sabato 12 ottobre 2019

In ogni cosa rendete grazie ..


«Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele …» (2Re 5,14-17)

« … se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà» (2Tm  2, 8-13)

«Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?» (Lc 17, 11-19)

Questa domenica, XXVIII del tempo ordinario, la Parola di Dio ci mette dinanzi l’importanza della relazione con il Datore di ogni Bene in un percorso che va dalla guarigione al riconoscimento e alla riconoscenza.
Nella prima lettura e nel vangelo, infatti, assistiamo a due guarigioni miracolose. La lebbra è una malattia fortemente simbolica della condizione del peccatore: il lebbroso, come il peccatore, sperimenta la morte e il disfacimento. È questo che il peccato compie in noi: ci allontana dalla fonte della vita facendoci sperimentare la morte in una vita che ha perso il suo senso.
Penso sia da sottolineare in questi due racconti di guarigione che in entrambi è richiesto un rapporto di personale fiducia in colui che compie la guarigione. Una fiducia che chiede di lasciare da parte le nostre precomprensioni e attese: a Naaman il Siro, che si aspettava complicati rituali “magici”, Eliseo, senza neanche incontrarlo (Cf. 2Re 5,10), manda a dire semplicemente di bagnarsi nel Giordano; ai dieci lebbrosi Gesù chiede di presentarsi ai sacerdoti che avrebbero dovuto verificare una guarigione che, al momento in cui li invia, non è ancora avvenuta. Soltanto in questo rapporto personale di fiducia può avvenire il miracolo.
Il miracolo, infatti, ha senso come Segno: indica l’identità di colui che lo compie. Per questo Naaman guarito proclama l’unicità di Dio e il lebbroso si prostra dinanzi a Gesù: hanno saputo comprendere il segno e per loro la guarigione diventa salvezza.
È ancora nell’ambito del rapporto personale e del riconoscimento del segno che trova posto il ringraziamento. Ringraziare, infatti ci pone nel giusto rapporto con il datore del dono e con il dono stesso. Ringraziando mi riconosco debitore nei confronti del datore del dono, riconosco che il dono non mi è dovuto, ma è una grazia, un regalo, che mi è stato fatto. In tal  modo, inoltre, sarò capace di riconoscere il dono come segno dell’amore del donatore e ne avrò la giusta considerazione.
Non è da passare sotto silenzio, poi, il fatto che l’unico lebbroso che torna ringraziare Gesù sia un Samaritano, uno scismatico. È da supporre che gli altri nove fossero Israeliti, appartenenti al popolo eletto. Forse i nove Israeliti davano per scontata la guarigione, pensavano fosse loro dovuta? Non lo sappiamo, ma sappiamo che mentre tutti e dieci sono stati “purificati”, solo al Samaritano Gesù parla di salvezza.
Ecco allora che fiducia e gratitudine vengono presentati come l’antidoto alla lebbra del peccato. Il peccato, infatti, è non volere accettare il giusto rapporto con Dio, non riconoscere i Suoi infiniti doni di grazia come segni del Suo amore, ma considerarli come dovuti; assolutizzarli come capaci di darci la vita e metterli al posto del donatore.
Accogliamo l’invito della Parola e impariamo a dire grazie a Dio per tutti i suoi doni. Un “grazie” non forzato, ma di cuore e che si manifesti soprattutto nel tenere in giusto conto i doni di Dio usandoli per darGli gloria.
Fr. Marco

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