martedì 15 novembre 2022

secondo giorno del triduo - ELISABETTA, PENITENTE FRANCESCANA, PRINCIPESSA, SPOSA E MADRE

 Le ancelle e compagne di S. Elisabetta, che furono ascoltate al processo di canonizzazione, raccontano che fin da bambina Elisabetta aveva chiara la meta del suo pellegrinaggio terreno: il Regno del Padre. 

Al conseguimento di questa meta la Principessa d’Ungheria consacrerà la sua vita pur senza venire meno ai suoi doveri terreni.

A 14 anni, come dicevamo ieri, sposa il ventunenne Lodovico IV di Turingia uomo pio che mai l’ostacolò nel suo cammino di perfezione, ma che anzi seppe farsi suo compagno anche in questo.

I due giovani erano cresciuti insieme amandosi e rispettandosi. Le loro relazioni matrimoniali, infatti, non furono improntate solo dalla convenienza politica, ma furono segnate da autentico amore fraterno e coniugale. Fino al 1227, data in cui resterà vedova a 20 anni, Elisabetta fu esemplare sposa, madre e Langravia di Turingia, una delle donne di più alta nobiltà dell’Impero.

Durante le frequenti assenze del marito, che in Italia collaborava con Federico II per il governo dell’impero, Elisabetta seppe governare con giustizia la Turingia trovandosi a dovere far fronte anche ad una carestia, durante la quale ebbe modo di mostrare la sua grande misericordia: non esitò a svuotare i granai della contea per far fronte ai bisogni dei poveri.

Anche da sposata, Elisabetta dedicava molto tempo alla preghiera che, d’accordo con il marito Lodovico, si protraeva fino a tarda notte nella stesa camera matrimoniale. L’essere sposa di Lodovico, infatti, non le faceva dimenticare la chiamata dell’altro Sposo a seguirlo nella via della Vita. I due amori, quello coniugale e quello Celeste, non erano in conflitto, ma riempivano la vita di Elisabetta di una gioia profonda e di un pieno compiacimento: Dio era l’amore supremo e incondizionato che alimentava tutti gli altri amori di Elisabetta: verso il marito, verso i figli e verso i bisognosi. Verso questi ultimi infatti la principessa non fece mai mancare gesti di carità arrivando anche a servirli con le sue mani.

Alla morte di Lodovico, nel 1227, Elisabetta affermò: «Il mondo e le sue gioie ormai sono morte per me». La principessa era morta, e si era rivelata la sorella penitente.

Fratelli e sorelle della penitenza, infatti, è come erano chiamati uomini e donne che, sull’esempio di San Francesco, abbandonavano la vita mondana per dedicarsi alla preghiera, alle opere di misericordia e ad una vita di penitenza ispirata dalla “Lettera a tutti  fedeli”.

La principessa di Ungheria aveva conosciuto i frati minori quando erano arrivati ad Eisenach, capitale della Turingia, nel 1224. Fu frate Ruggiero ad introdurre Elisabetta, già predisposta ai valori dello spirito, alla vita di penitenza.

Le testimonianze riguardo la sua spiritualità francescana sono innegabili: donò ai frati una cappella ad Eisenach; filava la lana per l’abito dei minori; quando lasciò o fu espulsa dal castello fece intonare ai francescani il Te Deum come ringraziamento a Dio; il 24 marzo 1228, venerdì santo, poste le mani sull’altare spoglio, emise la professione pubblica nella cappella francescana; a segno della sua nuova identità, insieme con le quattro ancelle che la seguirono, indossò una “tunica vile” di colore grigio (per qualcuno “vestì l’abito grigio dei frati minori”); nel 1229 realizzò l’ospedale di Marburgo, da lei fondato, sotto la protezione di S. Francesco canonizzato qualche mese prima. Soprattutto però, la sua spiritualità francescana è testimoniata dalla sua scelta di povertà e di estrema carità verso i bisognosi nella sequela povera di Cristo povero.

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