sabato 21 marzo 2020

Andò, si lavò e tornò che ci vedeva

«Il Signore replicò a Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”». (I Sam 1, 4.6.7.10-13)

«Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. … Non partecipate alle opere delle tenebre … ma piuttosto condannatele apertamente.» (Ef 5,8-14)

«… sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe”, che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. … “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”» (Gv 9, 1-41)

La IV domenica di quaresima (in laetare), l’antifona d’ingresso ci
invita a rallegrarci e la liturgia della Parola ci presenta la simbologia della Luce. Quest’anno, in cui la quaresima è caratterizzata da una dimensione di deserto più immediatamente percepibile per l’assenza delle liturgie che altri anni l’hanno scandita, penso che l’invito a lasciarsi raggiungere dalla Luce per potere comprendere il senso della prova che stiamo attraversando e poterci rallegrare del fatto che questo in “deserto” non siamo soli, ma il Signore è con noi,  sia quanto mai opportuno.
La luce, infatti, è simbolo della gioia, della vita; è ciò che ci permette di distinguere le cose, di dare un senso a ciò che abbiamo davanti; è ciò che ci permette di orientarci e prendere la giusta direzione. Al buio, invece, tutto risulta confuso e capita spesso di sbagliare direzione. La tenebra è il simbolo della tristezza, del caos, del non senso, della morte. Ecco perché fa paura.
La pagina evangelica di oggi si colloca nel contesto della Festa delle Capanne caratterizzata, tra i nostri mesi di settembre e ottobre, dall’abbondanza di luminarie. In questa festa piena di luci, Gesù si presenta come la Luce del mondo. La luce nella quale i ciechi tornano a vedere, ma che manifesta la cecità di coloro che la rifiutano. I quarantuno versetti che compongono il brano evangelico di oggi sono ricchi di simboli e tematiche. Ritengo, tuttavia, che sia importante, facendoci guidare dalle altre due letture, fare emergere il tema battesimale.
I discepoli pongono a Gesù una domanda sulla relazione tra peccato e malattia: chi ha peccato perché quest’uomo sia nato cieco? Il Maestro non si pronunzia sul legame peccato-malattia, ma evidenzia che la sofferenza/cecità è costitutiva dell’uomo lontano da Dio. Dopo la disobbedienza delle origini, ogni uomo che nasce è “malato”, “cieco”, bisognoso di una luce che non può darsi dal solo. È Gesù il “medico celeste” che viene a guarire la radice delle nostre infermità. Nel cieco-nato, quindi, possiamo riconoscere ogni uomo bisognoso della Luce per comprendere il senso della propria esistenza.
Per operare la guarigione del cieco, il Signore si serve del fango: avviene come una nuova creazione (cfr. Gen 2,7). Come nella creazione descritta in Genesi, infatti, Gesù “separa” la luce dalle tenebre (cfr Gen 1,1-5) per ridurre il Caos (il non senso della vita) al Cosmo: una vita piena di senso in cui tutto è ordinato al giusto fine.
La guarigione del cieco-nato è simbolo anche di ciò che è avvenuto in noi: nelle acque del battesimo anche noi siamo stati ri-creati, siamo stati guariti, siamo stati illuminati, ci sono stati aperti gli occhi per vedere e riconoscere il Signore che opera nella nostra vita. Anche noi siamo diventati “inviati” (cfr. il nome della piscina) a portare questa luce al mondo con le nostre opere da figli della luce.
La luce della fede che ci è stata donata nel battesimo, infatti, scaccia la paura generata dalle tenebre. Conosciamo la Verità, sappiamo di avere un Padre che ci ama al di là di ogni nostra immaginazione. La luce che è in noi, inoltre, ci permette di vedere la realtà con occhi nuovi, capaci di scorgere il senso profondo delle cose; capaci di vedere non l’apparenza, ma il “cuore” della realtà (cfr. I lettura), così da riconoscere la Volontà d’amore del Creatore e vivere nel giusto modo le realtà create. Per questo, in un mondo sempre più preda del libertinaggio in cui tutto viene stravolto e piegato al piacere egoistico, possiamo e dobbiamo senza timore denunciare il non senso delle “opere delle tenebre”, di quelle che s. Paolo chiama opere della carne: «fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere» (Gal 5, 19-21). Gesù stesso ci ha messi in guardia «Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra.» (Lc 11,35).
Fr. Marco.

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