sabato 2 ottobre 2021

Terzo giorno del triduo di S. Francesco - Minorità


 «In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,2-16)

Dalla Vita seconda di S, Francesco di Tommaso da Celano (FF 729):

«Vedeva che alcuni desideravano ardentemente le cariche dell'Ordine, delle quali si rendevano indegni, oltre al resto, anche per la sola ambizione di governare. E diceva che questi non erano frati minori, ma avevano dimenticato la loro vocazione ed erano decaduti dalla gloria. Confutava poi con abbondanza di argomenti alcuni miserabili, che sopportavano a malincuore di essere rimossi dai vari uffici, perché più che l'onere cercavano l'onore.

Un giorno disse al suo compagno: " Non mi sembrerebbe di essere frate minore se non fossi nella disposizione che ti descriverò. Ecco – spiegò – essendo superiore dei frati vado al capitolo, predico, li ammonisco, e alla fine si grida contro di me: “Non è adatto per noi un uomo senza cultura e dappoco. Perciò non vogliamo che tu regni su di noi, perché non sei eloquente, sei semplice ed ignorante”. Alla fine sono scacciato con obbrobrio, vilipeso da tutti. Ti dico: se non ascolterò queste parole conservando lo stesso volto, la stessa letizia di animo, lo stesso proposito di santità, non sono per niente frate minore".

E aggiungeva: " Il superiorato è occasione di caduta, la lode di precipizio. L'umiltà del suddito invece porta alla salvezza dell'anima. Perché allora volgiamo l'animo più ai pericoli che ai vantaggi, quando abbiamo la vita per acquistarci meriti?". »

Oggi, festa degli angeli custodi, entriamo già nella liturgia domenicale. Per quest’omelia mi soffermerò sulla seconda parte del Vangelo, l’invito ad accogliere il Regno come bambini.

A chi è come loro appartiene il Regno di Dio. Ciò che ci chiede il Maestro è la semplicità e la minorità dei bambini, il loro sapersi piccoli e dipendenti, il loro essere fiduciosi. Ci accoglie il Regno come un bambino, infatti, sa di avere un Padre che provvede a lui; si fida incondizionatamente di questo Padre di cui sa di avere bisogno; riconosce la propria dipendenza, la propria costitutiva povertà, il fatto di non potersi dare la vita da solo, e la vive senza angoscia perché fiducioso nell’amore del Padre.

Francesco, perfetto discepolo e imitatore di Cristo che «non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil 2,6-7),  ha ben compreso l’importanza di farsi piccoli per entrare nel Regno dei Cieli, per questo sceglie di essere “minore”. La Minorità è la via per cui Francesco si sente chiamato a seguire il Divino Maestro. Ed è questa la caratteristica che lui reputa distintiva della sua fraternità: l’essere minore, il farsi piccolo per amore, per fare spazio a Dio e al fratello.

Come abbiamo ascoltato nel brano delle Fonti, il Poverello di Assisi sceglie di rinunciare ad ogni “superiorato”, visto come pericoloso per la salvezza eterna, per vivere la minorità. Francesco, tuttavia, non rinuncia al servizio di autorità: è consapevole che la fraternità ha bisogno di guide, ma sceglie e chiede ai suoi frati minori di vivere anche il servizio dell’autorità appunto come un servizio svolto per amore. Per questo vuole che la fraternità sia guidata da “ministri”, cioè “servi”. Il nostro amore vicendevole rende visibile l'amore di Cristo per noi, per questo deve essere veramente un “amore che serve”; deve conservarsi come un amore umile nel servizio reciproco.

L'umiltà nella sua essenza è riconoscere la propria povertà di fronte a Dio. L'uomo veramente umile, veramente povero di sé, che tutto ha consegnato a Dio, non si esalta per il bene che Dio opera per mezzo di lui.

Purtroppo l’umiltà oggi non è “di moda”. Ha un’accezione negativa; nella “società dell’apparire” l’umiltà non ha alcun senso. Non abbiamo più un giusto concetto di questa virtù cristiana. Poiché, tuttavia, la povertà e l’umiltà (che possiamo riassumere nella parola “minorità”) sono i pilastri fondamentali della nostra francescana sequela di Cristo, è importante comprenderla per viverla.

Siamo veramente umili quando siamo riconoscenti a Dio, oltre che per ciò che opera attraverso di noi, anche per tutto ciò che di bene Egli dice e opera per mezzo dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Questa gioia riconoscente è un importante aspetto dell'umiltà cristiana. Quanto più un uomo vive in riconoscente gioia davanti a Dio, tanto più è un autentico discepolo di Cristo. In questa umiltà mette radici quindi l'amore fraterno che Gesù ci ha lasciato come segno distintivo dell’essere suoi discepoli (Cfr. Gv 13,35)

Concludendo, non possiamo certo chiederci: ho l’umiltà? Rischieremmo di cadere nel peccato contrario inorgogliendoci per la nostra “umiltà”. Chiediamoci piuttosto: Sono io riconoscente a Dio, il Signore, per tutto il bene che Egli dice e opera per mezzo mio? Il Vero minore si riconosce in tutto beneficato dal "grande Elemosiniere", da Dio. In lui non c'è alcun posto per la ricerca della fama, dell'autocompiacenza e della superbia. Compiamo un ulteriore passo in avanti se ci domandiamo: Mi rallegro io per il bene che Dio dice e opera per mezzo dei miei fratelli e sorelle? Forse dovremmo imparare in primo luogo a vedere il bene degli altri e riconoscerlo con gratitudine a Dio. Spesso, purtroppo abbiamo un’attenzione particolare a vedere il male negli altri. Eppure Dio nella sua creazione ha fatto buona ogni cosa e ogni persona e può operare il bene per mezzo di chi vuole. Scoprire e riconoscere questo sarebbe un atto autentico di glorificazione a Dio, che non dovrebbe mancare nella vita dell'umile servo di Dio. Scoprire il bene nella vita degli altri e riconoscerlo senza invidia, con gioia è certamente uno dei passi più importanti verso l'autentico amore fraterno; perché esso ci apre alla giusta comprensione degli altri. Con ciò vengono anche sgomberati gli ostacoli che si trovano sulla strada della vita fraterna in comune. Da questa umiltà si sviluppa l'autentica "fraternitas", la società fraterna del Vangelo. Il Signore ce lo conceda.

Fr. Marco

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