sabato 24 novembre 2018

Gli furono dati potere, gloria e regno


«Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.» (Dn 7,13-14)

«Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.» (Ap 1,5-8)

«Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?» … «Il mio regno non è di questo mondo …» (Gv 18, 33-37)

​Nella solennità di Cristo Re dell’Universo che conclude l’anno liturgico, nel Vangelo non ci viene presentata una teofania gloriosa, ma uno stralcio dell’ingiusto processo di Gesù dinanzi a Pilato.
Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me? Alla domanda di Pilato sulla sua regalità, Gesù risponde tentando di fargli prendere posizione. Anche noi siamo invitati quest’oggi a prendere posizione: Diciamo che Gesù è il nostro re, il nostro Signore “per sentito dire”, ripetendo qualcosa che ci hanno insegnato, o perché realmente abbiamo scelto di vivere sotto la sua Signoria? Siamo di quelli che dicono “Signore, Signore …”, o di quelli che mettono in pratica la Parola? Sappiamo bene che Gesù ci ha avvertiti: non chiunque dice Signore, Signore, … ma chi fa la volontà del Padre mio entrerà nel Regno.
Il mio regno non è di questo mondo. Gesù afferma chiaramente che il suo regno non è di questo mondo: non possiamo dirci discepoli di Cristo e vivere secondo il mondo. Non si possono servire due padroni. 
Quest’oggi nel Vangelo sono a confronto la regalità del mondo e la regalità di Gesù: Pilato, la “regalità” del mondo, affermerà qualche versetto più sotto di avere il potere di salvare o condannare, ma in realtà, lo sappiamo bene, è schiavo: del suo “potere”, che non vuole perdere; della folla alla quale deve dare soddisfazione; del sinedrio che lo costringe a condannare a morte un uomo in cui, come dice lui stesso, non trova alcuna colpa.
Gesù, invece, è re secondo la verità: è libero e liberamente si dona per amore. Come lui stesso aveva affermato qualche pagina prima, “nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18). Ecco la vera regalità che è libertà e capacità di amare senza condizionamenti e fino alle estreme conseguenze. La Croce, che da sempre ha fatto scandalo al mondo, è il trono da cui Gesù regna sul mondo; il trono in cui si manifesta pienamente l’amore di Dio per noi; il trono su cui Gesù vittorioso ha sconfitto tutto ciò che ci rendeva schiavi, per renderci un regno di “sacerdoti” liberi e capaci di offrire la nostra vita per amore. Liberi di spendere la vita donandole un senso che il mondo non conosce. Gesù è chiaro: il suo Regno non è di questo mondo. Lui è il Re, il sovrano dei re della terra, il Re dei re, come titolava un film di qualche decennio fa, ma la sua regalità si manifesta in un modo assolutamente sconosciuto al mondo: donando la vita per amore!
Se oggi celebriamo questa solennità è perché possiamo prendere posizione. È la nostra vita ad essere in gioco: possiamo metterla sotto la signoria del mondo cercando il potere, il possedere e il piacere; mettendo sempre il nostro io al centro della nostra vita. Al momento della verità, però, scopriremo di essere schiavi come Pilato, dipendenti dall’approvazione degli altri. Scopriremo che una vita così vissuta è vuota, insignificante …
Al contrario possiamo vivere la nostra vita sotto la signoria di Cristo, imparando da Lui a vivere pienamente donando la vita per amore, mettendo il “Tu” di Dio e del fratello al centro della nostra vita: sperimenteremo una gioia e una pienezza di senso della vita che il mondo non conosce e non comprende!
fr. Marco


sabato 17 novembre 2018

Non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga


«In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. … Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.» (Dn 12,1-3)

«Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi.» (Eb 10,11-14.18)

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.» (Mc 13,24-32)

