«Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti
benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione.»
(Gen 12, 1-4)
«Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli
infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa …» (2Tm
1, 8b-10)
«… Ed ecco una voce dalla nube che diceva: “Questi è il Figlio mio,
l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”. All’udire ciò, i
discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma
Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”». (Mt 17,
1-9)
La Parola di Dio di questa
seconda domenica di quaresima è caratterizzata da tre imperativi “esortativi”: vattene (I lettura), soffri con me (II lettura) e Alzatevi e non temete (Vangelo).
Vattene. Nella prima lettura ascoltiamo la “vocazione di Abramo”. Il
Signore chiede ad Abramo di lasciare le proprie sicurezze (terra e casa), che
tuttavia non gli danno alcuna possibilità di crescita, per intraprendere un
cammino verso la Terra, la discendenza e la benedizione: il
contenuto della Promessa che gli fa solo intravedere nella speranza. Per
raggiungere questi beni deve percorrere un cammino sconosciuto. Al momento in
cui Dio lo chiama, Abramo si trova in una situazione senza possibilità di
sviluppo: egli, infatti, è in età avanzata, nomade e senza discendenza; i suoi
beni (e la “sopravvivenza” del suo ricordo) sono destinati probabilmente al
nipote Lot. Una situazione “senza infamia e senza lode” in cui, però, gode di
alcune sicurezze. Il Signore lo invita a lasciare queste sicurezze per “osare”
fidandosi della promessa. Fondato esclusivamente sulla fiducia, Abramo
intraprende il cammino che lo porterà ad attraversare il deserto.
Alzatevi e non temete. Anche Gesù, nella pagina evangelica,
chiede ai suoi discepoli di “alzarsi”, di lasciare le mediocri sicurezze in cui
li confina la loro paura, per intraprendere con lui il cammino che li porterà
ad attraversare il deserto della sofferenza per giungere alla pienezza della
vita.
La pericope evangelica di Matteo comincia con l’indicazione temporale «sei giorni dopo», con la quale l’evangelista richiama il primo annunzio della passione (Mt 16,21), e si conclude con il riferimento alla resurrezione dai morti. Lo scopo della trasfigurazione, quindi, è fare intravedere ai discepoli, spaventati dalla prospettiva della sofferenza del Maestro, l’esito finale del cammino di sequela cui sono chiamati (Mt 16, 24). Gesù, annunziato dalla Legge e dai Profeti (Mosè ed Elia), fa intravedere ai discepoli la sua glorificazione che sarà pienamente rivelata nella Resurrezione.
La pericope evangelica di Matteo comincia con l’indicazione temporale «sei giorni dopo», con la quale l’evangelista richiama il primo annunzio della passione (Mt 16,21), e si conclude con il riferimento alla resurrezione dai morti. Lo scopo della trasfigurazione, quindi, è fare intravedere ai discepoli, spaventati dalla prospettiva della sofferenza del Maestro, l’esito finale del cammino di sequela cui sono chiamati (Mt 16, 24). Gesù, annunziato dalla Legge e dai Profeti (Mosè ed Elia), fa intravedere ai discepoli la sua glorificazione che sarà pienamente rivelata nella Resurrezione.
Per giungere a questa gloria,
però, è necessario passare attraverso la Croce accolta per amore. Trovo che sia
interessante, a questo riguardo, soffermarci sul “compiacimento” di cui ci
parla la “voce dalla nube”. Il riferimento immediato è al primo canto del Servo
del Signore (Is 42, 1). Ritengo, tuttavia, che non sia errato richiamare anche
il quarto canto in cui si dice che «al
Signore è piaciuto (letteralmente: si è compiaciuto) prostrarlo
nei dolori” (Is 53, 10). Il compiacimento qui è dovuto alla solidarietà del
servo innocente con il popolo colpevole per il quale subisce il castigo; una
solidarietà che giunge fino alle estreme conseguenze. Gesù realizza pienamente
questa profezia accettando su di se, lui l’unico innocente, tutto il male
dell’umanità per mostrarci lo sconfinato amore di Dio per ciascuno di noi.
Soffri con me. Ecco il senso dell’esortazione della seconda lettura:
Paolo chiede a Timoteo di seguirlo nell’unire le proprie sofferenze apostoliche
alla sofferenza d’amore di Gesù per la salvezza dell’umanità.
Anche a noi oggi Gesù chiede di
alzarci e di non temere; di lasciare le nostre “mediocri sicurezze”, le nostre
“mezze misure” che ci fanno dire «fin qui, ma non oltre», per seguirlo nella
follia dell’amore che non si risparmia, che non accetta compromessi. Solo chi
prende la sua croce e segue il Maestro nella via dell’Amore senza riserve potrà
giungere a quella Vita eterna e piena che il Padre ha pensato per noi.
Fr. Marco
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