venerdì 1 ottobre 2021

Secondo giorno del triduo di S. Francesco - Chi ascolta voi ascolta me

 «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10,13-16)

Dalle Ammonizioni di S. Francesco d’Assisi (FF 148-151):

«Dice il Signore nel Vangelo: " chi non avrà rinunciato a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo", e " Chi vorrà salvare la sua anima, la perderà". Abbandona tutto quello che possiede e perde il suo corpo colui che sottomette totalmente se stesso all'obbedienza nelle mani del suo superiore. E qualunque cosa fa o dice che egli sa non essere contro la volontà di lui, purché sia bene quello che fa, è vera obbedienza. E se qualche volta il suddito vede cose migliori e più utili alla sua anima di quelle che gli ordina il superiore, volentieri sacrifichi a Dio le sue e cerchi invece di adempiere con l'opera quelle del superiore. Infatti questa è l'obbedienza caritativa, perché compiace a Dio ed al prossimo. … Vi sono infatti molti religiosi che, col pretesto di vedere cose migliori di quelle che ordinano i loro superiori, guardano indietro e ritornano al vomito della propria volontà. Questi sono degli omicidi e sono causa di perdizione per molte anime con i loro cattivi esempi.»

La pagina evangelica odierna continua il discorso di Gesù ai 72 discepoli mandati in missione e si apre con il monito di Gesù che esorta alla conversione esprimendo il suo dolore per la sorte di coloro che non si convertono. L’espressione tradotta “Guai”, infatti, significa soprattutto «povera te …».

Ciò che viene rimproverato è il non avere accolto la Parola e, quindi, l'avere disobbedito ai ripetuti richiami di Dio. Il Maestro, rivolgendosi ai discepoli mandati in missione ad annunziare la Buona novella del Regno, afferma «Chi ascolta voi ascolta me». L’obbedienza a Cristo tramite l’obbedienza ai suoi inviati, allora diventa determinante per sperimentare la Vita.

È proprio dell’obbedienza conseguente alla conversione che intendo parlare oggi. Scegliendo Gesù come suo Signore, Francesco mette realmente la sua vita sotto la Signoria di Cristo e, riconoscendo gli altri come superiori a sé vive in continuo ascolto della volontà di Dio che può manifestarsi attraverso qualunque dei suoi fratelli. Certamente tutti vogliamo obbedire a Dio. Ci piace credere che sentendo la Sua Voce faremmo tutto. Egli, però, non entra visibilmente nella nostra vita. Il Padre si serve di strumenti umani, spesso anzi, “troppo umani”, precisamente dei superiori che egli ci ha dato attraverso l’autorità della sua Chiesa. È questa la situazione che talvolta rende l'obbedienza così difficile. Perciò l'obbedienza è veramente lasciare tutto, rinunciare anche a se stessi, lasciarsi condurre e guidare da uomini che sono i rappresentanti di Dio. Questa obbedienza è possibile soltanto nella fede: in quella fede che confida fermamente che Dio è operante nella Sua Chiesa e conduce i suoi attraverso i vari ministeri presenti in essa. Se noi glielo permettiamo, è Dio che conduce la nostra storia e lo fa anche attraverso i suoi ministri, attraverso coloro che la Chiesa ci dà come guide.

L'obbedienza chiesta da Gesù e dal suo servo Francesco, tuttavia, non è un’obbedienza “militaresca” che, se da una parte “violenta” la nostra libertà, a volte ci fa comodo perché ci deresponsabilizza, ci libera dalla fatica del decidere. L’obbedienza che ci è richiesta è un’obbedienza da figli. Noi dovremmo stare nell'obbedienza anche quando colui che è chiamato a guidarci non è presente, anzi, anche quando siamo completamente soli. Termine ultimo della nostra obbedienza, infatti, non è il “superiore”, ma Dio, il nostro solo Signore. Qui c'è naturalmente anche un pesante impegno per tutti coloro che dalla Chiesa vengono posti come “superiori”: essi devono esigere nell'obbedienza solo quello che è buono, cioè quello che è in consonanza con la volontà di Dio. Perciò obbedire è sicuramente più facile che comandare!

«E se qualche volta il suddito vede cose migliori e più utili per la sua anima di quelle che gli comanda il superiore, …». È certamente possibile che il suddito giudichi qualcosa meglio che il suo superiore. In tal caso Francesco afferma che è più importante e più prezioso obbedire che seguire le proprie opinioni o le proprie cognizioni. Il bene fatto nell’obbedienza è, per Francesco, più prezioso del meglio fatto senza obbedienza. Si tratta dell’adempimento della volontà di Dio, anche quando l’uomo perde se stesso. Qui sperimentiamo ancora che l'obbedienza piena è possibile solo in una fede solida, che crede cioè che Dio ha la nostra vita nelle sue mani e dispone e può condurre tutto meglio di quanto noi non possiamo sospettare. Dio sa meglio di noi ciò che è Bene e può portare ad effetto la Sua volontà attraverso chi vuole. Per questo dobbiamo abbandonarci pieni di fede alla Sua guida. Agendo così, l’obbedienza diventa certamente un sacrificio, in cui noi ci offriamo completamente a Dio, poiché rinunciamo ad ogni cosa e perdiamo noi stessi per amore suo. Non dimentichiamo, però, che questo sacrificio nell’obbedienza ci porta dentro al sacrificio di Cristo, «il quale umiliò se stesso fino alla morte, e alla morte di croce» (Fil. 2,8). Perciò continua Francesco: «Questa è l’obbedienza caritativa, perché compiace a Dio e al prossimo». Chi è obbediente con Cristo in questo modo, prende parte al dono della redenzione di Cristo, alla sua opera di salvezza per tutti gli uomini, egli realizza con Cristo l'offerta della propria volontà, affinché Dio sia glorificato in ognuno. Per questo Francesco dice che compiace a Dio e al prossimo. L'obbedienza è il punto culminante di una vita di povertà spirituale, nel quale l'uomo abbandona tutto, e niente trattiene per sé. Nell’obbedienza l'uomo si lega per diventare libero per Dio e l’adempimento della sua santa volontà. Egli dice "No" a se stesso per dire liberamente "Sì" a Dio.

Fr. Marco

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