«Se non compio le
opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me,
credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel
Padre» (Gv 1031-42)
In quest’ultimo venerdì di
quaresima (venerdì prossimo sarà il Venerdì Santo), il Vangelo ci presenta per
l’ennesima volta il tentativo di uccidere Gesù precisandone il motivo: «perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». il
Maestro, però ribatte a questa accusa ancora una volta portando a testimonianza
le opere che egli compie.
È su queste ultime che oggi
voglio soffermarmi. Gesù nel Vangelo afferma più volte questo criterio di discernimento
da applicare a noi prima che agli altri: nel Vangelo di Giovanni parla di opere che testimoniano (l’abbiamo
ascoltato in questi giorni), nei sinottici insegna che l’albero si riconosce
dai frutti (cfr. Mt 7,15-20). Alla folla
che gli chiede: «Che cosa dobbiamo fare
per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio:
credere in colui che egli ha mandato» (Gv 6,28-29). A questo punto credo
sia il caso di chiedermi: i frutti
che io produco, le opere che io compio,
cosa testimoniano di me? posso realmente affermare di essere discepolo di Cristo
e figlio di Dio? Riconosco davvero in Gesù il mio Maestro e Signore?
Non è una domanda così scontata,
perché troppo spesso la nostra professione di fede viene sconfessata dalla
nostra vita: alla fede “detta” non facciamo seguire le opere corrispondenti. Se
veramente riconosciamo Gesù come il nostro Signore, il Messia e Salvatore,
allora siamo chiamati a testimoniarlo con la vita; comportandoci da discepoli;
imparando a camminare dietro di Lui, in obbedienza alla Sua Parola.
Nel Vangelo Gesù è chiaro sulle
esigenze del discepolato: «Se qualcuno
vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»
(Mc 8,35 e paralleli). Tra le opere, i frutti, della sequela di Cristo,
quindi, è imprescindibile il rinnegamento
di se stessi. Ma che significa rinnegare se stessi? Nel Nuovo
Testamento il verbo “rinnegare” ricorre con costanza in
due contesti diversi: quando si parla di rinnegamento di sé e quando si parla
di rinnegamento di Cristo: Chi mi
rinnegherà davanti agli uomini … (Mt 10, 33). Le due cose, secondo il
Vangelo, sono in alternativa: o si rinnega se stessi, o si rinnega
Cristo. O si cerca di difendere la propria natura, di “salvarsi la vita”
secondo la logica del mondo, si cerca, cioè di fare valere i propri diritti
mettendo il nostro Io al centro della nostra vita; o ci si mette alla sequela
di Cristo, si prende a cuore l’esigenza e la mentalità del Regno e si mette
Cristo al centro della propria vita. Il “rinnegamento”, quindi, non è mai
fine a se stesso, né un ideale in sé. Dire no a se stessi è il mezzo per dire
sì a Cristo. Se scegliamo di seguire Cristo, dobbiamo smettere di seguire il
nostro io e rinnegare noi stessi: il nostro orgoglio (che ci impedisce di
perdonare) il nostro egoismo (che ci impedisce di condividere), la nostra
vanagloria (che ci impedisce di riconoscere i doni dei fratelli). La sequela
poi, porta a prendere ogni giorno la
nostra croce, facendo della nostra vita un dono d’amore per i fratelli.
La “logica del mondo” mi insegna
che “tutto gira intorno a me”, che “io valgo”, che devo stare bene; per quanto
riguarda la sofferenza, poi, come Pietro, afferma: «questo non ti accadrà mai!» (Mt 16,22). Anche a noi, come a Pietro,
oggi Gesù dice: «Vieni dietro a me, non
pensare più secondo gli uomini, ma secondo Dio» (Mt 16,23).
Mettiamoci dunque anche noi alla
sequela del Maestro sulla Via dell’Amore, impariamo da Lui a fare ogni giorno
della nostra vita un dono ai fratelli, “spezzandoci” come il pane eucaristico
per “farci mangiare” dai fratelli, faremo le opere dei figli di Dio, discepoli
di Cristo, e renderemo Gloria al Padre che è nei Cieli.
Fra Marco.
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