Con la trentatreesima domenica si conclude il Tempo Ordinario (domenica prossima, con la solennità di Cristo Re, si concluderà l’anno liturgico), per questo motivo oggi la Parola ci presenta “le cose ultime” e la Speranza finale.
Là dove una certa “letteratura” e filmografia vedono soltanto catastrofe (la “fine del mondo”), infatti, il cristiano è chiamato a scorgere l’inizio della Vita Piena ed Eterna: la venuta finale del nostro Signore Gesù Cristo e la ricapitolazione della storia che confluisce nell’eternità. Un’eternità di gioia per coloro che hanno saputo attenderla e hanno vissuto tenendo costantemente lo sguardo su questo orizzonte; un’eternità di rovina (la “morte secunda” la chiamerebbe S. Francesco) per coloro che si sono lasciati rinchiudere negli stretti orizzonti del “mondo” ed hanno vissuto secondo la logica egoistica che il mondo insegna.
In quel tempo …”; “In quei giorni …”. Il tempo e i giorni cui si riferiscono la prima lettura e il Vangelo, sono quelli in cui l’iniquità ha raggiunto il suo culmine; umanamente parlando, non si scorge più speranza: la misura è colma, le “tenebre” sembrano averla vinta. Proprio al culmine dell’iniquità, però, quando sembrerebbe che tutto sia perduto, il cristiano sa che si manifesterà la Vittoria di Cristo: le “tenebre”, infatti, sono già sconfitte; il Signore Gesù Cristo ha già vinto il peccato, la morte e il mondo (II lettura). Ora si attende solo la manifestazione finale di questa vittoria.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. È forte la tentazione di riconoscere nei nostri giorni “quei giorni”, il culmine dell’iniquità: gli orrori che quotidianamente ci sono riportati dai telegiornali possono orientare in tal senso il nostro pensiero. Senza cadere in facili millenarismi, oggi Gesù nel Vangelo, con la parabola del fico, ci invita a sapere scorgere i “segni dei tempi”, a fare attenzione a non farci trovare impreparati all’arrivo dell’“estate”. La fine del nostro tempo in questo mondo, infatti, di cui nessuno conosce l’ora eccetto il Padre, coinciderà per noi con la fine del mondo. È oggi, quindi, in questo tempo, che siamo chiamati a scegliere con chi schierarci: se unirci al corteo trionfale di Cristo riconoscendo la sua Signoria e, quindi, obbedendo alla Sua volontà ; o schierarci con ciò che si oppone a Lui e procurarci, quando la vittoria di Cristo sarà manifesta, la rovina eterna. Con il Mistero Pasquale di Cristo sono iniziati gli “ultimi tempi” in cui celebriamo sempre “in attesa della Sua venuta” (vedi il Mistero della Fede). Gli eventi della vita, allora, diventano occasioni perché possiamo riconoscere l’imminenza della Sua venuta. Per questo è importante mantenere un clima di costante vigilanza; non a caso il Signore si rifiuta di rivelare il “quando”: per noi non è importante sapere il “quando”, ma è fondamentale mantenere desta la nostra attesa e il nostro desiderio perché, al momento dell’Incontro Finale, la nostra gioia sia piena.
Fr. Marco

sabato 10 novembre 2018

Il Signore non chiede tanto, chiede tutto!


«Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.» (1Re 17,10-16)

«… Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso.» (Eb 9,24-28)

«In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». (Mc 12,38-44)

Domenica scorsa Gesù, rispondendo allo scriba che lo interrogava, ci ha indicato il primo e fondamentale comandamento: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza […] Amerai il tuo prossimo come te stesso». Questa domenica, trentaduesima del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci presenta un modello di applicazione del duplice comandamento dell’amore.
Nella prima lettura, infatti, ascoltiamo di una vedova poverissima che, in tempo di carestia, non rifiuta per amore di Dio di condividere con il Profeta il poco che ha. Si fida della parola di Dio annunciata da Elia: il Signore provvederà. Ecco che l’amore e la fiducia in Dio diventano concretamente amore del prossimo e capacità di condividere con lui il poco che si possiede.
Nel Vangelo è ancora una vedova che viene presentata dal Maestro come modello di comportamento. Una vedova capace di amare Dio con tutto se stessa: non tiene per sé il poco che possiede, ma dona tutto quanto aveva per vivere. Non importa se ciò che possiamo dare sia tanto o poco: il Signore non chiede tanto, chiede tutto! Ciò che conta è che doniamo con tutto il cuore, che doniamo con un amore pieno per Lui, che gli consegniamo tutta la nostra vita.
Quanto spesso, invece, noi ci comportiamo come i ricchi che donano parte del loro superfluo. Tratteniamo per noi, vogliamo “salvarci la vita” e ci guardiamo bene dal consegnarla al Signore. Per Dio abbiamo solo i ritagli di tempo, misuriamo il dono della nostra vita: « … fin qui, ma non oltre». Lui, Amore illimitato, accoglie ciò che noi vogliamo dargli, ma finché non gli consegneremo tutto, non potrà fare della nostra vita il capolavoro che vorrebbe.
«Guardatevi dagli scribi […] Essi riceveranno una condanna più severa». Oltre l’esempio positivo dell’amore totale della vedova e l’esempio negativo dell’amore parziale dei ricchi, quest’oggi il Vangelo, nella sua versione estesa, si apre con l’ammonizione di Gesù a guardarsi dall’ipocrisia di quanti, sotto un’apparenza religiosa, non amano per niente Dio, ma solo il proprio Io e usano per la propria gloria persino le cose sante. L’amore per Dio e l’amore per l’Io, infatti, si escludono a vicenda e se l’Io non viene messo al servizio di Dio, si finisce per mettere Dio al servizio dell’Io. Di loro dice Gesù che riceveranno una condanna più severa.
Sull’esempio della vedova del Vangelo, guardiamo, allora, Gesù che, sacrificando se stesso per redimerci dal peccato, tutto si è donato a noi e niente ha tenuto per sé e impariamo anche noi a donare a Dio “tutto quanto abbiamo per vivere”. Vedremo come il Signore sarà capace di moltiplicare il poco che noi gli consegniamo facendo delle nostre vite quel capolavoro per le quali le ha create. Il Signore ce lo conceda.
Fr. Marco

