sabato 29 dicembre 2018

Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?


«Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, “perché – diceva – al Signore l’ho richiesto”». (1Sam 1,20-22.24-28)

«Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato […] Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui.» (1Gv 3,1-2.21-24)

«“Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”» (Lc 2,41-52)

Dopo averci presentato, nelle messe di Natale, Gesù come immagine dell’Amore Misericordioso di Dio che si fa Luce, la Parola di Dio della Solennità della Santa Famiglia, ci presenta come quest’Amore misericordioso si incarna nella quotidianità nel nucleo fondamentale della Chiesa che è la famiglia. Nel Vangelo, infatti, ci viene presentato uno scorcio di quotidianità della famiglia di Nazareth.
La prima cosa che emerge è che si tratta di una famiglia “esperta nel soffrire” (come la definisce l’inno delle Lodi mattutine), a cui non sono risparmiati i travagli e le angosce di ogni giorno. Nella pericope odierna del Vangelo di Luca, Maria e Giuseppe appaiono angosciati per lo smarrimento di Gesù. La liturgia del Natale ci presentava Gesù come principe di pace, la Pace che viene a portare Gesù, però, non è assenza di tribolazioni, ma la capacità di affrontarle in comunione con Lui e tra di noi. Una comunione animata dall’Amore che si accoglie da Dio e che ci permette di accoglierci reciprocamente come dono.
La liturgia della Parola di questa solennità, quest’anno evidenzia come tutto, perfino il dono fondamentale della vita, sia un dono da accogliere con gratitudine da Dio. È ciò che sottolinea la prima lettura presentandoci la gratitudine di Anna per il dono del figlio Samuele. I figli, infatti, sono un dono da impetrare e accogliere con gratitudine, non un diritto da pretendere; né tantomeno un “prodotto” da ordinare a pagamento!
Anche S. Giovanni, nella seconda lettura, manifestando lo stupore per il grande amore del Padre che ci ha resi suoi figli, ci orienta alla gratitudine per la liberalità di Dio. È nella categoria del dono, quindi, che siamo chiamati a leggere la nostra vita: un dono che abbiamo ricevuto e che a nostra volta offriamo ai fratelli. Per poterci comprendere come dono, però, è necessario che riconosciamo il Donatore, che diamo il giusto posto al Padre che ci ha amati fin dall’eternità ed ha progetti di salvezza per noi; infatti: noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.
È a questo riconoscimento che ci orienta il Vangelo in cui Gesù, dinanzi l’angoscia della Madre e di Giuseppe, sottolinea il primato del Padre: Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?
La Santa Famiglia di Nazareth, quindi, ci è presentata oggi come modello di ogni famiglia chiamata a mettere Dio al centro, ad accogliere il Suo amore, perché i membri della famiglia possano accogliersi l’un l’altro nella libertà senza possessi soffocanti o disinteresse deresponsabilizzante. Mettendo Dio al centro, “occupandosi delle cose del Padre”, ciascuno potrà scoprire pienamente se stesso e accogliere l’altro con l’amore autentico che fa crescere e libera.

Stava loro sottomesso. Obbedienti al Padre, sapremo allora essere “sottomessi” gli uni agli altri senza umilianti servilismi, ma in quell’autentico servizio d’amore che il Maestro è venuto a mostrarci come via regale per entrare nel Regno.
Impariamo dalla sacra famiglia a leggere la  nostra vita nella categoria del dono. Accogliamo il Dono dell’Amore misericordioso del Padre, mettiamo Lui al centro della nostra vita e della nostra famiglia. Scopriremo il progetto d’amore che Egli ha per ciascuno di noi, quel progetto realizzando il quale saremo davvero uomini e donne realizzati.
Fr. Marco.

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