«“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è
questo per tanta gente?” … erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù
prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo
stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. … riempirono dodici canestri
con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.»
(Gv 6,1-15)
Il Vangelo di questo venerdì
della seconda settimana di pasqua ci presenta la “cura pastorale” di Gesù verso
le folle. Il Vangelo di Gv è ricco di simboli: l’erba su cui viene fatta sedere
la folla è simbolo dei pascoli a cui il buon pastore conduce il gregge; la simbologia
eucaristica dei gesti e delle parole di Gesù; le dodici ceste avanzate simbolo
delle “dodici colonne” del nuovo popolo di Dio.
Oltre alla presentazione di Gesù
come il Vero Pastore, il “profeta” atteso che attualizza i gesti di Mosè
nell’esodo (Cfr. Dt 18,18), al centro della Parola odierna è anche la necessità
della condivisione.
È Gesù l’indiscusso protagonista
del brano evangelico: è lui che prende l’iniziativa di nutrire la folla; è
ancora lui che, provocatoriamente, pone la domanda su come sfamare la folla
(richiamando quella di Mosè in Nm 11,13); ed è, infine, lui che distribuisce il
pane ed il pesce. Perché il miracolo si compia, tuttavia, Gesù chiede la
collaborazione dell’uomo: si fa consegnare i cinque pani e due pesci, il poco
posseduto da un ragazzo presente.
Solo a partire da questo gesto di
condivisione di chi non tiene per sé il poco che possiede, ma è pronto a
donarlo con generosità, è possibile il miracolo che tutti abbiano da mangiare.
La “logica del mondo”, improntata all’egoismo, insegna: «Meglio uno sazio che cento digiuni»; la logica evangelica, invece,
ci insegna a donare con generosità, a “perdere”, per amore: solo chi dona,
infatti, possiede veramente; solo il pane condiviso è capace di saziare quella
“fame” che nessun pane potrà mai saziare: la fame di amore, di fraternità, di
comunione.
Ancora oggi Gesù si prende cura
dei suoi: è ciò che avviene ad ogni celebrazione eucaristica in cui veniamo
nutriti alla duplice mensa della Parola e dell’Eucarestia (speriamo che presto
le norme anticontagio ci permettano di riprendere a celebrare assieme!). Ancora
Gesù chiede la collaborazione della pochezza umana per potere compiere il suo
miracolo. All’offertorio, insieme al pane ed al vino, siamo chiamati a
presentare a Gesù ciò che essi significano: il nostro lavoro quotidiano, la
nostra stessa vita, “la gioia e la fatica di ogni giorno”. È tutto questo che
Lui moltiplica e “trasforma” per donarci se stesso, il Suo Corpo e Sangue che
ci nutre per la vita eterna e ci dà la forza per unire la nostra vita alla Sua
offerta per la salvezza del mondo.
Lo facciamo sacramentalmente durate
la celebrazione, ma siamo poi chiamati, oggi più che mai, a viverlo
esistenzialmente uscendo dalle nostre chiese: siamo chiamati, sull’esempio del
Maestro, a fare della nostra vita un dono d’amore; a non farci fermare dalla
nostra pochezza: fidiamoci del Signore che la farà sovrabbondare. Siamo
chiamati, infine, a “sopportarci nell’amore” gli uni gli altri: a sostenere la
debolezza del fratello e della sorella che il Signore ci ha messo accanto, a
sorreggerlo e a custodirlo. Se faremo così, Vivremo pienamente e il mondo
resterà affascinato dal nostro Maestro.
Fr. Marco
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