sabato 11 febbraio 2023

Il pieno compimento della Legge è l'Amore

«Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.» (Sir 15, 16-21)

«Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla.» (1Cor 2,6-10)

«Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.» (Mt 5, 17-37)

La Parola di Dio di domenica scorsa ci ha ricordato che, conformati a Cristo nel Battesimo, siamo chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo. Nella pagina evangelica di questa domenica, sesta del Tempo Ordinario, il Signore, affermando di essere venuto a portare a compimento la Legge, ci esorta ad una giustizia che superi quella di scribi e farisei.

Gesù, infatti, non viene ad abolire la legge, ma la compie pienamente andando ben oltre l’osservanza letterale. Scribi e Farisei, lo sappiamo bene, erano scrupolosi osservanti della Legge di cui si preoccupavano di mettere in pratica anche il più piccolo precetto; ciò che, però, il Maestro rimprovera, è la loro osservanza puramente esteriore, arida, fatta per paura del castigo e per “meritare la salvezza”. Una “giustizia” autocentrata, che non è vista in relazione al tu di Dio e del fratello.

Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno. L’autore del Siracide, nella prima lettura, ci ricorda che la funzione della Legge è la custodia dell’Alleanza con Dio. Dalla nostra relazione con Lui viene la nostra salvezza.

«Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei» Il termine “giustizia” usato dall’evangelista indica le “opere giuste”, le “opere di pietà”, il “culto”; ritengo, tuttavia, che non sia del tutto errato intendere anche “la virtù della giustizia” da cui queste opere devono scaturire. La virtù cardinale della Giustizia consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto (CCC 1807). È quindi una virtù che ci orienta alla relazione ordinata e “autentica” con l’altro. Scribi e Farisei, come dicevamo, vivono una “giustizia” autocentrata, non in relazione con Dio e con i fratelli. Le loro “opere di giustizia” sono compiute mettendo in pratica scrupolosamente e letteralmente la legge per apparire irreprensibili e “acquistare meriti”. La nostra “giustizia” non può essere questa! Il Signore “guarda il cuore”, egli conosce ogni opera degli uomini (I lettura). Le nostre opere buone devono essere motivate dall’amore dei figli che vogliono compiacere il Padre, dalla relazione autentica con Dio e con i fratelli, per essere veramente “opere di giustizia”. Abbiamo, infatti, «ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo Abbà! Padre!» (Rm 8, 15).

Anche oggi, purtroppo, si può riscontrare in alcuni fratelli un “atteggiamento farisaico”. Capita, per esempio, che si vada alla Celebrazione Eucaristica domenicale solo per adempiere il precetto e non per incontrare il Signore. In tal caso, cercherò una Messa breve, non mi preoccuperò di arrivare puntuale, non mi curerò di ascoltare le letture … Magari penso di avere adempiuto il precetto, ma non ho realmente incontrato il Signore. Ancora: se mi confesso cinque minuti prima della Messa solo perché mi hanno insegnato che bisogna confessarsi per potere ricevere la Comunione, ma non ho fatto un serio esame di coscienza, non ho consapevolezza del mio peccato e, quindi, non intendo cambiare … se magari esordisco affermando: «io non ho peccati …»; oppure: «Le solite cose …»; magari penso di essere un buon cristiano, ma non ho davvero incontrato la Grazia: il Padre vuole darmi la Grazia e una vita più bella, ma io non sono disposto ad accoglierla.

Ricordiamo che il Signore guarda al cuore, all’intenzione con cui agiamo. È li che noi possiamo scegliere la vita e la morte, il bene e il male. È dal cuore che scaturisce la bontà o la malizia delle nostre azioni. Ecco allora che l’omicidio, l’adulterio e ogni opera cattiva, prima di consumarsi esternamente si consumano nel cuore.  Se, pur non commettendo un omicidio, chiudo il cuore al fratello nel bisogno, non perdono e medito vendetta, lascio libero sfogo alla mia ira, o distruggo socialmente un mio fratello (facendolo passare per pazzo o stupido), io l’ho ucciso nel mio cuore. Se comincio a coltivare un “desiderio violento” per una donna sposata o per un uomo sposato, un desiderio tale che aspetta solo l’occasione giusta per consumarsi, io nel mio cuore ho già commesso adulterio.

Oggi il Signore ci chiede di vivere autenticamente la nostra relazione con Lui; di non limitarci ad apparire giusti, ma di essere autenticamente ciò che siamo chiamati ad essere in relazione a Lui e ai fratelli: sale della terra e luce del mondo, testimoni del Suo Amore Misericordioso in cui riponiamo la nostra fiducia. Solo così il nostro culto, le nostre offerte, la nostra vita potrà essergli gradita.

Alziamo, allora, lo sguardo e spingiamolo verso l’eternità che il Padre ha pensato per noi. Relativizziamo le realtà terrene: la loro è un’importanza relativa (che è in relazione) a Dio. Non assolutizziamole, non permettiamo che ci dividano dal Padre, ma usiamone bene in vista dell’eternità.

Fr. Marco

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