sabato 27 giugno 2020

Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.


«Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Facciamo una piccola stanza superiore, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere; così, venendo da noi, vi si potrà ritirare». (2Re 4,8-11.14-16)

«… anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.» (Rm 6,3-4.8-11)

«Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.» (Mt 10,37-42)

Il Vangelo della XIII domenica del TO, ci presenta la serietà esigente della sequela. Seguire Cristo significa lasciarsi plasmare da Lui, morire al peccato per vivere con Lui, perdere “la propria vita” per trovare la Vita in Cristo.
San Paolo lo esprime bene nella lettera ai Romani (seconda lettura): «Per mezzo del battesimo … siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova
Il Signore, che ci ama più di quanto noi possiamo immaginare, è un Dio geloso, per dirla alla maniera dell’Antico Testamento, un Dio che tutto si dà a noi e tutto ci chiede: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me …»
A differenza della gelosia umana, però, la gelosia di Dio non nasce dalla insicurezza, ma dalla consapevolezza di essere l’unico a potere darci la Vita che desideriamo. Per questo, perché ci ama e non vuole che sprechiamo la vita, esige che la Viviamo pienamente.
… chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Il segreto della “Vita in abbondanza” (Cfr Gv 10,10), la Vita Piena ed Eterna che Gesù è venuto a donarci, sta proprio in questi due verbi: prendere e seguire. Il Maestro, infatti, non ci ha insegnato a subire la croce, a rassegnarci ad essa, ma a prenderla, ad abbracciarla. La Croce, non è quella sofferenza che subiamo nostro malgrado. La Croce è “il mezzo” con il quale facciamo della nostra vita un dono d’amore a Dio e ai fratelli sull’esempio di Cristo. Croce salvifica, allora, è quella persona alla quale faccio dono della mia vita morendo a me stesso, può essere mia moglie o mio marito; può essere una particolare “missione” … Può anche essere una malattia; non, però, quando viene subita, ma quando viene accolta e abbracciata per Amore di Cristo in obbedienza al Padre. Perché la Croce sia salvifica, inoltre, bisogna che seguiamo Gesù: che scegliamo Lui come unico Maestro e non andiamo dietro ad altri maestri; che obbediamo alla Sua Parola e non agli insegnamenti del mondo.
Solo se prendiamo la nostra croce e seguiamo Gesù, allora, saremo suoi discepoli, degni di Lui. Solo perdendo la vita per amore, ne troviamo il senso pieno. Questo agli occhi del mondo, di quanti non conoscono Gesù, potrà apparire pazzia, uno spreco, ma i santi che ci hanno preceduto in questa strada testimoniano che solo in essa si trova il senso Pieno della Vita.
Se saremo riconosciuti uomini e donne di Dio, discepoli di Cristo, non mancheranno coloro i quali ci accoglieranno e soccorreranno meritando così la ricompensa e dimostrando di essersi anch’essi messi alla sequela di Colui che è passato beneficando tutti (At 10,38). Il Signore ce lo conceda.
fr. Marco

sabato 20 giugno 2020

Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio


«Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere» (Ger 20,10-13)

«… se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.» (Rm 5,12-15)

«E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima;  … chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,26-33)

