci ad una vita “non umana”; al contrario, ci mostra il modo veramente umano di vivere, una vita in cui, mettendo al di sopra di tutto l’obbedienza a Cristo, tutto trova la sua giusta collocazione.

Fr. Marco

 

sabato 20 gennaio 2024

Il regno di Dio è vicino; credete nel Vangelo

«I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.» (Gio 3,1-5.10)

«… il tempo si è fatto breve … passa infatti la figura di questo mondo!» (1Cor 7,29-31)

«“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”» (Mc 1,14-20)

Nella pagina di Vangelo di questa terza domenica del Tempo Ordinario ascoltiamo le prime parole di Gesù riportate dall’evangelista Marco: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». La liturgia della Parola di oggi, infatti, tratta della conversione che consiste sicuramente nell’abbandonare la condotta malvagia di prima (I lettura), ma che non può ridursi solo a questo. Convertirsi richiede soprattutto un cambiamento di mentalità (il termine greco metànoia ha a che fare col Nous, col pensiero); si tratta quindi di cambiare “schema”, “configurazione”, al modo di vivere.

«Passa la figura di questo mondo». Nella II lettura Paolo usa proprio la parola greca “schema” (σχήμα: “figura”). Siamo chiamati ad assumere una nuova “configurazione”, un nuovo sistema di vita in cui il Regno del Signore, già presente, ma non ancora pienamente rivelato, sia il centro e i criterio di riferimento. Le realtà “mondane” hanno la loro dignità, ma devono essere messe in secondo piano rispetto al Regno. Per questo S. Paolo oggi per ben cinque volte usa l’espressione «come se non …».

«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino». Il nostro oggi è il kairòs, il tempo favorevole, il tempo della grazia: il Regno è in mezzo a noi. Per questo Gesù oggi ci invita a convertirci, a cambiare mentalità e sistema di vita, e a credere al Vangelo. Ma anche e forse soprattutto a credere al Vangelo per poterci convertire.

«Credete nel Vangelo» È importante la specificazione riguardo al che cosa dobbiamo credere: il Vangelo, la “buona notizia” che Dio è in mezzo a noi come Salvatore, che Dio non ci ha abbandonato alla nostra miseria. Solo avendo fiducia in questa buona notizia potremo lasciare lo “schema di questo mondo”, un sistema in cui, percependo la nostra fragilità e precarietà, ognuno cerca di accaparrarsi “un posto al sole” e la vita e pensa di doverlo fare da solo, magari a discapito dei fratelli. Credendo al Vangelo che Gesù è venuto a rivelarci, siamo chiamati ad assumere lo schema, il sistema di vita, il modo di pensare di Dio in cui è il Signore a donarci la salvezza e chiede a ciascuno di noi solo di fare posto ai fratelli nella nostra vita e di farci suoi discepoli donandogli la nostra disponibilità e fiducia.

Non a caso il Vangelo di Marco, immediatamente dopo l’annuncio del Regno, riporta la chiamata dei primi discepoli. Ad essi Gesù non chiede doti particolari, ma solo la sequela e la disponibilità ad abbandonare la vita di prima.

«Vi farò diventare pescatori di uomini». Certamente Gesù si sta riferendo al mestiere che facevano prima: da pescatori, quali erano, a “pescatori di uomini”. Permettetemi, però, di soffermarmi sull’attività del pescare. Quando si pesca non  si insegue la preda come, invece, avviene nella caccia. Per pescare si gettano le reti o l’amo e si fa in modo di attrarre il pesce. Mi viene in mente per esempio la pesca con le “lampare”: il pescatore durante la notte attrae il pesce con la luce.
Il fatto che i discepoli siano invitati ad essere pescatori di uomini, allora, potrebbe essere inteso come un invito ad essere attraenti: illuminati da Cristo, vivendo la vita bella del Vangelo, siamo chiamati ad “attrarre” gli uomini potandoli al Signore.

Accogliamo l’invito di questa domenica a convertirci alla logica del Regno e la nostra vita sarà più bella: giungeremo alla piena realizzazione che il Padre ha pensato per noi e collaboreremo con Cristo perché il mondo diventi sempre di più il Regno di Dio.

Fr. Marco.