sabato 18 agosto 2018

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna

«Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza». (Pr 9,1-6)

«Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.» (Ef 5,15-20)

«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.» (Gv 6,51-58)

Nella XX domenica del Tempo Ordinario, Gesù, continua il “discorso sul pane”. Ha già detto che “l’opera di Dio” è Credere in Lui e fidarci di Lui; che Lui è il Pane dal Cielo dato per la salvezza del mondo. Oggi arriva ad affermare: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Chi si ciba dell’Eucarestia, del Corpo e Sangue di Cristo, allora, ha già nel presente la “Vita eterna” e risorgerà nell’ultimo giorno. La Vita eterna non è, allora, qualcosa che verrà, ma una realtà già presente in noi. Vita eterna, infatti, significa non solo vita “senza fine”, ma anche una vita “qualitativamente” diversa: una vita piena, bella; una vita che vale la pena di essere vissuta e non solo un “infinito trascinarsi di giorni”.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. È il Maestro stesso che quest’oggi nel Vangelo ci spiega cosa sia la Vita eterna: il rimanere in comunione con Lui. Lui in noi e noi in Lui. Gesù figlio di Dio, morto e risorto per noi, rimane dentro di noi e noi rimaniamo in Lui. Una comunione che diventa vita, a somiglianza della comunione tra Gesù e il Padre.
Questa vita eterna, quindi, è già presente in chi si nutre del Corpo e Sangue del Signore; è, però, una presenza, “imperfetta”, non pienamente realizzata (quel “già e non ancora” che caratterizza il tempo della Chiesa); ecco allora il rimando al futuro: lo risusciterò nell’ultimo giorno quando questa comunione, questa reciproca inabitazione sarà pienamente realizzata.
Oggi, nel presente della Chiesa, questa comunione già presente è fragile e va custodita con cura. Insieme al dono della liberazione dalla schiavitù del peccato, che ci è stato fatto nel battesimo, questa vita eterna già presente in noi che siamo morti e risorti con Cristo, rimanda alla nostra responsabilità: accogliere e custodire questo dono obbedendo sempre più perfettamente al Vangelo con la forza che traiamo dall’Eucarestia. È ciò a cui ci richiama oggi la prima lettura con l’appello a non comportarci da inesperti e a seguire la via dell’intelligenza. Un appello ripreso con forza da S. Paolo nella seconda lettura: fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi di quella sapienza che è saper riconoscere e compiere la volontà di Dio.
Accogliamo, allora, e custodiamo attentamente, la Vita eterna, quella Vita piena di senso, anche in mezzo alle traversie della vita, che solo Gesù può darci. Custodiamo con cura la comunione con Lui riconoscendolo, coi fatti, nostro Signore e nutrendoci di Lui perché possiamo sempre più divenire a Sua immagine e compiere le opere dei Figli di Dio.
Fr. Marco

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