Questa domenica, dodicesima del Tempo ordinario, la Parola ci esorta: «Non abbiate paura». Già nella prima lettura, infatti, ascoltando la vicenda di Geremia minacciato dai suoi avversari a causa di ciò che il Signore lo inviava ad annunziare, siamo esortati ad imparare da lui a fidarci del Signore: i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere.
La vittoria finale è del Signore che ha sconfitto anche il peccato e la morte: di cosa dunque dobbiamo avere paura? La nostra vita è nelle mani amorevoli del Padre e persino i nostri capelli sono tutti contati.
Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima. Nel Vangelo Gesù esorta i suoi discepoli ad annunciare con coraggio la Verità senza preoccuparsi della persecuzione degli uomini. È ciò che hanno fatto i martiri di tutti i tempi. Nel nostro tempo, poco prima di subire il martirio, il beato Pino Puglisi rispondendo a chi lo esortava ad essere “prudente” nell’annuncio del Vangelo, mostrò di avere ben compreso l’insegnamento del Maestro rispondendo: «Il massimo che possono farmi è ammazzarmi. E allora?» E ancora: «Non ho paura di morire se quello che dico è la verità» (fonte: http://www.padrepinopuglisi.it). Padre Pino era un presbitero, un uomo di Dio tutto consacrato all’annuncio del Regno, e il Signore ha permesso che la sua testimonianza arrivasse fino al martirio cruento.
Forse non a tutti noi è chiesto il martirio cruento, ma sicuramente a tutti noi è chiesto di testimoniare la nostra fede dinanzi al mondo. Una testimonianza che al “mondo” dà fastidio. Nella società occidentale contemporanea, per esempio, si vorrebbe relegare la fede, quella cristiana in particolare, alla sfera privata. Oggi, magari in nome di un malinteso senso di accoglienza, si vorrebbe che i cristiani non manifestassero in alcun modo la loro fede in pubblico. Manifestazione di questa tendenza sono le campagne periodiche per togliere i crocefissi dai luoghi pubblici, a non fare i presepi nelle scuole ecc. Attualmente, poi, è in discussione in Parlamento una legge che, con il pretesto (pienamente legittimo) di combattere la discriminazione, vorrebbe introdurre un “reato di omofobia”, non meglio specificato, che di fatto impedirebbe anche solo di affermare che i bambini nascono da un uomo e una donna: affermazione che potrebbe essere letta come discriminatoria delle persone con tendenza omosessuale. Per non parlare di alcune affermazioni della Scrittura!
Un malinteso desiderio di libertà, inoltre, porta, in altri ambiti, a rifiutare ogni verità oggettiva, persino quella del proprio corpo, percepita come limitante la libertà. Da qui l’ostracismo e la persecuzione, incruenta – almeno nella maggior parte dei casi -  ma non per questo meno violenta, di chi difende la “famiglia tradizionale” formata da un uomo e una donna (l’unica famiglia contemplata nella Rivelazione: Gen 1,27-28).
In questo contesto, i cristiani siamo invitati a dare testimonianza, a vivere pubblicamente la nostra fede, a non avere paura di annunziare la Verità.
Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. Ecco di cosa dobbiamo avere paura, di essere rinnegati da Cristo. Finche siamo con Lui, finché lo riconosciamo – coi fatti e nella verità – nostro Signore, la nostra vita è al sicuro nelle Sue mani. Se invece lo rinnegheremo, allora sì che saremo in balia delle potenze del mondo e avremo motivo di avere paura!
Annunciamo, allora, la nostra fede riconosciamo senza vergogna dinanzi agli uomini il nostro Signore Gesù Cristo. «Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!»
Fr. Marco

venerdì 19 giugno 2020

In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi

«Tu sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio: il Signore, tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra. Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli –, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri» (Dt 7,6-11)

«In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.» (1Gv 4,7-16)

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita.» (Mt 11, 25-30)

