«Il Signore stesso vi
darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà
Emmanuele, perché Dio è con noi» (Is 7,10-14; 8,10)
«“Ecco, io vengo a
fare la tua volontà”. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire
quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo
dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» (Eb 10,4-10)
«In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della
Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa
di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei,
disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te” … Allora Maria disse:
“Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo
si allontanò da lei.». (Lc 1,26-38)
Il Vangelo della solennità
dell’Annunciazione si apre con la scena dell’Angelo Gabriele che entrando da
Maria la saluta dicendo: «Rallègrati,
piena di grazia: il Signore è con te». Il saluto angelico presenta Maria
come destinataria della pienezza del favore divino, ma anche come piena di
quella grazia e bellezza che è la santità, la conformità al progetto di Dio.
Non a caso la Chiesa chiama Maria “tutta bella” (tota pulchra) con le parole del Cantico (cfr. Ct 4, 1).
In Maria questa grazia,
consistente nella santità, ha una caratteristica che la pone al di sopra della
grazia di ogni altra persona, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento: è una
grazia incontaminata. La Chiesa cattolica esprime ciò con il titolo di
«Immacolata» e quella Orientale con il titolo di «Panaghìa» (Tutta santa). L’una mette più in risalto l’elemento
negativo della grazia di Maria, che è l’assenza di ogni peccato, anche di
quello originale; l’altra soittolinea l’elemento positivo, cioè la presenza in
lei di tutte le virtù e di tutto lo splendore che da ciò promana.
Parlando del titolo “piena di
grazia” dato dall’angelo a Maria, però, dobbiamo evitare di cadere
nell’equivoco di insistere più sulla grazia di Maria che sulla grazia di
Dio. Bisogna ricordare che tale grazia di Dio, di cui Maria è stata
ricolmata, è anch’essa una “grazia di Cristo”, cioè il favore e la
salvezza che Dio concede ormai agli uomini, a causa della morte redentrice di
Cristo.
Assumere questa prospettiva rende
la vicenda di Maria straordinariamente significativa per noi, restituisce Maria
alla Chiesa e all’umanità.
Prima del Concilio Ecumenico
Vaticano II la categoria fondamentale con la quale si spiegava la grandezza della
Madonna era quella del “privilegio” o dell’esenzione. Si pensava che Maria
fosse stata esentata non solo dal peccato originale e dalla corruzione, ma si
arrivava anche a pensare che fosse stata esentata dai dolori del parto, dalla
fatica, dal dubbio, dalla tentazione, dall’ignoranza e, infine, anche dalla
morte vista come conseguenza del peccato. Non ci si rendeva conto che, in
questo modo, si dissociava completamente Maria da Gesù, che, pur essendo senza
peccato, volle sperimentare a nostro vantaggio la fatica, il dolore,
l’angoscia, la tentazioni e la morte. Le categorie del privilegio e
dell’esenzione, portate all’estremo, presentavano la Madre di Dio come una
creatura in genere disincarnata e idealizzata che poco ha a che fare con le
nostre quotidiane lotte. Qualcuno da venerare e contemplare, ma troppo distante
da noi per potere essere un modello da imitare.
Dopo il Vaticano II, la categoria
fondamentale con la quale si parla della santità unica di Maria non
è più quella del privilegio, ma quella della fede. Maria ha camminato, anzi ha
“progredito” nella fede (Lumen Gentium 58). Questa è la vera grandezza di
Maria: è colei che liberamente e per fede ha aderito al progetto di Dio; un
progetto singolarissimo che le ha chiesto più che a ogni altra creatura.
Di Gesù, nel Nuovo Testamento, si
dice che noi «non abbiamo un sommo
sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui
stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb
4, 15); e che, «pur essendo figlio, egli
imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5, 8). Queste parole, per
analogia, si possono applicare anche a Maria che si è fatta perfetta discepola
del Figlio; potremmo dire, addirittura, che esse costituiscono la vera chiave
di comprensione della sua vita.
Come Gesù imparò
l’obbedienza, cioè la esercitò e crebbe in essa, grazie alle cose che patì,
così anche Maria imparò la fede e l’obbedienza cioè crebbe in esse grazie alle
cose che patì; cosicché noi possiamo dire di lei, con tutta fiducia: non
abbiamo una madre che non sappia compatire le nostre infermità, la nostra
fatica, le nostre tentazioni, essendo stata ella stessa provata in ogni cosa a
somiglianza di noi, escluso il peccato.
Ciò detto, perché la solennità
odierna non sia solo la celebrazione di qualcosa che non ci tocca, siamo
chiamati a lasciarci plasmare dal mistero che celebriamo. L’annuncio dell’Angelo
a Maria e il suo fiat, sono l’aurora
della redenzione: il Verbo di Dio entra nel mondo per santificarlo. Ecco perché
la liturgia odierna ci consegna queste parole nella seconda lettura: Mediante quella volontà siamo stati
santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per
sempre.
Naturalmente, come abbiamo visto
la prima creatura ad essere santificata è Maria che, per questo, sotto la croce
ci viene consegnata come madre e modello da cui imparare a dire il nostro sì al
progetto d’amore del Padre e, quindi, a metterci alla sequela di Cristo. Da
dove iniziare? Da una contemplazione che diventa desiderio di imitazione, di
fare, credere e amare come lei.
Maria è bella perché crede e ama, è tutta amore. Tutto viene dall’amore di
Dio. La risposta della creatura è indispensabile nell’amore, al sì di Dio fa
eco quello di Maria. Come a Nàzareth, anche oggi un sì è capace di sedurre Dio
con le nostre vicende e di far scendere il Cielo sulla terra.
Fr. Marco (rileggendo Cantalamessa, “Maria uno specchio per la Chiesa”)
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