«Il Signore replicò a Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua
alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti
l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”». (I Sam 1,
4.6.7.10-13)
«Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore.
Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in
ogni bontà, giustizia e verità. … Non partecipate alle opere delle tenebre … ma
piuttosto condannatele apertamente.» (Ef 5,8-14)
«… sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango
sugli occhi del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe”, che
significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. … “Tu, credi nel
Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”.
Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse:
“Credo, Signore!”» (Gv 9, 1-41)
La IV domenica di quaresima (in laetare), l’antifona d’ingresso ci
invita
a rallegrarci e la liturgia della Parola ci presenta la simbologia della Luce. Quest’anno,
in cui la quaresima è caratterizzata da una dimensione di deserto più
immediatamente percepibile per l’assenza delle liturgie che altri anni l’hanno
scandita, penso che l’invito a lasciarsi raggiungere dalla Luce per potere
comprendere il senso della prova che stiamo attraversando e poterci rallegrare
del fatto che questo in “deserto” non siamo soli, ma il Signore è con noi, sia quanto mai opportuno.
La luce, infatti, è simbolo della
gioia, della vita; è ciò che ci permette di distinguere le cose, di dare un
senso a ciò che abbiamo davanti; è ciò che ci permette di orientarci e prendere
la giusta direzione. Al buio, invece, tutto risulta confuso e capita spesso di sbagliare
direzione. La tenebra è il simbolo della tristezza, del caos,
del non senso, della morte. Ecco perché fa paura.
La pagina evangelica di oggi si
colloca nel contesto della Festa delle Capanne caratterizzata, tra i nostri mesi
di settembre e ottobre, dall’abbondanza di luminarie. In questa festa piena di
luci, Gesù si presenta come la Luce del mondo. La luce nella quale i ciechi
tornano a vedere, ma che manifesta la cecità di coloro che la rifiutano. I
quarantuno versetti che compongono il brano evangelico di oggi sono ricchi di
simboli e tematiche. Ritengo, tuttavia, che sia importante, facendoci guidare
dalle altre due letture, fare emergere il tema battesimale.
I discepoli pongono a Gesù una
domanda sulla relazione tra peccato e malattia: chi ha peccato perché quest’uomo sia nato cieco? Il Maestro non si
pronunzia sul legame peccato-malattia, ma evidenzia che la sofferenza/cecità è
costitutiva dell’uomo lontano da Dio. Dopo la disobbedienza delle origini, ogni
uomo che nasce è “malato”, “cieco”, bisognoso di una luce che non può darsi dal
solo. È Gesù il “medico celeste” che viene a guarire la radice delle nostre
infermità. Nel cieco-nato, quindi, possiamo riconoscere ogni uomo bisognoso
della Luce per comprendere il senso della propria esistenza.
Per operare la guarigione del
cieco, il Signore si serve del fango: avviene come una nuova creazione (cfr.
Gen 2,7). Come nella creazione descritta in Genesi, infatti, Gesù “separa” la
luce dalle tenebre (cfr Gen 1,1-5) per ridurre il Caos (il non senso
della vita) al Cosmo: una vita piena di senso in cui tutto è ordinato al
giusto fine.
La guarigione del cieco-nato
è simbolo anche di ciò che è avvenuto in noi: nelle acque del battesimo anche
noi siamo stati ri-creati, siamo stati guariti, siamo stati illuminati, ci sono stati
aperti gli occhi per vedere e riconoscere il Signore che opera nella nostra
vita. Anche noi siamo diventati “inviati” (cfr. il nome della piscina) a
portare questa luce al mondo con le nostre opere da figli della luce.
La luce della fede che ci è stata
donata nel battesimo, infatti, scaccia la paura generata dalle tenebre.
Conosciamo la Verità, sappiamo di avere un Padre che ci ama al di là di ogni
nostra immaginazione. La luce che è in noi, inoltre, ci permette di
vedere la realtà con occhi nuovi, capaci di scorgere il senso profondo delle
cose; capaci di vedere non l’apparenza, ma il “cuore” della realtà (cfr. I
lettura), così da riconoscere la Volontà d’amore del Creatore e vivere nel
giusto modo le realtà create. Per questo, in un mondo sempre più preda del
libertinaggio in cui tutto viene stravolto e piegato al piacere egoistico,
possiamo e dobbiamo senza timore denunciare il non senso delle “opere delle
tenebre”, di quelle che s. Paolo chiama opere della carne: «fornicazione,
impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia,
gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del
genere» (Gal 5, 19-21). Gesù stesso ci ha messi in guardia «Bada dunque
che la luce che è in te non sia tenebra.» (Lc 11,35).
Fr. Marco.
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