La Parola di Dio della solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù ci fa contemplare il gratuito e fedele amore di Dio per noi.
La prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio, infatti, afferma che Dio ama il suo popolo gratuitamente ed in maniera fedele. Il popolo non ha alcuna caratteristica per la quale possa meritare l’amore di Dio: « Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli …, ma perché il Signore vi ama. L’unico “merito” del Popolo è l’essere amato da Dio. Può capitare anche a noi di pensare di meritare l’amore di Dio. Credo che l’invito di questa solennità a compiere “atti di riparazione al Cuore di Gesù”, ci aiuti a capire che, come ci ricorda san Francesco, di nostro abbiamo solo il peccato: «E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te. E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati. Di che cosa puoi dunque gloriarti?» (FF 154; Amm. V) e ancora continua il Serafico Padre: «in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità  e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo.» (Ibid.).
È l’invito che ci fa oggi il Vangelo: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore». Gesù ci esorta ad andare a Lui e ad imitarlo in una virtù fondamentale: l’umiltà senza la quale non può esistere la vera Carità, il vero amore di Dio e del prossimo.
Senza umiltà, infatti, non vi può essere alcun’altra virtù in un’anima. Il mondo cerca l’apparenza, i gesti eclatanti; Dio, al contrario ama e sceglie per sé la via dell’umiltà. Anche Padre Pio, discepolo di Cristo sulle orme di Francesco, ama e vive l’umiltà.
Il primo tratto distintivo dell’umiltà di cuore, è avere una giusta conoscenza di sé e saper apprezzare gli altri. Il superbo, al contrario, non ha una giusta conoscenza di sé e non è capace di stimare gli altri: o si stima superiore agli altri, o non riconosce ciò che il Signore ha operato nella sua vita perché pretende di essere più grande di quello che è. È questa giusta conoscenza di sé che Padre Pio raccomanda ai suoi figli spirituali: «Non ti meraviglierai affatto delle tue debolezze ed imperfezioni ma riconoscendoti per quello che tu sei, ti arrossirai della tua incostanza ed infedeltà a Dio, ed in Lui proponendo e confidando, ti abbandonerai tranquillamente sulle braccia del celeste Padre come un tenero bambino su quelle materne» (Epist. IV, 257). Ed ancora: «Tenetevi sempre sull’ultimo luogo tra gli amanti del Signore, stimando tutti migliori di voi; rivestitevi di umiltà verso gli altri, poiché Dio resiste ai superbi e da la grazia agli umili.» (Epist. III, 50)
Questa conoscenza di sé e delle proprie debolezze, però non è compiacenza o rassegnazione, ma pazienza con i propri limiti nel continuo impegno, con l’aiuto di Dio, per migliorarsi. È ancora a questo che Padre Pio ci esorta: «Conviene sopportare pazientemente la nostra imperfezione per potere arrivare alla perfezione; dico sopportarla con pazienza e non già di amarla e accarezzarla; l’umiltà si nutre in questa sofferenza.» (Epist. IV, 365)
Contemplando quest’oggi l’amore gratuito e fedele di Dio per noi, prendiamo umilmente atto delle tante nostre in corrispondenze a questo amore e umilmente chiediamogli Perdono e la Grazia di amarLo imitando la Sua mitezza e umiltà e portando ogni giorno su di noi il Suo giogo – la Croce abbracciata per amore – rinnegando noi stessi per dare a Lui il primo posto nella nostra vita.
Fr. Marco

sabato 13 giugno 2020

L’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.


«Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.» (Dt 8, 2-3.14-16)

«Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.» (1Cor 10, 16-17)

«In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.» Gv 6, 51-58)