sabato 3 novembre 2018

Il Signore nostro Dio è l’unico Signore

«Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. … Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.» (Dt 6,2-6)

«Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.» (Eb 7,23-28)

«Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». (Mc 12,28-34)

In questa trentunesima domenica del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci presenta il fondamento di tutta la legge e i profeti: la relazione con Dio. Ascolta … Amerai …
Il primo e fondamentale comandamento, infatti, è vivere la relazione d’amore con l’unico Signore, l’unico vivo e vero, l’unico capace di salvarci, di donarci la Vita. Mi ha colpito, meditando questa Parola, la sottolineatura dell’unicità di Dio. Lui è l’unico Signore.
Quante volte mettiamo la nostra vita sotto altre “signorie”: il lavoro, il benessere, la casa … Non di rado, per queste realtà elevate ad idoli sacrifichiamo noi stessi e ciò che di più prezioso abbiamo (tempo, affetti …). Da questi idoli cerchiamo una Vita che però non possono darci. Più spesso ancora è il nostro Io a volersi ergere a signore: abbiamo la pretesa di essere signori della nostra vita, di decidere da soli ciò che è bene e ciò che è male. A volte vogliamo che anche i fratelli si pieghino alla nostra signoria: vogliamo comandare, sottomettere gli altri a noi. Nessuno, tuttavia, può darsi da solo la Vita che cerca («… chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?» Mt 6,27).
Solo il Signore nostro Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, può darci la Vita. Ecco allora l’esigenza di vivere sotto la sua Signoria, di ascoltare e mettere in pratica i suoi comandamenti. Non da schiavi, però, ma da figli che si sanno amati dal Padre e che corrispondono a questo amore. Un amore “assoluto”, pieno, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza, che non lascia spazio ad altri idoli, che detronizza il nostro Io.
Come è possibile però corrispondere all’immenso e gratuito amore di Dio? Un Amore che ci ha pensati e voluti dall’eternità, che ci ha chiamati all’esistenza, che ci ha salvati donando tutto se stesso sulla croce, che ogni giorno si consegna nelle nostre mani nell’Eucarestia … Nessuno può dare a Dio il corrispettivo per i suoi immensi doni. Ecco perché Gesù oggi aggiunge una seconda parte al comandamento dell’amore: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Solo amando i fratelli che il Signore mi mette accanto, amandoli come “un altro me stesso”, è possibile amare il Dio vivo e vero. Amando i fratelli che mi stanno accanto, infatti, amo il Padre che li ha pensati e creati per amore; amo il Figlio che li ha salvati dando se stesso per ciascuno di essi e ha voluto identificarsi con i più piccoli e fragili (« … l’avete fatto a me» Cfr. Mt 25,40); amo lo Spirito Santo che tutti ci pervade e ci rende un solo corpo (così preghiamo durante la liturgia eucaristica).
Se faremo così, attingeremo alla Sorgente della Vita, avremo una Vita che il  mondo non conosce e non può darci: vivremo la Vita dei risorti e non avremo più alcun timore. Il Signore ce lo conceda.
Fr. Marco