sabato 10 giugno 2023

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna

«Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.» (Dt 8, 2-3.14-16)

«Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.» (1Cor 10, 16-17)

«In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.» (Gv 6, 51-58)

In questa ​solennità del Corpo e Sangue del Signore la Parola ci presenta l’Amore misericordioso di Dio che si spinge fino a farsi nostro nutrimento perché abbiamo in noi la Vita.

Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere. Nella prima lettura, tratta dal Deuteronomio, ascoltiamo una rilettura dell’Esodo. Lungo il faticoso cammino attraverso il deserto in cui il Signore lo conduce dopo averlo fatto uscire dall’Egitto, il Popolo farà esperienza della propria debolezza e della propria incapacità a salvarsi la vita. Sperimenterà che il suo unico sostegno, ciò di cui deve nutrirsi, è quanto esce dalla bocca del Signore. Ciò significherà, innanzitutto, obbedienza alla Sua Parola, ma anche accoglienza del “pane dal cielo”: la manna, un cibo prodigioso donato dal Signore che permette ad Israele di rimanere in vita nel deserto.

«Questo è il pane disceso dal cielo …» Pur permettendo la sopravvivenza del Popolo, tuttavia, la manna non poteva dare la Vita, ecco perché Gesù nel Vangelo ci mostra il vero “pane dal cielo”, il solo cibo che dà la Vita Eterna: Lui stesso, Parola definitiva del Padre (il Verbo di Dio), che dona il Suo Corpo e il Suo Sangue come nutrimento.

L’esperienza di Israele nel deserto è paradigmatica per noi: il Signore con la Sua Pasqua ci ha liberati dalla schiavitù del peccato e della morte; il battesimo ci ha inseriti nella Passione e Resurrezione di Cristo, ma la libertà che il Signore ci ha donato, per essere accolta, perché la facciamo veramente nostra, comporta un lungo e faticoso cammino. Anche noi, nel deserto della vita, sperimentiamo l’umiliazione della nostra debolezza: l’incapacità di camminare nella via del Vangelo con le sole nostre forze.

Proprio a partire da questa consapevolezza, scopriamo l’immenso valore che ha per noi il Corpo e Sangue di Cristo. Veramente l'uomo non vive di solo pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore: della Sua Parola e del Suo Verbo fatto carne che per noi si fa pane del cammino, “pane dei pellegrini” dice la sequenza: mangiando questo Pane, possiamo trovare la forza per obbedire alla Parola e per giungere sempre più vicini a quella “terra promessa” che è la piena conformità a Cristo. Una conformità già iniziata nel battesimo, ma che, nutrendoci di Lui, facendo Comunione con Lui, deve crescere fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Cfr Ef 4,13) per divenire sempre più pienamente membra del Suo Corpo che è la Chiesa.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. Penso vada sottolineato che il Maestro usa il presente, non il futuro. La Vita Eterna è una realtà già presente in noi, non qualcosa che verrà. “Vita eterna”, infatti, non significa solo vita “senza fine”, ma anche e soprattutto una vita “qualitativamente” diversa: una vita piena, bella. Una vita che vale la pena di essere vissuta e non solo un infinito trascinarsi di giorni. La Vita Eterna, quindi, è già presente in chi si nutre del Corpo e Sangue del Signore; si tratta, tuttavia, di una presenza, “imperfetta”, non pienamente realizzata (quel “già e non ancora” che caratterizza il tempo della Chiesa); sarà pienamente realizzata alla resurrezione della carne.

Il dono della liberazione che ci è stato fatto nel battesimo, questa Vita Eterna già presente in noi che siamo morti e risorti con Cristo, è un dono che fa appello alla nostra responsabilità: siamo chiamati ad accogliere e custodire questo dono obbedendo sempre più perfettamente al Vangelo con la forza che riceviamo dall’Eucarestia. Ricorriamo con frequenza, allora, a questo “farmaco di immortalità”. Soprattutto quando sperimentiamo la nostra debolezza, quando ci sentiamo oppressi dalla nostra miseria; ricorriamo a questo “pane dei pellegrini” e riprendiamo a camminare fino alla piena realizzazione della nostra conformità a Cristo.

Fr. Marco

 

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