La liturgia della Parola della ​solennità del Corpo e Sangue del Signore ci presenta l’Amore misericordioso di Dio che, nel suo prendersi cura di noi, si spinge fino a farsi nostro nutrimento.
La prima lettura, tratta dal Deuteronomio, ci offre una rilettura dell’Esodo: dopo che Israele è stato liberato dalla schiavitù dell’Egitto, il Signore lo conduce per un lungo e faticoso cammino attraverso il deserto. Lungo questo cammino, il Popolo farà esperienza della propria debolezza e della propria incapacità a salvarsi la vita. Sperimenterà che il suo unico sostegno, ciò di cui deve nutrirsi, è quanto esce dalla bocca del Signore. Ciò significherà, innanzitutto, obbedienza alla Sua Parola, ma anche accoglienza del “pane dal cielo”: la manna, un cibo prodigioso donato dal Signore che permise a Israele di rimanere in vita nel deserto. Pur permettendo la sopravvivenza del Popolo, la manna non poteva, però, dare la Vita, ecco perché Gesù nel Vangelo ci mostra il vero “pane dal cielo”: Lui stesso, Parola definitiva del Padre (il Verbo di Dio), che dona il Suo Corpo e il Suo Sangue come nutrimento: il solo cibo che dà la Vita Eterna.
Anche noi siamo nelle stesse condizioni del Popolo nel deserto: il Signore con la Sua Pasqua ci ha liberati, il battesimo ci ha inseriti nella Passione e Resurrezione di Cristo, ma la libertà che il Signore ci ha donato, per essere accolta, perché la facciamo veramente nostra, comporta un lungo e faticoso cammino. Anche noi, nel deserto della vita, sperimentiamo l’umiliazione della nostra debolezza: l’incapacità, con le sole nostre forze, di camminare nella via del Vangelo. Proprio a partire da questa consapevolezza, scopriamo l’immenso valore che ha per noi il Corpo e Sangue di Cristo, un valore che oggi, a causa della lunga privazione cui siamo stati costretti dalla pandemia, forse avvertiamo ancora di più. Veramente abbiamo sperimentato che l'uomo non vive di solo pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore: della Sua Parola e del Suo Verbo fatto carne che per noi si fa pane del cammino, “pane dei pellegrini” dice la sequenza: mangiando questo Pane, possiamo trovare la forza per obbedire alla Parola e per giungere sempre più vicini a quella “terra promessa” che è la piena conformità a Cristo. Una conformità già iniziata nel battesimo, ma che va sempre rinnovata, perfezionata, nutrendoci di Lui, facendo Comunione con Lui, per divenire sempre più pienamente membra del Suo Corpo che è la Chiesa.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. Penso sia importante notare che il Maestro usa il presente, non il futuro. La Vita Eterna è una realtà già presente in noi, non qualcosa che verrà. “Vita eterna”, infatti, non significa solo vita “senza fine”, ma anche e soprattutto una vita “qualitativamente” diversa: una vita piena, bella. Una vita che vale la pena di essere vissuta e non solo un infinito trascinarsi di giorni. La Vita Eterna, quindi, è già presente in chi si nutre del Corpo e Sangue del Signore; si tratta, tuttavia, di una presenza, “imperfetta”, non pienamente realizzata (quel “già e non ancora” che caratterizza il tempo della Chiesa); sarà pienamente realizzata alla resurrezione della carne.
Il dono della liberazione che ci è stato fatto nel battesimo, questa Vita Eterna già presente in noi che siamo morti e risorti con Cristo, è un dono che fa appello alla nostra responsabilità: accogliere e custodire questo dono obbedendo sempre più perfettamente al Vangelo con la forza che riceviamo dall’Eucarestia. Ricorriamo con frequenza, allora, a questo “farmaco di immortalità”. Soprattutto quando sperimentiamo la nostra debolezza, quando ci sentiamo oppressi dalla nostra miseria, ricorriamo a questo “pane dei pellegrini” e riprendiamo a camminare fino alla piena realizzazione della nostra conformità a Cristo.
Fr. Marco

sabato 6 giugno 2020

Il Padre ha tanto amato il mondo da dare il Figlio e lo Spirito

«Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”». (Es 34,4-6.8-9)

«… La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.» (2Cor 13,11-13)

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3, 16-18)

