lunedì 4 ottobre 2021

Imparate da me che sono mite e umile di cuore - solennità di S. Francesco

 

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 25-30)

In questa solennità di San Francesco d’Assisi, vorrei cercare di tratteggiarne l’identità a partire dal vangelo che è stato proclamato. Gesù nel Vangelo rende grazie al Padre perché ha rivelato i misteri del Regno ai piccoli, a quanti non si gonfiano della loro presunta sapienza e si rendono quindi disponibili ad accogliere la Buona notizia del Regno.

San Francesco d’Assisi è stato sicuramente uno di questi “piccoli”. Il Poverello di Assisi, infatti sceglie per sé e per i suoi frati la Minorità. Rinuncia alla sapienza del mondo tanto da essere considerato folle. Sceglie di rinunciare ad ogni “superiorità” e di stimare sempre gli altri come superiori a sé. Vuole che i suoi frati siano detti e siano realmente minori. Fa questa scelta spinto dall’imitazione di Gesù Cristo che “da ricco che era si fece povero per noi”. Se il Figlio di Dio si fa uomo e piccolo, quanto più noi suoi discepoli siamo chiamati a farci piccoli, a riconoscere la nostra reale piccolezza e a consegnarla nelle Sue mani perché Lui posa compiere grandi cose.

La scelta della minorità porta Francesco  a fare anche la scelta della povertà come rinuncia ad ogni potere, ad ogni idolatria e ad ogni autosufficienza. La povertà del Serafico Padre è certamente motivata dall’imitazione di Cristo, ma anche dalla sua comprensione di quanto qualunque ricchezza ci separa rendendoci autosufficienti. La ricchezza, inoltre, va difesa e questo fa sì che non vediamo più in chi ci sta accanto un fratello, ma un nemico. Facciamo attenzione, però, che la ricchezza rifiutata da Francesco è dentro l’uomo, non fuori dall’uomo: si può essere ricchi anche della propria povertà quando la si usa come arma per sentirsi superiori ai fratelli. Quella di Francesco, invece, è una reale povertà interiore che diventa visibile anche esteriormente.

Spoglio di tutto, Francesco affida con gioia la sua vita alle mani del Padre e questo lo porta a riconoscere in chi gli sta accanto un fratello. Avendo imparato da Cristo mite e umile di cuore, il Serafico Padre sa bene che il comandamento fondamentale, la “sintesi della legge e dei profeti” è l’Amore. Vive pienamente quest’amore per Dio e per i fratelli. Il titolo di “serafico” che la Chiesa gli ha attribuito richiama, infatti, i Serafini: le creature angeliche che ardono d’amore per Dio. Francesco sceglie quindi di vivere l’amore e di farsi fratello di ogni creatura. Francesco vuole che l’ordine da lui fondato sia una fraternità. Ritengo sia significativo, però, il fatto che raramente nei suoi scritti parli di “fraternità” e innumerevoli volte parli di “fratelli”: la fraternità in astratto non esiste! Esistono degli uomini e delle donne che scelgono di farsi fratelli e sorelle di chi il Signore pone loro accanto. È questa la fraternità francescana: riconoscere l’unica paternità di Dio e per questo scegliere di farsi fratelli di ogni uomo amandolo per primo come noi ci sappiamo amati dal Padre. Solo quando ciascuno di noi si farà fratello o sorella dell’altro ci sarà tra noi vera fraternità.

Anche l’obbedienza per Francesco trova la sua radice nella minorità. Mettendo la sua vita nella sequela di Gesù e intenzionato a prendere il suo giogo sopra di sé, Francesco mette realmente la sua vita sotto la Signoria di Cristo. Riconoscendo gli altri come superiori a sé, inoltre, vive in continuo ascolto della volontà di Dio che può manifestarsi attraverso qualunque dei suoi fratelli. L’obbedienza di Francesco, naturalmente, si fa estrema nei riguardi della Chiesa e di ogni suo rappresentante in cui vede una mediazione diretta e privilegiata della voce di Dio. Solo in questo modo Francesco poté realizzare la restaurazione della Chiesa che anche altri avevano inutilmente tentato. La Chiesa ai tempi di Francesco è una Chiesa che va in rovina, in cui solo con grande fatica si riconosce la Sposa di Cristo: i vescovi vivono come principi e come loro sono più impegnati in cose temporali che in cose spirituali. I sacerdoti spesso sono quasi analfabeti e vivono una dubbia morale. È questa la Chiesa che Francesco è chiamato a restaurare dall’interno, ed è questa la Chiesa alla quale Francesco vuole obbedire perché sa che, nonostante tutto, in essa il Signore continua a parlare.

Celebrando questa solennità, fratelli e sorelle, guardiamo a ciò che San Francesco ha fatto della sua vita, seguiamo il suo esempio nella disponibilità a compiere il progetto d’amore del Padre per noi e come lui mettiamo realmente la nostra vita sotto la Signoria di Cristo. In tal modo saremo realmente discepoli di Cristo e seguaci di Francesco, uomini e donne pienamente realizzati, strumenti di Dio per edificare giorno dopo giorno il Regno dei Cieli. Il Signore ce lo conceda per intercessione di S. Francesco nostro Serafico Padre.

Fr. Marco

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