martedì 24 marzo 2020

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola»


«Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, perché Dio è con noi» (Is 7,10-14; 8,10)

«“Ecco, io vengo a fare la tua volontà”. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» (Eb 10,4-10)

«In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te” … Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei.». (Lc 1,26-38)

Il Vangelo della solennità dell’Annunciazione si apre con la scena dell’Angelo Gabriele che entrando da Maria la saluta dicendo: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». Il saluto angelico presenta Maria come destinataria della pienezza del favore divino, ma anche come piena di quella grazia e bellezza che è la santità, la conformità al progetto di Dio. Non a caso la Chiesa chiama Maria “tutta bella” (tota pulchra) con le parole del Cantico (cfr. Ct 4, 1).
In Maria questa grazia, consistente nella santità, ha una caratteristica che la pone al di sopra della grazia di ogni altra persona, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento: è una grazia incontaminata. La Chiesa cattolica esprime ciò con il titolo di «Immacolata» e quella Orientale con il titolo di «Panaghìa» (Tutta santa). L’una mette più in risalto l’elemento negativo della grazia di Maria, che è l’assenza di ogni peccato, anche di quello originale; l’altra soittolinea l’elemento positivo, cioè la presenza in lei di tutte le virtù e di tutto lo splendore che da ciò promana.
Parlando del titolo “piena di grazia” dato dall’angelo a Maria, però, dobbiamo evitare  di cadere nell’equivoco di insistere più sulla grazia di Maria che sulla grazia di Dio. Bisogna ricordare che tale grazia di Dio, di cui Maria è stata ricolmata, è anch’essa una “grazia di Cristo”, cioè il favore e la salvezza che Dio concede ormai agli uomini, a causa della morte redentrice di Cristo.
Assumere questa prospettiva rende la vicenda di Maria straordinariamente significativa per noi, restituisce Maria alla Chiesa e all’umanità.
Prima del Concilio Ecumenico Vaticano II la categoria fondamentale con la quale si spiegava la grandezza della Madonna era quella del “privilegio” o dell’esenzione. Si pensava che Maria fosse stata esentata non solo dal peccato originale e dalla corruzione, ma si arrivava anche a pensare che fosse stata esentata dai dolori del parto, dalla fatica, dal dubbio, dalla tentazione, dall’ignoranza e, infine, anche dalla morte vista come conseguenza del peccato. Non ci si rendeva conto che, in questo modo, si dissociava completamente Maria da Gesù, che, pur essendo senza peccato, volle sperimentare a nostro vantaggio la fatica, il dolore, l’angoscia, la tentazioni e la morte. Le categorie del privilegio e dell’esenzione, portate all’estremo, presentavano la Madre di Dio come una creatura in genere disincarnata e idealizzata che poco ha a che fare con le nostre quotidiane lotte. Qualcuno da venerare e contemplare, ma troppo distante da noi per potere essere un modello da imitare.
Dopo il Vaticano II, la categoria fondamentale con la quale si parla  della santità unica di Maria non è più quella del privilegio, ma quella della fede. Maria ha camminato, anzi ha “progredito” nella fede (Lumen Gentium 58). Questa è la vera grandezza di Maria: è colei che liberamente e per fede ha aderito al progetto di Dio; un progetto singolarissimo che le ha chiesto più che a ogni altra creatura.
Di Gesù, nel Nuovo Testamento, si dice che noi «non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4, 15); e che, «pur essendo figlio, egli imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5, 8). Queste parole, per analogia, si possono applicare anche a Maria che si è fatta perfetta discepola del Figlio; potremmo dire, addirittura, che esse costituiscono la vera chiave di comprensione della sua vita.
Come Gesù imparò l’obbedienza, cioè la esercitò e crebbe in essa, grazie alle cose che patì, così anche Maria imparò la fede e l’obbedienza cioè crebbe in esse grazie alle cose che patì; cosicché noi possiamo dire di lei, con tutta fiducia: non abbiamo una madre che non sappia compatire le nostre infermità, la nostra fatica, le nostre tentazioni, essendo stata ella stessa provata in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato.
Ciò detto, perché la solennità odierna non sia solo la celebrazione di qualcosa che non ci tocca, siamo chiamati a lasciarci plasmare dal mistero che celebriamo. L’annuncio dell’Angelo a Maria e il suo fiat, sono l’aurora della redenzione: il Verbo di Dio entra nel mondo per santificarlo. Ecco perché la liturgia odierna ci consegna queste parole nella seconda lettura: Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.
Naturalmente, come abbiamo visto la prima creatura ad essere santificata è Maria che, per questo, sotto la croce ci viene consegnata come madre e modello da cui imparare a dire il nostro sì al progetto d’amore del Padre e, quindi, a metterci alla sequela di Cristo. Da dove iniziare? Da una contemplazione che diventa desiderio di imitazione, di fare, credere e amare come lei.
Maria è bella perché crede e ama, è tutta amore. Tutto viene dall’amore di Dio. La risposta della creatura è indispensabile nell’amore, al sì di Dio fa eco quello di Maria. Come a Nàzareth, anche oggi un sì è capace di sedurre Dio con le nostre vicende e di far scendere il Cielo sulla terra.

Fr. Marco (rileggendo Cantalamessa, “Maria uno specchio per la Chiesa”)

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