Nella Solennità Santissima Trinità, la  Chiesa ci propone alla riflessione il Mistero centrale della nostra fede: L’unico Dio, Creatore del cielo e della Terra, è Uno e Trino. Un solo Dio in tre Persone: il Padre (l’Amante) che dall’eternità genera il Figlio (l’Amato) donandosi totalmente a Lui e tutto ricevendo da Lui nello Spirito Santo (l’Amore). Gesù Cristo è venuto fare conoscere agli uomini il vero volto di Dio: questa eterna processione d’amore in cui le tre Persone divine hanno tutto in comune tranne la loro identità personale (l’essere rispettivamente Padre, Figlio e Spirito).
Nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, Mosè, dopo che il popolo ha peccato di idolatria adorando il vitello d’oro, sale per la seconda volta sul monte a ricevere le tavole della Legge. In questo contesto, quasi a “correggere” l’errore del popolo che confondeva JHWH con uno degli idoli dell’Egitto, il Signore proclama il Suo Nome, rivela la Sua identità: Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà.
Purtroppo non è lontano neanche da noi il pericolo di cadere nell’idolatria, di “farci un dio” in cui credere, un dio che risponda alla nostra esigenza di “ragionevolezza”; spesso è un dio a “nostra immagine”: esigente, pronto a condannare, pronto a punire i nostri peccati; o, al contrario, un dio “senza pretese”, “bonaccione”, che, alla fine,  perdona tutti. 
Dio ha tanto amato il mondo … Il Dio vivo e vero rivelato da Gesù Cristo è un Dio che Ama: misericordioso e pronto al perdono, ma che non tace la verità e corregge il peccato; un Dio che non rifiuta di camminare in mezzo al suo popolo, che si compromette con noi, che è pronto a scommettere su di noi. Il nostro Dio è il Padre che per salvarci ha inviato il Figlio nel mondo perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Lo stesso Padre che ha effuso il Suo Spirito che dentro di noi grida “Abbà, Padre”.
Il Dio di Gesù Cristo, il Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, è Agape, Amore che si dona, Amore/comunione dall’eternità. È proprio a questo mistero di comunione che ci rimanda S. Paolo nella seconda lettura invitandoci a vivere in comunione tra noi.
La rivelazione del Dio Uno e Trino, però, non si limita a rivelare su Dio ciò che nessun filosofo con la sua sapienza poteva raggiungere, ma rivela qualcosa anche sull’Uomo: creato ad immagine e somiglianza di Dio, l’Uomo è costitutivamente relazione, è fatto per la relazione ed è felice e pienamente realizzato solo nella relazione. L’uomo è immagine del Dio trinitario e come tale si realizza solo quando permette all’amore-relazione che è in lui di manifestarsi.
Come il Padre è sorgente dell’Amore, così Egli dona alla creatura umana la capacità di amare.  Amando, l’uomo riproduce in qualche modo la creatività del Padre. L’amore fa sbocciare la vita. L’uomo, ancora, è immagine del Dio Trinitario perché è stato creato per mezzo del Figlio, in vista di Lui ed in Lui (Col  1,15-17). Come il Figlio è immagine perfetta del Padre e tutto accoglie da Lui, così l’uomo è immagine di “Dio Figlio”, in quanto si fa  recettività, capacità di accogliere l’amore. Nel Figlio amato l’uomo è costitutivamente oggetto di amore, apertura radicale, “uditore della Parola”. Chi non riceve l’amore, non esisterà mai veramente: la povertà che accoglie è la condizione dell’amore. Chi non sa accogliere, non sa dire grazie, non sarà mai veramente e pienamente umano. Lo Spirito Santo, infine, imprime nella creatura umana un certo riflesso di quello che Egli è nel mistero di Dio. Come fra l’Amante e l’Amato lo Spirito è l’eterno legame di unità ed insieme Colui che fonda l’apertura infinita del loro amore, così l’uomo creato ad immagine di “Dio Spirito” è unità vivente di questo duplice movimento dell’amore: amando, egli si fa amare; lasciandosi amare, egli ama. Lo Spirito, presente nell’uomo, inoltre, lo spinge continuamente ad andare verso il bisogno di amore dell’altro, di tutti gli altri.
Il Signore ci conceda, contemplando il suo Amore Trinitario e ciò che esso è capace di compiere in chi lo accoglie, di realizzare pienamente la nostra vocazione all’amore per giungere a quella pienezza di vita per la quale siamo stati pensati fin dall’eternità.
Fr. Marco.